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Posso lavorare in Italia per un’azienda del Regno Unito?

Fisco NazionaleProfessioniPosso lavorare in Italia per un'azienda del Regno Unito?

Quali sono le corrette modalità per la gestione degli aspetti fiscali e previdenziali legate al lavoro dipendente o autonomo di un soggetto residente in Italia per un datore di lavoro residente nel Regno Unito?


Nell’ambito della mobilità transnazionale dei lavoratori può capitare che vi sia una discrasia tra il luogo in cui si trova il datore di lavoro ed il luogo di residenza fiscale del lavoratore. Il caso potrebbe essere quello di un soggetto che vive stabilmente in Italia e che opera per conto di un datore di lavoro residenti nel Regno Unito. In questo caso, infatti, occorre tenere in considerazione gli effetti fiscali e previdenziali di questa casistica.

Sovente, infatti, soprattutto in questo periodo stiamo assistendo a situazioni in cui il lavoratore si trova a svolgere la prestazione lavorativa in luogo diverso da quello in cui si trova il datore di lavoro. In questo ambito, il crescente utilizzo del lavoro da remoto, telelavoro e dello smart working stanno portando all’emersione di situazioni da valutare con attenzione.

In particolare, voglio andare ad analizzare le due casistiche a disposizione con cui un soggetto residente può operare verso un datore (committente) estero. Mi riferisco alla possibilità di operare come lavoratore dipendente per un’azienda del Regno Unito, oppure lavorare come freelance dall’Italia per un committente inglese. Per entrambe queste due casistiche vedremo gli effetti fiscali e previdenziali.

Lavorare in Italia come dipendente di un’azienda del Regno Unito

Se risiedi fiscalmente in Italia e sei assunto con un contratto da lavoro dipendente da parte di una società residente nel Regno Unito, la società inglese è chiamata a doversi identificare in Italia. In particolare, le principali ipotesi a disposizione sono le seguenti:

La scelta dipende essenzialmente dalle esigenze dell’azienda, dalla sua concreta attività operativa in Italia e dalle sue scelte strategiche. Si tratta, naturalmente, di una scelta molto importante che comporta delle conseguenze fiscali in Italia. Per questo motivo è consigliabile valutare bene l’opzione migliore a disposizione con un dottore Commercialista italiano.

La scelta del datore di lavoro estero

In tutte le casistiche l’obiettivo finale dell’azienda deve essere quello di registrarsi in Italia come “datore di lavoro” all’Inps. In questo modo l’azienda del Regno Unito può registrarsi da un punto di vista previdenziale in Italia ed erogare al lavoratore una busta paga italiana. Tuttavia, vi sono delle particolarità. Infatti, in caso di solo rappresentante previdenziale in Italia, l’azienda estera, verserà al lavoratore soltanto i contributi previdenziali italiani.

Tale scelta riguarda attività che in Italia svolgono, attraverso il dipendente, attività ausiliarie e preparatorie alla vendita. Come chiarito anche dalla Risposta ad interpello n. 312/E/2019, la presenza in Italia di un ufficio di rappresentanza non obbliga l’azienda estera a dover fungere da sostituto di imposta per il versamento delle ritenute fiscali italiane. Come precisato dalla Circolare MEF n. 326/1997 (§ 3.1), gli enti e le società non residenti assumono la qualifica di sostituto di imposta solo se hanno una stabile organizzazione o una base fissa in Italia.

Per quanto riguarda la stabile organizzazione o la subsidiary in Italia, va detto che, le stesse diventano soluzioni necessarie (e alternative tra loro), qualora il dipendente italiano disponga del potere di concludere contratti per conto della società estera per cui lavora (Risoluzione n. 312/E/2019). In questo caso la presenza di una stabile organizzazione o di una società controllata italiana comporta per il lavoratore il fatto di dover subire (come tutti i lavoratori dipendenti con datore di lavoro italiano), sia le ritenute fiscali che previdenziali.

Disciplina previdenziale

Per quanto riguarda i contributi previdenziali occorre affermare che la previdenza in Italia è dovuta in base al luogo in cui viene svolto il rapporto lavorativo. L’esenzione dalla contribuzione italiana per i contributi previdenziali può essere verificata attraverso le disposizioni dei trattati di sicurezza sociale siglati tra Italia e Regno Unito. Questo tipo di trattati prevedono che sia possibile essere esentati da contribuzione italiana solo se il lavoratore scegliere di continuare a versare la contribuzione nel Regno Unito (qualora questo possa essere possibile). In questo caso è importante interfacciarsi con i consulenti previdenziali dell’azienda UK per poter conciliare quanto previsto dalla normativa UK in tema di previdenza per il lavoratore dipendente.

Disciplina fiscale

Il lavoratore dipendente, da un punto di vista fiscale, è tenuto al pagamento delle imposte sui redditi in Italia, tramite dichiarazione dei redditi in Italia. In questo senso la territorialità del reddito da lavoro dipendente, ex art. 23 del TUIR è in Italia. Questo in quanto l’Italia ha il diritto di tassare il reddito se l’attività lavorativa è svolta in Italia.

Quindi, il lavoratore dipendente residente in Italia che ivi lavora in smart working è tenuto al pagamento delle imposte sui redditi in Italia. In questo caso il datore di lavoro (identificato in Italia, come abbiamo visto con stabile organizzazione o subsidiary) può applicare la relativa tassazione del reddito attraverso le ritenute in busta paga.

Possibilità di lavorare in Italia con contratto di lavoro estero

Deve essere evidenziato che il datore di lavoro estero potrebbe anche non scegliere una delle opzioni indicate nei paragrafi precedenti (ufficio di rappresentanza, stabile organizzazione, etc.), e lasciare il lavoratore con il contratto di lavoro estero. In questo scenario il lavoratore si troverà ad operare in smart working in Italia con contratto estero, senza avere previdenza italiana. Il datore di lavoro, nel caso è tenuto ad applicare la previdenza prevista nei contratti UK, mentre per quanto riguarda le ritenute fiscali, in questo caso vi sono due possibilità. L’opzione più prudente per il datore di lavoro è quella di lasciare le ritenute fiscali del Regno Unito. Il lavoratore dovrà poi presentare la dichiarazione dei redditi italiana per tassare nuovamente il reddito e sfruttare il credito per imposte assolte all’estero per attenuare la doppia imposizione sul reddito subita.

Altrimenti, su richiesta del lavoratore, ha la possibilità di non applicare le ritenute fiscali UK, a seguito del rilascio della documentazione attestante la residenza fiscale italiana del lavoratore. In questo caso, spetterà al lavoratore presentare la dichiarazione dei redditi in Italia per assoggettarvi il reddito estero a tassazione. Naturalmente, questa opzione presenta un maggiore rischi per il datore di lavoro.

La posizione dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate italiana si è espressa sul lavoro in Italia con contratto estero nella Circolare n. 33/E/2020 avente ad oggetto la disciplina dei lavoratori impatriati. In questo contesto l’Amministrazione finanziaria ha ammesso la possibilità di avere lavoratori in Italia con contratto di lavoro estero. Tuttavia, ha indicato che andrà ad effettuare specifici controlli sui datori di lavoro esteri per capire se avrebbero dovuto utilizzare una qualche forma di identificazione in Italia, per offrire al lavoratore un contratto di lavoro italiano. Per questo motivo, occorre prestare attenzione a questo scenario, soprattutto per gli obblighi a carico del datore di lavoro non residente.

Agevolazioni per il rientro in Italia

Il trasferimento di residenza in Italia deve essere valutato anche in relazione alle possibili agevolazioni che vi possono essere. Attualmente, vi sono in vigore 3 agevolazioni che riguardano i lavoratori. In particolare:

Si tratta di agevolazioni molto diverse tra di loro, ma soprattutto, con requisiti da rispettare molto diversi. Pertanto, è opportuno valutare la propria situazione con un dottore commercialista esperto prima del rientro in Italia. In questo modo potrà essere programmato un rientro in linea con quanto previsto dall’agevolazione prescelta e dai relativi requisiti da rispettare.

Lavorare in Italia come freelance per un’azienda residente nel Regno Unito

Se hai ottenuto un contratto di mandato come freelance con un’azienda stabilita nel Regno Unito devi operare in regola con la disciplina fiscale italiana. Prima di tutto è necessario partire da una regola generale data dal fatto che l’attività autonoma deve essere regolamentata secondo le disposizioni dello Stato di residenza fiscale del lavoratore. Successivamente, è necessario andare a capire se l’autonomo ha una “base fissa” (es. un ufficio stabile) nello Stato estero. In questo caso il lavoratore deve valutare l’identificazione ai fini delle imposte sui redditi anche in questo Stato. Senza base fissa, invece, l’attività autonoma deve essere gestita dalla regolamentazione dello Stato di residenza fiscale.

Detto questo, andiamo ad analizzare, per semplicità la situazione di un lavoratore autonomo che opera come residente in Italia, per un committente del Regno Unito. Non prendiamo in considerazione la presenza di una base fissa. Ebbene, in questo caso il professionista deve necessariamente operare con una partita Iva italiana, ed iscriversi alla gestione separata dell’INPS. In questo caso il Regno Unito non fa parte della UE, ma al momento di apertura della partita Iva è sicuramente opportuno optare per l’iscrizione al VIES (Elenco delle partite Iva Comunitarie).

A questo punto per il professionista si pone il problema di valutare quale sia il regime fiscale migliore per la propria situazione. Particolarmente interessante è valutare tra i due principali regimi fiscali:

In generale, la scelta del regime fiscale dipende dalla struttura del business. Per questo è fondamentale il confronto con il tuo commercialista. Sbagliare regime fiscale o ancora peggio fare da soli, può rivelarsi una mossa pessima, soprattutto in caso di errori.

Le ritenute in uscita dal Regno Unito

Un professionista italiano che effettua una prestazione ad un collega estero deve subire una ritenuta sul compenso corrisposto. Tale ritenuta viene operata dal committente e versata all’Erario dello Stato estero (del committente). Questa modalità di tassazione avviene in virtù dell’applicazione del principio di tassazione nel Paese della fonte del reddito. Come detto, in questo esempio, il professionista italiano si vedrà ridurre il proprio compenso di una ritenuta, che il committente verserà all’Erario del proprio Paese. Questo meccanismo avviene il virtù di un principio secondo il quale i soggetti non residenti in uno Stato sono soggetti a tassazione esclusivamente per i redditi prodotti nel territorio di quello Stato.

La tassazione nel Paese del fonte del reddito generalmente avviene attraverso l’applicazione di una ritenuta di acconto che il committente estero (impresa o professionista) applica sul compenso del professionista estero (in questo caso italiano). Tale ritenuta a titolo di imposta rappresenta la tassazione nel Paese della fonte del professionista estero.

L’unico caso in cui l’applicazione della ritenuta deve essere omessa si ha quando i compensi sono corrisposti ad una base fissa d’affari estera di un soggetto italiano. Proviamo a fare un esempio.

L’eliminazione della ritenuta

Per eliminare la ritenuta di acconto sui compensi percepiti all’estero, e quindi far incassare l’importo lordo al professionista è necessario fare riferimento alla normativa convenzionale. Tale normativa è quella contenuta nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia con vari paesi esteri. Infatti, le norme convenzionali, se più favorevoli al contribuente, possono superare “di rango” la normativa nazionale (art. 75 del DPR n. 600/73 e art. 169 del TUIR).

Per questo motivo per verificare le possibilità di eliminare la ritenuta sui compensi esteri è verificare la presenza di una Convenzione internazionale. In buona sostanza si tratta di andare a verificare se è in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni tra lo Stato estero di erogazione del reddito e l’Italia (stato di residenza del professionista). Riassumendo, è necessario trovare una convenzione in linea con il modello OCSE, stipulata tra l’Italia e il Paese estero ove ha percepito il reddito.

In questo caso la ritenuta può essere omessa in quanto la Convenzione OCSE prevede che le imprese e i professionisti possano essere tassati in nel Paese ove è percepito il reddito (quindi nel Paese estero) solamente in presenza di una stabile organizzazione. Generalmente, l’erogazione di qualche servizio ad un cliente estero non comporta la sussistenza della stabile organizzazione. Questo anche se la prestazione viene erogata totalmente all’estero. Di fatto, quindi, la presenza di una convenzione internazionale in linea con il modello OCSE permette di superare la normativa interna degli Stati che prevede l’applicazione di una ritenuta in uscita sui compensi dei professionisti. Tuttavia, occorre, a questo punto, andare ad analizzare quali sono le condizioni richieste per l’esenzione dall’applicazione della ritenuta in uscita sui compensi dei professionisti.

Per approfondire l’argomento: “Professionisti e ritenuta sui compensi esteri“.

Conclusioni e consulenza fiscale online

La possibilità di lavorare dall’Italia per conto di un datore di lavoro del Regno Unito è possibile, sia come lavoratore dipendente che come autonomo. Tuttavia, è necessario prestare molta attenzione, in caso di lavoro dipendente, alla scelta che farà il datore di lavoro estero. Si tratta di una sua responsabilità ma che, in caso di contestazioni, da parte dell’Italia potrebbe avere conseguenze (indirette) anche sul lavoratore. Per questo è importante valutare attentamente la scelta di lavorare dall’Italia con il datore di lavoro e ponderare rischi ed opportunità di ogni scenario. Anche per il lavoro autonomo vi sono possibilità, ma occorre prestare attenzione all’aspetto legato alle ritenute in uscita dei professionisti, all’applicazione delle disposizioni convenzionali ed all’accordo da trovare con il committente estero.

Lavorare in Italia per un’azienda britannica richiede un’attenta pianificazione e comprensione delle leggi fiscali sia italiane che britanniche. È fondamentale determinare la propria residenza fiscale, comprendere gli accordi per evitare la doppia tassazione, e rimanere aggiornati sulle modifiche legislative post-Brexit. Gli obblighi dichiarativi e i contributi previdenziali sono aspetti cruciali da non trascurare. È spesso consigliabile consultare un esperto fiscale per navigare in queste complesse questioni transfrontaliere.

Se hai letto questo articolo e ti stai rendendo conto che necessiti dell’analisi della tua situazione personale, ti invito a contattarci attraverso il form di contatto di cui al link seguente. Riceverai il preventivo per una consulenza personalizzata in grado di risolvere i tuoi dubbi sull’argomento.

Soltanto in questo modo, infatti, potrai essere sicuro di evitare di commettere errori, che in futuro possono esserti contestati e quindi sanzionati.

Domande frequenti

Devo pagare le tasse in Italia se lavoro per un’azienda del Regno Unito?

Sì, se sei residente fiscale in Italia, devi dichiarare e pagare le tasse in Italia sul tuo reddito globale, compreso quello guadagnato lavorando per un’azienda del Regno Unito.

Come posso evitare la doppia tassazione?

Puoi usufruire degli accordi bilaterali tra Italia e Regno Unito che prevengono la doppia tassazione. Questo di solito comporta la deduzione delle tasse pagate in un paese da quelle dovute nell’altro.

Ho bisogno di un consulente fiscale per gestire la mia situazione?

Data la complessità delle questioni fiscali transfrontaliere, è spesso consigliabile consultare un consulente fiscale esperto per assicurarsi di rispettare tutte le normative e ottimizzare la propria situazione fiscale.

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