Come eliminare la ritenuta fiscale sui compensi percepiti da professionisti italiani da parte di committenti esteri?! Se il tuo committente è estero (in convenzione), rispettando alcuni requisiti, puoi chiedere di eliminare la ritenuta fiscale estera. Puoi fare lo stesso con la ritenuta del 30% applicata ai compensi erogati da imprese italiane a professionisti residenti all’estero.
Se sei un professionista che opera con committenti esteri, avrai sicuramente notato l’applicazione di una ritenuta fiscale ai tuoi compensi di fonte estera. Tale ritenuta ha l’obiettivo di assoggettare a tassazione nel Paese estero di erogazione il reddito del professionista residente fiscalmente in Italia. Come hai avuto modo di leggere dai miei articoli, i vari Stati hanno la possibilità di tassare i redditi nello Stato ove sono prodotti. Si parla di tassazione nello Stato della fonte del reddito.
Ad esempio, un professionista estero che effettua una prestazione professionale verso un altro professionista o un azienda italiana, è soggetto all’applicazione di una ritenuta del 30%. Allo stesso modo, se un professionista italiano emette fattura ad impresa o professionista residente all’estero, riceverà una ritenuta dell’importo previsto da ogni singolo Stato per questa fattispecie.
Trattandosi di ritenuta a titolo di imposta, l’inconveniente per il professionista italiano, è quella di vedersi corrispondere il 30% (o anche altre percentuali a seconda delle normative dei vari Stati) in meno. Lo stesso vale per i professionisti esteri che operano in Italia.
Un bel problema vero?!
Ebbene, in questo contributo intendo andare a spiegarti come, in alcuni casi, sia possibile eliminare la ritenuta a titolo di imposta. Se sei un professionista che opera che percepisce redditi esteri non perderti questo articolo.
La ritenuta fiscale sui compensi dei professionisti non residenti
Con specifico riferimento ai soggetti non residenti, l’articolo 23, comma 1, lettera d), del TUIR, prevede che si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate in Italia. Il criterio di collegamento ai fini dell’attrazione dei predetti emolumenti nella potestà impositiva dello Stato italiano è quindi costituito dalla circostanza che la prestazione lavorativa sia svolta in Italia.
I vari Stati, nell’attuare le loro politiche fiscali, hanno deciso di applicare una ritenuta fiscale sulla parte imponibile dei compensi percepiti da professionisti non residenti. Ad esempio, l’Italia con l’articolo 25 del DPR n. 600/73 ha previsto l’applicazione di una ritenuta a titolo di imposta sui compensi imponibili percepiti da soggetti non residenti (professionisti o imprese). In particolare, il comma 2 dell’articolo 25 del DPR n. 600/73 prevede quanto segue.
Art. 25, co. 2 DPR n. 600/73 |
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“Se i compensi e le altre somme di cui al comma precedente sono corrisposti a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%. Questo anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese“ |
Ne sono esclusi i compensi per prestazioni di lavoro autonomo effettuate all’estero e quelli corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. In merito al trattamento fiscale dei compensi corrisposti per attività di lavoro autonomo svolta in Italia da un soggetto poi trasferitosi all’estero, con risposta a interpello n. 512/E/2019, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che trova applicazione la ritenuta a titolo d’imposta del 30% (e non quella a titolo d’acconto del 20%) in quanto i compensi – seppur relativi a un periodo d’imposta in cui il professionista era residente nel territorio dello Stato – sono stati percepiti nel periodo d’imposta successivo in cui il professionista era fiscalmente non residente.
Ad esempio, un’impresa italiana che corrisponde un compenso ad un professionista non residente è tenuta ad applicare sul compenso erogato la ritenuta di cui al co. 2 dell’art. 25 del DPR n. 600/73. Questo, in quanto, tale reddito è di fonte italiana, ex art. 23, co. 1, lett. d) del TUIR. Su tale reddito, quindi, deve essere applicata la ritenuta, a titolo di imposta, che deve essere trattenuta dal compenso erogato e versata all’Erario per conto del professionista non residente.
Possiamo dire, quindi, in linea generale che sia i compensi di professionisti italiani che operano con committenti esteri che i compensi di professionisti esteri che operano con aziende italiane sono soggetti a ritenuta alla fonte nello Stato ove il compenso è erogato.
Particolarmente interessante, sul punto, è la risposta ad interpello n. 700/E/2021 avente ad oggetto l’attività di lavoro autonomo prodotta in Italia. Nel caso interessante è il caso di società ed enti non residenti che erogano redditi soggetti a ritenuta in Italia, le quali seppur ricomprese, sotto il profilo soggettivo, fra i soggetti che rivestono la qualifica di sostituti d’imposta in base al comma 1 dell’art. 23 del DPR n. 600/73, ne sono, in linea di principio, oggettivamente escluse in ragione della delimitazione territoriale della potestà tributaria dello Stato.
È possibile eliminare la ritenuta sui compensi dei professionisti italiani che lavorano per conto di un committente estero?
L’applicazione della ritenuta a titolo di imposta sui compensi dei professionisti è un problema importante, in quanto tale ritenuta a titolo di imposta è un onere di cui il professionista rimane inciso. Andiamo, quindi, ad analizzare in quali casi è possibile intervenire per chiedere l’esenzione dall’applicazione della ritenuta in uscita (“withholding tax“) sui compensi percepiti da professionisti che operano con committenti non residenti.
Professionisti e tassazione del compenso nello Stato della fonte
Un professionista italiano che effettua una prestazione ad un collega estero deve subire una ritenuta sul compenso corrisposto. Tale ritenuta viene operata dal committente e versata all’Erario dello Stato estero (del committente). Questa modalità di tassazione avviene in virtù dell’applicazione del principio di tassazione nel Paese della fonte del reddito. Come detto, in questo esempio, il professionista italiano si vedrà ridurre il proprio compenso di una ritenuta, che il committente verserà all’Erario del proprio Paese. Questo meccanismo avviene il virtù di un principio secondo il quale i soggetti non residenti in uno Stato sono soggetti a tassazione esclusivamente per i redditi prodotti nel territorio di quello Stato.
La tassazione nel Paese del fonte del reddito generalmente avviene attraverso l’applicazione di una ritenuta di acconto che il committente estero (impresa o professionista) applica sul compenso del professionista estero (in questo caso italiano). Tale ritenuta a titolo di imposta rappresenta la tassazione nel Paese della fonte del professionista estero.
Esclusione dall’applicazione della ritenuta
L’unico caso in cui l’applicazione della ritenuta deve essere omessa si ha quando i compensi sono corrisposti ad una stabile organizzazione (c.d. “sede fissa d’affari“) estera di un soggetto italiano. Proviamo a fare un esempio.
Immagina un professionista italiano che effettua una prestazione per un collega spagnolo. La prestazione professionale si svolge in Spagna. In questo caso, ordinariamente, il professionista italiano è soggetto all’applicazione di una ritenuta del 30% sul compenso erogato, in Spagna. Qualora, invece, lo stesso professionista apra una stabile organizzazione in Spagna (sede fissa d’affari) questi non è soggetto all’applicazione della ritenuta ai suoi compensi in quanto riscossi attraverso la sua sede in Spagna (viene meno il trasferimento transfrontaliero del compenso). Tuttavia, la presenza di una sede fissa d’affari in Spagna determina l’assoggettamento a tassazione dei compensi professionali in Spagna del professionista.
In Italia, ad esempio, le stabili organizzazioni di professionisti esteri scontano una ritenuta del 20%, a titolo di acconto, salvo poi l’obbligo per il professionista di andare a tassare nel quadro RE del modello dichiarativo, il reddito percepito in Italia, tramite la sua sede fissa, assoggettandolo ad IRPEF. Tale reddito poi, sarà assoggettato a tassazione anche nello Stato di residenza fiscale del professionista, andando ad eliminare (attenuare) la doppia imposizione del reddito con il meccanismo del credito di imposta.
Eliminare la ritenuta: convenzioni internazionali
Per eliminare la ritenuta di acconto sui compensi percepiti all’estero, e quindi far incassare l’importo lordo al professionista è necessario fare riferimento alla normativa convenzionale. Tale normativa è quella contenuta nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia con vari paesi esteri. Infatti, le norme convenzionali, se più favorevoli al contribuente, possono superare “di rango” la normativa nazionale (art. 75 del DPR n. 600/73 e art. 169 del TUIR).
Per questo motivo per verificare le possibilità di eliminare la ritenuta sui compensi esteri è verificare la presenza di una Convenzione internazionale. In buona sostanza si tratta di andare a verificare se è in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni tra lo Stato estero di erogazione del reddito e l’Italia (stato di residenza del professionista). In particolare, è necessario trovare una convenzione in linea con il modello OCSE, stipulata tra l’Italia e il Paese estero ove ha percepito il reddito.
In questo caso la ritenuta può essere omessa in quanto la Convenzione OCSE prevede che le imprese e i professionisti possano essere tassati in nel Paese ove è percepito il reddito (quindi nel Paese estero) solamente in presenza di una stabile organizzazione. Generalmente, l’erogazione di qualche servizio ad un cliente estero non comporta la sussistenza della stabile organizzazione. Questo anche se la prestazione viene erogata totalmente all’estero. Di fatto, quindi, la presenza di una convenzione internazionale in linea con il modello OCSE permette di superare la normativa interna degli Stati che prevede l’applicazione di una ritenuta in uscita sui compensi dei professionisti. Tuttavia, occorre, a questo punto, andare ad analizzare quali sono le condizioni richieste per l’esenzione dall’applicazione della ritenuta in uscita sui compensi dei professionisti.
Eliminare la ritenuta: documentazione da produrre
Una volta verificata l’esistenza della Convenzione OCSE applicabile il professionista per chiedere l’eliminazione della ritenuta è chiamato a produrre una serie di documenti. Al fine dell’ottenimento dell’esenzione dalla ritenuta in uscita sui compensi il professionista è chiamato a produrre al proprio committente una serie di documenti, che dovranno essere poi messi a disposizione dell’Agenzia fiscale dello Stato di residenza del committente (che eroga il compenso).
Quindi, nel caso di professionista italiano che ha effettuato una prestazione professionale verso un committente francese, il professionista è chiamato a produrre idonea documentazione che deve consegnare al committente francese, che a sua volta metterà a disposizione dell’Agenzia delle Entrate francese in caso di controlli. La documentazione da produrre riguarda la residenza fiscale del professionista, il suo esercizio di attività professionale ed il fatto che andrà ad assoggettare a tassazione i suoi redditi, in Italia. In pratica si tratta di una certificazione comprovante la residenza fiscale e l’esistenza delle condizioni necessarie per fruire del regime convenzionale. Regime che, appunto, elimina la ritenuta in uscita dei compensi, in assenza di una stabile organizzazione.
Sotto il profilo pratico il professionista italiano è chiamato a produrre una certificazione di residenza fiscale italiana (che deve rilasciare l’Agenzia delle Entrate), un documento che dimostri la sua attività di lavoro autonomo in Italia (documento di apertura della partita IVA o simili) ed eventuale altra documentazione prevista dallo Stato estero di residenza del suo committente. |
L’eliminazione della ritenuta in uscita sui compensi di professionisti esteri che devono essere pagati da committente italiano
Proviamo ad andare ad analizzare, adesso, il caso opposto ovvero quello in cui un professionista non residente abbia effettuato una prestazione professionale in Italia (per conto di committente residente) senza presenza di sede fissa d’affari in Italia. Ipotizziamo che il professionista sia residente in uno Stato in convenzione con l’Italia e che la stessa ricalchi il modello OCSE. In questo caso, quindi, il professionista non residente, consegnando la certificazione di residenza fiscale rilasciata dall’autorità fiscale del suo stato può chiedere al committente italiano di non applicare la ritenuta sui compensi in uscita (prevista dall’art. 25 del DPR n. 600/73) in virtù della richiesta di applicazione della normativa convenzionale (prevalente sulla norma interna se più favorevole al contribuente, come in questo caso).
Il committente italiano, in questi casi, è chiamato ad una valutazione importante, in quanto è sua responsabilità se decidere di accordare l’applicazione della disposizione convenzionale (o meno). In caso positivo il committente, pagatore italiano, tuttavia, dopo essersi preoccupato di acquisire dal professionista estero idonea documentazione è chiamato ad indicare tali compensi nel modello 770 semplificato. Il quadro di riferimento è quello relativo alle comunicazioni dei dati relativi al lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi. In particolare, le istruzioni alla casella 23 precisano che se il percipiente del reddito è un soggetto non residente, il sostituto d’imposta italiano è chiamato indicare le somme non assoggettate a ritenuta. Questo in quanto ha applicato direttamente il regime previsto nelle convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni sui redditi.
In tal caso, il sostituto d’imposta italiano è chiamato a conservare ed esibire o trasmettere, a richiesta dell’Agenzia delle Entrate, il certificato di residenza fiscale rilasciato dal competente ufficio fiscale estero. Certificato attestante la residenza del percipiente, nonché la documentazione comprovante l’esistenza delle condizioni necessarie per fruire del regime convenzionale. Nel caso in cui esista un modello convenzionale quest’ultimo debitamente compilato sostituisce la predetta documentazione.
Modello domanda per rimborso o esonero da imposta italiana
Con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate 7.7.2013 prot. n. 2013/84404 sono stati approvati i modelli di domanda per il rimborso o l’esonero dall’imposta italiana applicata sui redditi tra cui dividendi, interessi e canoni, corrisposti a soggetti non residenti. Si tratta dei modelli con i quali i soggetti possono chiedere l’applicazione dell’esonero dall’applicazione della ritenuta per i pagamenti italiani in uscita. Si tratta di quattro modelli (A, B, C e D) utilizzati rispettivamente nel caso di redditi relativi a:
- Dividendi,
- Interessi,
- Canoni e
- Altre tipologie di reddito (categoria che interessa a questi fini per i redditi da lavoro autonomo).
Tutti per compensi erogati a soggetti non residenti in Italia e che posseggono i requisiti previsti dalla specifica Convenzione della quale gli stessi chiedono l’applicazione.
Di seguito puoi trovare il link al modello di domanda per rimborso o esonero dall’applicazione dell’imposta italiana su redditi transfrontalieri.
Il consiglio che posso darti è quello di prestare la dovuta attenzione alla compilazione del modulo in quanto dalla sua compilazione dipende l’applicazione dell’esenzione o del rimborso della ritenuta sui compensi transfrontalieri in virtù dell’applicazione di Convenzioni contro le doppie imposizioni. E’ utile ricordare, inoltre, che la possibilità di ottenere l’esonero dall’applicazione della ritenuta alla fonte italiana da parte del committente residente è una facoltà e non un obbligo in capo a quest’ultimo soggetto. Infatti, qualora il committente residente decida di accogliere la domanda di applicazione dell’esenzione (o dell’applicazione della ritenuta in misura ridotta) in virtù della Convenzione in vigore con l’Italia, sarà lo stesso committente ad assumersi la responsabilità di non aver applicato (o di aver applicato in misura ridotta) la ritenuta. In caso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, infatti, verrà chiesta la presenza della documentazione al committente (ovvero i documento a lui consegnati dal professionista non residente) e qualora tale documentazione dovesse risultare carente o non completa, e venisse riscontrato, invece, l’obbligo di applicazione della ritenuta in uscita le sanzioni sarebbero a carico del committente italiano. Per questo motivo la valutazione del committente deve essere accurata per evitare eventuali possibili problematiche in caso di accertamento.
Posizione di prassi sull’argomento
Risposta a interpello n. 285/E/2022: base fissa e stabile organizzazione non equiprarate
La posizione tenuta dall’Agenzia delle Entrate in questo documento è sicuramente peculiare e da tenere in considerazione in quanto separa il concetto di stabile organizzazione da quello di base fissa. Il punto di partenza è quello di un contribuente, consulente olandese titolare di un contratto con un Ministero italiano, il quale può avvalersi, in relazione all’incarico conferitogli, delle strutture logistiche ubicate presso gli uffici del Ministero stesso in Italia.
Come precedentemente affermato in questo contributo la normativa interna (art. 23 comma 1 lett. d) del TUIR), si tratta di una prestazione imponibile fiscalmente in Italia (in quanto la prestazione viene svolta in Italia). Il nodo della questione riguarda la normativa convenzionale. In particolare, l’art. 14, par. 1 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Olanda, prevede che i redditi da lavoro autonomo siano tassati esclusivamente nello Stato di residenza fiscale del lavoratore (Olanda), a meno che questi disponga abitualmente, nell’altro Stato di una base fissa per l’esercizio della sua attività. In questo caso, il reddito è imponibile anche nello Stato in cui è situata la base fissa (nel caso l’Italia). Il nodo, a questo punto, è individuare se tale professionista è dotato di base fissa in Italia. L’Agenzia prende a riferimento il Commentario all’art. 5, par. 2 del modello OCSE, il quale assimila la base fissa al concetto di stabile organizzazione (abrogando l’art. 14), tuttavia, non entra nel merito della presenza (o meno) della base fissa nella situazione prospettata (in quanto aspetto non oggetto di interpello).
L’aspetto da tenere in considerazione in questo documento riguarda il fatto che secondo l’Agenzia ove fosse riscontrata la presenza di una base fissa d’affari in Italia, il committente nazionale sarebbe tenuto all’applicazione della ritenuta a titolo di imposta del 30% (prevista dall’art. 25, co. 2 del DPR n. 600/73). Deve essere considerato, tuttavia, che tale disposizione escluda dall’applicazione di questa ritenuta i compensi corrisposti a stabili organizzazioni italiane di soggetti non residenti. L’Agenzia, quindi, non equipara la stabile organizzazione alla base fissa in Italia del professionista non residente. Tale risposta, quindi, non appare in linea con un precedente orientamento, di cui alla Risoluzione n. 154/E/2009 la quale equiparava i lavoratori autonomi non residenti con una base fissa in Italia ai lavoratori autonomi residenti. In pratica, il lavoratore autonomo estero con base fissa in Italia richiedeva l’applicazione dell’ordinaria ritenuta a titolo d’acconto (del 20% prevista dall’art. 25 co. 1 del DPR n. 600/73) anche sui compensi riconosciuti ai primi per il tramite della loro propaggine italiana. Questa posizione era stata ribadita nella successiva risposta a interpello n. 429/E/2019, riferita a un medico con residenza in Svizzera e studio (quindi, base fissa) in Milano. In questo documento era stata improntata l’equiparazione tra i concetti di “stabile organizzazione” e “base fissa” anche ai fini dell’art. 25 comma 2 del DPR n. 600/73, si evidenziava ancora l’obbligo di operare non la ritenuta a titolo d’imposta del 30%, quanto quella d’acconto del 20%.
Eliminazione della ritenuta su compensi esteri: consulenza fiscale
Se sei un professionista che ha spesso rapporti lavorativi con committenti esteri, non privati consumatori? Vuoi sapere se nel tuo caso puoi chiedere l’eliminazione della ritenuta? Contattami! Insieme possiamo verificare la presenza di convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra l’Italia e lo Stato estero del tuo committente. Potremo analizzare quanto previsto dalla convenzione per la tua categoria di reddito e potremo capire quali possibilità di vi sono per chiedere, eventualmente, l’esenzione dall’applicazione della ritenuta in uscita sui tuoi compensi. Si tratta di un aspetto che, come hai potuto capire, non è di scarsa importanza, in quanto la ritenuta in uscita non può essere portata a credito dalle imposte italiane dovute sul tuo reddito professionale che, nel caso, rimarrà soggetto a doppia imposizione. Per questo motivo è importante analizzare preventivamente la situazione ed individuare se vi sono soluzioni da attuare per chiedere l’annullamento della ritenuta sui tuoi compensi di fonte estera da lavoro autonomo.