I compensi per attività di lavoro autonomo professionale percepiti dopo la chiusura della partita IVA, in un periodo di imposta in cui il professionista non risulta più fiscalmente residente in Italia devono essere dichiarati in Italia. I compensi arretrati chiedono la riapertura della partita IVA in Italia per il lavoratore espatriato.
Questa la conclusione a cui è arrivata l’Agenzia delle Entrate con la risposta ad interpello n. 218/E/2022, in relazione alla normativa in vigore sull’argomento. In particolare, l’Agenzia delle Entrate indica che un’attività di lavoro autonomo a carattere professionale si considera cessata solo quando si chiudono i rapporti professionali (crediti e debiti) fatturando tutte le prestazioni svolte (anche ancora non incassate) e dismettendo i beni strumentali.
L’eventuale cessazione dell’attività in un momento precedente, determina la necessità di riaprire la propria posizione fiscale in Italia per fatturare le prestazioni ancora in essere, e presentare la relativa dichiarazione dei redditi. Di seguito il commento al documento di prassi dell’Agenzia delle Entrate.
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L’attività professionale cessa con la conclusione di tutte le operazioni attive e passive
Nel caso in oggetto, l’avvocato che si è trasferito all’estero ed ha chiuso la propria partita IVA prima che fossero concluse tutte le attività ad essa connesse. Per poter regolare la propria posizione fiscale in Italia questi, secondo l’Amministrazione finanziaria, è tenuto a procedere alla richiesta di riattivazione della propria posizione fiscale e, al momento dell’effettivo incasso dei singoli crediti, deve rendicontarli tramite l’emissione di una fattura per prestazione di lavoro autonomo e dichiararli come reddito professionale, utilizzando il modello dichiarativo dell’anno di competenza.
In linea generale, la cessazione dell’attività professionale, con conseguente cessazione della partita IVA, non può prescindere dalla conclusione di tutti gli adempimenti conseguenti alle operazioni attive e passive effettuate. Da questa considerazione ne deriva che il professionista, deve essere dotato di partita IVA al fine di garantire la definizione dei rapporti ancora pendenti anche successivamente alla cessazione dell’attività. Infatti, secondo quanto disposto dal terzo e quarto comma dell’art. 35 del DPR n. 633/72, in caso di cessazione dell’attività il contribuente deve farne dichiarazione all’Ufficio entro 30 giorni e tale termine decorre dalla data di ultimazione delle operazioni relative alla liquidazione, fermo restando le disposizioni relative al versamento dell’imposta, alla fatturazione, registrazione, liquidazione e dichiarazione.
Importante: |
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Il professionista che non svolge più l’attività professionale non può cessare la partita IVA in presenza di corrispettivi per prestazioni rese in tale ambito ancora da fatturare ai propri clienti. Vedasi la Circolare n. 11/E/2017, secondo cui: “l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, e, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale. |
Le operazioni effettuate e non ancora incassate: i compensi arretrati
Secondo la Risoluzione n. 232/E/2009 fino al momento in cui il professionista non va ad anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, l’attività professionale non può ritenersi cessata. Quindi, se il professionista non anticipa la fatturazione il professionista, anche se trasferito all’estero deve essere dotato di partita IVA al fine di garantire la definizione dei rapporti ancora pendenti successivamente alla cessazione dell’attività.
Pertanto, prosegue l’Amministrazione finanziaria, rispetto ai crediti maturati nelle annualità in cui il lavoratore era ancora fiscalmente residente in Italia (e svolgeva, in modo abituale, la propria attività professionale ovvero di lavoro autonomo) ma incassati dopo il suo espatrio e la chiusura della partita IVA, è necessario, alternativamente:
- Imputare i compensi che non abbiano ancora avuto manifestazione finanziaria al momento della chiusura della posizione IVA ai redditi relativi all’ultimo anno di attività professionale, oppure;
- Mantenere la posizione IVA individuale fino all’ultimazione di tutte le operazioni fiscalmente rilevanti, permettendo così l’emissione della fattura e la dichiarazione dei redditi nell’anno di imposta in cui si realizza l’incasso del credito.
Pertanto, qualora il professionista abbia chiuso, impropriamente, la propria partita IVA prima che fossero concluse tutte le attività ad essa connesse, dovrà procedere alla richiesta di riattivazione della propria posizione fiscale e, al momento dell’effettivo incasso dei singoli crediti, dovrà rendicontarli tramite emissione di una fattura per prestazione di lavoro autonomo e dichiararli come reddito professionale, utilizzando il modello Redditi Persone fisiche dell’anno di competenza.
Compensi arretrati del professionista che ha chiuso partita IVA come redditi diversi
In un precedente chiarimento, ovvero, la risposta all’interpello n. 299 del 2 settembre 2020, l’Agenzia ha sostenuto che i compensi percepiti dopo la chiusura della partita IVA rientrano nella categoria dei redditi diversi. Il professionista, quindi, è tenuto a compilare il quadro RL del modello Redditi, ai fini della corretta tassazione delle somme erogate in ritardo.
Nel caso in oggetto, invece, ove il professionista si è trasferito all’estero, l’Agenzia afferma la tesi di dover riaprire partita IVA per far dichiarare i compensi in Italia.
Conclusioni sui compensi arretrati del professionista
Possiamo riassumere, quindi, che la cessazione dell’attività del professionista non coincide con il momento in cui questi termina, di fatto, l’esercizio della professione intellettuale, cessando le sue prestazioni verso i clienti. L’attività, di fatto, termina nel momento in cui si chiudono i rapporti professionali (crediti e debiti) fatturando tutte le prestazioni svolte (anche ancora non incassate) e dismettendo i beni strumentali. Appare evidente, quindi, che il professionista non ha la possibilità di effettuare la chiusura della partita IVA, necessaria per la definizione dei rapporti che restano pendenti successivamente alla cessazione dell’attività, pena la necessità di riaprire la propria posizione in Italia.
Inoltre, deve essere considerato il fatto (non analizzato dall’Agenzia) degli aspetti legati alla doppia imposizione che si verrà a creare sul reddito del professionista che, a quel punto, si troverà nella situazione di doverlo dichiarare anche nello Stato estero di attuale residenza fiscale (con problematiche legate anche alla corretta modalità di indicazione del reddito professionale estero). In questo caso potrà venire in auto l’eventuale Convenzione contro le doppie imposizioni in essere con l’Italia (ove esistente), con probabile applicazione di un credito per imposte estere (al fine di attenuare la doppia imposizione).