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Vendere online senza partita Iva: è possibile?

Fisco NazionaleProfessioniVendere online senza partita Iva: è possibile?

Vendere online senza partita Iva è possibile soltanto in certi casi, ovvero soltanto se la tua attività è svolta occasionalmente.

Con la crescita dell’e-commerce e delle piattaforme digitali, molte persone vogliono vendere prodotti o servizi online senza aprire una partita Iva. Tuttavia, la normativa distingue tra:

  • Attività occasionale: Se le vendite sono sporadiche e non organizzate come un vero business, è sufficiente rilasciare una ricevuta con ritenuta d’acconto e dichiarare i guadagni nel quadro RL della dichiarazione dei redditi. Ne sono esempi:
    • Vendere oggetti usati occasionalmente su eBay, Etsy o Vinted;
    • Realizzare e vendere un solo quadro o un mobile fatto a mano;
    • Svuotare la cantina e vendere articoli di seconda mano;
  • Attività abituale e continuativa (con partita Iva obbligatoria): Se le vendite sono ricorrenti, organizzate e finalizzate al profitto, si è considerati imprenditori. Ne sono esempi:
    • Apri un negozio online su Etsy, Amazon o Shopify e vendi regolarmente;
    • Acquisti prodotti per rivenderli con profitto;
    • Vendi servizi digitali in modo continuativo (es. corsi, consulenze, grafiche).

Quando si può vendere online senza partita Iva

Vendere online senza posizione Iva è possibile solo in determinate condizioni, stabilite dalla normativa fiscale. Il principio fondamentale che permette di operare senza obblighi imprenditoriali è l’occasionalità dell’attività. Questo concetto è essenziale per distinguere le vendite saltuarie da quelle che richiedono l’apertura di una posizione fiscale specifica. Ad esempio, l’apertura di un temporary store è attività non abituale.

Requisiti da rispettare

L’attività di vendita online è occasionale solo se svolta in maniera episodica e non organizzata. La legge non definisce in modo rigido la soglia oltre la quale un’attività viene considerata abituale, ma esistono alcuni parametri chiave da considerare.

Innanzitutto, la vendita deve essere non continuativa e priva di una struttura imprenditoriale, come un negozio online o una strategia di marketing strutturata. Non deve esserci una ripetitività delle operazioni commerciali né una strategia finalizzata alla crescita del business. L’assenza di investimenti pubblicitari o strumenti professionali per la gestione delle vendite è un ulteriore elemento a favore della qualificazione come attività occasionale.

Un altro aspetto fondamentale è che la vendita non deve rappresentare la principale fonte di reddito della persona che la esercita. Se il guadagno derivante dalla vendita online è accessorio e limitato, l’attività rientra nel concetto di occasionalità. Inoltre, la vendita deve riguardare beni di proprietà personale o di seconda mano, senza un’attività sistematica di acquisto per la successiva rivendita.

Il concetto di occasionalità

L’occasionalità viene determinata dalla normativa fiscale attraverso alcuni criteri oggettivi. Il riferimento principale è contenuto nell’articolo 67 del DPR n. 917/86 (TUIR), che disciplina i “redditi diversi” e stabilisce che le attività non abituali rientrano tra le prestazioni di carattere sporadico.

Non esiste un limite di incassi preciso oltre il quale scatta l’obbligo di apertura della partita Iva, ma un’attività che genera redditi costanti, superiori a poche migliaia di euro annui, o prevede un elevato numero di transazioni, difficilmente può essere considerata occasionale. L’Agenzia delle Entrate valuta caso per caso, basandosi su frequenza, organizzazione, promozione e modalità operative. Gli obblighi DAC7 impongono ai marketplace che intermediano l’e-commerce a comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati dei venditori (anche privati) che hanno venduto almeno 30 prodotti e che hanno guadagnato più di due mila euro (in un anno solare). Questo parametro è, sicuramente, rilevante per identificare il concetto di occasionalità.

Tuttavia, se un soggetto effettua vendite in maniera sistematica, anche senza una struttura aziendale complessa, può comunque essere considerato un imprenditore ai fini fiscali. Ad esempio, chi utilizza marketplace come Etsy, Amazon o Shopify con inserzioni regolari, una vetrina personalizzata e un sistema di gestione degli ordini automatizzato rientra in un’attività continuativa.

Esempi pratici di vendite occasionali

Per comprendere il concetto di occasionalità, è utile analizzare alcuni casi concreti. Se una persona decide di svuotare la cantina e vendere oggetti usati su piattaforme come Subito.it, eBay o Vinted, si tratta di una cessione di beni personali senza scopo di lucro continuativo.

Se un hobbista realizza pochi oggetti artigianali e li vende occasionalmente a conoscenti o tramite piccoli annunci online, è occasionale purché la vendita non diventi un’attività sistematica. Anche chi decide di vendere un vecchio cellulare, un libro o un capo di abbigliamento che non utilizza più può farlo senza obblighi fiscali particolari, poiché non vi è alcuna organizzazione commerciale dietro l’operazione.

D’altra parte, se una persona acquista beni nuovi per rivenderli con un margine di guadagno, anche se lo fa sporadicamente, è considerata un’attività commerciale e richiede l’apertura della partita Iva. Lo stesso vale per chi produce e vende oggetti artigianali su larga scala, con un catalogo prodotti, una strategia di marketing e una presenza costante sulle piattaforme di e-commerce.

Vendita occasionale con ricevuta

Quando un soggetto vende beni online in modo occasionale, può documentare la transazione tramite una ricevuta per prestazione occasionale. Questo strumento serve a giustificare il reddito percepito e a fornire una prova fiscale della vendita.

La ricevuta deve contenere i seguenti elementi obbligatori:

  • Dati del venditore (nome, cognome, codice fiscale, indirizzo);
  • Dati dell’acquirente (se richiesta, non sempre obbligatoria per transazioni tra privati);
  • Descrizione dell’oggetto venduto con specifica del prezzo;
  • Data della transazione e importo totale ricevuto;
  • Dicitura di vendita occasionale e non soggetta a IVA, ai sensi dell’articolo 67 del TUIR.

Se la vendita viene effettuata a un’azienda o a un soggetto con partita Iva, è necessario applicare una ritenuta d’acconto del 20%, che l’acquirente verserà all’Agenzia delle Entrate. Questo vale solo per prestazioni di servizio occasionali, non per la cessione di beni tra privati.

Dichiarazione dei redditi (Quadro RL – Redditi Diversi)

Chi vende beni online in modo occasionale deve inserire i guadagni ottenuti nella dichiarazione dei redditi, compilando il Quadro RL – Redditi Diversi del Modello Redditi PF o del Modello 730.

Nel Quadro RL, i ricavi vanno dichiarati sotto la voce “Altri redditi”, indicando l’importo lordo percepito. Questo tipo di reddito non è soggetto a IVA e viene tassato in base agli scaglioni IRPEF del contribuente.

Se le vendite sono limitate e rappresentano un’entrata marginale, il loro impatto fiscale sarà minimo. Tuttavia, in caso di controlli, l’Agenzia delle Entrate potrebbe richiedere di dimostrare l’occasionalità delle operazioni e la loro natura non imprenditoriale.

Eventuali contributi previdenziali

Il pagamento dei contributi previdenziali non è richiesto per la vendita occasionale di beni, salvo nei casi in cui il reddito generato superi i 5.000 euro annui.

Se questa soglia viene superata, il venditore deve versare contributi alla Gestione Separata INPS, applicando l’aliquota prevista per il lavoro autonomo occasionale. Questo obbligo scatta solo per la vendita di beni prodotti autonomamente o per prestazioni di servizio, e non per la cessione di oggetti personali.

Quando è obbligatoria la partita Iva

L’apertura della partita Iva diventa obbligatoria quando l’attività di vendita online assume caratteristiche di abitualità e continuità. La normativa fiscale italiana non stabilisce una soglia precisa di transazioni oltre la quale si è tenuti ad aprire la partita Iva, ma fornisce alcuni criteri oggettivi che permettono di distinguere un’attività occasionale da una commerciale. L’Agenzia delle Entrate considera una serie di fattori per determinare se un venditore online sta svolgendo un’attività imprenditoriale e, di conseguenza, è obbligato a registrarsi ai fini fiscali.

Definizione di attività abituale e continuativa

L’attività è considerata abituale quando viene svolta in modo ricorrente e sistematico, con l’obiettivo di generare un profitto nel tempo. La continuità non implica necessariamente una vendita giornaliera, ma piuttosto un’organizzazione che consente di operare con regolarità.

Non è sufficiente che le vendite siano saltuarie per poter evitare l’apertura di una posizione fiscale. Se il venditore predispone un sistema per gestire gli ordini, ricevere pagamenti e promuovere i propri prodotti in modo strutturato, anche se le vendite non sono frequenti, l’attività può comunque essere considerata professionale. Un altro elemento distintivo è la ripetitività: se lo stesso tipo di bene viene venduto più volte nel tempo, si presume che ci sia un’attività commerciale, soprattutto se il venditore acquista prodotti con l’intento di rivenderli.

Un altro aspetto importante è la modalità con cui vengono svolte le vendite. Se il venditore utilizza una piattaforma e-commerce come Amazon, Shopify o Etsy, creando un negozio digitale con un catalogo e una gestione attiva delle inserzioni, l’attività è considerata abituale, anche in assenza di un volume di vendite elevato.

L’organizzazione imprenditoriale è un altro parametro fondamentale. Se il venditore gestisce un sito web, un profilo social dedicato, una piattaforma di e-commerce con descrizioni dettagliate dei prodotti e sistemi di pagamento integrati, è difficile sostenere che l’attività sia occasionale. Anche l’utilizzo di strumenti per la gestione degli ordini, la presenza di fornitori e un magazzino per lo stoccaggio dei prodotti sono segnali di un’attività strutturata.

Infine, l’uso della pubblicità e del marketing è un chiaro indicatore di attività commerciale. Se il venditore investe in campagne pubblicitarie su Facebook, Instagram o Google per promuovere i suoi prodotti, sta dimostrando di voler operare professionalmente nel mercato. La stessa logica si applica a chi utilizza strumenti di email marketing o strategie di fidelizzazione dei clienti, perché evidenziano una volontà di consolidare il business e generare vendite continuative.

Esempi di attività abituali

Per comprendere meglio quali attività richiedano una posizione fiscale, è utile analizzare alcuni casi concreti.

Un soggetto che acquista prodotti con lo scopo di rivenderli è obbligato a registrarsi fiscalmente. Anche se l’attività viene svolta a piccoli volumi, il solo fatto di acquistare con finalità di rivendita implica un’organizzazione commerciale e rientra nel regime di impresa.

Un altro esempio è quello di una persona che gestisce un negozio su Amazon, eBay, Etsy o Shopify, con una vetrina dedicata e un catalogo aggiornato. Indipendentemente dal numero di vendite, l’uso di una piattaforma e-commerce strutturata e la possibilità di ricevere ordini costantemente indicano un’attività professionale.

Un artigiano che realizza prodotti fatti a mano e li vende regolarmente online deve aprire la partita Iva se l’attività diventa abituale. Se l’artigiano partecipa a fiere, utilizza il proprio sito web per vendere e promuove i prodotti tramite social media, la vendita non può essere considerata occasionale.

Anche chi offre servizi digitali o infoprodotti (corsi online, consulenze, e-book) in modo continuativo è tenuto a registrarsi ai fini fiscali. Se un professionista vende periodicamente corsi o contenuti digitali su piattaforme come Udemy o tramite il proprio sito, sta svolgendo un’attività commerciale.

Infine, un caso emblematico riguarda gli influencer e i content creator che vendono prodotti online. Se un creator utilizza il proprio profilo per promuovere articoli e gestisce collaborazioni con aziende per monetizzare le vendite, rientra a tutti gli effetti nel regime imprenditoriale e deve dichiarare i propri guadagni.

La comunicazione dei dati dei venditori da parte delle piattaforme digitali

gestori di piattaforme digitali fiscalmente residenti in Italia (ma anche alcuni gestori residenti extra-UE) hanno l’obbligo di comunicare i dati relativi alle vendite di beni e sulle prestazioni di servizi effettuate dagli utenti attraverso le proprie piattaforme.

Questi dati confluiscono in una banca dati a disposizione dell’Agenzia delle Entrate, che potrà utilizzare ai fini di accertamento. A questo punto, l’Amministrazione finanziaria andrà a scambiare queste informazioni con le autorità degli altri paesi UE. Il criterio di condivisione di questi dati è la residenza fiscale del venditore. In questo modo, ad esempio, qualora un operatore persona fisica residente in Italia, concluda una vendita di beni sul web grazie ad un marketplace residente in Irlanda, l’Amministrazione finanziaria Irlandese riceverà l’informazione dal gestore del portale, per poi scambiarla con le autorità italiane. In questo modo le amministrazioni avranno a disposizione maggiori dati per andare ad accertare situazioni di frode legate ad operazioni elettroniche effettuate con portali non residenti.

L’obbligo di comunicazione dei dati riguarda i gestori di piattaforme digitali (o “app“) residenti ai fini fiscali, costituiti o gestiti in Italia, oppure dotati di una stabile organizzazione in Italia.

Condizione minima di esonero
Restano esclusi dagli obblighi di comunicazione dei dati i piccoli operatori. Si tratta dei venditori per i quali il gestore di piattaforma abbia intermediato meno di 30 attività e l’importo totale del corrispettivo versato o accreditato non sia superiore a 2.000 euro nel corso dell’anno.

Quali sono le conseguenze per i venditori?

L’introduzione del DAC7 rende più difficile nascondere i guadagni derivanti dalla vendita sul web. Chi vende in modo continuativo deve assicurarsi di essere in regola con la normativa fiscale, per evitare sanzioni e accertamenti da parte del Fisco.

Se un venditore supera le soglie di segnalazione e non ha aperto la posizione Iva, l’Agenzia delle Entrate potrebbe considerare le vendite come un’attività imprenditoriale e contestare la mancata registrazione fiscale, con il rischio di multe e recupero delle imposte non versate.

Gli adempimenti amministrativi per le vendite online

Vediamo, in sintesi i principali adempimenti amministrativi legati all’avvio di un’attività di E-commerce (anche attraverso piattaforme e marketplace):

  1. Apertura della partita Iva – È necessario presentare all’Agenzia delle Entrate lo specifico modello AA7/11 nel quale dovranno essere compilati specifici campi riguardanti il codice di attività da utilizzare (codice ATECO 47.91.10 – “Commercio al dettaglio di qualsiasi prodotto effettuato via internet“) e l’eventuale adesione al regime forfettario;
  2. Compilazione della SCIA – Si tratta della comunicazione di inizio attività da inviare allo sportello unico per le attività produttive del comune (c.d. “SUAP“) dove ha sede l’attività. Per gli e-commerce il comune di riferimento è quello ove è posta la tua residenza anagrafica, non essendoci un luogo fisico di esercizio;
  3. Iscrizione al Registro delle Imprese – Essendo la vendita di beni un’attività commerciale è necessario comunicare l’inizio della vostra attività al Registro delle Imprese. Il registro è tenuto presso la Camera di commercio di competenza. Camera di commercio che vi rilascerà un numero di iscrizione. L’iscrizione al Registro delle imprese ha un costo che si aggira attorno alle €. 100,00;
  4. Iscrizione all’Inps nella sezione gestione commercianti – L’Inps richiede l’iscrizione obbligatoria alla gestione commercianti. Tale gestione prevede il pagamento di quattro rate annuali di contributi fissi di circa €. 900 ciascuna, se non si superano i €. 15.000 di reddito annuo. Tali contributi sono dovuti obbligatoriamente a prescindere dal reddito percepito dall’attività.

Gli adempimenti come l’iscrizione al Registro delle Imprese, e l’iscrizione all’Inps devono essere compiuti in maniera unica attraverso la c.d. Comunicazione Unica.

Rischio di sanzioni per mancata partita Iva

Se l’Agenzia delle Entrate accerta che un soggetto ha venduto online in modo continuativo senza partita IVA, può emettere sanzioni e recuperi fiscali per le imposte non pagate. Si tratta delle seguenti:

  • Omessa (infedele) dichiarazione dei redditi: se il venditore non ha dichiarato i guadagni ottenuti online non presentando la dichiarazione dei redditi, è soggetto a una sanzione amministrativa del 120%, mentre se la dichiarazione è stata presentata (in modo infedele) la sanzione è del 70%;
  • Evasione dell’Iva: se il Fisco considera l’attività commerciale, il venditore deve versare l’IVA non pagata sulle vendite, con una sanzione del 90% dell’imposta dovuta;
  • Esercizio abusivo di attività commerciale: in alcuni casi si può configurare un’attività economica non autorizzata, con multe che possono arrivare fino a 10.000 euro.

In alcuni casi, l’Agenzia delle Entrate può richiedere il pagamento delle imposte arretrate fino a 6 anni precedenti, aggravando il debito fiscale.

Conclusioni e consulenza fiscale online

Consulenza fiscale online|Fiscomania.com

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