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Lavoro da remoto per committente estero: tassazione

Fiscalità InternazionaleTassazione di redditi esteriLavoro da remoto per committente estero: tassazione

Criteri di collegamento per la tassazione dei redditi da lavoro di fonte estera percepiti dal lavoratore che opera in smart working dall'Italia (lavoro da remoto). I principali chiarimenti di prassi e la possibilità di ricevere una consulenza fiscale sull'argomento.

Come devono essere gestite le prestazioni di lavoro svolte da casa per conto di un committente estero? La risposta a questa domanda dipende essenzialmente dal criterio di collegamento applicabile a queste prestazioni. Oggi è, infatti, tecnicamente possibile effettuare molte prestazioni in modo sostanzialmente delocalizzato. Per cui vi sono molte situazioni in cui la “sede di lavoro”:

  • È situata in uno Stato (o tranquillamente in un continente) diverso da quello del committente, o
  • È tout court rappresentata dalla casa di abitazione della persona che risiede in un Paese diverso da quello del committente.

La mobilità transnazionale del lavoro negli ultimi anni si è notevolmente evoluta. Situazioni ove un lavoratore concorda la possibilità di lavorare in altro Stato rispetto a quello di residenza del datore di lavoro sono sempre più presenti. Tuttavia, in questi casi occorre valutare bene i criteri di collegamento previsti per la tassazione dei redditi da lavoro (dipendente o autonomo), secondo la normativa fiscale nazionale e convenzionale. Infatti, vi sono delle importanti differenze per la tassazione del reddito sono o meno identici per il lavoro dipendente e per il lavoro autonomo. Andiamo ad analizzare, quindi, i diversi risvolti fiscali legati alla tassazione del lavoro da casa in caso di presenza di committente estero.

Come viene trattato il “lavoro da remoto” nelle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni?

Nel contesto delle Convenzioni contro le doppie imposizioni conformi al modello OCSE, sia per i redditi di lavoro dipendente che per quelli di lavoro autonomo la regola base è quella per cui:

Tralasciando i casi particolari (es. piloti e assistenti di volo, insegnanti e ricercatori, artisti e sportivi, ecc.), il carattere di stabilità si presume:

  • Per i lavoratori dipendenti (privati), in virtù dalla presenza fisica della persona in loco per almeno 183 giorni;
  • Per i lavoratori autonomi, in virtù della presenza di una stabile organizzazione o base fissa.

Il mondo del lavoro pubblico risponde invece a criteri del tutto differenti. Infatti, essendo di regola lo Stato che paga gli stipendi al lavoratore ad avere il potere esclusivo di tassare gli stessi. Potere che, quindi, è sottratto allo Stato di residenza del lavoratore. Questa regola è molto importante. Rappresenta, infatti, la principale deroga al criterio generale di tassazione sopra indicato.

Lavoro da remoto per azienda estera: criteri di collegamento del reddito

Per quanto riguarda il lavoro autonomo svolto da casa, questo è disciplinato dai paragrafi 18 e 19 del Commentario all’articolo 5 del modello OCSE. La norma afferma che la qualifica di stabile organizzazione della casa di abitazione adibita, anche solo in parte, ad ufficio deve essere valutata caso per caso. Questo avendo riguardo ai fatti e alle circostanze di ciascuna specifica situazione. Proviamo a fare un esempio pratico.

Ipotizza una consulente che risiede in uno Stato estero per un periodo di tempo sufficientemente continuativo e che esercita la sua attività dalla casa di abitazione che ha in questo Stato. Il lavoro viene svolto per conto di un datore di lavoro residente in altro Stato. In questo caso la casa di abitazione (che, in base ai principi generali, può anche non essere di proprietà) rappresenta la base fissa della consulente.

Questi criteri devono essere coordinati con le disposizioni interne. Queste prevedono che:

  • Il residente italiano sia tassato in Italia anche per le prestazioni svolte all’estero (articolo 3, comma 1 del TUIR) e
  • Il non residente sia tassato in Italia se la prestazione (sia di lavoro dipendente che di lavoro autonomo) è resa in Italia (articolo 23, comma 1 lettere c) e d) del TUIR).

Criteri di collegamento del lavoratore da remoto in Italia per conto di datore di lavoro estero

Vediamo, quindi, come queste regole possono diramarsi nei vari casi concreti che possono presentarsi. Trasponendo queste indicazioni in casi concreti, per le prestazioni rese “da remoto” in Italia a favore di committenti esteri:

  • Se la persona è residente in Italia, la prestazione è tassata in Italia (sia per il lavoro dipendente che per il lavoro autonomo). Mentre non esiste tassazione nell’altro Stato. Questo, a norma degli articoli 7 e 15 del modello OCSE. Non si ha doppia imposizione del reddito, ma tassazione esclusiva nello Stato di residenza (e di svolgimento dell’attività, che coincide):
  • Se la persona è un non residente, la prestazione è tassata:
    • In entrambi gli Stati se di lavoro autonomo (in Italia esisterebbe, come detto, una base fissa, rappresentata dalla casa di abitazione), quindi si avrebbe tassazione concorrente anche nello Stato di residenza fiscale;
    • Per le prestazioni di lavoro dipendente la tassazione in entrambi gli Stati è tale solo se la presenza della persona in Italia eccede i 183 giorni. Infatti, per il lavoro dipendente prestato per un periodo non superiore a 183 giorni, quindi, solo lo Stato estero ha il potere di assoggettare a tassazione il reddito. Si tratta della deroga prevista dal paragrafo 2 dell’articolo 15 del modello OCSE.

Tassazione in caso di lavoro da casa in Italia a favore di committente estero

Quando un soggetto decide di operare dall’Italia nei confronti di un datore di lavoro non residente la prestazione lavorativa è sicuramente soggetta a tassazione in Italia se il soggetto è fiscalmente residente in Italia. In questo caso occorre tenere in considerazione i due scenari di lavoro dipendente e di lavoro autonomo.

Lavoro dipendente per conto di committente estero

Come detto, se il soggetto decide di operare con un contratto di lavoro dipendente la prestazione lavorativa si rende tassabile, ordinariamente, nello Stato di residenza fiscale del lavoratore (Italia). Si tratta di regime di tassazione esclusiva dato dall’applicazione dell’art. 15 del TUIR, il quale prevede unica tassazione se lo Stato di residenza del lavoratore e di svolgimento dell’attività coincidono. Tuttavia, lo Stato di ubicazione del datore di lavoro potrebbe applicare, comunque, tassazione. Questo, nel caso in cui il lavoratore non sia in grado di dimostrare la residenza fiscale italiana. Per questo è importante che il lavoratore vada a predisporre la propria certificazione di residenza fiscale, da consegnare al datore di lavoro.

In alternativa, il datore di lavoro estero ha la possibilità di identificarsi in Italia attraverso la costituzione di una società controllata o attraverso un stabile organizzazione per fornire al lavoratore un contratto di lavoro dipendente italiano. Deve essere evidenziato che questo scenario, può essere facoltativo ma, come vedremo di seguito vi sono alcune casistiche in cui questa diventa l’unica scelta possibile.

Lavoro autonomo per conto di committente estero

Se il soggetto decide di operare attraverso il lavoro autonomo con partita Iva la prestazione lavorativa si rende imponibile in Italia, ovvero lo Stato di residenza fiscale. Questo, a meno che tale lavoratore non sia dotato di una base fissa (es. ufficio) all’estero. In tal caso le eventuali prestazioni lavorative svolte all’estero devono essere assoggettate a tassazione anche in questo Stato. In assenza di base fissa lo Stato estero di erogazione del reddito

Al verificarsi di alcune condizioni operare dall’Italia ed acquisire residenza fiscale italiana dopo almeno tre anni di residenza fiscale estera può portare all’applicazione di una particolare agevolazione connessa ai lavoratori impatriati in Italia. Per approfondire ti lascio a questo articolo dedicato all’agevolazione: “Lavoratori impatriati in Italia: l’agevolazione fiscale“.

Tassazione in caso di lavoro da casa all’estero a favore di committente italiano

Capovolgendo la situazione, se la prestazione è resa “da remoto” in uno Stato estero a favore di committenti italiani:

  • Se la persona è residente in Italia, la prestazione è tassata in entrambi gli Stati se di lavoro autonomo (nell’altro Stato esiste, infatti, la base fissa rappresentata dalla casa di abitazione). Mentre per le prestazioni di lavoro dipendente la tassazione in entrambi gli Stati è tale solo se la presenza della persona nell’altro Stato eccede i 183 giorni. Per il lavoro dipendente prestato per un periodo non superiore a 183 giorni alle dipendenze di un datore di lavoro italiano, infatti, la tassazione avviene in via esclusiva in Italia. Questo, a norma dell’articolo 15 del modello OCSE;
  • Se la persona è un non residente, la prestazione è tassata solo nello Stato estero che essa sia di lavoro autonomo o dipendente. Non esiste infatti, in entrambi i casi, alcun criterio di collegamento con l’Italia.

Lavoro da remoto e problematiche di stabile organizzazione occulta

Il Commentario all’art. 5 del modello OCSE di Convenzioni contro le doppie imposizioni (§ 18, penultimo periodo) fa riferimento ad una possibile fattispecie di stabile organizzazione occulta del datore estero in Italia. Questa dipende dalla presenza di alcuni criteri collegati all’attività lavorativa da remoto del dipendente in altro Stato.

In altre parole, al verificarsi di una delle condizioni che andremo a vedere di seguito il committente estero è chiamato ad identificarsi in Italia al fine di offrire un contratto di lavoro al lavoratore. Inoltre, l’apertura della stabile organizzazione comporta l’assoggettamento a tassazione dei proventi derivanti dall’attività svolta dal lavoratore o dai lavoratori in Italia.

Per questo motivo è importante analizzare in concreto le casistiche che obbligano un’impresa estera ad aprire una stabile organizzazione in Italia.

Criteri per individuare l’obbligo di aprire una stabile organizzazione per il datore di lavoro non residente

In particolare, il Commentario precisa che i criteri da considerare sono essenzialmente tre per individuare una fattispecie di stabile organizzazione occulta, per un datore di lavoro non residente che ha lavoratori che operano in Italia:

  • La casa di abitazione del lavoratore è “a disposizione” dell’impresa estera;
  • Il carattere continuativo del suo utilizzo (“abitualità“);
  • Lo svolgimento di attività che nono rientrano tra quelle preparatorie o ausiliarie.

Vediamole meglio di seguito.

Il fatto che la casa di abitazione sia o meno “a disposizione” dell’impresa localizzata nell’altro Stato

La casa di abitazione è considerata a disposizione dell’impresa nella misura in cui quest’ultima ha richiesto al dipendente di utilizzare la stessa per l’attività lavorativa, ad esempio non fornendogli un ufficio. Pertanto, al fine di evitare possibili contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, è necessario che l’attività di remote working derivi da un accordo tra le parti e non da un’imposizione da parte dell’azienda. La presenza di un contratto, quindi, è assolutamente necessaria.

Il carattere continuativo o meno del suo utilizzo (c.d. “abitualità“)

Proviamo a chiarire con un esempio. Nessuna contestazione può essere mossa ad una persona che lavora da una casa di abitazione in Italia per brevi periodi (ad esempio, due settimane per un paio di volte all’anno mentre si fa visita ad un genitore), in quanto la nozione stessa di stabile organizzazione postula il carattere della stabilità anche sotto l’ambito temporale.

Naturalmente ogni situazione deve essere analizzata nel suo complesso per individuare l’abitualità nell’arco temporale legato al periodo di imposta (anno solare per le persone fisiche). La presenza in Italia al lavoro presso la propria abitazione per oltre 183 giorni nell’anno rappresenta una situazione di stabilità dell’attività lavorativa da valutare con attenzione.

Lo svolgimento di attività che rientrano o meno tra quelle preparatorie o ausiliarie

La stabile organizzazione è tale nel momento in cui vengono svolte funzioni che rientrano nel core business aziendale e non hanno carattere meramente ausiliario. Lo stesso Commentario all’art. 5 del modello OCSE (§ 19) cala questo principio nel mondo dei remote workers chiarendo che configura stabile organizzazione la casa di abitazione di una persona dalla quale quest’ultima svolge servizi di consulenza per l’impresa estera, la quale a sua volta svolge essa stessa attività di consulenza.

Tuttavia, sul punto deve essere segnalata anche l’ordinanza n. 1977/2020 della Corte di Cassazione. Gli ermellini hanno accertato l’esistenza di una stabile organizzazione italiana nella casa di abitazione del legale rappresentante (italiano) di una società con sede nella Repubblica ceca, nella quale veniva svolta da remoto l’attività di organizzazione e di gestione di pacchetti turistici in Lombardia a favore della clientela ceca.

Imputazione del reddito prodotto in Italia della stabile organizzazione

Nel caso in cui venisse accertata la presenza della stabile organizzazione occulta, deve essere risolto il problema della corretta imputazione alla stessa (azienda estera) del reddito prodotto (in Italia), da determinare secondo i canoni dell’art. 7 del modello OCSE e dall’art. 152 comma 2 del TUIR.

Problematica questa che, qualora accertata, va ad interessare la posizione del datore di lavoro in Italia, chiamato a versare imposte e sanzioni in Italia, senza impatto diretto sul lavoratore (ma che potrebbe subire conseguenze indirette, come la cessazione del lavoro da remoto, la riallocazione, etc). Tuttavia, la scelta se operare in Italia con una stabile organizzazione, oppure anche solo attraverso un’ufficio di rappresentanza (solo per attività ausiliarie o preparatore) è a discrezione del datore di lavoro.

Prassi dell’Agenzia delle Entrate sul lavoro da remoto

Risposta a interpello n. 458/E/21 – distacco in Cina

Il caso prospettato all’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 458/E/2021 è quello di una società che si compone anche di personale che opera all’estero in “distacco“, tramite contratti di lavoro esteri stipulati con altre società del gruppo. In particolare, vi sono un gruppo di dipendenti assunti con contratto italiano e distaccati in Cina. Questi lavoratori vivono stabilmente all’estero (alcuni con la famiglia) e sono tutti iscritti AIRE. Questi lavoratori, causa pandemia, sono rientrati in Italia dove hanno continuato a svolgere le proprie mansioni per conto della controllata cinese. Pertanto, la società intende sapere quale sia il trattamento fiscale da riservare ai compensi percepiti da questi lavoratori.

Anche in questo caso, come in passato, l’Agenzia delle Entrate prende come elementi di fatto quelli relativi alla residenza fiscale dei lavoratori, non potendo entrarne nel merito in sede di interpello. Per quanto riguarda la situazione prospettata l’Agenzia richiama l’applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Repubblica Popolare Cinese.

Pertanto, ai sensi dell’art. 23, co. 1 lett. c) del TUIR, il reddito percepito dai dipendenti che si sono trattenuti in Italia per un periodo inferiore a 184 giorni nell’anno deve essere considerato come reddito prodotto nel territorio dello Stato ad soggetti non residenti ed in quanto tale deve essere assoggettato ad imposizione in Italia.

Questo, secondo la normativa interna, che può essere applicata solo se non in contrasto con la normativa convenzionale (nel caso la disposizione non può trovare applicazione se in sede convenzionale vi è potestà impositiva esclusiva in capo allo stato di Residenza fiscale del lavoratore). Inoltre, secondo l’Agenzia non vi sarebbe la possibilità, in questo caso, di poter applicare le retribuzioni convenzionali, di cui all’art. 51, co. 8-bis del TUIR, in quanto vi sarebbe presenza per oltre 184 giorni sul territorio italiano.

Risposta ad interpello n. 590/E/21 – Telelavoro in Italia di lavoratore distaccato all’estero

In questa istanza (n. 590/E/2021) l’Agenzia delle Entrate risponde ad una lavoratrice dipendente di una società italiana che la intende distaccare presso una consociata tedesca, consentendole di operare da remoto. Pertanto, la contribuente chiede se può applicare le retribuzioni convenzionali di cui all’art. 51, co. 8-bis del TUIR.

Anche in questo caso l’Agenzia delle Entrate non si esprime in merito alla residenza fiscale del contribuente, in quanto analisi effettuabile esclusivamente in sede di accertamento. Per quanto riguarda la possibilità di applicare la retribuzione convenzionale l’Agenzia esprime parere negativo. La retribuzione convenzionale, infatti, prevede la possibilità per il contribuente fiscalmente residente in Italia, ma che svolge la propria attività lavorativa all’estero (per oltre 183 giorni nell’arco di 12 mesi), di beneficiare di un particolare trattamento agevolativo per il quale il reddito derivante da lavoro dipendente prestato all’estero è assoggettato a tassazione prendendo a riferimento la retribuzione convenzionale determinata annualmente da specifico decreto ministeriale (senza tener conto della retribuzione effettivamente percepita).

Secondo l’Agenzia quello che è rilevante è il luogo effettivo ove viene prestata l’attività lavorativa (in questo caso in Italia), a nulla rilevando il fatto che la retribuzione viene corrisposta dall’estero. Pertanto, secondo l’Agenzia, il mancato rispetto del criterio del soggiorno abituale in uno Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni preclude la possibilità di beneficiare delle retribuzioni convenzionali.

Conclusioni e consulenza fiscale

In caso di reddito svolto da remoto non sono poche le difficoltà da affrontare da un punto di vista fiscale. I criteri di territorialità si snodano in più casistiche e spesso le possibilità di commettere errori finiscono per complicare la situazione del soggetto. Rimane, comunque, la difficoltà pratica di dimostrare lo svolgimento, o non svolgimento, dell’attività per un tempo predeterminato. Questo, atteso che in più casi la prestazione è di fatto una prestazione di risultato. Prestazione spesso slegata anche a tempi di realizzazione. In queste situazioni, se possibile, è opportuno precostituirsi mezzi di prova per evitare contestazioni ex post per valutare l’esatto periodo in cui la prestazione è effettuata.

Anche per quanto riguarda i chiarimenti che abbiamo riportato relativi alle risposte ad interpello dell’Agenzia delle Entrate, si mostra un quadro assai complesso da interpretare. Questo anche in relazione al fatto che non vengono prese in considerazione le raccomandazioni espresse dalla comunità internazionale in relazione all’eccezionalità del periodo pandemico.

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    Federico Migliorini
    Federico Migliorinihttps://fiscomania.com/federico-migliorini/
    Dottore Commercialista, Tax Advisor, Revisore Legale. Aiuto imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale. La Fiscalità internazionale le convenzioni internazionali e l'internazionalizzazione di impresa sono la mia quotidianità. Continuo a studiare perché nella vita non si finisce mai di imparare. Se hai un dubbio o una questione da risolvere, contattami, troverò le risposte. Richiedi una consulenza personalizzata con me.
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