Il lavoro da remoto in Italia in smart working con contratto di lavoro dipendente estero, è possibile rispettando alcune condizioni e con l’autorizzazione del datore di lavoro non residente. Vediamo le problematiche operative, i criteri di collegamento del reddito ed i rischi di stabile organizzazione.
Lavori da casa in Italia per un’azienda estera che ti paga regolarmente ogni mese. Dove devi dichiarare i tuoi redditi? La risposta dipende da un elemento fondamentale: la tua residenza fiscale. Il lavoro da remoto ha reso possibile collaborare con aziende di qualsiasi Paese, ma le regole fiscali restano ancorate a criteri tradizionali. Devi verificare dove sei fiscalmente residente, quanti giorni lavori in Italia e se esiste una convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e il Paese del tuo datore. Questi elementi determinano non solo dove paghi le imposte (criteri di collegamento), ma anche se il tuo datore di lavoro rischia di costituire una stabile organizzazione in Italia.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito questi aspetti nella Circolare n. 25 del 2023, confermando che si applicano i criteri ordinari anche per lo smart working. Inoltre, il commentario OCSE 2025 ha introdotto nuovi parametri per valutare quando si configura una stabile organizzazione. Vediamo nel dettaglio come funziona la tassazione.
Indice degli argomenti
- Lavoro dipendente in Italia per datore estero: tassazione esclusiva o concorrente
- Residenza fiscale: i criteri di determinazione per chi lavora da remoto
- Stabile organizzazione occulta del datore estero: i rischi secondo il nuovo commentario OCSE 2025
- Regime impatriati: agevolazione fiscale per chi rientra in Italia lavorando da remoto
- Obblighi del datore di lavoro estero e aspetti previdenziali
- Prassi dell’Agenzia delle Entrate sul lavoro da remoto
- Consulenza online fiscalità internazionale
Lavoro dipendente in Italia per datore estero: tassazione esclusiva o concorrente
Se sei residente fiscale in Italia e lavori da casa per un datore estero, paghi le tasse esclusivamente in Italia. Questo è il principio base confermato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 25/E/23. La normativa nazionale prevede che i residenti siano tassati su tutti i redditi ovunque prodotti, secondo l’articolo 3 del TUIR. Il luogo di svolgimento dell’attività coincide con il luogo dove sei fisicamente presente durante la prestazione lavorativa. Quindi, se lavori dal tuo appartamento a Milano per un’azienda tedesca, l’Italia è lo Stato dove produci il reddito.
Le convenzioni contro le doppie imposizioni seguono questo stesso principio. L’art.15 del modello OCSE stabilisce che i redditi da lavoro dipendente sono tassati nello Stato di residenza, salvo che l’attività sia svolta in altro Stato. Nel tuo caso specifico, residenza e luogo di svolgimento coincidono entrambi in Italia. Non si verifica quindi alcuna imposizione concorrente da parte dello Stato estero dove ha sede il datore. La Germania, per esempio, non può pretendere tassazione sui tuoi redditi. Questo evita la doppia imposizione e semplifica i tuoi obblighi fiscali.
Devi però assicurarti che il datore estero non operi ritenute alla fonte nel suo Paese. Alcune aziende straniere, non conoscendo la normativa convenzionale, potrebbero trattenere imposte sui compensi erogati. In questi casi è fondamentale produrre il certificato di residenza fiscale italiana, rilasciato dall’Agenzia delle Entrate. Questo documento attesta formalmente che sei residente in Italia e permette al datore estero di applicare correttamente la convenzione. Senza questo certificato, rischi di subire doppia tassazione e dover poi richiedere il rimborso delle imposte pagate all’estero.
Quella delineata è sicuramente una regola generale. Nelle Convenzioni, infatti, è possibile trovare regole specifiche per alcune categorie di lavoratori: es. piloti e assistenti di volo, insegnanti e ricercatori, artisti e sportivi, ecc.
La regola dei 183 giorni per i non residenti
Cambia completamente scenario se sei un non residente che lavora temporaneamente dall’Italia per un datore estero. Qui entra in gioco la famosa regola dei 183 giorni prevista dall’articolo 15, paragrafo 2, del modello OCSE. Questa norma stabilisce la tassazione esclusiva nello Stato di residenza del lavoratore se ricorrono tre condizioni:
- Permanenza in Italia per meno di 183 giorni nell’anno fiscale;
- Remunerazione pagata da datore non residente in Italia;
- Onere non sostenuto da stabile organizzazione italiana del datore.
Supponi di essere residente fiscale in Spagna e di venire in Italia per tre mesi a lavorare da remoto per la tua azienda spagnola. In questo caso, restando sotto i 183 giorni, paghi le tasse solo in Spagna. L’Italia non può assoggettare a imposizione i tuoi redditi. Ma attento: se superi i 183 giorni nell’anno fiscale, scatta la tassazione concorrente. Dovrai dichiarare il reddito sia in Italia che in Spagna. La doppia imposizione si risolve attraverso il credito d’imposta che lo Stato di residenza riconosce per le imposte pagate in Italia.
Il conteggio dei 183 giorni deve essere fatto nell’anno fiscale di riferimento, non su dodici mesi consecutivi. In Italia l’anno fiscale coincide con l’anno solare. Devi quindi sommare tutti i giorni di presenza fisica in Italia dal 1° gennaio al 31 dicembre. Conta anche il giorno di arrivo e quello di partenza. Non rileva invece dove dormi: puoi stare in albergo, in affitto o presso amici. Ciò che conta è la presenza fisica sul territorio italiano durante i giorni lavorativi.
La permanenza oltre 183 giorni può comportare anche il trasferimento della residenza fiscale in Italia. Se vivi in Italia per oltre 183 giorni, hai la dimora abituale nel territorio dello Stato.
Residenza fiscale: i criteri di determinazione per chi lavora da remoto
Determinare correttamente la residenza fiscale è il passaggio fondamentale per capire dove paghi le tasse. I criteri per definire la residenza fiscale delle persone fisiche restano quelli previsti dall’art. 2 del TUIR, senza alcuna distinzione se il lavoro sia svolto in modalità agile o tradizionale. La Circolare n. 25/E/23 ha chiarito che il ricorso allo smart working non modifica le regole di base.
Sei residente fiscale in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta, hai in Italia almeno uno di questi quattro requisiti:
- Iscrizione all’anagrafe della popolazione residente;
- Domicilio, inteso come luogo dove si sviluppano i principali collegamenti di natura personale e familiare;
- Residenza secondo il codice civile.
- Presenza fisica in Italia, contando per intero anche le frazioni di giorno.
I tre criteri sono alternativi: ne basta uno solo. Per maggior parte del periodo d’imposta si intendono almeno 183 giorni nell’anno, 184 negli anni bisestili. L’iscrizione all’anagrafe è un elemento formale forte, ma non decisivo. Puoi risultare iscritto AIRE e essere comunque residente fiscale in Italia se mantieni qui il domicilio o la residenza civilistica.
Il domicilio si identifica nel luogo dove hai stabilito la sede principale dei tuoi affari e interessi. Questi possono essere economici, patrimoniali o familiari. Se continui a gestire investimenti immobiliari in Italia, hai qui il tuo conto corrente principale e la tua famiglia risiede nel territorio italiano, molto probabilmente hai il domicilio in Italia. La residenza civilistica invece è il luogo di dimora abituale. Dove vivi concretamente nella quotidianità , indipendentemente dall’iscrizione anagrafica.
Tie breaker rules nelle convenzioni internazionali
Quando due Stati ti considerano entrambi residente fiscale secondo le rispettive normative interne, scatta un conflitto di residenza. Le convenzioni contro le doppie imposizioni prevedono specifici criteri di attribuzione, chiamati tie breaker rules. L’art. 4 del modello OCSE stabilisce una gerarchia di criteri: abitazione permanente, centro degli interessi vitali, dimora abituale, nazionalità . Si applicano in ordine, fino a risolvere il conflitto.
Primo criterio: l’abitazione permanente. Hai la residenza nello Stato dove possiedi o hai a disposizione un’abitazione permanente. Se l’hai in entrambi gli Stati, si passa al secondo criterio. Centro degli interessi vitali: dove hai le relazioni personali ed economiche più strette. Si valutano famiglia, amici, occupazione, attività politiche o ricreative, luogo degli affari, investimenti patrimoniali. Se anche questo non risolve, conta la dimora abituale. Dove vivi effettivamente per più tempo nell’anno. Ultima spiaggia: la nazionalità .
Questi criteri richiedono una valutazione caso per caso basata su prove documentali. Contratti di locazione, residenze di familiari, estratti conto bancari, tessere associative, abbonamenti. Tutto può essere rilevante per dimostrare dove si trova il tuo centro di vita. In caso di incertezza, le autorità fiscali dei due Stati possono attivare la procedura amichevole prevista dalle convenzioni. Questa porta a un accordo bilaterale che risolve definitivamente il conflitto.
Stabile organizzazione occulta del datore estero: i rischi secondo il nuovo commentario OCSE 2025
Uno dei rischi più insidiosi del lavoro da remoto per datore estero riguarda la possibile costituzione di una stabile organizzazione in Italia. Il commentario OCSE all’articolo 5 disciplina quando un’impresa estera ha una presenza fiscalmente rilevante in altro Stato. Il commentario OCSE 2025 ha introdotto importanti novità con i nuovi paragrafi 44.1-44.21, fornendo criteri più precisi per valutare la stabile organizzazione nel contesto del lavoro da remoto.
La stabile organizzazione è una sede fissa di affari attraverso cui l’impresa esercita la propria attività . Nel lavoro da remoto, può configurarsi quando il lavoratore svolge attività per il datore estero dalla propria abitazione in Italia. Non esiste però un automatismo. L’OCSE ribadisce che serve un’analisi caso per caso, fondata su fatti e circostanze. Il semplice utilizzo di un luogo da parte di un dipendente non basta a renderlo una sede d’affari dell’impresa. Occorre verificare requisiti specifici.
Una delle novità più operative del commentario 2025 è l’indicazione della soglia del 50%: se in un periodo di 12 mesi l’individuo lavora da casa per meno del 50% del tempo complessivo di lavoro per l’impresa, in linea generale quel luogo non costituirà stabile organizzazione. Questo parametro offre una prima indicazione oggettiva. Se lavori da casa tre giorni su cinque, sei al 60% e superi la soglia. Serve allora un’analisi ulteriore basata sulla ragione commerciale.
Il criterio della ragione commerciale secondo l’OCSE 2025
Elemento decisivo diventa la presenza di una ragione commerciale perché l’attività sia svolta in Italia. C’è ragione commerciale quando la presenza fisica del lavoratore facilita lo svolgimento del business dell’impresa: l’interazione con clienti o fornitori italiani, l’accesso a risorse locali o la necessità di presidio per erogare servizi in tempo reale. Se lavori da Milano perché l’azienda ha clienti importanti in Italia e tu devi incontrarli regolarmente, esiste una chiara ragione commerciale.
Non bastano però la semplice presenza di clienti nello Stato, differenze di fuso orario o scelte dettate unicamente da risparmio di costi o comodità del lavoratore. Se lavori dall’Italia solo perché hai scelto di vivere qui per motivi personali, senza che questo apporti vantaggi commerciali all’impresa estera, manca la ragione commerciale. In questo caso, anche superando il 50% del tempo, non si configura stabile organizzazione.
Il commentario fornisce esempi pratici illuminanti. Un utilizzo temporaneo di tre mesi in un anno non conferisce il requisito della fissità . Lavorare da casa uno o due giorni alla settimana per un totale del 30% del tempo, anche se continuativo sull’anno, non porta a stabile organizzazione in assenza di ulteriori elementi. Al contrario, se lavori da casa per l’80% del tempo e incontri regolarmente clienti in Italia, la ragione commerciale è evidente e la stabile organizzazione può configurarsi.
I tre criteri tradizionali della stabile organizzazione
Oltre ai nuovi parametri OCSE 2025, restano validi i tre criteri tradizionali che l’Agenzia delle Entrate ha sempre utilizzato per valutare la stabile organizzazione occulta. Si tratta dei seguenti:
- La casa di abitazione del lavoratore è “a disposizione” dell’impresa estera;
- Il carattere continuativo del suo utilizzo (“abitualità “);
- Lo svolgimento di attività che non rientrano tra quelle preparatorie o ausiliarie.
L’abitazione a disposizione dell’impresa estera
La disponibilità dell’abitazione si verifica quando l’azienda richiede al dipendente di utilizzare la propria abitazione per l’attività lavorativa, non fornendogli un ufficio. Pertanto, al fine di evitare possibili contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, è necessario che l’attività di remote working derivi da un accordo tra le parti e non da un’imposizione da parte dell’azienda. La presenza di un contratto, quindi, è assolutamente necessaria.
Carattere continuativo del suo utilizzo
Il carattere continuativo dell’utilizzo, la cosiddetta abitualità . Lavorare dalla tua casa a Roma per due settimane un paio di volte all’anno non configura stabile organizzazione. Manca la stabilità temporale richiesta dalla nozione stessa. La presenza in Italia per oltre 183 giorni nell’anno rappresenta invece una situazione di stabilità che va valutata attentamente. Non esiste una soglia precisa oltre quella indicativa del 50% OCSE, ma la continuità nell’anno è determinante.
Svolgimento di attività non preparatorie o ausiliarie
Le attività svolte non devono rientrare tra quelle meramente preparatorie o ausiliarie. La stabile organizzazione si configura quando svolgi funzioni che rientrano nel core business aziendale. Il commentario OCSE chiarisce che costituisce stabile organizzazione la casa di abitazione di una persona dalla quale questa svolge servizi di consulenza per l’impresa estera, la quale a sua volta svolge essa stessa attività di consulenza. Se invece svolgi solo attività amministrative di supporto, come archiviazione documenti o gestione agenda, rimani nell’area delle attività ausiliarie.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1977 del 2020 ha accertato l’esistenza di una stabile organizzazione italiana nella casa di abitazione del legale rappresentante italiano di una società ceca, nella quale veniva svolta da remoto l’attività di organizzazione e gestione di pacchetti turistici in Lombardia a favore della clientela ceca. Questa sentenza conferma l’approccio rigoroso della giurisprudenza.
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Conseguenze fiscali della stabile organizzazione
Se si configura una stabile organizzazione in Italia, le conseguenze colpiscono principalmente il datore estero. L’azienda estera deve identificarsi fiscalmente in Italia, ottenere partita IVA e codice fiscale. Deve presentare dichiarazioni dei redditi in Italia e versare le imposte sui profitti attribuibili alla stabile organizzazione. L’imputazione del reddito segue l’articolo 152, comma 2, del TUIR e l’articolo 7 del modello OCSE.
Calcolare il reddito attribuibile alla stabile organizzazione non è semplice. Occorre determinare quali profitti l’impresa avrebbe ottenuto se la stabile organizzazione fosse un’impresa separata e indipendente. Si applicano i principi del transfer pricing, con analisi di comparabilità e determinazione di prezzi di libera concorrenza. Servono documentazioni analitiche su funzioni svolte, rischi assunti e asset utilizzati dalla stabile organizzazione.
Per te come lavoratore, l’impatto diretto è limitato. Continui a essere dipendente e a pagare le tue tasse normalmente in Italia. Potrebbero però esserci conseguenze indirette significative. Il datore estero, scoprendo di avere obblighi fiscali in Italia, potrebbe decidere di cessare il rapporto, di rilocarti altrove o di costituire formalmente una società controllata italiana. Oppure potrebbe aprire un ufficio di rappresentanza per regolarizzare la situazione.
Regime impatriati: agevolazione fiscale per chi rientra in Italia lavorando da remoto
Se rientri in Italia dopo aver lavorato all’estero e continui a lavorare in smart working per il tuo datore estero, puoi accedere al regime impatriati. L’art. 5 del D.Lgs. n. 209/2023 prevede che i lavoratori che trasferiscono la residenza fiscale in Italia possano beneficiare di una riduzione del 50% del reddito imponibile per cinque anni. Questa agevolazione è accessibile anche a chi opera in smart working per datore estero, a condizioni specifiche.
Per usufruire del regime, devi aver risieduto fiscalmente all’estero per un determinato numero di anni. Se continui a lavorare in smart working per lo stesso datore estero, è richiesto di aver avuto la residenza fiscale estera per almeno 6 periodi d’imposta consecutivi. Se hai lavorato per lo stesso datore o gruppo societario anche prima del trasferimento all’estero, il requisito sale a 7 anni. Questa differenziazione mira a garantire che l’agevolazione vada a chi ha realmente acquisito esperienza professionale fuori dall’Italia.
Il regime si applica relativamente ai soli redditi prodotti in Italia secondo l’articolo 23 del TUIR, che considera prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente se prestati nel territorio dello Stato, anche se remunerati da un soggetto estero. Quindi, lavorando da casa in Italia per datore estero, produci reddito in Italia e puoi applicare l’agevolazione. Dichiari solo il 50% del reddito effettivo, con risparmio fiscale significativo.
La Circolare n. 25/E/23 ha ribadito un principio importante: non può fruire dell’agevolazione chi, trasferitosi a lavorare in Italia, successivamente trasloca all’estero pur continuando a svolgere dalla nuova località la prestazione lavorativa per il medesimo datore italiano in smart working, in quanto in tal caso i redditi si considerano prodotti fuori dal territorio italiano. Il criterio guida resta sempre il luogo di svolgimento effettivo della prestazione lavorativa, non la sede del datore.
Per accedere al regime con datore estero, puoi applicare l’agevolazione direttamente nella dichiarazione dei redditi. Non hai obbligo di comunicazione preventiva al datore estero. Indichi il reddito di lavoro dipendente nella misura ridotta del 50% nel quadro RC del modello Redditi. Devi però conservare documentazione che provi il possesso dei requisiti: certificati di residenza estera per i periodi richiesti, contratto di lavoro, buste paga estere precedenti.
Obblighi del datore di lavoro estero e aspetti previdenziali
Il datore estero che ha un dipendente in smart working in Italia deve chiedersi se ha obblighi fiscali e previdenziali nel territorio italiano. Sul fronte fiscale, se non si configura stabile organizzazione, non ha obblighi di sostituto d’imposta in Italia. Il lavoratore residente dichiara autonomamente i suoi redditi e versa le imposte dovute. Il datore deve solo fornire documentazione sui compensi erogati.
Sul fronte previdenziale, la questione è più complessa. La normativa europea sulla sicurezza sociale prevede che si applichino le regole dello Stato dove il lavoratore svolge abitualmente l’attività . Se lavori abitualmente dall’Italia, dovresti essere iscritto ai contributi italiani INPS, non a quelli del Paese del datore. Questo vale indipendentemente dalla nazionalità del datore o tua.
Esistono però eccezioni per distacchi temporanei. Se il tuo trasferimento in Italia è previsto per meno di 24 mesi e mantieni un legame con lo Stato di invio, puoi richiedere il certificato A1. Questo documento, rilasciato dall’autorità previdenziale del Paese del datore, attesta che resti soggetto alla legislazione previdenziale di quello Stato. Eviti così la doppia contribuzione e continui a versare nel sistema estero.
Senza certificato A1, il datore estero deve aprire posizione contributiva in Italia. Questo significa identificarsi presso INPS, comunicare l’assunzione, versare i contributi mensili e produrre le denunce periodiche. Deve nominare un rappresentante fiscale italiano che gestisca tutti gli adempimenti. I costi e la complessità burocratica sono significativi. Molte aziende estere preferiscono costituire una società controllata italiana o affidarsi a servizi di employer of record.
Prassi dell’Agenzia delle Entrate sul lavoro da remoto
Di seguito alcuni documenti di prassi che trattano il tema del lavoro da remoto per conto di datore di lavoro estero.
Risposta a interpello n. 458/E/21 – distacco in Cina
Il caso prospettato all’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 458/E/2021 è quello di una società che si compone anche di personale che opera all’estero in “distacco“, tramite contratti di lavoro esteri stipulati con altre società del gruppo. In particolare, vi sono un gruppo di dipendenti assunti con contratto italiano e distaccati in Cina. Questi lavoratori vivono stabilmente all’estero (alcuni con la famiglia) e sono tutti iscritti AIRE. Questi lavoratori, causa pandemia, sono rientrati in Italia dove hanno continuato a svolgere le proprie mansioni per conto della controllata cinese. Pertanto, la società intende sapere quale sia il trattamento fiscale da riservare ai compensi percepiti da questi lavoratori.
Anche in questo caso, come in passato, l’Agenzia delle Entrate prende come elementi di fatto quelli relativi alla residenza fiscale dei lavoratori, non potendo entrarne nel merito in sede di interpello. Per quanto riguarda la situazione prospettata l’Agenzia richiama l’applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Repubblica Popolare Cinese.
Pertanto, ai sensi dell’art. 23, co. 1 lett. c) del TUIR, il reddito percepito dai dipendenti che si sono trattenuti in Italia per un periodo inferiore a 184 giorni nell’anno deve essere considerato come reddito prodotto nel territorio dello Stato ad soggetti non residenti ed in quanto tale deve essere assoggettato ad imposizione in Italia.
Questo, secondo la normativa interna, che può essere applicata solo se non in contrasto con la normativa convenzionale (nel caso la disposizione non può trovare applicazione se in sede convenzionale vi è potestà impositiva esclusiva in capo allo stato di Residenza fiscale del lavoratore). Inoltre, secondo l’Agenzia non vi sarebbe la possibilità , in questo caso, di poter applicare le retribuzioni convenzionali, di cui all’art. 51, co. 8-bis del TUIR, in quanto vi sarebbe presenza per oltre 184 giorni sul territorio italiano.
Risposta ad interpello n. 590/E/21 – Telelavoro in Italia di lavoratore distaccato all’estero
In questa istanza (n. 590/E/2021) l’Agenzia delle Entrate risponde ad una lavoratrice dipendente di una società italiana che la intende distaccare presso una consociata tedesca, consentendole di operare da remoto. Pertanto, la contribuente chiede se può applicare le retribuzioni convenzionali di cui all’art. 51, co. 8-bis del TUIR.
Anche in questo caso l’Agenzia delle Entrate non si esprime in merito alla residenza fiscale del contribuente, in quanto analisi effettuabile esclusivamente in sede di accertamento. Per quanto riguarda la possibilità di applicare la retribuzione convenzionale l’Agenzia esprime parere negativo. La retribuzione convenzionale, infatti, prevede la possibilità per il contribuente fiscalmente residente in Italia, ma che svolge la propria attività lavorativa all’estero (per oltre 183 giorni nell’arco di 12 mesi), di beneficiare di un particolare trattamento agevolativo per il quale il reddito derivante da lavoro dipendente prestato all’estero è assoggettato a tassazione prendendo a riferimento la retribuzione convenzionale determinata annualmente da specifico decreto ministeriale (senza tener conto della retribuzione effettivamente percepita).
Secondo l’Agenzia quello che è rilevante è il luogo effettivo ove viene prestata l’attività lavorativa (in questo caso in Italia), a nulla rilevando il fatto che la retribuzione viene corrisposta dall’estero. Pertanto, secondo l’Agenzia, il mancato rispetto del criterio del soggiorno abituale in uno Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni preclude la possibilità di beneficiare delle retribuzioni convenzionali.
Consulenza online fiscalità internazionale
La tassazione del lavoro da remoto per datore estero presenta molteplici aspetti critici che richiedono valutazione professionale. Ogni situazione è diversa e dipende da elementi specifici: il Paese del datore di lavoro, la convenzione contro le doppie imposizioni applicabile, i tuoi legami con l’Italia e l’estero, la durata prevista del rapporto, le modalità concrete di svolgimento dell’attività . Sbagliare l’inquadramento fiscale può costarti caro: imposte non versate, sanzioni pesanti, problemi con l’INPS.
Il rischio di stabile organizzazione per il datore estero è concreto e può compromettere il rapporto di lavoro. Le novità del commentario OCSE 2025 hanno reso più complessa la valutazione, introducendo la soglia del 50% e il criterio della ragione commerciale. Servono analisi approfondite basate su fatti concreti, non su valutazioni generiche. Anche l’accesso al regime impatriati richiede verifiche precise sui requisiti temporali e documentali.
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Fonti
- D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) – art. 2, 3, 23, 152
- Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni – art. 4, 5, 15
- Commentario OCSE 2025 all’articolo 5 – paragrafi 44.1-44.21
- D.Lgs. 4 dicembre 2023, n. 209 – art. 5
- Circolare Agenzia delle Entrate n. 25 del 18 agosto 2023
- Cassazione, ordinanza n. 1977 del 2020
- Risposta ad interpello n. 458 del 2021
- Risposta ad interpello n. 590 del 2021
- Risposta ad interpello n. 626 del 2021