Hai mai pensato quanto potrebbe essere bello lavorare in giro per la Spagna, su una spiaggia accarezzati dalla brezza del mare e in pieno relax? O in una piazza affascinante e piena di colori? Il concetto di lavoro e relax non vanno propriamente d’accordo. Eppure gli ultimi due anni di pandemia ci hanno, tristemente insegnato, che si può lavorar anche in pantofole!

Quello del nomade digitale è sicuramente un modo per approcciarsi in maniera innovativa al lavoro. Potrebbe comportare non pochi benefici per la produttività, ma anche riducendo lo stress che oggigiorno circonda il modo del lavoro.

Il lavoro agile è espressione, come dicevamo di un nuovo approccio che è espressione di un progressivo cambiamento culturale.

Da anni le imprese straniere sembrano essere in fermento alla ricerca di un nuovo modo di relazionarsi ai dipendenti, che investe sia il settore pubblico che privato.

Alle nostre aziende, tuttavia, sembra ancora doversi adeguare alle nuove prospettive, è infatti necessaria una revisione radicale del modello organizzativo.

Per maggiori informazioni sui nomadi digitali: “I nomadi digitali pagano le imposte sul reddito?”

Leggi anche: “Lavoro in spagna: devo pagare le tasse in italia?”

Cos’è lo smartworking?

Lo smartworking è divenuto tristemente famoso in questi lunghi mesi di pandemia. Ma di che cosa si tratta?

Il Ministero delle Politiche sociali, invero, ci ha fornito una definizione piuttosto chiare dello strumento del lavoro agile, come è comunemente denominato in italiano:

lo Smart Working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.

Si tratta, dunque, di un nuovo modo di gestire il lavoro, in particolare gestire gli spazi e gli orari di lavoro.

L’approccio degli ultimi mesi, come sappiamo, è stata una necessità.

Tuttavia, lo smart working già esisteva ed era considerato uno strumento particolarmente utile per le imprese. 

In molti Paesi, soprattutto del nord europa dove lo smart working è nato, era uno strumento sperimentato da anni, che ha consentito anche di valutare l’impatto che ha sull’economia. 

Chi sono i nomadi digitali?

I nomadi digitali sono persone che vivono in modo nomade, in costante movimento da un paese all’altro. Si tratta di soggetti che sfruttano la tecnologia ed il web per gestire le proprie relazioni personali, ma soprattutto per lavorare.

I nomadi digitali sono diventati una categoria sempre più ampia di lavoratori. Ma chi sono e come lavorano?

In realtà, per individuare quelle che sono le due condizioni del nomadismo digitale, possiamo ricorrere a due criteri:

  •  la possibilità di lavorare al computer 
  •  la possibilità di lavorare senza doversi presentare in ufficio ogni giorno.
  • Vita nomade, non stanziale. Il nomade digitale spesso non passa più di qualche mese nello stesso Stato.

Questo tipo di attività, quindi, non può essere esercitata da tutti, ma richiede che vi sia la possibilità di operare online. Classici esempi di imprenditori che possono operare con queste caratteristiche sono: youtuberdropshipper o comunque gestori di E-commerce, oppure imprenditori che effettuano vendita di infoprodotti. Naturalmente, le possibilità sono ampie, anche un consulente informatico, un consulente aziendale o un professionista che opera su portali come Upwork potrebbe operare con un nomade digitale.

Se il tuo lavoro soddisfa questi requisiti, puoi facilmente diventare un nomade digitale. Quindi potresti decidere di stravolgere la tua vita e recarti in Spagna a lavorare solo grazie a queste due semplici condizioni.

Ovviamente, come dicevamo in precedenza, il problema principale risiede proprio nella mentalità dei datori di lavoro. Anche se proprio grazie, per usare un eufemismo, al Covid, la mentalità di molte aziende sta cambiando. Gli effetti benefici della crescita produttiva di alcune lavoratori, infatti, ha indotto molte aziende a prolungare lo smartworking.

Ad oggi, quindi, diventare un nomade digitale non è poi così complicato, se si considera che molti sono stati tali almeno per un po’, nonostante sia stato piuttosto difficile girovagare per il Paese in piena pandemia.

Invero, proprio di recente l’Associazione Italiana Nomadi Digitali ha promosso un’inchiesta sul fenomeno dei nomadi digitali.

il nomade digitale ha un profilo definito. Si definiscono tali soprattutto quelli compresi nella fascia 30-49 anni (64 per cento), gli over 50 (27 per cento) e solo dopo gli under 30 (9 per cento).

Questi, si propongono di svolgere attività con il massimo grado di flessibilità. In particolare, molti di questi nomadi digitali intraprendono questo tipo di percorso perché ormai stanchi della vita di ufficio.

Laptop lifestyle” viene definito lo stile di vita del nomade digitale: viaggiare, vivere e lavorare in gruppo, ognuno con il suo laptop.

Di cosa hai bisogno per diventare un nomade digitale?

Come dicevamo nel precedente paragrafo, il nomade digitale ha bisogno solo di di un pc. Nonostante l’immagine idilliaca di noi in qualche starbucks madrileno, purtroppo non è sufficiente, talvolta, possedere un semplice computer. Spesso un lavoro ha più esigenze di quello che ci si puoi immaginare.

La scelta dello smart working è, tuttavia, divenuta, anche in epoca post covid, particolarmente interessante per i dipendenti proprio per lo sviluppo che hanno avuto alcuni fenomeni. A tal proposito sono ormai proliferati gli open space dedicati ai lavoratori.

Meglio noti come spazi di coworking, sono un’evidente risparmi sia per il lavoratore che per il datore di lavoro. Il coworking è un modello di lavoro che prevede la condivisione degli spazi di un ambiente lavorativo.

In molti casi si tratta di uffici, ma talvolta possono anche essere delle  biblioteche pubbliche a ciò adibite, dei centri per gli studi, sale di privati che, non essendo adibite ad altro uso, si trasformano in sedi per professionisti e non.

Tal spazi, ovviamente, sono condivisi con altre persone non impiegate nella stessa azienda o organizzazione. 

I primi spazi di cowrking, in realtà, sono nati in Italia già tra il 2008 e il 2010. Ma soprattutto nel recente periodo hanno trovato ampia diffusione, in specie nelle principali città.

D’altronde, è conveniente sotto molto punti di vista.

Il lavoratore molto probabilmente si sceglierà il posto più vicino alla propria abitazione, risparmiando sia tempo che denaro negli spostamenti. Al contempo il datore di lavoro potrebbe ridurre gli spazi, e quindi le relative spese. 

Lavorare in Spagna come nomade digitale: cosa significa?

Tra i vari paesi tra cui puoi scegliere, la Spagna ha molte caratteristiche che la rendono adatta per i nomadi digitali, pensiamo al clima temperato, un costo della vita più basso rispetto ad altre destinazioni, ma anche:

  • Buone condizioni di vita
  • Connessione internet veloce
  • Comunità internazionali ben consolidate sul territorio
  • Ottimi collegamenti stradali, ferroviari, marittimi e aerei con gli altri paesi europei

Se sei un lavoratori dipendente, prima di trasferirti per un periodo lungo in Spagna e lavorare da remoto ti consigliamo di consultarti con la tua azienda. Esistono infatti degli obblighi fiscali sia per l’azienda sia per il lavoratore che variano in base alla durata dello spostamento, residenza in Europa o meno, assicurazione, ecc.

Discorso diverso per i lavoratori freelance o lavoratori autonomi, in cui la situazione è sicuramente più semplice e la tassazione per le prestazioni si applica in entrambi gli stati (Italia e Spagna).

Inoltre, la Spagna per attrarre smart workers ha introdotto la residencia no lucrativa España, un visto per i cittadini non UE che non lavorano in Spagna ma che vogliono viverci per un certo periodo purché abbiano un reddito da lavoro straniero (come appunto quello eseguito da remoto) o da pensione. In questo caso, l’unica cosa che dovrete dimostrare è quella di avere risparmi sufficienti sul vostro conto bancario.

La tassazione dei redditi dei nomadi digitali

Il concetto fondamentale per stabilire ove un soggetto sia tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti è quello di “residenza fiscale“. Una delle principali motivazione dei nomadi digitali è quella dei vantaggi fiscali che si possono ottenere. La tassazione dei redditi delle persone fisiche è differente in ogni Stato, pertanto i nomadi digitali preferiscono svolgere la propria attività e dove tassare i relativi proventi, nella maniera più vantaggiosa possibile.

Per saperne di più: “I nomadi digitali pagano le imposte sul reddito?”

Gli obblighi fiscali nello stato di provenienza

Nonostante la motivazione dei nomadi digitali sia quella di svolgere la propria attività all’estero al fine di ridurre la “pressione fiscale” della propria attività, questi non possono sottovalutare il permanere di obblighi fiscali nei confronti dello Stato di provenienza. Ogni Stato ha il potere di definire le regole impositive valide all’interno del proprio territorio. Tuttavia vi sono dei criteri riconosciuti a livello internazionale secondo cui tale potere può essere esercitato anche oltre i confini territoriali, sempre che sussistano dei criteri di collegamento tra lo Stato e l’elemento da tassare.

Nell’ambito della fiscalità internazionale, infatti, la tassazione dei redditi segue criteri di collegamento di natura:

  • Personale. Mi riferisco, ad esempio ai concetti di residenza, domicilio, dimora, sede legale, sede amministrativa e luogo dell’oggetto sociale; 
  • Reale. Classico esempio è la tassazione nello Stato della fonte del reddito.

Questi presupposti sono quelli utili a creare una sovrapposizione del potere impositivo di Stati diversi rispetto ai redditi prodotti a livello internazionale.

Il principio di tassazione dei redditi nello stato di residenza fiscale

La maggior parte dei Paesi applica criteri di tassazione basati sul principio della worldwide taxation. Sulla base di questo principio ogni Stato ha il potere di tassare tutti i redditi, ovunque prodotti, delle persone fisiche e delle società che hanno residenza fiscale nel proprio territorio. In Italia questo principio è sancito dall’articolo 3 del TUIR.

La nozione di residenza fiscale viene definita dai singoli Stati, pertanto può accadere che esso abbia portata diversa nei diversi Stati in cui un soggetto si trova ad operare. Tale situazione può provocare un disallineamento degli ordinamenti nel definire il concetto di residenza fiscale comportando in capo allo stesso soggetto la residenza fiscale di due Stati oppure anche di nessuno degli Stati coinvolti. Tale situazione prende il nome di “dual residence“.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi vengono risolte attraverso l’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra gli Stati coinvolti.

Nel nostro ordinamento la residenza fiscale delle persone fisiche è disciplinata dall’articolo 2, comma 2, del DPR n. 917/86. Ai sensi di questa disposizione un soggetto si considera fiscalmente residente in Italia quando, alternativamente, per almeno 183 giorni:

  • E’ iscritto all’anagrafe della popolazione residente;
  • Ha il domicilio (ai sensi dell’articolo 43 c.c.) in Italia;
  • Ha la residenza (ai sensi dell’articolo 43 c.c.) in Italia.

E’ sufficiente il verificarsi di anche solo uno di questi requisiti per essere considerati residenti fiscalmente in Italia

Nomadi digitali ed i criteri che determinano la residenza fiscale italiana

Di seguito vediamo quali sono i requisiti per perdere la residenza fiscale Italiana. ATTENZIONE! Tali criteri non sono alternativi, ma devono essere rispettati congiuntamente per ottenere il trasferimento della propria residenza fiscale all’estero.

Iscrizione all’aire (anagrafe degli italiani residenti all’estero)

Il primo requisito per perdere la residenza fiscale italiana, di natura formale, è costituito dalla cancellazione dal registro della popolazione residente e conseguente iscrizione all’A.I.R.E. (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). Tuttavia l’iscrizione all’A.I.R.E. non determina una presunzione di effettivo trasferimento all’estero della propria residenza. Si tratta soltanto di un requisito di natura formale, ma fondamentale perché in caso di sua assenza tutta la procedura di trasferimento non permette di “perdere” la residenza fiscale italiana. Oltre a questo requisito il soggetto che vuole trasferirsi all’estero deve verificare anche gli altri due requisiti seguenti. In mancanza di essi, infatti, il contribuente continua ad essere considerato soggetto fiscalmente residente in Italia ex art. 2 del TUIR.

Domicilio all’estero

Il secondo requisito è costituito dal domicilio civilistico. Il domicilio, ex art. 43 del Codice Civile deve essere inteso come il luogo dove una persona vuole stabilire la sede principale dei propri affari e interessi. Questo, a prescindere dalla effettiva presenza in quel luogo.

Per effettuare un corretto trasferimento di residenza all’estero è necessario che il soggetto voglia effettivamente trasferire all’estero il centro degli affari e degli interessi personali. Si tratta di trasferire all’estero il proprio “centro degli interessi vitali“. Con questo termine di origine convenzionale si intende sia i rapporti di natura patrimoniale che economica di un soggetto. Sono ricompresi nella definizione anche quelli familiari sociali e morali.

Residenza all’estero

L’ultimo requisito per individuare la residenza fiscale di una persona fisica è quello della residenza civilistica. La residenza, ex articolo 43 del Codice Civile si individua nel luogo dove essa dimora abitualmente. Per perdere la residenza fiscale italiana e poter acquisire quella estera è, quindi, anche necessario permanere effettivamente all’estero con l’intenzione di volervi rimanere stabilmente.

Come vedremo più avanti è questa la problematica principale del nomade digitale. Ovvero il fatto di identificare una residenza stabile in altro Paese, utile a dimostrare il fatto di avere una intenzione consolidata di stabilirsi in quel Paese. Quella che può sembrare una cosa banale e non necessaria, ai fini fiscali, invece, è fondamentale.

Per saperne di più: “I nomadi digitali pagano le imposte sul reddito?”

Worldwide taxation principle

Un soggetto fiscalmente residente in Italia è tenuto a dichiarare in Italia tutti i suoi redditi, ovunque percepiti. Questo, infatti, è quanto prevede il principio della World Wide Taxation, di cui all’articolo 3 del DPR n. 917/86.

In base a questo principio un soggetto è tenuto a pagare le imposte (ovunque esse siano prodotte e/o percepite), in un unico Stato, quello di residenza. Questo, salvo poi ottenere un credito di imposta per le eventuali altre imposte già pagate nei Paesi ove i redditi sono stati percepiti. Riassumendo, quindi, un lavoratore Italiano che svolge la sua attività lavorativa e ha la sua vita all’estero, ha ugualmente l’obbligo del versamento delle imposte sul reddito anche in Italia in concomitanza di almeno uno dei seguenti requisiti:

  • Essere residente in Italia, per almeno 183 giorni all’anno (la maggior parte dell’anno solare).
  • Essere iscritto nelle anagrafi comunali della popolazione residente in Italia (quindi, non essere iscritto all’AIRE).
  • Avere eletto nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio o la propria residenza , ai sensi dell’articolo 43 del codice civile.

Per approfondire: AIRE: “Anagrafe degli Italiani residenti all’estero“.

Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e spagna

Per la determinazione della residenza fiscale di un contribuente oltre alla normativa nazionale, occorre fare riferimento alla norma convenzionale. Sul punto, mi riferisco alla Convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra Italia e Spagna. Questa, all’articolo 4 individua come deve essere determinata la residenza fiscale dei contribuenti che applicano la stessa convenzione. In particolare, per prima cosa si deve fare riferimento alla norma interna dei due Paesi coinvolti.

In questo caso, la norma convenzionale rimanda alla norma interna italiana, secondo cui vale la presunzione assoluta di residenza in Italia in mancanza di iscrizione AIRE. Un soggetto iscritto all’anagrafe di un comune italiano per almeno 183 giorni (anche non consecutivi), in un anno, è considerato fiscalmente residente in Italia. Questo, indipendentemente dalla prova della sua presenza nel territorio del nostro Paese.

Questo aspetto, da solo, è sufficiente per doversi considerare residenti, salva la possibilità di far valere la propria residenza estera in virtù delle “rules” di cui all’articolo 4 comma 2. Nel caso di presenza in Spagna continuativa è possibile essere considerato come residente in spagna in virtù della norma spagnola. In questo caso, la residenza fiscale viene determinata guardando alle “tie breaker rules“. La prima di queste regole è quella che vuole individuare la residenza fiscale nello Stato ove il soggetto ha la propria abitazione permanente.

Per abitazione permanente si intende l’abitazione ove egli trascorre la maggior parte del tempo. Nel caso del lettore l’abitazione permanente è sicuramente in Spagna. Per questo motivo, la residenza fiscale dello stesso è sicuramente in Spagna.

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