Avvisi bonari nel cassetto fiscale: le istruzioni

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Impugnazione avviso di accertamento

Fisco NazionaleImpugnazione avviso di accertamento

Impugnare l'avviso di accertamento significa contestare formalmente l'atto con cui l'Agenzia delle Entrate comunica il debito fiscale legato ad una contestazione. L'impugnazione rimanda alla decisione del giudice tributario sulla contestazione dell'Amministrazione finanziaria, chiedendo che venga annullata (in tutto o in parte), la pretesa tributaria.

L’accertamento fiscale che viene effettuato da parte dell’Agenzia delle Entrate, è un atto che mette a conoscenza del contribuente una contestazione sul comportamento tenuto. Di fatto, l’Amministrazione finanziaria richiede al contribuente la maggiore imposta dovuta a seguito di un controllo che ha rilevato un’irregolarità. Per questo vengono richieste anche la sanzione amministrativa e gli interessi.

Esiste la possibilità di impugnazione dell’accertamento fiscale, entro 60 giorni dal momento della notifica al contribuente dell’avviso. Il contribuente, nel caso in cui contesti la pretesa tributaria ha la possibilità di impugnare l’atto ricevuto, attraverso il ricorso alla Corte di Giustizia tributaria (di primo grado). L’atto riporta le informazioni necessaria alla proposizione del ricorso, e sulla competente Corte di Giustizia. Per il ricorso è dovuto il contributo unificato che varia  in base al valore della controversia, secondo gli importi previsti all’articolo 13, comma 6-quater del DPR n. 115/2002.

Vediamo in questo articolo come è possibile procedere con l’impugnazione di un accertamento fiscale.

Comprensione della pretesa tributaria nell’avviso di accertamento

L’aspetto più difficile quando si riceve un’avviso di accertamento è comprendere la pretesa tributaria. L’atto di accertamento, deve contenere al suo interno tutte le informazioni utili per permettere al contribuente di comprendere cosa viene richiesto, quali contestazioni sono state effettuate e per quali motivi.

Solo in questo modo può essere garantita l’effettiva possibilità di difesa da parte del contribuente. Il contribuente deve essere in grado di comprendere in modo semplice tutte queste informazioni per capire se la pretesa è dovuta oppure se vi è una qualche forma di errore che vizia la pretesa tributaria. Particolarmente importante, in questa fase, è valutare la motivazione dell’atto. Questa deve essere in grado di far comprendere i motivi di fatto e di diritto che hanno portato all’emissione dell’avviso di accertamento.

Una volta compresa la motivazione il contribuente è chiamato a controllare i maggiori importi accertati, le aliquote applicate, e tutte le altre informazioni numeriche dell’atto stesso. Anche la parte numerica dell’atto ha la sua importanza ed anche in questa parte potrebbero esserci dei vizi che possono portare alla contestazione dell’atto.

Infine, non si deve dimenticare che l’atto deve contenere tutte le informazioni utili ad identificare l’Ufficio che lo ha emesso ed il funzionario responsabile al quale è possibile rivolgersi per chiarimenti.

Le scelte a disposizione del contribuente: adesione o impugnazione?

Una volta ricevuto l’avviso di accertamento, il contribuente ha 60 giorni di tempo per effettuare le sue valutazioni, richieste di chiarimento ed ogni altro elemento che ritiene utile effettuare. In ogni caso, entro i 60 giorni dalla notifica deve scegliere se:

  • Adempiere alla pretesa tributaria (acquiescenza): l’adempimento passa attraverso il pagamento della pretesa, ottenendo una riduzione delle sanzioni (nell’atto viene riportata la riduzione della sanzione prevista) e una rateazione del pagamento (eventualmente da chiedere al funzionario responsabile del controllo). L’adempimento passa attraverso il pagamento integrale dell’atto o della prima rata del rateizzo;
  • Impugnare l’avviso di accertamento: l’impugnazione passa attraverso il ricorso tributario. Questa scelta deriva dal fatto che il contribuente ha individuato specifici vizi dell’atto, tali da comprometterne la validità. In questo caso si chiede al giudice tributario (nei tre diversi gradi di giudizio) di intervenire per valutare la situazione.

Vizi formali e sostanziali

Abbiamo detto che l’impugnazione dell’avviso di accertamento passa attraverso l’individuazione di vizi dell’atto. Questi possono essere di natura formale o sostanziale. Spesso per l’individuazione di questi elementi è opportuno rivolgersi ad un dottore Commercialista o ad un avvocato tributarista. Tuttavia, le situazioni che maggiormente si manifestano nella pratica sono le seguenti:

  • La regolarità della notifica dell’avviso di accertamento;
  • Correttezza dei dati del destinatario (nome e indirizzo);
  • Oggetto ossia, se la motivazione è sufficiente a chiarire i presupposti di fatto e di diritto della pretesa;
  • Eventuale prescrizione:
    • IRPEF, IRES, IVA, ecc., si prescrivono in 10 anni;
    • Bollo auto si prescrive in 3 anni;
    • Tributi locali (IMU, TARI, ecc) si prescrivono in 5 anni.
  • Correttezza della somma per cui si richiede il pagamento;
  • Indicazione delle modalità ed i termini per proporre ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria ed il nome del responsabile del procedimento con propria firma digitale.

Ci sono strumenti alternativi al ricorso?

Esistono delle alternative al ricorso, ma è opportuno valutarle con attenzione, in relazione alla specifica situazione in cui il contribuente si trova. Possiamo individuare i seguenti:

  • Autotutela: su richiesta del contribuente, o d’ufficio, la stessa Amministrazione che ha emanato l’atto può provvedere a correggerlo o ad annullarlo, in presenza di errori. Attenzione! La richiesta di riesame non sospende né il termine entro cui versare le somme dovute né il termine entro cui presentare ricorso;
  • Accertamento con Adesione: il contribuente accettando l’accertamento, beneficerà di una riduzione delle sanzioni previste.

Impugnazione accertamento fiscale entro 60 giorni

Nel caso in cui cittadino ritenga che la richiesta non è congrua per quanto riguarda le imposte da pagare, entro 60 giorni di tempo si può difendere dalla richiesta. Tramite impugnazione dell’accertamento fiscale il soggetto interessato può rivolgersi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado.

Far trascorrere più di 60 giorni dalla notifica del fisco equivale a perdere ogni diritto di impugnazione della richiesta. Una volta che è trascorso il periodo di 60 giorni di tempo infatti, il cittadino non può più contestare questa comunicazione, e si ritroverà a dover pagare l’imposta richiesta anche se questa è considerata come non congrua.

Deve essere ricordato che quando un ente preposto come l’Agenzia delle Entrate invia ai cittadini una richiesta di accertamento fiscale, in questo documento vengono comunque trascritte tutte le informazioni che possono permettere al soggetto di impugnare questa comunicazione. Per questo motivo è opportuno leggere con attenzione la comunicazione preposta dall’Agenzia delle Entrate.

L’Agenzia delle Entrate spiega chiaramente come procedere nel caso in cui si voglia impugnare la comunicazione: si fa qui una differenza tra controversie con importi superiori a 3.000 euro e inferiori a 3.000 euro. Come spiega l’Agenzia, per importi inferiori a 3.000 euro:

“Se il valore della controversia non è superiore a 3.000 euro, il contribuente può stare in giudizio senza assistenza tecnica. In questo caso, la notifica del ricorso può avvenire anche in forma cartacea tramite la consegna presso l’Ufficio, l’invio tramite posta raccomandata (senza busta e con avviso di ricevimento) oppure tramite ufficiale giudiziario.”

Nel caso in cui invece la controversia abbia un valore superiore a 3.000 euro, è necessario venire assistiti da un difensore. Il valore di questa controversia è equiparato all’importo dell’imposta contestata, con eventuali interessi e sanzioni.

Costituzione in giudizio

Dopo la notifica del ricorso all’Ufficio, il contribuente deve costituirsi in giudizio, cioè deve depositare alla Corte di Giustizia Tributaria il ricorso e il proprio fascicolo, con la copia dell’atto impugnato e i documenti che vuole presentare in giudizio.

La costituzione in giudizio del ricorrente, a pena di inammissibilità, si effettua esclusivamente mediante deposito del ricorso, previamente notificato a mezzo pec, attraverso il Sistema informativo della Giustizia Tributaria – SIGIT (art. 16-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 546/92), secondo le disposizioni sul processo tributario telematico.

Solo se il contribuente può stare in giudizio senza assistenza tecnica e la notifica del ricorso è stata eseguita in forma cartacea, il ricorso e il fascicolo possono essere depositati direttamente presso la Commissione tributaria.

Contestualmente alla costituzione, il ricorrente deve depositare la nota di iscrizione a ruolo (NIR), contenente l’indicazione delle parti, del difensore, dell’atto impugnato, della materia del contendere, del valore della controversia e della data della notificazione. Unitamente a quanto già indicato, il ricorrente deposita il proprio fascicolo, con l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato, se notificato, e i documenti che produce in originale o fotocopia.

Sospensione dell’atto impugnato

Il contribuente può chiedere al giudice la sospensione del pagamento se ritiene che l’atto impugnato possa causargli un danno grave e irreparabile.

I gradi di giudizio successivi al primo

Dopo la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, è possibile ricorrere in appello alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado. Il ricorso in appello è proposto nelle stesse forme e con le stesse modalità del ricorso in primo grado e deve essere depositato nella segreteria della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado entro trenta giorni dalla proposizione.

Le sentenze pronunciate in grado d’appello possono essere impugnate con ricorso per Cassazione, per i motivi fissati dalla legge (legittimità). Il ricorso per Cassazione deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato iscritto nell’apposito albo, munito di procura speciale.

Avviso di accertamento e cartella esattoriale

Molti confondono l’avviso di accertamento con la cartella esattoriale. Nel primo caso si tratta di una comunicazione inviata dall’Agenzia delle Entrate (o da un Comune, o da una Regione) in cui viene richiesto il pagamento di una certa somma di denaro corrispondente all’imposta non versata o alla cifra mancante. Si tratta di una richiesta di saldo di una eventuale irregolarità di tipo fiscale.

A questo punto il cittadino può procedere tramite impugnazione del provvedimento, oppure può direttamente provvedere al saldo dell’imposta richiesta. Nel momento in cui soggetto decide di saldare il debito non è più necessario che intervenga l’Agenzia delle Entrate-Riscossioni a richiedere ulteriormente il pagamento tramite cartella esattoriale.

Mentre l’avviso di accertamento consiste in una comunicazione a causa di un controllo specifico, la cartella esattoriale invece consiste un documento che autorizza il fisco a procedere in modo esecutivo, tramite pignoramento o misure similari. Anche la cartella esattoriale può essere impugnata entro un termine di tempo, tuttavia questa è una fase successiva alla semplice comunicazione di accertamento fiscale.

Quando invece si parla di notifica tramite avviso bonario, si fa riferimento ad uno step ancora precedente all’accertamento, in questo caso la comunicazione è più blanda e permette al cittadino di controllare eventuali pagamenti arretrati delle imposte o agire per difendersi dalla richiesta.

Le cartelle esattoriali in quest’ultimo periodo sono al centro dell’attenzione dello Stato, a causa dell’ammontare non indifferente del numero di cartelle cumulato dai cittadini. Per questo motivo in alcuni casi è stata decisa la cancellazione delle cartelle con importi ridotti, anche tramite meccanismi di pace fiscale.

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    Elisa Migliorini
    Elisa Migliorinihttps://www.linkedin.com/in/elisa-migliorini-0024a4171/
    Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Firenze. Approfondisce i temi legati all'IVA ed alla normativa fiscale domestica oltre ad approfondire aspetti legati al diritto societario.
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