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Distacco transnazionale dei lavoratori

Fisco NazionaleFiscalità del lavoroDistacco transnazionale dei lavoratori

Il distacco di lavoratori si realizza, quando, il datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse legato alla gestione dell'impresa, mette temporaneamente a disposizione di un altro datore di lavoro uno o più lavoratori, che sono alle sue dipendenze.

Nell’ambito della gestione delle risorse umane, lo strumento del distacco del personale, è uno strumento molto utilizzato, soprattutto nei grandi gruppi societari che hanno sede (legale e/o operativa) in vari Paesi.

Per il datore di lavoro distaccante perché, di volta in volta, ha la possibilità di incrementare il proprio know-how. Per il datore di lavoro distaccatario per poter utilizzare le prestazioni del lavoratore.

Quando si realizza il distacco del lavoratore

Il distacco del lavoratore è disciplinato dall’art. 30 del D.Lgs. n. 276/03 e si realizza, quando, il datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.

Il datore di lavoro può decidere, mediante il suo potere direttivo, di far svolgere la prestazione di lavoro presso un datore di lavoro diverso, per soddisfare un proprio interesse legato alla gestione dell’impresa. In questo rapporto contrattuale vengono coinvolte tre categorie di soggetti:

  • La società distaccante (datore di lavoro): mantiene in parte i poteri direttivi sul lavoratore, eccetto quelli che, devono essere esercitati direttamente dal distaccatario presso il quale viene svolta l’attività lavorativa. Resta responsabile del trattamento economico e normativo del lavoratore, tuttavia:
    • In caso di mutamento di mansioni necessita del consenso del lavoratore interessato;
    • In caso ditrasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.
  • La società distaccataria (l’utilizzatore): utilizza il lavoratore per soddisfare il proprio bisogno;
  • Il lavoratore distaccato.

Differenza con la somministrazione di lavoro

È fondamentale distinguere i distacchi di personale dalla somministrazione di lavoro, un’attività svolta da agenzie specializzate che mettono a disposizione lavoratori presso imprese terze. La somministrazione è un servizio commerciale che viene fornito a fronte di un corrispettivo.

La continuità del rapporto di lavoro

Attraverso il distacco del personale un datore di lavoro ha la possibilità di chiedere ad un proprio dipendente di svolgere l’attività lavorativa a favore di un terzo soggetto. Questo avviene modificando, temporaneamente, le modalità di svolgimento e di esecuzione degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro subordinato. Questo istituto consente di demandare l’esercizio del potere direttivo ad un terzo soggetto, non necessariamente appartenente allo stesso gruppo di imprese, attraverso un accordo contrattuale.

Attraverso questa operazione la prestazione lavorativa deve essere eseguita a beneficio della società distaccataria. Tuttavia, sul piano funzionale continua ad operare la causa del contratto di lavoro con la società distaccante, permanendo in capo alla stessa la titolarità del rapporto di lavoro.

Il consenso del lavoratore

Seppur consigliabile, non è richiesta la forma scritta del consenso prestato da parte del lavoratore, né ai fini della validità dello stesso, né ai fini della prova. Non vi è traccia nell’art. 30 del D.Lgs. n. 276/03 della possibilità di disporre un demansionamento, il quale infatti resta attuabile nei soli casi oggi espressamente previsti dall’art. 2103 c.c.

Con la circolare 15 gennaio 2004 n. 3, il Ministero del Lavoro aveva precisato che il consenso del lavoratore vale a ratificare l’equivalenza delle mansioni laddove il mutamento di esse, pur non comportando un demansionamento, implichi una riduzione e/o specializzazione dell’attività effettivamente svolta, inerente al patrimonio professionale del lavoratore stesso. Quindi, ai sensi dell’art. 30, comma 3 del D.Lgs. n. 276/03 deve essere richiesto richiesto il consenso del lavoratore in presenza di un mutamento di mansioni che, seppur effettuato nell’ambito del principio di equivalenza modifichi in modo concreto e rilevante le attività lavorative del dipendente.

Interesse produttivo del distaccante

La legge stabilisce che, il passaggio dei lavoratori presso un altro datore di lavoro deve essere motivato da un interesse legato alla gestione dell’impresa. La Circolare del Ministero del Lavoro n. 3 del 2004 ha stabilito che, per essere legittimo, deve essere fondato su un qualunque interesse produttivo del distaccante che non coincida con quello della pura e semplice somministrazione del lavoro altrui.

L’interesse del distaccante, deve essere specifico, rilevante, concreto e persistente, da accertare caso per caso, in base alla natura dell’attività espletata. Può trattarsi di qualsiasi interesse produttivo del distaccante, anche di carattere non economico, che tuttavia non può mai coincidere con l’interesse lucrativo connesso alla mera somministrazione di lavoro.

Durata temporanea

I distacchi devono essere, necessariamente, temporanei, non potendo essere definitivo anche se non è necessario che abbia una durata predeterminata. In assenza di tali requisiti di legittimità, il lavoratore può fare ricorso in giudizio per la costituzione di un rapporto di lavoro con il il datore di lavoro presso cui è stato distaccato.

Requisiti dell’operazione

Il lavoratore distaccato, pur rimanendo formalmente dipendente dal datore di lavoro distaccante risulta inserito nell’organizzazione del distaccatario. Questo determina la delega al datore di lavoro distaccatario del potere direttivo sul lavoratore distaccato. È in questi termini che possiamo identificare i tre requisiti indispensabili:

  • L’interesse del distaccante. Tale interesse deve essere relativo all’esercizio dell’attività di impresa propria del distaccante. Pertanto, deve coincidere con un interesse produttivo o organizzativo;
  • La temporaneità. La destinazione del lavoratore presso l’azienda distaccataria deve avere una durata predeterminata. Tale durata, generalmente, coincide con il perdurare dell’interesse del distaccante;
  • Consenso del lavoratore. Il consenso del lavoratore è necessario solo qualora comporti:
    • Una modifica delle mansioni, oppure
    • Un trasferimento verso una unità produttiva posta ad oltre 50km da quella in cui lavoratore è adibito.

È nel rispetto di queste condizioni che è necessario andare a stipulare contratti appositi al fine di disciplinare le transazioni tra le aziende coinvolte nell’operazione. Infatti, l’operazione deve essere supportata dalla predisposizione di un’adeguata documentazione avente l’obiettivo di disciplinare e regolare tutte le condizioni relative al servizio.

Da non dimenticare che, la contrattualistica, è utile al fine di identificare le modalità di determinazione del costo da riaddebitare alla società beneficiaria. Inoltre, da un punto di vista formale, è sempre consigliabile redigere, preliminarmente, un accordo tra la società distaccante e la società distaccataria che indichi i motivi dell’operazione.

Le parti fondamentali del contratto

Volendo essere quanto più possibile sintetici e schematici è possibile affermare che un contratto di distacco del personale dipendente dovrebbe prevedere i seguenti punti fondamentali:

  • Sede di lavoro: identifica la/e sede/i di prestazione dell’attività lavorativa da parte del lavoratore distaccato. È necessario che l’attività lavorativa sia prestata in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro;
  • Durata: In ragione del mutamento “temporaneo” del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa è necessario identificare il periodo di durata. In alcuni casi, è prevista contrattualmente la possibilità di proroga o rientro anticipato del lavoratore presso la società distaccante;
  • Mansioni del lavoratore: Si tratta specificare le attività che il lavoratore distaccato deve svolgere presso la società distaccataria. È opportuno indicare le mansioni del lavoratore e l’eventuale trasferimento dei relativi poteri gerarchici in capo alla società distaccataria. Tali poteri (con la sola eccezione del potere di licenziamento) passano in capo alla società distaccataria. Questa impartisce, a sua volta, al lavoratore distaccato tutte le direttive necessarie allo svolgimento della stabilita attività lavorativa;
  • Orario di lavoro: È opportuno indicare gli orari di lavoro e i giorni di ferie/assenze. Generalmente, si prevede che il lavoratore rispetterà le condizioni di lavoro previste dalla legislazione locale e le disposizioni interne della struttura presso la quale è distaccato;
  • Retribuzione: Solitamente, il pacchetto retributivo in favore del lavoratore distaccato è composto dalle seguenti componenti: da una:
    • retribuzione annua lorda, corrispondente alla retribuzione percepita dal lavoratore per l’attività prestata in favore della società distaccante;
    • retribuzione aggiuntiva per il lavoro prestato presso la società distaccata. Può essere prevista, ad esempio, un’indennità in favore del lavoratore distaccato (generalmente corrispondente ad un importo fisso) diretta a compensare la disponibilità dello stesso all’espatrio e i disagi derivanti. Inoltre, si potrebbe prevedere un ulteriore premio di incentivazione corrispondente ad un premio di rendimento correlato all’attività svolta all’estero in funzione del grado di raggiungimento di determinati obiettivi, in linea con le politiche aziendali. Inoltre, vengono usualmente garantiti al lavoratore distaccato una serie di benefits volti a rendere maggiormente agevole il periodo all’estero. Ad esempio, classico caso è l’utilizzo di un appartamento, un determinato numero di viaggi A/R annuale per motivi personali, auto aziendale e tutti i viaggi necessari per specifiche ragioni di servizio. Al termine, il trattamento economico del lavoratore dipendente viene generalmente ripristinato sulla base di quanto previsto antecedentemente. La legge stabilisce che il distaccante deve provvedere alla retribuzione del lavoratore distaccato. Il distaccante deve, inoltre: Provvedere al versamento dei contributi calcolati tenendo presente l’inquadramento del dipendente presso il datore di lavoro originario; Assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali presso l’INAIL.

Adempimenti contributivi ed assicurativi

La società distaccataria resta responsabile, in quanto datrice di lavoro, per il pagamento dei contributi e dei premi assicurativi. In particolare:

  • Contributi previdenziali: la distaccante deve adempiere agli obblighi contributivi – da definire sulla base del proprio inquadramento – anche con riferimento ai compensi erogati dalla distaccataria;
  • Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e malattie: la distaccante deve adempiere agli obblighi assicurativi in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali sulla base dei premi e tariffa del soggetto distaccatario. La distaccante deve adempiere agli obblighi di comunicazione nel caso di infortunio;
  • Ammortizzatori sociali: per tutta la durata dell’operazione il lavoratore distaccato non può essere ricompreso tra i beneficiari dell’integrazione salariale non prestando servizio presso l’unità produttiva della distaccante che ha presentato l’istanza di CIGO. Parimenti il lavoratore non può essere posto in CIG nel caso in cui l’integrazione salariale venga richiesta dalla distaccataria, restando un dipendente della distaccante. In caso di distacco parziale il lavoratore può essere posto in cassa integrazione solo dal datore di lavoro distaccante, restando comunque esclusi i periodi lavorati presso la distaccataria.

I rimborsi dalla distaccataria alla distaccante

L’importo del rimborso non può superare quanto effettivamente corrisposto al lavoratore dal datore di lavoro distaccante. Il rimborso può riguardare la retribuzione corrente (mensile/giornaliera/oraria), i ratei, le quote di TFR, le ferie, i permessi maturati e tutte le somme collegate alla prestazione resa dal dipendente.

Lettera al lavoratore ed accordo tra aziende

Il distaccante deve consegnare al lavoratore una lettera contenente:

  • Le indicazioni del datore di lavoro distaccante, come la ragione sociale, sede legale, unità produttiva presso cui il dipendente dovrà rendere la prestazione di lavoro;
  • Data di inizio;
  • Durata, se preventivabile;
  • Interesse del distaccante.

Il secondo adempimento da effettuare è l’accordo, ovvero un’accordo tra distaccante e distaccatario e regolamenta il passaggio del dipendente, il quale deve indicare:

  • Dati identitifcativi delle parti;
  • Dati identitificativi del dipendente;
  • Interesse del distaccante;
  • Mansioni;
  • Rimborso, da parte del datore di lavoro distaccatario al distaccante. Il rimborso può coprire le spese vive che l’azienda distaccante sostiene: retribuzione del dipendente; contributi previdenziali ed assistenziali;eventuali altri emolumenti erogati al dipendente.

Controlli antielusivi

Il D.Lgs. n. 136/16 ha introdotto queste nuove disposizioni al fine di contrastare il fenomeno della fittizia allocazione di un datore di lavoro in stati dell’Unione europea con regimi contributivi meno rigorosi di quello italiano, di lavoratori dipendenti. Per questo motivo, vengono dettate una serie di disposizioni stringenti per appurare l’autenticità dell’operazione.

In particolare, l’articolo 3 del D.Lgs. n. 136/16 prevede che al fine di accertare se l’impresa distaccante eserciti effettivamente attività diverse rispetto a quelle di mera gestione o amministrazione del personale dipendente sono valutati una serie di elementi fra cui:

  • Il luogo in cui l’impresa ha la propria sede legale e amministrativa, i propri uffici, reparti o unità produttive;
  • Il luogo in cui l’impresa è registrata alla Camera di commercio;
  • Il luogo in cui i lavoratori sono assunti e quello da cui sono distaccati;
  • Il luogo in cui l’impresa esercita la propria attività economica principale e in cui risulta occupato il suo personale amministrativo;
  • Il numero dei contratti eseguiti o l’ammontare del fatturato realizzato dall’impresa nello Stato membro di stabilimento, tenendo conto della specificità delle piccole e medie imprese e di quelle di nuova costituzione.

Elementi di controllo

Inoltre, al fine di accertare se il lavoratore  dipendente è veramente distaccato gli organi ispettivi sono tenuti a valutare una serie di elementi, tra cui:

  • Il contenuto, la natura e le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa e la retribuzione del lavoratore;
  • La circostanza che il lavoratore eserciti abitualmente la propria attività nello Stato membro da cui è stato distaccato;
  • La temporaneità dell’attività lavorativa svolta in Italia;
  • La circostanza che il lavoratore sia tornato o si preveda che torni a prestare la sua attività nello Stato membro da cui è stato distaccato;
  • La circostanza che il datore di lavoro che distacca il lavoratore provveda alle spese di viaggio, vitto o alloggio;
  • eventuali periodi precedenti in cui la medesima attività è stata svolta dallo stesso o da un altro lavoratore distaccato;
  • L’esistenza del certificato relativo alla legislazione di sicurezza sociale.

Effetti di operazioni fittizie

Nelle ipotesi in cui l’operazione viene effettuata in favore di un’impresa stabilita in Italia non risulti autentico, il lavoratore dipendente è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, quindi assoggettato a tassazione italiana. In tali casi il quadro sanzionatorio risulta essere applicabile ad entrambe le parti in causa: il distaccante e il soggetto che ha utilizzato la prestazione dei lavoratori distaccati sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. In ogni caso l’ammontare della sanzione non può essere inferiore a 5.000 euro né superiore a 50.000 euro.

Disciplina fiscale del distacco

Per quanto riguarda la disciplina fiscale dei redditi da lavoro dipendente occorre prestare particolare attenzione. Infatti, ipotizzando un’azienda italiana distaccante questa è tenuta ad applicare la ritenute fiscali sul compenso erogato al lavoratore.

Territorialità dei redditi transnazionali

L’art. 15 del Modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni prevede l’imponibilità dei redditi di lavoro dipendente nello Stato in cui viene esercitata l’attività di lavoro, secondo la legislazione di tale Stato. Tuttavia, a questo principi generale vi sono da considerare alcune deroghe. Si tratta dell’esenzione nello Stato in cui è svolta l’attività di lavoro dipendente e tassazione nel solo Stato di residenza del lavoratore al verificarsi di tutte le seguenti condizioni:

  • Il beneficiario dei redditi deve soggiornare nello Stato in cui esercita l’attività di lavoro per un periodo (o per periodi) che non oltrepassa (oltrepassano) i 183 giorni nel corso dell’anno fiscale considerato;
  • Le remunerazioni vengono pagate da, o per conto di, un datore di lavoro che non è residente nello Stato nel quale viene svolta l’attività di lavoro. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro sia una società di persone fiscalmente trasparente, occorre avere riguardo alla residenza fiscale dei soci anziché della società;
  • Le remunerazioni pagate da un datore di lavoro non residente nello Stato dove viene svolta l’attività non sono sostenute da una stabile organizzazione, o da una base fissa, che il datore di lavoro ha nello Stato in cui è svolta l’attività.

Come effettuare il computo dei giorni di presenza all’estero?

Per il computo dei 183 giorni si deve fare riferimento ad un periodo di 12 mesi che inizia o si conclude nell’anno fiscale considerato. Quindi l’attività svolta dal 10 settembre 2025 al 1° marzo 2026 si considera non rientrante nell’esenzione. Il periodo di 183 giorni si basa sull’effettivo soggiorno (“days of physical presence method). Sono inclusi nel calcolo: il giorno di arrivo e di partenza e tutti gli altri giorni trascorsi nello Stato in cui viene esercitato il lavoro, quali i sabati e le domeniche, le feste nazionali, i giorni di ferie, le interruzioni, i giorni di malattia. Non devono, invece, essere conteggiate le ferie e i periodi di interruzione dal lavoro trascorsi al di fuori dello Stato in cui il lavoro viene svolto, nonché i soggiorni relativi a spostamenti o movimenti al di fuori dello Stato in cui viene esercitata l’attività.

Il regime convenzionale per gli emolumenti di fine rapporto (TFR)

compensi corrisposti per la cessazione del rapporto di lavoro hanno la funzione di indennizzare il lavoratore per la cessazione del rapporto. Detti compensi sono, quindi, legati al rapporto di lavoro intercorso tra il datore di lavoro e lavoratore. Si tratta di somme versate in unica soluzione al momento dello scioglimento del rapporto di lavoro e in genere, nei regimi fiscali nazionali, seguono regole di tassazione particolari. Nel caso in cui il compenso venga erogato da un datore di lavoro italiano verso un lavoratore residente all’estero, si deve seguire le indicazioni dell’art. 23, co. 2, lett. a) del TUIR.

Questa disposizione prevede una presunzione assoluta, in base alla quale si devono considerare prodotti nel territorio italiano i redditi derivanti da indennità di fine rapporto, se corrisposti da soggetti residenti o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti. La potestà impositiva per questi redditi prescinde dalla residenza del soggetto percettore, in quanto dipendente esclusivamente dalla residenza del soggetto erogante l’emolumento. Nemmeno il luogo ove viene svolta l’attività lavorativa è rilevante (in Italia o all’estero).

A livello convenzione il Modello OCSE non prevede una specifica disposizione per il trattamento di fine rapporto. Il riferimento, quindi, deve essere all’art. 15 del modello OCSE. Secondo questa disposizione la potestà impositiva di questi redditi è legata alla quota parte maturata nello Stato in cui l’attività lavorativa è svolta, indipendentemente dallo Stato di residenza del percipiente al momento dell’effettiva percezione del reddito. Questo principio è stato più volte confermato dalla stessa Agenzia delle Entrate.

Le retribuzioni convenzionali

Il criterio generale di tassazione dei redditi da lavoro dipendente in distacco prevede come base imponibile l’ammontare delle retribuzioni effettivamente erogate. Tuttavia, è opportuno verificare l’applicazione dell’articolo 51 comma 8-bis del DPR n. 917/86 (TUIR). Si tratta della particolare disposizione, obbligatoria, che riguarda la tassazione del reddito da lavoro dipendente seguendo le c.d. “retribuzioni convenzionali“. La norma di riferimento sopra citata prevede che:

il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317 convertito, con modificazioni dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398″.

Secondo questa disposizione il reddito da lavoro dipendente prodotto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano all’estero, pur mantenendo la propria residenza fiscale in Italia è determinato secondo le retribuzioni convenzionali.

Le retribuzioni convenzionali sono dei redditi figurativi che si determinano in base alle tabelle delle retribuzioni convenzionali pubblicate annualmente dall’Inps, utili anche ai fini previdenziali. Da un punto di vista fiscale il lavoratore che le applica, solitamente, può beneficiare di una agevolazione data dal fatto che tale reddito convenzionale è generalmente meno elevato rispetto al reddito effettivamente percepito. Da ricordare che, le retribuzioni convenzionali si rendono applicabili solo per i lavoratori che appartengono a specifici settori lavorativi.

Transfer pricing

In caso di distacco transfrontaliero di personale nell’ambito di un gruppo multinazionale, è necessario verificare che l’operazione sia compliance alla normativa sul transfer pricing. L’operazione, rientrando tra le prestazioni di servizi deve essere in linea con i principi OCSE, per poterne giustificare il riaddebito tra due società del gruppo. È fondamentale che vi sia un effettivo beneficio per la distaccataria per giustificare l’operazione economica.

Inoltre, è necessario che gli oneri addebitati tra le società del gruppo siano correttamente allocati e rispettino il c.d. arm’s length principle. Gli oneri sostenuti devono riflettere il valore del servizio rese e delle funzioni effettivamente svolte dai lavoratori. Pertanto, il margine eventualmente applicato ai costi addebitati dovrebbe essere determinato in conformità con i metodi di transfer pricing riconosciuti a livello internazionale. Nel caso di prestazioni di servizi la metodologia più appropriata sia quella del c.d. “cost plus mark-up”, ovvero dei costi sostenuti per la realizzazione del servizio maggiorati di un congruo margine di ricarico (mark-up). Aspetto, questo, da valutare con particolare attenzione, anche attraverso l’ausilio di professionisti specializzati. Infatti, qualora non ne ricorrano i presupposti, è necessario effettuare un mero riaddebito del solo costo del lavoro sostenuto dalla società distaccante.

Stabile organizzazione

Le operazioni che portano a distaccare personale dipendente in un contesto transfrontaliero potrebbe comportare il rischio di configurazione di una stabile organizzazione per la società distaccante nel paese di destinazione: qualora il dipendente distaccato svolga attività quali la negoziazione e la conclusione di contratti in nome e per conto della società distaccante, le autorità fiscali locali potrebbero riqualificare l’operazione identificando la presenza di una branch della distaccante nel Paese di ubicazione della distaccataria. Questo implicherebbe l’obbligo, per la società distaccante, di dichiarare e tassare parte del reddito prodotto nel paese ospitante.

Applicazione dell’IVA

L’art. 16-ter del D.L. n. 131/24 ha previsto, a partire dai contratti costituiti dal 1° gennaio 2025, l’applicazione dell’Iva nei distacchi del personale. Di fatto, è stato abrogato l’art. 8, co. 35 della Legge n. 67/88, la quale prevedeva la non rilevanza Iva di queste operazioni, nel caso in cui la distaccataria si limitasse a rimborsare alla distaccante l’esatto importo del costo del lavoratore.

Per individuare l’applicazione dell’IVA è necessario verificare, sul piano oggettivo, l’esistenza di un nesso diretto tra l’operazione e l’ammontare pagato dalla distaccataria alla distaccante. In pratica, a prescindere dal rapporto tra quanto versato e l’ammontare della retribuzione spettante al lavoratore distaccato (importo pari, superiore o inferiore alla retribuzione) è necessario tenere conto del condizionamento reciproco delle rispettive obbligazioni e di conseguenza della natura di corrispettivo dell’ammontare percepito dalla distaccante.

L’assoggettamento all’IVA dei distacchi implica la necessità di emettere fattura per ogni singola operazione. La fattura dovrà includere tutti i dettagli relativi alla prestazione, compreso il costo del personale distaccato e l’aliquota IVA applicabile (attualmente al 22%). Questo significa che ogni operazione di assegnazione di lavoratori deve à essere accompagnata da una documentazione precisa, che includa non solo i costi effettivi, ma anche l’eventuale applicazione di altri oneri.

Disciplina previdenziale

Da un punto di vista previdenziale, in primo luogo, è necessario identificare la legislazione applicabile in ossequio al “principio di territorialità contributiva“. In base al suddetto criterio il lavoratore è soggetto alla legislazione dello Stato in cui svolge la propria attività lavorativa. Il lavoratore continua ad essere assicurato in base alla legislazione del Paese in cui ha sede l’impresa, a condizione che sia in possesso del certificato di distacco. Pertanto, continuano a trovare applicazione i principi di carattere generale del lavoro subordinato (Circolare n. 18/2005 dell’Inps). Qualora, l’operazione sia di tipo transnazionale occorre distinguere tra trasferimenti in:

  • Un Paese europeo;
  • Un Paese extraeuropeo.

Vediamo queste due casistiche in dettaglio.

Ambito europeo

In ambito europeo di un cittadino italiano, o di un cittadino europeo assunto e retribuito da società di diritto italiano, non è richiesta alcuna autorizzazione amministrativa. Vige, in questi casi, il principio di libertà di circolazione in ambito UE. Il presupposto è il possesso della cittadinanza italiana, o di uno Stato UE (in virtù del principio di parità di trattamento, vedasi la Direttiva n. 2004/38/CE recepita con il D.Lgs. n. 30/07). In questi casi è di fondamentale importanza comunque verificare la procedura di iscrizione negli uffici anagrafici e per il rilascio dei documenti di identità per il soggiorno nel Paese.

Da un punto di vista previdenziale occorre prendere a riferimento il Regolamento CE n. 883/04, secondo il quale “una persona che esercita un’attività subordinata o autonoma in uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale stato membro” (art. 11, par. 3, Regolamento CE n. 883/04). Tuttavia, in deroga a questa disciplina è previsto che “la persona che esercita un’attività subordinata in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro che vi esercita abitualmente le sue attività ed è da questo distaccata, per svolgervi lavoro per suo conto, in un altro Stato membro, rimane soggetta alla legislazione del primo Stato a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i 24 mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona distaccata“.

Pertanto, in un paese europeo il dipendente continua a versare i contributi in Italia a patto che la durata del distaccamento non duri più di 24 mesi. Le norme dell’Unione Europea prevedono l’obbligo del datore di lavoro distaccante di inviare all’autorità competente del paese di invio del lavoratore di una apposita comunicazione (modello A1, vedasi messaggio INPS n. 218/16). Tale periodo, può essere successivamente prorogato fino a cinque anni in caso di rinnovo. Queste disposizioni riguardano i Paesi UE, ma anche:

  • I tre Paesi che hanno aderito all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (Accordo SEE): Islanda, Liechtenstein e Norvegia;
  • Alla Svizzera.

Ambito extra europeo

I datori di lavoro italiani operanti in Paesi extra-UE, indipendentemente dal fatto che siano legati o meno con l’Italia da Accordi di sicurezza sociale, quando intendono inviare all’estero (Paese extra-UE) un proprio dipendente non sono tenuti a chiedere apposita autorizzazione al Ministero del Lavoro.

Per la tutela previdenziale anche in questo caso resta valido il principio della territorialità applicato in ambito UE, secondo il quale i contributi previdenziali devono essere versati nel luogo di esercizio della prestazione lavorativa. Tuttavia, occorre verificare se tra l’Italia ed il paese estero è presente un accordo bilaterale sia in materia fiscale che contributiva e capire cosa prevede tale accordo. Generalmente, si tratta di accordi che permettono al lavoratore di mantenere il regime previdenziale italiano. In particolare, possiamo distinguere i seguenti casi:

  • Paesi extra-UE legati da accordi previdenziali con l’Italia: è possibile continuare a versare i contributi previdenziali in Italia per un periodo di tempo che varia da Stato a Stato. L’Italia, al momento, ha stipulato convenzioni bilaterali in materia di previdenza con i seguenti Stati: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Capoverde, Corea del Sud, Israele, Jersey, Isole del Canale, Serbia, Kosovo, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Principato di Monaco, Repubblica di San Marino, Santa Sede, Stati Uniti d’America, Tunisia, Turchia, Uruguay, Venezuela;
  • Paesi extra-UE non convenzionati: in questi casi è previsto una tutela minima per i lavoratori italiani a prescindere dall’eventuale presenza di una tutela assicurativa nel Paese di destinazione. In tali casi il lavoratore viene iscritto all’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, all’assicurazione contro la disoccupazione involontaria, assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, assicurazione contro le malattie, assicurazione di maternità. I contributi dovuti per i regimi assicurativi previsti sono calcolati secondo le retribuzioni convenzionali. I datori di lavoro sono, inoltre, tenuti al pagamento del contributo al Fondo di garanzia per il TFR, tenuto presso l’INPS.

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Fonti:

  • Agenzia delle Entrate
  • INPS
  • REGOLAMENTO (CE) N. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (versione consolidata del 08.01.2013);
  • REGOLAMENTO (CE) N. 987/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009 che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (versione consolidata del 08.01.2013).
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    Federico Migliorini
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    Dottore Commercialista, Tax Advisor, Revisore Legale. Aiuto imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale. La Fiscalità internazionale le convenzioni internazionali e l'internazionalizzazione di impresa sono la mia quotidianità. Continuo a studiare perché nella vita non si finisce mai di imparare. Se hai un dubbio o una questione da risolvere, contattami, troverò le risposte. Richiedi una consulenza personalizzata con me.
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