Lavori ad Abu Dhabi o a Dubai e vuoi sapere se devi dichiarare anche in Italia i tuoi redditi? Hai passato un periodo di lavoro negli Emirati, e adesso ti chiedi se devi presentare la dichiarazione dei redditi in Italia? In questo articolo puoi trovare le risposte a queste domande. Negli ultimi anni trasferirsi all’estero in cerca di fortuna è stata la strada praticata da molti giovani. Non è difficile restare attratti dal fascino di Abu Dhabi e degli Emirati per trovare lavoro e fare carriera. Se stai leggendo questo articolo molto probabilmente è perché stai effettuando un lavoro negli Emirati, oppure vi hai lavorato nel corso dell’ultimo anno e vuoi sapere se sei tenuto a dichiarare in Italia i redditi esteri che hai percepito.
Come avrai avuto modo di constatare personalmente, la tassazione dei redditi percepiti all’estero è sempre un aspetto che genera molta confusione, in quanto vi sono vari aspetti da tenere in considerazione per capire dove devono essere tassati i redditi percepiti all’estero. Vi sono poi differenze a seconda della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e lo Stato estero ove il reddito è stato percepito. Per questo motivo, dare una risposta generale non è mai possibile, ma è sempre opportuno andare ad analizzare in dettaglio ogni situazione.
Indice degli Argomenti
- Lavoro negli Emirati e tassazione del reddito: il caso di partenza
- La residenza fiscale dei contribuenti
- Criteri di collegamento dei redditi da lavoro estero di soggetti fiscalmente residenti in Italia
- Tassazione del reddito da lavoro negli Emirati: come evitare la doppia imposizione?
- Attenzione alla normativa sul monitoraggio fiscale
- Conclusioni e consulenza fiscale online
Lavoro negli Emirati e tassazione del reddito: il caso di partenza
In questo contributo ho deciso di occuparmi del caso classico che riguarda i redditi da lavoro negli Emirati percepiti da un soggetto fiscalmente residente in Italia, che si chiede se e come sia tenuto a dichiarare nel nostro Paese questi redditi. Per aiutarti, prendo il caso di un soggetto, che chiameremo Andrea. Questi ha trascorso 10 mesi negli Emirati nel corso dell’anno precedente per lavorare come financial manager per una multinazionale. Andrea si è trasferito dall’Italia proprio per avere l’opportunità di lavorare per questa società, ove ha svolto un periodi di pratica di 18 mesi.
Andrea sapendo già che il periodo all’estero non sarebbe stato prolungato ha deciso di non effettuare l’iscrizione all’AIRE, rimanendo a tutti gli effetti una persona residente fiscalmente in Italia, domiciliata temporaneamente per effettuare un lavoro negli Emirati Arabi Uniti. Per questi motivi è molto dubbioso circa il da farsi per quanto riguarda la sua dichiarazione dei redditi in Italia. Deve presentarla? Che tassazione riceverà sui redditi esteri che ha percepito?
In questo contributo andremo a dare una risposta a queste domande. Ricordiamo che sono molti gli italiani, soprattutto studenti, ad avere un lavoro negli Emirati, magari temporaneo, per qualche mese o anno (manager, ingegneri, ma anche persone in cerca di fortuna), e si chiedono se sono tenuti a pagare le imposte sui redditi anche in Italia. Non è raro il caso in cui questi lavoratori italiani domiciliati all’estero, ignorino di dover pagare le imposte sul reddito anche in Italia. Andiamo ad analizzare, quindi, questa situazione per fornire una risposta chiara a questo argomento.
La residenza fiscale dei contribuenti
Il concetto fondamentale per stabilire ove un soggetto sia tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti è quello di “residenza fiscale“, così come disciplinata dall’articolo 2, comma 2, del DPR n. 917/86 (TUIR). È in base al concetto di residenza fiscale, infatti, che trova applicazione la potestà impositiva, a livello fiscale, di ogni Nazione. Secondo questa disposizione, un soggetto si considera fiscalmente residente in Italia se, alternativamente, verifica almeno una delle seguenti condizioni:
- Ha la residenza nel territorio dello Stato, ex art. 43 co. 2 c.c. – La residenza deve essere individuata nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale, con intenzione di rimanervi;
- Ha il domicilio nel territorio dello Stato. Per domicilio, deve intendersi “il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona“);
- È presente nel territorio dello Stato (considerando anche le frazioni di giorno);
- Salvo prova contraria, risulta iscritto nelle anagrafi della popolazione residente, presso i vari Comuni.
Ai sensi del successivo co. 2-bis dell’art. 2 del TUIR sono considerati fiscalmente residenti i soggetti trasferiti in paesi non collaborativi (“black list“), fino a loro prova contraria. Quindi, per i soggetti come Andrea trasferiti in paese black list come gli Emirati Arabi, resta la residenza fiscale in Italia, se Andrea non è in grado di provare che i suoi legami principali si trovano all’estero.
Il principio della tassazione su base mondiale dei redditi dei soggetti residenti
Ai sensi dell’art. 3 del TUIR i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono tenuti a dichiarare in Italia tutti i propri redditi, ovunque prodotti. Questo principio è uno dei pilastri fondamentali su cui si basa il nostro sistema fiscale, ma anche quello di molti dei sistemi fiscali dei Paesi europei. Il concetto è molto semplice: un soggetto è tenuto a pagare le imposte (ovunque esse siano prodotte e/o percepite), in un unico Stato, quello di residenza, salvo poi ottenere un credito di imposta per le eventuali altre imposte già pagate nei Paesi ove i redditi sono stati percepiti (tassazione nello Stato della fonte).
Riassumendo, quindi, un lavoratore Italiano che svolge la sua attività lavorativa e ha la sua vita all’estero, ha ugualmente l’obbligo del versamento delle imposte sul reddito anche in Italia. Questo, nel caso in cui si trasferisca in Paese considerato non collaborativo e non riesca a dimostrare che i suoi effettivi legami sono prevalenti nello Stato estero, piuttosto che con l’Italia.
I legami con l’Italia nel caso prospettato
Nella situazione prospettata da Andrea la dimostrazione dell’effettiva residenza fiscale estera è nelle sue mani. Come detto il co. 2-bis dell’art. 2 del TUIR lascia nelle mani dell’espatriato in Paese non collaborativo l’onere di dimostrare l’effettività del suo trasferimento all’estero. Questo onere può dimostrarsi impossibile da dimostrare quando il proprio “domicilio” (ex art. 2 del TUIR) resta in Italia. Ovvero, quando in Italia rimangono i principali legami di natura personale e familiare del soggetto espatriato. Nel caso di Andrea, questi ha lasciato in Italia la moglie ed anche le sue due bimbe di 5 e 7 anni. Ebbene, in questo caso per la normativa italiana diventa davvero molto complicato dimostrare la prevalenza all’estero del proprio domicilio.
Per questo motivo, quando si lavora per un datore di lavoro estero occorre analizzare bene la propria situazione prima di accettare l’incarico. Questo, proprio per valutare la presenza di eventuali obblighi fiscali in Italia dati dalla propria situazione personale. Questo, al fine di evitare di commettere errori verso l’Italia.
La normativa convenzionale
Accanto alla normativa fiscale nazionale Italia ed Emirati Arabi Uniti hanno siglato una Convenzione contro le doppie imposizioni. Questa normativa, sovranazionale, prevede all’art. 4 dei criteri per identificare la residenza fiscale del contribuente che si trovi in una situazione di “dual residence“. Si tratta di una situazione dove sia Italia che Emirati, per le loro normative interne, possono considerare residente fiscalmente il soggetto nel proprio territorio. In questo caso è necessario andare ad analizzare le c.d. “tie breaker rules“. Solo dove una di questa offre una risposta diretta verso un unico Stato questo diventa quello di residenza fiscale.
La prima di queste regole riguarda l’abitazione permanente. Si tratta di individuare una sola abitazione dove il soggetto risiede stabilmente. Nel caso di Andrea, vi sarebbe l’abitazione emiratina, ma anche quella italiana dove risiedono moglie e figlie. Pertanto, occorre analizzare la regola successiva.
La seconda regola riguarda il c.d. “centro degli interessi vitali“, ovvero il centro degli interessi economici, patrimoniali e familiari di un soggetto. Anche in questo caso la situazione non porta ad una soluzione verso un unico Stato. Gli interessi economici portano versi gli Emirati, mentre quelli patrimoniali e sociali verso l’Italia.
La regola successiva è il soggiorno abituale. Nella situazione Andrea non è in grado di dimostrare un soggiorno abituale negli Emirati in quanto il tempo trascorso è parzialmente in a Dubai ed in parte in Italia, senza una prevalenza netta, svolgendo anche attività di lavoro in smart working. Inoltre, gli Emirati non hanno criteri rigidi per i visti di permanenza e questo ha portato ad una situazione altalenante di presenza nel Paese.
A questo punto l’ultima regola è quella legata alla cittadinanza, che di fatto, porta la residenza fiscale in Italia.
Quindi, come si trasferisce la residenza fiscale all’estero?
Come abbiamo visto, mantenere la propria iscrizione anagrafica in Italia e, comunque, i propri collegamenti familiari, economici, patrimoniali, etc comporta il mantenimento della residenza fiscale in Italia e quindi l’obbligo di dichiarare in Italia tutti i propri redditi. Per questo motivo, per evitare questa situazione è necessario cancellare domicilio e residenza dall’Italia e non risultare iscritti all’anagrafe di paesi italiani per almeno 183 giorni dell’anno in corso. Ma questo potrebbe non bastare. Per lo stato italiano, infatti, bisogna anche spostare gli “interessi vitali”. Cambiare la residenza ma mantenere famiglia (ipoteticamente, coniugi e figli) in Italia, avere una macchina che circola in Italia e una casa intestata in Italia continuerà a rendere il lavoratore in soggetto a residenza fiscale italiana.
Per questo motivo è fondamentale comprendere bene la propria situazione personale per individuare la propria residenza fiscale e capire i propri obblighi fiscali. Per questo al termine dell’articolo puoi trovare il link per contattarmi direttamente per ricevere una consulenza personalizzata sulla tua situazione.
Criteri di collegamento dei redditi da lavoro estero di soggetti fiscalmente residenti in Italia
Una volta individuata la residenza fiscale in Italia di Andrea, sia sulla base della normativa fiscale nazionale che convenzionale occorre interrogarsi sui criteri di collegamento del reddito da lavoro dipendente prodotto all’estero.
In base a quanto previsto dall’art. 3 del TUIR, i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono tenuti alla dichiarazione dei redditi sia di fonte italiana che di fonte estera. Questo, anche se questi ultimi hanno già scontato le imposte nel Paese estero in cui il reddito è stato prodotto. Per questo motivo, quindi, Andrea è tenuta ogni anno a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia e dichiarare i redditi esteri.
Tassazione del reddito da lavoro dipendente prodotto negli Emirati Arabi con residenza fiscale in Italia
Il reddito percepito dal contribuente, residente in Italia, a fronte della propria attività di lavoro dipendente, svolta negli Emirati Arabi rientra nell’ambito applicativo dell’art. 15, par. 1 della Convenzione tra Italia ed Emirati per evitare le doppie imposizioni. Tale disposizione prevede una tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del contribuente, a meno che tale attività non sia svolta nell’altro Stato contraente. In questo caso il reddito deve essere assoggettato a tassazione concorrente in entrambi in Paesi.
Quindi, questo significa che Andrea è tenuto ad assoggettata a tassazione concorrente in Italia (Stato di residenza del contribuente) e negli Emirati (Stato della fonte del reddito). L’eventuale doppia imposizione del reddito deve essere eliminata in Italia, ai sensi delle disposizioni contenute nell’art. 24, par. 2 della Convenzione per evitare le doppie imposizioni e dall’art. 165 del TUIR. In questo caso non si pongono problematiche di doppia imposizione in quanto gli Emirati non prevedono imposizione per i redditi da lavoro dipendente percepiti per attività svolta in loco.
Le eventuali giornate di lavoro effettuate da Lucia in Italia, come attività di smart working, devono essere assoggettate ad imposizione esclusiva nel nostro Paese (in quanto, tale ipotesi, Stato di residenza e Stato della fonte coincidono). Vedasi la risposta ad interpello n. 171/E/2023.
Lavorare negli Emirati Arabi per oltre 183 giorni con residenza italiana: le retribuzioni convenzionali
Il caso preso in esame riguarda una persona fisica che si è trovata a svolgere un’attività di lavoro negli Emirati, con la forma che conosciamo come “lavoro dipendente” per conto di un datore di lavoro residente degli EAU. Abbiamo visto come tale soggetto sia tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi ed a dichiarare il proprio reddito percepito. Per quanto riguarda le modalità di tassazione del reddito da lavoro dipendente di fonte estera, occorre fare riferimento al TUIR. In particolare, l’articolo 51, comma 8-bis, del TUIR prevede quanto segue:
Art. 51, co. 8-bis del TUIR – Retribuzioni convenzionali |
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“il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del ministro del Lavoro e della previdenza sociale” |
Si tratta di una prima agevolazione che consente di vedersi tassare non il reddito estero da lavoro dipendente effettivamente percepito, ma quello più favorevole previsto dalle retribuzioni convenzionali. Tuttavia, per poter applicare concretamente questa normativa, è necessario che il settore economico in cui viene svolta l’attività da parte del lavoratore dipendente sia previsto nel Decreto ministeriale che determina le retribuzioni convenzionali. Si tratta di un Decreto che viene puntualmente pubblicato e aggiornato ogni anno.
Condizioni previste per l’applicazione delle retribuzioni convenzionali
Inoltre, è necessario verificare anche le seguenti condizioni:
- Il lavoratore dipendente sia fiscalmente residente in Italia;
- Svolgimento di lavoro dipendente all’estero in via continuativa che opera in uno dei settori di attività individuati nel nel decreto ministeriale sulle retribuzioni convenzionali;
- Il lavoro sia oggetto esclusivo del rapporto;
- Soggiorno all’estero per un periodo superiore a 183 giorni anche non consecutivi.
Ti consiglio di prestare molta attenzione alla verifica congiunta di tutti questi requisiti. Tornando al caso analizzato appare evidente, che le retribuzioni convenzionali non possano trovare applicazione, ipotizzando che l’attività esercitata non rientri in uno dei settori per cui le retribuzioni convenzionali possono trovare applicazione.
Nel caso, quindi, il lavoratore è tenuto ad applicare le ordinarie disposizioni dell’art. 51 del TUIR. Questi, quindi, è tenuto a tassare il reddito da lavoro dipendente percepito negli EAU, anche in Italia, in modo analitico. Per evitare la doppia imposizione di questo reddito potrà applicare un credito di imposta, il cui funzionamento sarà analizzato di seguito.
Tassazione del reddito da lavoro negli Emirati: come evitare la doppia imposizione?
Come abbiamo visto, il lavoro negli Emirati, può comportare il pagamento delle imposte sui redditi in Italia. Questo è quanto è dovuto, almeno per il nostro caso preso in esame, in quanto Andrea si trova a dover pagare le imposte sia negli Emirati (se dovute) che in Italia, a fronte di uno stesso reddito percepito. Al fine di evitare questa doppia imposizione, conseguente al pagamento delle imposte sui redditi nel Paese di residenza del dichiarante oltre che nel Paese di produzione del reddito, sia la convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Emirati Arabi Uniti (firmata il cinque novembre 1997), sia il DPR n. 917/86 (TUIR), prevedono un principio generale di divieto della doppia imposizione, per cui la stessa imposta non può essere applicata più volte su uno stesso reddito.
Per potere applicare concretamente questo principio ci viene in aiuto l’articolo 165 del TUIR, il quale prevede che le imposte pagate a titolo definitivo sui redditi prodotti all’estero siano ammesse in detrazione dall’imposta netta, scaturente dal conguaglio di fine anno o dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo (ovvero non più rimborsabili), fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra redditi prodotti all’estero e reddito complessivo.
Imposte estere pagate a titolo definitivo
A prima vista può sembrare complicato, ma in pratica l’articolo 165 del TUIR prevede che il nostro lettore, cittadino Italiano, che sostanzialmente svolge la sua vita all’estero ma continua ad essere iscritto all’anagrafe comunale della popolazione residente abbia l’obbligo di contribuire alle imposte sul reddito in Italia. Nella sua dichiarazione dei redditi italiana, avrà diritto ad un abbattimento dell’Irpef (l’imposta sui redditi) pari all’ammontare delle imposte pagate negli Emirati a titolo definitivo (non devono essere presi in considerazione gli acconti). Questo credito, comunque, non potrà mai superare la quota di Irpef relativa al reddito estero.
Ad esempio se per un reddito pari a €. 1.000 la tassazione negli Emirati è pari a zero ed in Italia pari al 23% il nostro lettore verserà all’Amministrazione finanziaria Italiana tutta la tassazione dovuta del 23%, proprio perché negli Emirati per quel reddito non vi è tassazione, altrimenti l’imposta da pagare in Italia sarebbe stata differenziale rispetto a quella dovuta nel Paese ove si è percepito il reddito. In questo modo viene correttamente applicato il principio di divieto di doppia imposizione di uno stesso reddito, previsto dall’articolo 165 del DPR n. 917/86.
Attenzione alla normativa sul monitoraggio fiscale
Un altro aspetto da tenere in considerazione nella situazione oggetto di analisi è la disciplina sul monitoraggio fiscale. Le disposizioni sul monitoraggio fiscale sono contenute nel D.L. n. 167/90 (conv. Legge n. 227/90) e consentono all’Amministrazione finanziaria di avere una compiuta conoscenza delle attività detenute all’estero dai contribuenti residenti in Italia e, dunque, di controllare il corretto assolvimento dei relativi debiti tributari in applicazione del principio della tassazione in capo ai residenti del reddito ovunque prodotto. Infatti, questa normativa prevede che i soggetti fiscalmente residenti in Italia comunichino le attività patrimoniali e finanziarie detenute all’estero. Questa attività di monitoraggio si effettua attraverso la compilazione del quadro RW del modello Redditi.
Caso classico legato al monitoraggio fiscale è legato al conto corrente estero aperto dal contribuente per l’accredito dello stipendio. In questo caso occorre evidenziare che vi sono obblighi di segnalazione del conto corrente al superamento di una di queste soglie:
- Consistenza media annua del conto corrente superiore a 5.000 euro;
- Soglia di saldo giornaliero pari o superiore a 15.000 euro (anche solo per un giorno nell’anno).
Per la verifica della prima soglia, il contribuente è tenuto alla compilazione del quadro RW per il versamento dell’IVAFE (Imposta patrimoniale sulle attività finanziarie estere), che per i conti correnti è di importo fisso di 34,20 euro. In caso di superamento solo della seconda soglia il contribuente deve compilare il quadro RW con i dati del conto corrente ai soli fini del monitoraggio fiscale (con esenzione dal versamento dell’IVAFE).
Per approfondire: “Conto corrente estero nel quadro RW: guida alla compilazione“.
Per approfondire: “Conto corrente estero non dichiarato: possibilità di accertamento e sanzioni“.
Conclusioni e consulenza fiscale online
Cosa possiamo imparare dall’esame di questo caso? Prima di tutto è bene ribadire che in questi casi è fondamentale consultare un Commercialista esperto in fiscalità internazionale, quando si intende trasferirsi all’estero per periodi maggiori di 6 mesi, sia per studio che per lavoro, in modo da pianificare correttamente gli adempimenti fiscali conseguenti. Non potendo tuttavia generalizzare in quanto ogni situazione personale ha le sue peculiarità, quello che posso dirti è che se un cittadino Italiano svolge la sua vita (personale e/o lavorativa) all’estero, per evitare il pagamento delle imposte sul reddito anche in Italia dovrebbe trasferire la propria residenza fiscale all’estero, iscrivendosi all’AIRE.
La questione però non si risolve così semplicemente, è necessario che il contribuente che intende trasferirsi all’estero sposti con se il c.d. “centro degli interessi vitali“, intendendo con tale locuzione sia i suoi principali interessi familiari e lavorativi. Un soggetto che vuole trasferirsi all’estero lasciando la sua famiglia in Italia o i suoi principali interessi economici in Italia sarà sicuramente soggetto a controlli ed accertamenti, per questo è bene pianificare con cura ed in anticipo questi aspetti legati alla normativa fiscale. Questo, anche se potrà sembrarti poco conveniente, ti consentirà di risparmiarti in futuro un possibile lungo e costoso contenzioso fiscale con l’Amministrazione finanziaria.
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