I redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti da lavoratori che hanno trasferito la residenza in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 30% (o 10%). Articolo 16, commi 1 e 2 del D.Lgs. n. 147/15. Tutte le informazioni per i rientri in Italia fino al 2023.
L’agevolazione impatriati descritta in questo articolo riguarda i soggetti rientrati in Italia e con residenza fiscale in Italia sino al 2023. Per i soggetti rientrati dal 4 luglio al 31 dicembre 2023 è previsto un regime transitorio che permette di poter applicare questa norma agevolativa, verificandone i requisiti. A partire dal 1° gennaio 2024 è in vigore una nuova agevolazione i dettagli sono stati riportati in questo articolo dedicato al quale ti rimandiamo: “Agevolazione impatriati 2024 al 50% per 5 anni“. |
Una delle misure volte ad incentivare l’ingresso in Italia di lavoratori sicuramente più apprezzate e che ha registrato un ampio utilizzo è il regime dei lavoratori impatriati. Si tratta di una norma introdotta per la prima volta dall’articolo 16 del D.Lgs. n. 147/15 modificata in modo rilevante (per l’ultima volta) dal Decreto Crescita (D.L. n. 34/19).
La ratio della misura è intuitiva, garantire una parziale esenzione fiscale ai contribuenti che decidono di trasferire la residenza fiscale nel nostro Paese. Mi riferisco alla possibilità di tassare al 30% (o 10%) i redditi da lavoro dipendente, lavoro autonomo o di impresa (esercitati in forma individuale) per 5 periodi di imposta (di base) estendibili, al verificarsi di ulteriori condizioni, per ulteriori cinque anni.
La norma risulta particolarmente interessante ed applicabile sia ai cittadini italiani espatriati all’estero, sia a soggetti con cittadinanza estera che impatriano in Italia per lavoro. La norma è, quindi, volta ad incentivare il rientro in patria di lavoratori che negli ultimi anni hanno vissuto stabilmente all’estero. Tuttavia, allo stesso tempo si cerca di invogliare cittadini stranieri a trasferirsi in Italia per lavoro.
L’incentivo, come sempre in questi casi, è costituito da una agevolazione fiscale, legata alla riduzione della base imponibile IRPEF del lavoratore.
Attenzione, però!
La norma prevede una serie di requisiti da rispettare per poter beneficiare di questa agevolazione. Inoltre, la normativa richiede che sia il lavoratore a dover autocertificare la presenza di questi requisiti, senza poter beneficiare della possibilità di usufruire dell’interpello probatorio (ovvero la possibilità di chiedere direttamente all’Agenzia delle Entrate il rispetto o meno dei requisiti richiesti). Ho approfondito questa tematica in questo articolo: “Mancanza di interpello probatorio nell’agevolazione impatriati“.
Sono tantissime le domande che mi arrivano su questo argomento. Per questo motivo ho deciso di realizzare questo contributo per cercare di sciogliere i principali dubbi sull’argomento. Al termine di questo articolo potrai trovare i riferimenti per metterti in contatto come se vuoi farmi analizzare la tua situazione in relazione all’agevolazione fiscale per i lavoratori impatriati.
Indice degli Argomenti
- Regime dei lavoratori impatriati in Italia: la norma
- Requisiti soggettivi dell’agevolazione impatriati
- Esclusa la possibilità di un’interpello preventivo
- Decorrenza dell’agevolazione impatriati
- Proroga dell’agevolazione per un ulteriore quinquennio
- Chiarimenti di prassi relativi all’agevolazione impatriati in Italia
- Lavoratori del mondo dello sport ed agevolazione impatriati
- Lavoratori impatriati: richiesta dell’agevolazione
- Lavoratori Impatriati: ultimi chiarimenti sull’agevolazione
- Lavoratori impatriati in caso di distacco di lavoro dipendente all’estero
- Regime dei lavoratori impatriati in caso di trasferte internazionali dei lavoratori dipendenti
- Le sanzioni in caso di decadenza dall’agevolazione impatriati
- Regime degli impatriati e presentazione dell’istanza di interpello
- Agevolazione legata ai lavoratori impatriati in Italia: conclusioni
- Agevolazione legata ai lavoratori impatriati: FAQ
- Consulenza fiscale online
Regime dei lavoratori impatriati in Italia: la norma
Il regime dei lavoratori impatriati in Italia è disciplinato dall’articolo 16 del D.Lgs. n. 147/2015 c.d. “Decreto internazionalizzazione” (Gazzetta Ufficiale n. 132 dell’8 giugno 2016). Si tratta di una norma avente carattere strutturale, che dispone quanto segue:
Art. 16 D.Lgs. n. 17/15 – Lavoratori impatriati |
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I redditi di lavoro dipendente e assimilati, i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del DPR n 917/86 concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% del suo ammontare (…) |
L’agevolazione in commento prevede un duplice ambito di applicazione. Si tratta dei requisiti richiesti dal comma 1 e dal comma 2 dell’articolo 16 D.Lgs. n. 147/15. Ogni soggetto interessato all’agevolazione ha facoltà di verificare in quale dei due ambiti verificare i propri requisiti. In entrambi i casi l’agevolazione a cui si ha beneficio rimane identica. Questo significa che il contribuente che intende rientrare in Italia ha la possibilità di valutare autonomamente se andare a verificare i requisiti del co. 1 o del co. 2 del citato art. 16, al fine di individuare l’ambito migliore per la propria situazione personale di espatriato.
Andiamo ad analizzare, quindi, di seguito i due ambiti dell’agevolazione legata ai lavoratori impatriati in Italia, tenendo in considerazione anche quanto chiarito con la Circolare n. 33/E/2020 dell’Agenzia delle Entrate e con la precedente Circolare n. 17/E/2017 (Parte II, paragrafo 3).
Requisiti soggettivi dell’agevolazione impatriati
L’art. 16 del D.Lgs. n. 147/15 definisce i requisiti soggettivi ed oggettivi necessari per accedere al regime speciale dei lavoratori impatraiti. Come anticipato i requisiti del comma 1 e del comma 2 dell’articolo in commento sono da verificare alternativamente al fine di poter fruire dell’agevolazione.
Articolo 16, co. 1 del D.Lgs. n. 147/15: requisiti
Il comma 1 dell’articolo 16 del D.Lgs. n. 147/15, prevede il rispetto di alcuni requisiti per l’ottenimento dell’agevolazione. In particolare, la tassazione ridotta del reddito avviene rispettando le seguenti condizioni:
- Il lavoratore non deve essere stato residente fiscalmente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il rimpatrio;
- Il lavoratore si impegna a risiedere fiscalmente in Italia per almeno due anni;
- L’attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano.
Articolo 16, co. 2 del D.Lgs. n. 147/15: requisiti
Il successivo comma 2 dell’articolo 16, estende i medesimi benefici fiscali ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, della Legge n. 238/10. Si tratta dei cittadini dell’Unione Europea, che abbiano risieduto continuativamente per almeno 24 mesi in Italia e che, sebbene residenti nel proprio Paese di origine:
- Siano in possesso di un titolo di laurea, abbiano svolto continuativamente un’attività di lavoro, dipendente o autonomo, o un’attività di impresa fuori dal proprio Paese di origine e dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più;
- Abbiano svolto continuativamente un’attività di studio fuori del proprio Paese di origine e dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.
Relativamente ai rapporti tra i due menzionati commi, la Circolare n. 17/E/2017 ha chiarito che: “l’art. 16, comma 2, però, nonostante richiami espressamente i soggetti della Legge n. 238/10, secondo quanto si evince dal Decreto attuativo, richiede solo alcuni dei requisiti soggettivi” ivi previsti. In particolare, non si richiede, ad esempio: “né che il lavoratore sia stato precedentemente residente in Italia per almeno ventiquattro mesi e che resti in Italia per almeno cinque anni, né che abbia trasferito la residenza in Italia entro tre mesi dall’inizio dell’attività“. Tuttavia, come riportato dalla Circolare n. 33/E/2020 nonostante il comma 2 non indichi espressamente un periodo minimo di residenza estera come chiarito con la Risoluzione n. 51/E/2018, considerato che il medesimo comma 2 prevede un periodo minimo di lavoro all’estero di due anni, si ritiene che anche per detti soggetti “la residenza all’estero per almeno due periodi di imposta costituisca periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire l’accesso al regime agevolato“.
Cittadini stranieri
In merito alla possibilità di applicazione di questa agevolazione anche ai cittadini stranieri è intervenuta la Circolare n. 33/E/2020 a chiarire questo ambito di applicazione. Il documento precisa che: “mentre ai sensi del comma 2 dell’articolo 16 possono accedere al regime
degli impatriati i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, il comma 1 non pone alcun tipo di limitazioni al riguardo, con la conseguenza che tutti i lavoratori che rispondono alle caratteristiche delineate dalla norma, indipendentemente dalla loro cittadinanza, possono accedere al regime in esame“.
Le categorie di reddito agevolabili
Rispettando questi requisiti risultano agevolabili, per il lavoratore impatriato, le seguenti categorie di reddito:
- Il reddito da Lavoro dipendente e assimilato o
- Il reddito da Lavoro autonomo che derivano dall’esercizio di arti e professioni di cui all’art. 53 del TUIR, svolte sia informa individuale che associata (ad esempio, nella forma di associazione professionale);
- Oppure, il reddito di impresa. Sul punto la citata Circolare 33 del 2020 afferma che sono agevolati i soli redditi di impresa prodotti dal soggetto impatriato, non ritenendo agevolabili i redditi prodotti dalle società di persone commerciali e imputati per trasparenza direttamente a ciascun socio, in proporzione alla propria quota di possesso ai sensi dell’art. 5 del TUIR. E’ escluso dal regime il reddito di impresa prodotto dalle SRL a “ristretta base proprietaria” i cui soci sono esclusivamente persone fisiche, ex art. 116 del TUIR.
In presenza del collegamento tra il trasferimento della residenza in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa (per la quale è prevista una tassazione agevolata dei redditi prodotti in Italia), possono essere oggetto di agevolazione anche gli ulteriori redditi derivanti da attività lavorative intraprese in periodi di imposta successivi al rientro (ma comunque entro il quinquennio agevolabile).
Esempio:
Un soggetto che trasferisca la residenza in Italia nell’anno “n” e che inizia a produrre redditi di lavoro autonomo e che nell’anno “n+3” inizia a produrre anche redditi di impresa può fruire del regime agevolato, in presenza di tutti i requisiti previsti dalla norma, fino al periodo “n+4” (compreso), usufruendo della detassazione dei redditi complessivamente percepiti.
Come precisato nella Circolare n 17/E/2017 dal reddito complessivo, ridotto per effetto del beneficio fiscale, sono scomputati:
- Gli oneri deducibili di cui all’articolo 10 del TUIR e
- Le detrazioni per familiari a carico, di cui all’articolo 12 del TUIR e quelle per tipologia di reddito (articolo 13 del TUIR).
Detto questo è necessario effettuare alcune considerazione sui punti salienti di questa normativa.
Esclusa la possibilità di un’interpello preventivo
L’accesso al regime agevolato dei lavoratori impatriati non è subordinato alla presentazione, da parte del contribuente, di una preventiva istanza di interpello, si sensi della Legge n. 212/2000. È alteresì esclusa la possibilità di presentare interpello laddove le questioni poste riguardino la sussistenza dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale, nonché la verifica dei requisiti necessari ai fini dell’accesso al regime speciale in esame, posto che tali verifiche implicano valutazioni non esprimibili in sede di interpello (Circolare n. 33/E/2020).
Come ho avuto modo di approfondire in questo articolo “Mancanza di interpello probatorio nell’agevolazione impatriati” l’impossibilità di poter presentare istanza di interpello probatorio lascia sul contribuente la necessità di verificare la propria situazione in attesa dei successivi controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Decorrenza dell’agevolazione impatriati
Il co. 3 dell’art. 16 del D.Lgs. n. 147/15 prevede che: “le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi“. Pertanto, l’agevolazione inizia dal primo anno di residenza fiscale italiano del lavoratore.
L’art. 5, comma 2, del D.L. n. 34/2019, prevede che le citate disposizioni si applicano ai soggetti che trasferiscono la residenza in Italia ai sensi dell’art. 2 del TUIR “a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto“. Il D.L. n 34/19 è entrato in vigore dal 1° maggio 2019 e quindi le nuove disposizioni, ai sensi del comma 2 del medesimo art. 5, sono rivolte ai soggetti che acquisiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo d’imposta 2020 (si veda anche Risposta a interpello 25 novembre 2019, n. 492). Il D.L. n. 124/2019 ha sostituito il citato comma 2 dell’art. 5 del D.L. n. 34/2019 con la seguente formulazione:
Dunque, il D.L. n 124/19 estende l’applicazione di questa agevolazione:
- Anche ai lavoratori rientrati in Italia a partire dal 30 aprile 2019 (in luogo del 2020) e
- Già per il periodo d’imposta 2019, purché risultino beneficiari del regime per i lavoratori impatriati.
La medesima disposizione prevedrebbe, inoltre, l’istituzione del cd. “Fondo controesodo”, con dotazione di 3 milioni di euro a decorrere dal 2020, in favore dei lavoratori rientrati in Italia dal 30 aprile 2019 e destinatari dell’estensione. In particolare, con decreto saranno stabiliti i criteri per la richiesta di accesso alle prestazioni di tale fondo.
Proroga dell’agevolazione per un ulteriore quinquennio
L’agevolazione fiscale legata ai lavoratori impatriati può essere ampliata ed estesa anche dopo i cinque anni. Questo è quanto prevede l’articolo 3-bis del D.Lgs. n. 147/15. Tale norma prevede che:
Art. 3-bis D.Lgs. n. 147/15 – Proroga agevolazione |
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Le disposizioni del presente articolo si applicano per ulteriori 5 periodi di imposta ai lavoratori con almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo. Le disposizioni del presente articolo si applicano per ulteriori 5 periodi di imposta anche nel caso in cui i lavoratori diventino proprietari di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei 12 mesi precedenti il trasferimento. L’unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal lavoratore, oppure da coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà. In entrambi i casi il reddito negli ulteriori 5 anni concorre alla formazione del reddito per il 50% del proprio ammontare |
Per i lavoratori che abbiano almeno tre figli minorenni o a carico, anche in affido preadottivo, i redditi di cui al comma 1, negli ulteriori cinque periodi di imposta, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 10% del loro ammontare. Per ottenere l’ampliamento della durata dell’agevolazione è necessario rispettare queste condizioni:
- Lavoratori con almeno 1 figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo;
- Nel caso in cui i lavoratori diventino proprietari di almeno un’unità immobiliare residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei 12 mesi precedenti. L’unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal lavoratore, dal coniuge, dal convivente, dai figli. L’acquisto può essere anche in comproprietà.
Le condizioni sopra indicate sono alternative tra loro. In entrambi i casi i redditi in esame, negli ulteriori 5 periodi d’imposta, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50% del relativo ammontare.
Esempio:
Ad esempio se l’impatriato ha un figlio minorenne o a carico (anche in affido preadottivo) il beneficiario della detassazione del reddito è prolungato per ulteriori cinque periodo di imposta. Se, inoltre, l’impatriato acquista un immobile in Italia il beneficio dell’agevolazione rimane prolungato per i soli cinque anni.
Chiarimenti sui figli a carico
L’estensione del beneficio temporale in presenza di almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo, è riconosciuta sia qualora il figlio minorenne e/o a carico sia nato prima del trasferimento in Italia, sia successivamente. Questo a condizione che tale presupposto sussista entro la scadenza del primo quinquennio di fruizione dell’agevolazione. La circostanza che, successivamente al rientro, i figli diventino maggiorenni (ovvero fiscalmente non a carico), non determina la perdita dei benefici fiscali, relativamente all’ulteriore quinquennio.
Esempio:
Per un soggetto rientrato in Italia con residenza fiscale nell’anno “n”, il primo figlio ai fini dell’estensione dell’agevolazione deve essere nato entro il 31 dicembre “n+4”.
Acquisto dell’unità immobiliare in Italia
Per l’acquisto dell’unità immobiliare in Italia si fa riferimento ai dodici mesi dell’anno solare precedenti al rientro in Italia oppure successivamente al rientro. In questo caso l’acquisto dell’unità immobiliare di tipo residenziale deve essere effettuato entro i primi cinque periodi di imposta. Sul punto la circostanza di essere già proprietario di un altro immobile di tipo residenziale in Italia non impedisce l’accesso all’estensione dell’agevolazione non essendovi esclusioni in tal senso nella norma.
Il requisito non è perfezionato se l’acquisto riguarda la sola nuda proprietà o il solo diritto di usufrutto. Inoltre, la Circolare n. 33/E/2020 indica che deve esserci un comportamento attivo del contribuente che deve acquisire l’immobile nella misura del 100% sin dalla stipula dell’atto. Nell’ipotesi in cui l’unità immobiliare sia acquistata dal coniuge, dal convivente o dai figli dell’impatriato, il requisito dell’acquisto può essere attuato anche in comproprietà con l’impatriato. Sul punto occorre segnalare anche quanto disposto dalla risposta ad interpello n. 907-1504/2020 non pubblicata della Direzione Regionale del Veneto. L’Agenzia ha escluso la possibilità di di beneficiare dell’estensione dell’agevolazione nel caso in cui l’immobile venga acquistato a titolo gratuito.
Lavoratori impatriati nelle regioni del Sud ed Isole: reddito tassato al 10%
Vi è una ulteriore riduzione che porta a tassazione solo il 10% del reddito prodotto in Italia per gli impatriati che si trasferiscono in Regioni del Sud. In questo caso, le regioni interessate sono quelle esposte nella tabella seguente. Vedasi l’art. 16, comma 5-bis del D.Lgs. n. 147/15, come modificato dall’art. 5 co. 1 lett. d) del D.L. n. 34/19.
Tabella: Regioni del Sud con agevolazione impatriati maggiorata
Abruzzo | Puglia | Sardegna |
Molise | Basilicata | Sicilia |
Campania | Calabria |
Naturalmente, anche in questo caso valgono le condizioni viste precedentemente. Si tratta del periodo estero di 2 anni, con l’impegno a restare in Italia per i successivi 2 anni svolgendo attività lavorativa. Al riguardo si ritiene che la disposizione faccia riferimento alla nozione civilistica di residenza, ovvero al luogo in cui la persona ha la dimora abituale, che coincide con il luogo dove il soggetto normalmente abita.
L’abitualità della dimora permane anche se il soggetto lavora al di fuori del Comune di residenza, purché conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando è possibile e dimostri l’intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali. Quindi, nel caso in cui l’impatriato fissi la residenza in una delle Regioni del Sud, avrà diritto alla detassazione maggiorata anche qualora svolta l’attività lavorativa in un Comune diverso da quello residenza. Resta inteso che la suddetta condizione deve verificarsi a partire dal periodo di imposta in cui il contribuente trasferisce la residenza all’estero in una delle suddette Regioni e vi permane per tutto il periodo di fruizione dell’agevolazione (Circolare n. 33/E/2020).
Chiarimenti di prassi relativi all’agevolazione impatriati in Italia
Andiamo ad analizzare adesso alcuni dei principali chiarimenti relativi all’applicazione dell’agevolazione impatriati in commento.
La residenza fiscale degli impatriati
Il primo aspetto che merita attenzione è quello legato alla residenza fiscale dei contribuenti. Per usufruire dell’agevolazione il contribuente deve aver riportato in Italia la propria residenza fiscale ai sensi dell’articolo 2 del TUIR. Tuttavia, la norma, così come modificata dall’articolo 5 del DL n 34/19, ammette la fruizione dell’agevolazione anche a soggetti impatriati non iscritti AIRE. Tuttavia questo a partire dal 1° gennaio 2020.
La preclusione dell’iscrizione AIRE è ammessa esclusivamente se l’impatrio in Italia avviene da un Paese con cui l’Italia ha in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni. In pratica, i due anni di residenza fiscale estera devono essere maturati con il requisito dell’iscrizione AIRE. Questo, a meno che, l’impatrio non arrivi da un Paese con convenzione in essere on l’Italia.
L’iscrizione AIRE, assieme alla maturazione di 2 anni di residenza fiscale estera, con “centro degli interessi vitali” all’estero è elemento fondamentale per l’agevolazione. E’ possibile, invece, fare riferimento alle Convenzioni solo se l’impatrio avviene da un Paese convenzionato con l’Italia. In tal caso è possibile superare la mancata iscrizione AIRE. Sulla base di queste considerazioni, quindi, è necessario prestare adeguata attenzione alla propria situazione. L’obiettivo primario deve essere quello di verificare l’effettività del proprio trasferimento di residenza all’estero.
Con riferimento all’ipotesi del cittadino straniero che, dopo aver vissuto in Italia trasferendovi la residenza fiscale, si trasferisce nuovamente all’estero senza provvedere alla cancellazione dall’anagrafe nazionale della popolazione residente, si ritiene che lo stesso non possa acquisire la residenza, atteso che questi non si è mai cancellato dall’anagrafe italiana. La disposizione dell’AIRE è rivolta esclusivamente ai “cittadini italiani” (Circolare n. 33/E/2020).
Superamento dell’iscrizione AIRE per gli impatriati
Sino all’entrata in vigore del D.L. n. 34/19 l’iscrizione all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) durante il periodo precedente l’ingresso in Italia era fondamentale. L’Agenzia delle Entrate, aveva difatti specificato, nella che: “tenuto conto della rilevanza del solo dato dell’iscrizione nell’Anagrafe della popolazione residente, il soggetto che non si è mai cancellato da tale registro non può essere ammesso alle agevolazioni in esame“. Si prescindeva, dunque, dall’analisi della situazione soggettiva della persona e dalle eventuali interferenze tra normativa domestica e internazionale. Il tutto, attribuendo rilevanza esclusivamente al mero dato formale dell’iscrizione anagrafica. Questa disposizione, particolarmente rigida, è stata superata dall’intervento del D.L. n. 34/19. Tale norma ha inserito l’articolo 5-ter dell’articolo 16 del D.Lgs. n. 147/15. La norma dispone che:
Agevolazione impatriati anche per i soggetti non iscritti AIRE negli anni precedenti
Prosegue, poi, la disposizione:
Su quest’ultimo aspetto si attendono chiarimenti dell’Amministrazione in merito alle modalità con cui i lavoratori possono procedere a godere del beneficio anche per gli anni passati. Non è chiaro, difatti, se la norma rappresenti una sorta di “sanatoria” per i contribuenti che si sono avvantaggiati dell’agevolazione pur non essendo iscritti AIRE. Ovvero se possono godere della nuova disposizione anche i lavoratori che prudenzialmente non hanno operato la detassazione.
Per ragioni di coerenza sistematica si dovrebbe ritenere che possano accedere all’agevolazione tutti i contribuenti che potevano, in mancanza di iscrizione AIRE, considerarsi residenti per norma convenzionale. Rimane comunque determinante comprendere le modalità con cui fornire tale prova.
Per approfondire: “Prova della residenza estera per gli impatriati“.
Leva fiscale per l’impatrio di lavoratori esteri
Il legislatore, quindi, punta sulla leva fiscale, nella speranza di rilanciare la competitività del nostro Paese a livello internazionale. Si tratta di una prospettiva piuttosto ambiziosa volta ad attrarre dall’estero individui di talento.
La ratio, dunque, sembra essere quella di incentivare l’ingresso/il rientro in Italia di persone fisiche. Questo a prescindere dal “contributo” (in termini di capacità, specializzazioni ecc.) che le stesse potrebbero dare al “sistema Paese”. Risulta, infatti, sufficiente che l’interessato non abbia risieduto in Italia nei due precedenti periodi d’imposta, che l’attività sia prestata prevalentemente in territorio italiano e che il contribuente risieda nel nostro Paese per almeno due anni.
L’uso della leva fiscale non è una novità in Europa. Molti Paesi infatti hanno già da tempo introdotto analoghe agevolazioni (come ad esempio in Belgio, Olanda e Francia). Anche in Italia, in passato, è già stata utilizzata un’agevolazione di questo tipo. Basti segnalare l’iniziativa legata al rientro di docenti e ricercatori universitari (D.L. n. 185/208). Nonché dei lavoratori dipendenti ed autonomi (il c.d. rientro dei cervelli normato dalla Legge n 238/2010). Tutte norme che, hanno riscontrato effetti si positivi, ma non certo quelli previsti dal legislatore. L’agevolazione destinata ai lavoratori impatriati, invece, ha avuto dal 2016 ad oggi un ben più positivo riscontro.
Attività lavorativa prestata prevalentemente in Italia
Per quanto riguarda la condizione secondo cui l’attività deve essere prevalentemente (vale a dire almeno 183 giorni) prestata in Italia, è necessario fare delle precisazioni. Si ritiene che possano essere mutuate le argomentazioni sviluppate dall’Amministrazione nella Circolare n. 17/E/2017 sulle conseguenze delle trasferte svolte all’estero.
Computo dei giorni di trasferta
Un primo dubbio riguarda il capire se i giorni trascorsi all’estero in trasferta debbano essere esclusi al fine del calcolo del requisito temporale di residenza fiscale in Italia. L’Amministrazione ha adottato una soluzione di complessiva apertura. Essa, infatti, afferma che:
Pertanto, nel caso di “sporadiche” trasferte all’estero, le stesse devono essere considerate alla stregua di giorni lavorati in Italia. Il lavoratore qualora non rispetti il predetto requisito temporale, pur essendo fiscalmente residente in Italia, non può fruire del beneficio sul reddito prodotto in Italia per tale periodo di imposta. Tale periodo viene ordinariamente assoggettato a tassazione sull’intera base imponibile. Se il requisito sussiste solo per alcuni dei periodi di imposta compresi nel quinquennio per il quale è possibile fruire del beneficio, il lavoratore può fruirne solo per gli anni in cui il requisito è soddisfatto. Il tutto, fermo restando che gli altri anni concorreranno comunque al computo del quinquennio.
Ad esempio, un lavoratore fiscalmente residente in Italia dall’anno “n“, fruitore del beneficio dal medesimo anno, se nell’anno “n+1” non può fruire dell’agevolazione, potrà fruirne per i successivi anni “n+2“, “n+3“, “n+4” sussistendo tutti i requisiti richiesti dalla norma.
Redditi da lavoro prodotti in Italia
Altro aspetto da chiarire è se l’agevolazione spetti anche per redditi prodotti nel corso del lavoro in terra straniera in regime di trasferta. Ricordo, difatti, che l’articolo 16, comma 1, riserva la parziale esenzione solo ai redditi prodotti in Italia. Sul punto è necessario chiarire quanto segue:
L’attività di trasferta, in quanto resa nell’interesse e a beneficio esclusivo del datore di lavoro non può essere scissa da quella prestata nel territorio dello Stato.
Percepimento di redditi prodotti all’estero
I redditi derivanti da attività di lavoro prestata fuori dai confini dello Stato – nell’ipotesi in cui un soggetto abbia prodotto nei primi mesi dell’anno redditi al di fuori del territorio dello Stato e, rientrato in corso d’anno, risulti fiscalmente residente in Italia – concorrono alla formazione del reddito complessivo in via ordinaria. Questo, salva l’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni.
Lavoratori che rimpatriano in Italia dopo un periodo di distacco estero
Altro aspetto che merita chiarimento è la possibilità di ottenere il Regime dei lavoratori impatriati per quei soggetti che vivono all’estero in distacco da parte di datore italiano. Ipotizziamo un cittadino italiano inviato all’estero per distacco presso altra azienda del gruppo. In questo caso l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 76/e/2018 ha chiarito il fatto che l’agevolazione in commento spetta soltanto al verificarsi congiuntamente dei seguenti requisiti, che non indicano il rientro in Italia al termine di un periodo di distacco. L’agevolazione è fruibile nelle ipotesi in cui:
- Il distacco all’estero si sia protratto nel tempo. Ad esempio, il lavoratore deve aver protratto all’estero la propria permanenza al termine di un periodo di distacco;
- Il lavoratore deve rientrare in Italia con un contratto di lavoro che prevede un ruolo diverso nell’azienda. L’esempio fatto dall’Agenzia delle Entrate è quello di un lavoratore che era inquadrato in distacco con il ruolo di quadro, ed ha ricevuto un contratto da dirigente al rientro in Italia.
Soltanto al verificarsi congiunto di questi requisiti l’agevolazione legata ai lavoratori impatriati si rende applicabile al soggetto che rientra in Italia a seguito di distacco all’estero. Quindi, non spetta il beneficio in esame nell’ipotesi di distacco all’estero con successivo rientro, in presenza del medesimo contratto e presso il medesimo datore di lavoro.
L’agevolazione non è applicabile nelle ipotesi in cui il soggetto, pur in presenza di un nuovo contratto per l’assunzione di nuovo ruolo aziendale al momento dell’impatrio, rientri in una situazione di continuità con la precedente posizione lavorativa svolta nel territorio dello Stato prima dell’impatrio. Ciò accade, ad esempio, quando i termini e le condizioni contrattuali, indipendentemente dal nuovo ruolo aziendale e dalla relativa retribuzione rimangono di fatto immutati al rientro presso il datore di lavoro in virtù di intese di varia natura, quali la sottoscrizione di clausole inserite nelle lettere di distacco ovvero negli accordi con cui viene conferito un nuovo incarico aziendale, dalle quali si evince che, sotto il profilo sostanziale, continuano ad applicarsi le originarie condizioni contrattuali precedenti all’espatrio. Ad esempio costituiscono indice di una situazione di continuità aziendale secondo la Circolare n. 33/E/2020:
- Il riconoscimento di ferie maturate prima del nuovo accordo contrattuale;
- Il riconoscimento dell’anzianità dalla data di prima assunzione;
- L’assenza del periodo di prova;
- Clausole volte a non liquidare i ratei di tredicesima (e quattordicesiama) maturati nonché il TFR;
- Clausole che prevedono che al termine del distacco, il distaccato sarà reinserito all’interno dell’organizzazione.
Svolgimento di attività all’estero con la stesso datore di lavoro dell’impatrio
La risposta ad interpello n. 32/E/2022 ha chiarito che non preclude l’agevolazione il fatto che il lavoratore, nel corso del periodo di residenza fiscale estera, abbia intrattenuto rapporti lavorativi con il datore di lavoro residente con cui ha instaurato rapporto di lavoro dipendente al momento dell’impatrio in Italia. Tale documento, quindi, conferma che non vi sono preclusioni all’agevolazione in commento nel caso in cui vi siano stati rapporti lavorativi pregressi mentre il lavoratore aveva residenza fiscale estera.
Collegamento tra trasferimento in Italia ed inizio dell’attività lavorativa
L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 17/E/2017 ha precisato che: “possono aderire al beneficio coloro che trasferiscono la residenza in Italia prima ancora di iniziare lo svolgimento dell’attività lavorativa, a condizione che sia ravvisabile un collegamento tra i due eventi“. Sul punto l’Agenzia è tornata a chiarire con la risposta ad interpello n. 919-114/2018 della DRE Calabria, il caso di un lavoratore dipendente che aveva trasferito la residenza in Italia prima di trovare lavoro.
L’istante, in vista della scadenza del contratto in essere con il datore di lavoro dell’epoca (società estera di un gruppo multinazionale), avviava con quest’ultimo una negoziazione per essere trasferito presso la relativa filiale italiana. In attesa che il relativo iter aziendale si concludesse, il contribuente rientrava in Italia nel 2016 e si iscriveva nuovamente all’Anagrafe della popolazione residente il 22 dicembre 2016, anche al fine di vagliare nel frattempo eventuali alternative opportunità lavorative nel Paese. Il 30 ottobre 2017 veniva formalizzato il contratto di lavoro con la filiale italiana del gruppo estero.
L’Agenzia ha escluso l’esistenza di un nesso tra il rientro in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa (ossia la data da cui decorrono l’obbligo della prestazione lavorativa e l’obbligo della remunerazione), ritenendo che:
- Il rientro in Italia fosse motivato dalla naturale scadenza del contratto sottoscritto con la società estera e non, invece, da accordi con la filiale italiana “puntualmente finalizzati alla sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro”;
- La ricerca di impieghi lavorativi alternativi a quello inizialmente preventivato (e poi effettivamente concretizzatosi) sarebbe indicativa dell’assenza di un collegamento tra i due eventi.
Possiamo dire che, secondo l’Agenzia al fine di beneficiare di questo regime il dipendente che rientra in Italia e vi trasferisce la propria residenza fiscale deve provare l’esistenza di un accordo con il futuro datore di lavoro finalizzato alla sottoscrizione di un nuovo contratto.
Importante:
Appare precluso, l’accesso al regime fiscale in commento per i lavoratori che si trasferiscono in Italia (ponendovi residenza fiscale) per cercare attivamente un impiego lavorativo.
Datore di lavoro non residente
Possono accedere all’agevolazione i soggetti che vengono a svolgere in Italia attività di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero, o i cui committenti (in caso di lavoro autonomo o di impresa) siano stranieri (non residenti). Attenzione, tuttavia, al fatto che il lavoratore impatriato in questo caso potrebbe configurare una stabile organizzazione nel territorio dello Stato del datore di lavoro non residente, ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa dall’Italia, ove esistente, o dall’art. 162 del TUIR. In tal caso il datore di lavoro estero sarà assoggettato a tassazione ordinaria in Italia. Questo è quanto chiarito dalla Circolare n. 33/E/2020, aspetto su cui prestare molta attenzione.
Analogamente, nell’ipotesi in cui gli impatriati, precedentemente assunti presso sedi secondarie ubicate in diversi Paesi in cui opera il datore di lavoro estero non residente, vengano a svolgere la loro attività lavorativa presso la sede secondaria italiana del medesimo datore di lavoro, possono accedere al regime dei lavoratori impatriati, non essendoci preclusioni normative in tal senso.
Lavoratori del mondo dello sport ed agevolazione impatriati
Le modifiche apportate al D.Lgs. n. 147/15 dal D.L. n. 34/19 rendono appetibile l’agevolazione impatriati anche ai lavoratori del mondo dello sport professionistico. Infatti, il venir meno di requisiti come la laurea, l’alta qualificazione, o il ruolo direttivo rendono più semplice l’esercizio di questa agevolazione. Stessa cosa per la riduzione a 2 anni del periodo di permanenza all’estero. In questo modo, tantissimi sportivi professionisti potranno beneficiare concretamente di questa agevolazione.
Pensiamo su tutti, allo sport professionistico, ed in particolare modo al mondo del calcio. Per tutti gli sportivi esteri, lavorare per datore di lavoro italiano sarà più conveniente. Sarà sufficiente aver maturato 2 anni di residenza fiscale estera ed impegnarsi a rimanere in Italia per almeno 24 mesi.
Aspetto importante è che non deve trattarsi necessariamente di soggetti “cittadini italiani“. Questo significa che l’agevolazione è aperta anche a soggetti con cittadinanza non italiana che vengono in Italia per lavoro. In sostanza, questa agevolazione legata ai lavoratori impatriati rappresenta una leva cruciale per molte società sportive italiane per la negoziazione di contratti con sportivi provenienti dall’estero.
L’agevolazione, infatti, è in grado di garantire agli sportivi, a parità di costo, una retribuzione netta più alta. Oppure, la medesima retribuzione annua netta con riduzione del loro costo. Per gli sportivi professionisti l’agevolazione impatriati prevede esclusivamente l’abbattimento del reddito al 50% per cinque periodi di imposta. Tutte le altre agevolazioni, sopra indicate, ed ordinariamente previste per il regime impatriati sono escluse.
Per approfondire: “Sportivi impatriati con tassazione agevolata“.
Lavoratori impatriati: richiesta dell’agevolazione
I lavoratori dipendenti per applicare l’agevolazione devono presentare una richiesta scritta al datore di lavoro resa mediante autocertificazione ex DPR n. 445/2000 che contiene:
- Generalità (nome, cognome, data di nascita);
- Codice fiscale;
- Indicazione della data di rientro in Italia e della prima assunzione in Italia (in caso di assunzioni successive o più rapporti di lavoro);
- Dichiarazione di possedere i requisiti previsti;
- Indicazione dell’attuale residenza in Italia;
- Dichiarazione di non beneficiare di altri incentivi (art. 44, DL 78/10, L 238/10, art. 24-bis, TUIR).
A seguito del ricevimento della richiesta il datore di lavoro applicherà le ritenute fiscali sul 30% (10% o 50%, a seconda dei casi) delle somme e dei valori imponibili corrisposti dal periodo di paga successivo al ricevimento della richiesta da parte del dipendente. L’avvio dell’agevolazione si ha a partire dal primo periodo di imposta di residenza fiscale italiana del lavoratore.
La richiesta deve essere presentata all’attuale datore di lavoro anche in caso di seconda o ulteriore assunzione (rispetto a quella per cui il lavoratore è rientrato). Nel caso in cui il datore di lavoro non possa riconoscere l’agevolazione, il contribuente può fruirne (in presenza dei requisiti) direttamente in dichiarazione dei redditi. In questo caso il reddito da lavoro dipendente deve essere indicato in misura ridotta (Circolare n. 17/E/2017).
Richiesta in dichiarazione dei redditi
Nell’ipotesi in cui l’impatriato non abbia formulato alcuna richiesta al proprio datore di lavoro nel periodo di imposta in cui è avvenuto l’impatrio, né ne abbia dato evidenza nelle relative dichiarazioni dei redditi, i cui termini di presentazione risultano scaduti, per detti periodi di imposta, l’accesso la regime è da considerarsi precluso. Sono valide le dichiarazioni presentate nei 90 giorni dal termine ordinario di scadenza (c.d. “dichiarazioni tardive“). Trattandosi di regime opzionale è preclusa la possibilità di presentare una dichiarazione dei redditi “integrativa a favore“, oltre il termine di 90 giorni dalla scadenza ordinaria. Inoltre, non vi sono le condizioni per accedere all’istituto della remissione in bonis, che ammette la possibilità di esercitare tardivamente l’opzione per un beneficio fiscale o un regime agevolato quando il contribuente abbia tenuto un comportamento non coerente con il regime opzionale.
Nell’ipotesi in cui i termini di presentazione della dichiarazione siano scaduti, rimane ferma la possibilità per il contribuente di fruire del regime per i restanti periodi di imposta del quinquennio.
Certificazione unica con agevolazione impatriati
Il datore di lavoro deve dare evidenza del beneficio applicato nella CU del dipendente:
- Al rigo 1 della CU deve essere indicato il 30% del reddito da lavoro dipendente;
- Al rigo 468 della CU (redditi esenti) deve essere indicato il codice 5;
- Infine, al rigo 469 della CU l’ammontare delle somme che non hanno concorso a formare il reddito imponibile.
Certificazione unica in caso di mancata applicazione dell’agevolazione
Nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non possa riconoscere l’agevolazione (o in assenza di un datore di lavoro italiano) il contribuente può fruirne, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, direttamente nella dichiarazione dei redditi. In tale caso il reddito di lavoro dipendente va indicato già nella misura ridotta. Il datore di lavoro dovrà dare evidenza della mancata applicazione del beneficio nella CU del dipendente:
- Al rigo 1 della CU il reddito in misura piena;
- Annotazioni del modello CU: il 50% delle somme percepite dai lavoratori che trasferiscono la residenza in Italia che non hanno fruito dell’abbattimento della base imponibile. Per usufruire dell’agevolazione il contribuente deve presentare la dichiarazione dei redditi.
Agevolazione impatriati per i lavoratori autonomi
Possono accedere al regime fiscale di favore direttamente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi. Nel caso occorre barrare l’apposita casella nel quadro RE del modello Redditi PF. Inoltre, i lavoratori autonomi possono fruire dell’agevolazione anche in sede di applicazione della ritenuta d’acconto operata dal committente. Mi riferisco alle ritenute di acconto, applicate ai sensi dell’articolo 25 del DPR n. 600/73, sui compensi percepiti. In tal caso, analogamente a quanto previsto per i lavoratori dipendenti, i lavoratori autonomi devono presentare una richiesta scritta ai propri committenti inclusiva di:
- Generalità;
- Codice Fiscale;
- Indicazione della data di rientro in Italia;
- Dichiarazione di possedere i requisiti richiesti per l’applicazione del regime agevolato;
- Indicazione dell’attuale residenza in Italia;
- Dichiarazione di non beneficiare contemporaneamente degli incentivi fiscali previsti dall’articolo 44 D.L. n. 78/00, Legge n 238/10 e dall’articolo 24-bis del DPR n. 917/86.
Successivamente, il committente all’atto del pagamento del corrispettivo opera la ritenuta del 20% prevista dall’articolo 25 del DPR n 917/86 sull’imponibile ridotto del 50%. Se desideri ricevere la modulistica da presentare al committente o al datore di lavoro contattami per una consulenza personalizzata.
Lavoratori Impatriati: ultimi chiarimenti sull’agevolazione
Sono tantissime le domande che arrivano ogni giorno su questa agevolazione. Di seguito ho deciso di riportare una serie di chiarimenti sui principali aspetti di dubbio di questa agevolazione.
Lavoratori impatriati e residenza in Italia
Sono esclusi da questa agevolazione i soggetti che non hanno mai effettuato un corretto trasferimento di residenza all’estero. In particolare, gli espatriati che non hanno mai effettuato iscrizione AIRE non sono in regola con l’articolo 2 del TUIR. Quindi, essi non hanno titolo ad usufruire di questa agevolazione. Questi soggetti, infatti, sono rimasti residenti ai fini fiscali in Italia anche nel periodo trascorso all’estero. Questo per la mancata iscrizione AIRE.
La norma agevolativa sui Lavoratori Impatriati si applica ai soggetti che acquisiscono la Residenza Fiscale in Italia ai sensi dell’articolo 2 del TUIR. In questo senso, e come vedremo in seguito, sino al 31/12/2019 non conta la residenza fiscale ai fini convenzionali, ma soltanto la normativa fiscale interna. Meritano attenta valutazione anche quei casi di soggetti operanti in Italia da diversi anni, ma che abbiano mantenuto all’estero il loro centro vitale degli interessi ad esempio personali (famiglia) ed economici, che intendano trasferire la residenza fiscale in Italia. Dalla lettura della norma tali soggetti rientrerebbero quindi nel regime agevolato, ma solo dal 2020. E’ opportuno quindi effettuare una attenta analisi delle singola posizione del lavoratore per determinare l’applicabilità del regime agevolato.
Periodo di lavoro all’estero
Per quanto riguarda il requisito dello svolgimento di un’attività continuativa di lavoro o studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi, occorre fare una puntualizzazione. Questo requisito non sussiste nel caso in cui, ad esempio, un contribuente rientri nel 2019 ed abbia frequentato dal 5 gennaio al 21 dicembre 2017 un corso universitario in Francia ed abbia iniziato a lavorare nel Regno Unito dal 16 aprile 2018. In tal caso, secondo l’Agenzia delle Entrate, la permanenza per motivi di lavoro sarebbe inferiore ai 24 mesi. Diversamente, il requisito potrebbe considerarsi integrato nel caso in cui il rientro avvenisse successivamente al 16 aprile 2020 e l’attività lavorativa fosse prestata all’estero sino a tale data.
Periodo oggetto di agevolazione
Altro elemento che deve essere chiarito è il periodo di applicazione del beneficio. Pensa al caso di un contribuente residente all’estero dal 15 maggio 2001 al 19 luglio 2022. Il soggetto è rimpatriato in Italia con iscrizione AIRE del 20 luglio 2022. Questi è stato assunto con contratto a tempo determinato per cinque anni, con decorrenza 1° settembre 2022. Secondo l’Agenzia delle Entrate il lavoratore può accedere al regime dei lavoratori impatriati a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza fiscale in Italia. Ovvero, dal 2023 e per i quattro anni successivi. Il rimpatrio successivo al 3 luglio 2022 non permette l’applicazione dell’agevolazione ai redditi di lavoro dipendente conseguiti nel corso di tale anno di imposta.
Estensione dei benefici fiscali
Inoltre, e sempre con la finalità di estendere l’ambito soggettivo del nuovo regime, il Decreto Internazionalizzazione richiama, al comma 2 dell’articolo 16, i soggetti di cui al comma 1, articolo 2, della Legge n. 238/2010, prevedendo l’estensione dei benefici fiscali anche ai seguenti soggetti:
- I cittadini dell’Unione Europea, in possesso di un titolo di laurea, che hanno risieduto continuativamente per almeno ventiquattro mesi in Italia. Soggetti che, sebbene residenti nel loro Paese d’origine, hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori di tale Paese e dell’Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più;
- I cittadini dell’Unione Europea, che hanno risieduto continuativamente per almeno ventiquattro mesi in Italia. Soggetti che, sebbene residenti nel loro Paese d’origine, hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori di tale Paese e dell’Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.
Lavoratori impatriati solo con lavoro certo
Al fine di beneficiare del Regime degli Impatriati il dipendente che rientra in Italia deve provare l’esistenza di un accordo con il futuro datore di lavoro. Accordo finalizzato alla sottoscrizione di un nuovo contratto. Questo dovendo sussistere un nesso tra il rientro in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa. È questo il principio affermato dall’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 919-114/2018 resa dalla Direzione regionale della Calabria. Risoluzione relativa al caso di un lavoratore dipendente che ha trasferito la residenza in Italia prima di trovare lavoro. In particolare, secondo l’Agenzia la scadenza di un contratto di lavoro all’estero e il rientro in Italia per un nuovo lavoro non creano nesso necessario. Se il rientro in Italia è dovuto alla scadenza del contratto di lavoro estero e non da precisi accordi con l’azienda italiana il requisito del nesso non è verificato.
Lavoratori impatriati in caso di distacco di lavoro dipendente all’estero
Uno dei profili di interesse per l’applicazione del regime è l’eventualità che il contribuente svolga la propria attività in regime di distacco o trasferta. Infatti, la normativa si rivolge a soggetti che si trasferiscono in Italia. Tuttavia, può accadere che ciò avvenga in un contesto di mobilità internazionale all’interno di un gruppo internazionale. Le riflessioni dell’Amministrazione finanziaria prendono le mosse dal valorizzare la finalità che ha mosso il legislatore. Individuandola nella volontà di attrarre in Italia soggetti che grazie all’esperienza maturata all’estero possano contribuire allo sviluppo del Paese.
Dipendenti di società estere in distacco in Italia
In questo modo, viene riconosciuta la possibilità di applicare il regime degli impatriati ai c.d. lavoratori “inbound”. Ovvero a quei dipendenti che, in virtù di un distacco in Italia, si trasferiscono nel nostro Paese e rispettano le condizioni dettate dall’articolo 16 del D.Lgs. n 147/2015.
Dipendenti di società italiane in distacco all’estero che rientrano in Italia
Di diverso avviso è, invece, il parere dell’Amministrazione con riferimento al caso opposto. Ovvero quello di lavoratori italiani che, una volta trascorso un periodo di distacco all’estero, fanno rientro in Italia. Tali soggetti, non residenti ai fini fiscali in Italia ai sensi dell’art. 2 del DPRn. 917/86 durante il periodo di permanenza all’estero, si troverebbero nella medesima posizione soggettiva di chi si trasferisce per la prima volta nel Paese. Ugualmente, rientrando in Italia e trasferendo la residenza fiscale nel Paese, infatti, potrebbero integrare tutte le diverse condizioni previste per l’applicazione del regime degli impatriati. In tale ipotesi, l’Agenzia non ammette l’applicazione del regime dei lavoratori impatriati ai dipendenti in distacco all’estero che fanno rientro in Italia. Così, si ritiene che il rientro avvenga in esecuzione delle clausole già presenti nel contratto di lavoro. Non essendo quindi integrata la finalità di attrarre soggetti in Italia. Soggetti che sarebbero rientrati in ogni caso alla luce della temporaneità della loro permanenza all’estero.
Regime dei lavoratori impatriati in caso di trasferte internazionali dei lavoratori dipendenti
In tema di applicazione del regime degli impatriati, una delle questioni più significative riguarda le prestazioni rese in regime di trasferta internazionale. Sul punto l’agevolazione fiscale è estesa anche “alle somme corrisposte per l’attività di lavoro prestata all’estero” se di durata inferiore a 183 giorni nel periodo d’imposta. Ciò trova giustificazione nel fatto che l’attività di lavoro nel corso della trasferta, a differenza del distacco, è resa nell’interesse ed a beneficio del datore di lavoro e questa “non può essere scissa da quella prestata in Italia”. Quanto al rapporto tra trasferte estere e regime fiscale agevolato, è possibile individuare una disomogeneità di trattamento. Questo tra soggetti che beneficiano del regime dei lavoratori impatriati ai sensi del comma 1 dell’art. 16 e quelli disciplinati dal comma 2.
Prevalenza della prestazione lavorativa in Italia
Infatti, le argomentazioni dell’Amministrazione muovono dal concetto di prevalenza della prestazione lavorativa in Italia. Questo come espressamente riconosciuto dall’articolo 16 D.Lgs. n. 147/2015 con riferimento al comma 1. L’agevolazione fiscale ai sensi del comma 1 è subordinata alla verifica della prevalenza delle prestazioni lavorative effettuate nel territorio dello Stato. Questo rispetto all’attività lavorativa prestata nel corso dell’anno.
Durata della trasferta
Alla luce ditale elemento, infatti, assume rilevanza il fatto che la trasferta estera abbia avuto una durata superiore o inferiore ai 183 giorni. Questo avuto riguardo al periodo d’imposta oggetto di analisi. Così, quando il requisito della prevalenza della produzione del reddito in Italia sia rispettata, laddove la trasferta all’estero si sia protratta per meno di 183 giorni, anche le somme corrisposte per l’attività di lavoro prestata al di fuori del territorio italiano sono comprese nel novero dei redditi agevolabili.
Al contrario, quando la trasferta all’estero abbia avuto durata superiore ai 183 giorni, il contribuente non integra una delle condizioni previste dalla norma per l’applicazione del regime di favore. In tale ipotesi, la conseguenza prospettata dall’Amministrazione è quella di escludere dalla tassazione di favore tutti i redditi di lavoro dipendente prodotti nel corso dell’anno d’imposta in questione. Inclusi quelli prodotti in Italia. Ciò però non farebbe decadere dal regime speciale per gli altri periodi d’imposta, nel limite di cinque anni. Anni nel corso dei quali il contribuente integra tutte le condizioni previste dal legislatore.
Venendo invece alle previsioni dettate in tema di comma 2, giova segnalare che, tra le condizioni previste per la fruizione della norma, il legislatore non haprevisto la prevalenza della produzione di redditi di fonte italiana. Conseguentemente, la decadenza dalla fruizione del beneficio prevista in applicazione del comma 1, non si verifica allorché il contribuente fruisca del regime agevolato ai sensi del comma 2. In tal caso, nell’ipotesi di trasferta all’estero eccedente i 183 giorni, resta ferma la preclusione alla fruizione del regime di favore con riferimento ai redditi prodotti all’estero in occasione della trasferta. Tuttavia, la tassazione agevolata sarebbe applicabile ai redditi di lavoro dipendente prodotti in Italia nel corso del medesimo periodo d’imposta.
Le sanzioni in caso di decadenza dall’agevolazione impatriati
Che cosa accade a chi applica questa agevolazione pur non avendone diritto?
Questa agevolazione si richiede con una autocertificazione, quindi, è responsabilità esclusiva del lavoratore la sua applicazione. In particolare, la decadenza dell’agevolazione può essere contestata quando:
- Non vi è documentazione sufficiente a dimostrare i due anni precedenti all’impatrio in Italia di residenza fiscale estera;
- Non vi sia il mantenimento della residenza fiscale italiana per almeno due anni dall’impatrio.
Nel caso in cui si riscontri che non sono stati rispettati i requisiti per l’applicazione di questa agevolazione si applicano delle sanzioni amministrative.
Per quanto riguarda le sanzioni applicabili in caso di decadenza dall’agevolazione sono quelle di dichiarazione infedele. In questo caso, quando vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ottenimento dell’agevolazione, l’Agenzia delle Entrate ha facoltà di procedere per il recupero dei benefici già fruiti, con l’applicazione delle relative sanzioni ed interessi. Per fare questo l’Amministrazione finanziaria emette un documento (avviso di accertamento) in cui, per ogni annualità fruita si recupera l’imposta non versata e si applicano le relative sanzioni amministrative. Si tratta, ordinariamente delle sanzioni amministrative dovute per infedele dichiarazione. La sanzione va dal 90% al 180% delle maggiori imposte dovute e non versate.
Attenzione però, perché in alcuni casi è possibile arrivare anche all’applicazione di sanzioni penali, sempre per infedele dichiarazione. Si tratta del reato tributario disciplinato dall’articolo 4 del DLgs. n. 74/00. La fattispecie di reato penale si realizza al superamento congiunto di due soglie di punibilità:
- Evasione d’imposta di 100.000,00 euro per ogni singola imposta, quindi ad esempio IRES/IRPEF o IVA;
- Elementi attivi sottratti all’imposizione (ricavi o costi) di almeno 3.000.000 euro. Tuttavia, se gli elementi fittizi indicati in dichiarazione (ricavi omessi o costi falsi) supera il 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione il reato è consumato anche se gli elementi sottratti ad imposizione sono inferiori a 3.000.000,00 euro.
Consiglio, quindi, di prestare la massima attenzione e rivolgervi sempre ad un esperto.
Regime degli impatriati e presentazione dell’istanza di interpello
Nel caso in cui i soggetti che intendano beneficiare di questo regime e riscontrino condizioni di obiettiva incertezza interpretativa sulla verifica dei requisiti richiesti, è possibile presentare istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. a, della L. 27 luglio 2000, n. 212 (cd. “interpello ordinario”).
L’Agenzia risponde alle istanze ordinariamente nel termine di novanta giorni. Quando non è possibile fornire risposta sulla base della documentazione allegata all’istanza, l’Agenzia può richiedere al contribuente di fornire ulteriore documentazione. In tale ipotesi, per effetto della richiesta i termini della risposta sono sospesi. Tuttavia, la risposta deve essere resa dall’Agenzia entro sessanta giorni dalla ricezione della documentazione integrativa.
La risposta, scritta e motivata, vincola ogni organo dell’Amministrazione finanziaria con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al contribuente istante. Quando la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, il silenzio equivale a condivisione, da parte dell’Agenzia, della soluzione prospettata dal contribuente.
Agevolazione legata ai lavoratori impatriati in Italia: conclusioni
L’agevolazione fiscale legata ai Lavoratori Impatriati, così come modificata dal D.L. n. 34/19 rappresenta un forte incentivo all’impatrio in Italia. Questo non solo per i cittadini italiani emigrati all’estero, ma anche per soggetti esteri che possono puntare a venire a lavorare nel nostro Paese. Non vi è alcun riferimento alla nazionalità del soggetto che può usufruire dell’agevolazione. Tutti i requisiti “tecnici” di questa agevolazione sono venuti meno. Sostanzialmente qualunque impresa può pensare di assumere personale estero, abbattendo del 70% i costi, a parità di salario del lavoratore. Oppure, al contrario, il lavoratore, a parità di costi per l’azienda, può ottenere un salario più elevato.
Pensa a quali ripercussioni può avere questa norma nel mondo dello sport professionistico, dei manager di alto livello, oppure dei professionisti. Non solo, dal 2020 l’agevolazione riguarda anche i soggetti che avviano attività di impresa in Italia. L’agevolazione prevedeva già l’impatrio per l’esercizio di attività in forma autonoma, ma solo di tipo professionale.
Adesso gli imprenditori che verranno in Italia potranno godere dell’agevolazione anche per quanto riguarda il reddito di impresa costituita in Italia. Insomma, questa agevolazione, per come è concepita attualmente può davvero rappresentare una leva importante per attrarre in Italia ogni tipo di lavoratore qualificato. La cosa importante è applicare correttamente l’agevolazione e verificare con esattezza la presenza dei requisiti richiesti.
Per questo ti occorre sicuramente un esperto.
Agevolazione legata ai lavoratori impatriati: FAQ
Di seguito le principali domande che mi arrivano sull’agevolazione impatriati.
- A quanto si riduce il reddito imponibile con l’agevolazione?
Il reddito imponibile IRPEF, legato a lavoro dipendente, autonomo o di impresa, è ridotto al 30%. Il reddito imponibile si riduce al 10% se ci si trasferisce in una delle Regioni del Sud d’Italia.
- Quanti anni dura l’agevolazione dei lavoratori impatriati?
L’agevolazione impatriati ha una durata di 5 anni a partire dall’annualità di acquisizione della residenza fiscale italiana. L’agevolazione si estende per ulteriori 5 anni se si acquista un immobile in Italia o se avviene la nascita di un figlio.
- Quali sono i requisiti per ottenere l’agevolazione impatriati?
– Il lavoratore non deve essere stato residente fiscalmente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il rimpatrio;
– Il lavoratore si impegna a risiedere fiscalmente in Italia per almeno due anni;
– L’attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano. - Se non sono iscritto AIRE posso godere dell’agevolazione?
L’agevolazione impatriati è fruibile anche senza iscrizione AIRE per i rimpatrii che avvengono dal 2020. I soggetti rientrati in Italia in precedenza devono continuare ad applicare l’agevolazione di cui al Dlgs n 147/15 (ante le modifiche del DL n 34/19).
- Posso applicare l’agevolazione se in Italia apro partita IVA in regime forfettario?
L’agevolazione impatriati si applica solo ai redditi imponibili IRPEF. Il regime forfettario essendo imposta sostitutiva non rende applicabile l’agevolazione impatriati. Devi, quindi, effettuare una valutazione di convenienza tra i due regimi.
- Che cosa succede se rimango in Italia per meno di 2 anni dall’impatrio?
In questo caso si perde l’agevolazione. Oltre alla restituzione delle maggiori imposte non pagate, anche sanzioni per infedele dichiarazione dei redditi. Le sanzioni vanno dal 90% al 180% dell’imposta dovuta e non versata. Questo per ogni annualità di agevolazione goduta. Sul punto la citata Circolare n. 17/E/2017 (§ 3.6) dell’Agenzia delle Entrate ha precisato che il biennio di permanenza nel territorio dello Stato decorre dal periodo di imposta in cui il lavoratore diviene fiscalmente residente. Questo, in coerenza con il presupposto dell’agevolazione in esame, basato sulla acquisizione della residenza fiscale ai sensi dell’articolo 2 del TUIR.
- Durante il periodo di impatrio in Italia posso godere dell’agevolazione anche se cambio datore di lavoro?
Si, l’agevolazione è fruibile anche in caso di cambiamento del datore di lavoro, fino al termine del periodo agevolato. In caso di lavoro dipendente è necessario ripresentare l’autocertificazione indicando il momento a partire dal quale si è iniziato a fruire dell’agevolazione (in modo che il nuovo datore di lavoro individui il periodo che manca al termine dell’agevolazione). In caso di passaggio da lavoro dipendente a lavoro autonomo l’agevolazione si dichiara nella propria dichiarazione dei redditi.
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