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La leva fiscale nel passaggio da PMI a multinazionale

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Le leve fiscali che possono guidare il passaggio da piccola media impresa a multinazionale nel contesto fiscale nazionale.

Le società cercano di massimizzare il rendimento per i loro azionisti e ridurre al minimo la loro pressione fiscale sul reddito societario. I vari Paesi tassano i profitti con aliquote diverse, quindi le aziende strutturano le loro operazioni per ottenere il massimo vantaggio fiscale. Su questo aspetto particolare importanza viene assunta dal Commercialista, chiamato a determinare il carico fiscale ed applicare le disposizioni fiscali previste per la società. L’attività di pianificazione fiscale, ovvero l’attività attraverso la quale è possibile individuare la tassazione fiscale dovuta per una società, è un’attività molto complessa.

Prima di tutto occorre effettuare una premessa importante. Oggi, effettuare attività di pianificazione fiscale è possibile, ma esclusivamente in caso di aziende che operano in un contesto multinazionale. La classica PMI italiana, a condizione familiare, è molto difficile che possa beneficiare di strategie di pianificazione fiscale. Questo perché quando si ha di fronte una normativa fiscale complessa come quella italiana, le possibilità a disposizione dell’imprenditore sono davvero minime (sfruttare la disciplina sul diritto di autore, i rimborsi spesa, il Trattamento di Fine Mmandato, le prestazioni accessorie dei soci, etc). Sono tutte attività che possono permettere, a determinante condizioni, di ottimizzare una situazione, ma sicuramente non permettono stravolgimenti. Anche la possibilità di sfruttare una holding, è un falso mito. La costituzione di una holding ha senso solo in casi molto specifici (non è la soluzione valida apoditticamente per tutti). Per la mia esperienza professionale, una holding ha senso se:

  • Si vuole costituire un gruppo di imprese e si vuole accentrare la detenzione delle partecipazioni nelle varie aziende, effettuare economie di scala, etc. In questo caso è possibile sfruttare la normativa fiscale di favore (c.d. “partecipation exemption“) su dividendi e plusvalenze da cessione di partecipazioni;
  • Separare i beni (materiali ed immateriali) fondamentali per l’attività. Mi riferisco a partecipazioni societarie, immobili, diritti, brevetti, marchi, etc;
  • Si vuole sfruttare per tutela del patrimonio e per ipotesi di passaggio generazionale.

Con una holding, quindi, non si fa pianificazione fiscale, ma piuttosto si ottimizza una struttura societaria e nel contempo, in determinati casi, si possono ottenere anche vantaggi fiscali.

La vera e propria attività di pianificazione la possono sfruttare le organizzazioni costituite sotto la forma dell’impresa multinazionale. Si tratta di imprese costituite in più giurisdizioni diverse. Solitamente viene costituita una holding che detiene le partecipazioni in varie società operative costituite nei vari Stati ove la multinazionale opera. Questo tipo di società possono sfruttare le diverse giurisdizioni fiscali, con diverse tassazioni, diversi trattati contro le doppie imposizioni e possono (sempre nel rispetto di quanto previsto dalle varie disposizioni), effettuare operazioni perfettamente lecite, ma in grado di spostare redditi da stati a più elevata tassazione verso stati a tassazione privilegiata. Questo tipo di operazioni si possono raggiungere attraverso l’erogazione di prestiti, la distribuzione di dividendi, interessi o royalty. La chiave di questo tipo di operazioni è il controllo delle stesse dal punto di vista del c.d. “valore normale“. Infatti, le operazioni infragruppo devono rispettare il requisito legato al valore delle operazioni che sarebbero state concluse tra operatori indipendenti.

Detto questo vediamo quali sono le strategie utilizzate dalle aziende.

Quali leve fiscali nel passaggio da PMI a multinazionale?

Nella mia attività di consulenza fiscale a PMI italiane spesso mi sento rispondere dagli imprenditori che per loro è davvero difficile pensare a diventare impresa globale, multinazionale. Tuttavia, se si vuole concretamente pensare ad attività di pianificazione fiscale il passaggio da PMI a multinazionale è indispensabile. Andare all’estero è indispensabile per crescere, ma non è facile. Ci sono ostacoli ovunque: assumere le persone giuste, trovare le risorse finanziarie, costruire canali per servire mercati nuovi, entrare in alleanze e associazioni d’impresa, apprendere e sapere mediare culture diverse, tanto lavoro. Tuttavia, a mio avviso, l’elemento principale da sfruttare è l’economia digitale. Operare sul web e con il web, infatti, rende la dimensione aziendale un fattore competitivo molto importante, rispetto ad un business fisico. Grazie al web, una micro impresa può diventare senza grandi investimenti strutturali una micro multinazionale ed essere visibile in ogni luogo del pianeta. Questo è applicabile a ogni settore: oggi qualunque business può diventare un business digitale. Realtà di questo tipo crescono fino a 4 volte più velocemente, creano il doppio dei posti di lavoro e sono naturalmente predisposte all’export. Detto, questo, vediamo quali possono essere le leve fiscali da sfruttare nel passaggio da PMI a multinazionale. Dalla mia esperienza ho individuato le seguenti:

Possibilità di sfruttare il regime OSS per le vendite B2C verso privati UE

Il regime OSS è un regime Iva applicabile alle imprese che operano verso privati in ambito UE. Il regime OSS è un sistema europeo di assolvimento dell’Iva, centralizzato e digitale, che, ampliando il campo di applicazione del MOSS (concernente solo i servizi elettronici, di telecomunicazione e di teleradiodiffusione) ricomprende le seguenti transazioni:

  • Vendite a distanza di beni importati da territori terzi o Paesi terzi (ad eccezione dei beni soggetti ad accise) effettuate da fornitori o tramite l’uso di un’interfaccia elettronica;
  • Vendite a distanza intracomunitarie di beni effettuate da fornitori o tramite l’uso di un’interfaccia elettronica;
  • Vendite nazionali di beni effettuate tramite l’uso di un’interfaccia elettronica;
  • Prestazioni di servizi da parte di soggetti passivi non stabiliti nell’UE o da soggetti passivi stabiliti all’interno dell’UE ma non nello Stato membro di consumo a soggetti non passivi (consumatori finali).

L’utilizzo del regime OSS (che è un regime opzionale) consente alle imprese di evitare di doversi identificare ai fini Iva nei vari Paesi UE, quando superano la soglia complessiva di vendite verso privati per 10.000 euro. La possibilità di sfruttare questo regime Iva evita alle imprese i costi legati all’identificazione diretta ai fini Iva negli altri Stati UE ove operano.

Per approfondire: “E-commerce: il regime Iva OSS“.

Possibilità di sfruttare il regime del patent box per lo sfruttamento degli intangibles

Il patent box è un regime opzionale di tassazione per i redditi d’impresa derivanti dall’utilizzo di software protetto da copyright, di brevetti industriali, di disegni e modelli, nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili. Il patent box è un particolare regime fiscale che riguarda le attività di impresa e consente una super deduzione del 110% dei costi di ricerca e sviluppo per la creazione dei c.d. “intangibles“, che poi saranno sfruttati da terzi attraverso la corresponsione di royalties

La ratio dichiarata di questa agevolazione è quella di rendere l’Italia un paese fiscalmente “attraente” per la detenzione di attività immateriali per finalità di business. Infatti, la tendenza di molte imprese italiane in passato è stata quella di costituire società all’estero per la detenzione di beni immateriali per poi sfruttarli economicamente in Italia. Basti pensare al caso della c.d. sentenza Dolce & Gabbana, (sentenza 24 ottobre 2014, n. 43809 Corte di Cassazione). Pertanto, al fine di contrastare fenomeni di erosione della base imponibile, il Governo ha puntato su questa particolare agevolazione fiscale.

Il patent box rappresenta oggi una agevolazione fiscale per le società che detengono software, brevetti industriali e disegni e che ne concedono a terzi lo sfruttamento economico. Si tratta, quindi, di un regime opzionale che agevola gli investimenti in ricerca e sviluppo in Italia da parte delle imprese per la creazione di beni immateriali il cui sfruttamento viene ceduto a terzi. L’intervento normativo italiano arriva dopo che ormai molti Paesi come Lussemburgo, Gran Bretagna, Belgio e Francia hanno deciso di armonizzare le proprie normative fiscali, disincentivando per gli imprenditori la delocalizzazione in altri Paesi delle proprietà intellettuali, al fine di trovare maggior risparmio fiscale.

Possibilità di sfruttare il regime dell’IVA di gruppo e del consolidato fiscale

L’IVA di gruppo ed il consolidato fiscale in cui più aziende si possono costituire in un unico gruppo ed operare sotto un’unica partita Iva. Così facendo, nei confronti del Fisco agisce un unico soggetto, ma all’interno vi sono più aziende collegate fra loro. L‘IVA di gruppo consente di compensare, nell’ambito del gruppo aziendale, i crediti ed i debiti IVA risultanti dalle liquidazioni periodiche e dal conguaglio di fine anno delle società che lo costituiscono.

Il consolidato fiscale è un regime di tassazione opzionale che permette alle società consolidanti, indipendentemente dall’obbligo civilistico di redigere il bilancio consolidato, di calcolare l’Ires di competenza in modo unitario con riferimento alle società aderenti al consolidato fiscale, attraverso la compilazione del quadro GN del modello Redditi S.C. Il consolidato fiscale nazionale è un regime di tassazione opzionale, disciplinato dagli articoli da 117 a 129 del DPR n. 917/86. Si tratta di un regime che permette alle società consolidanti, indipendentemente dall’obbligo civilistico di redigere il bilancio consolidato, di calcolare l’Ires in modo unitario con riferimento alle società aderenti al consolidato. In altre parole il consolidato si realizza determinando in capo alla società o ente controllante un’unica base imponibile per l’intero gruppo di imprese.

Possibilità di sfruttare il regime della branch exemption per le branch estere

L’insediamento all’estero di un’impresa italiana attraverso la costituzione di stabili organizzazioni o branch, permette la possibilità di sfruttare, il c.d. regime “branch exemption” che consente, a determinate condizioni, di esentare da tassazione in Italia dei redditi delle stabili organizzazioni estere. Tale regime, di fatto, porta ad una equiparazione della disciplina fiscale della branch con quella applicabile ad una subsidiary estera. Sono queste, infatti, le implicazioni fiscali principali da valutare in un processo di internazionalizzazione di una PMI.

L’art. 168-ter de DPR n. 917/86 contiene una particolare disciplina opzionale (c.d. “branch_exemption“) secondo la quale le aziende residenti fiscalmente in Italia hanno la possibilità di optare per l’esenzione dalla base imponibile domestica del reddito derivante dalle stabili organizzazioni estere. In buona sostanza, il regime fiscale in commento prevede che un’impresa residente nel territorio dello stato possa optare, rispettando determinate condizioni, per l’esenzione degli utili e delle perdite attribuibili a tutte le stabili organizzazioni presenti all’estero. L’opzione in commento (da notare) è irrevocabile e deve essere esercitata nel momento della costituzione della stabile organizzazione (e non successivamente).

Il principio “all in all out” è però strettamente collegato al concetto di stabile organizzazione la cui definizione è rintracciabile nelle convenzioni contro le doppie imposizioni ratificate dal nostro Paese e, a livello domestico, nell’articolo 162 del DPR n. 917/86.

Il regime in commento non rappresenta di un’agevolazione, ma un istituto che ha una ratio, l’eliminazione della doppia imposizione internazionale sui redditi esteri percepiti dalle stabili organizzazioni. In questo modo, infatti, gli investimenti effettuati all’estero sono tassati soltanto nel Paese della fonte del reddito, favorendo, quindi, l’internazionalizzazione delle imprese all’estero. L’opzione è irrevocabile, da esercitare al momento della costituzione della stabile organizzazione, con effetto dal medesimo periodo d’imposta. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 165 e 168-ter del DPR n. 917/86, l’impresa residente nel territorio dello Stato può interpellare l’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera a), della Legge n. 212/2000, “in merito alla sussistenza di una stabile organizzazione all’estero, da valutarsi anche in base ai criteri previsti da accordi internazionali contro le doppie imposizioni, ove in vigore“.

Per approfondire: “Internazionalizzazione con variabile branch exemption“.

Possibilità di sfruttare le normative UE per la detassazione di interessi dividendi e royalties nei gruppi UE

La struttura delle disposizioni contenute nella Convenzione OCSE, che si occupano della tassazione di dividendiinteressi e royalties è molto similare. Si tratta di disposizioni che, inevitabilmente, assieme a quelle legate all’identificazione della stabile organizzazione e della tassazione dei redditi di impresa costituiscono la parte più importante di ogni trattato internazionale ai fini dell’attenuazione della doppia imposizione dei redditi.

Per questo motivo capire come il modello OCSE disciplina i fenomeni di doppia imposizione di interessi, dividendi e royalties è un elemento molto importante per tutte le imprese che si avviano alla creazione di un gruppo multinazionale.

Tanto per fare un esempio, pensa al caso di una holding/subholding localizzata in Europa, partecipata da soggetti extra-europei, di beneficiare del trattamento favorevole previsto in materia di dividendi e interessi cross-border. Infatti, nella pratica professionale è frequente il caso di dove analizzare strutture societarie del tipo indicato e dover decidere il regime fiscale dei dividendi in uscita dell’entità fiscalmente residente in Italia, verso la holding/subholding europea.

Per approfondire: “Tassazione di interessi dividendi e royalties nel modello OCSE“.

La leva fiscale nel passaggio da PMI a multinazionale: conclusioni

L’obiettivo che mi sono posto con questo articolo è quello di individuare la variabile fiscale che dovrebbe accompagnare ogni processo di internazionalizzazione di una PMI. Pensare di restare per sempre PMI, a parte casi particolari, non deve essere l’obbiettivo delle imprese, che ormai si trovano sempre più a fare i conti con un contesto globalizzato. Per questo motivo quando l’imprenditore avvia un processo di internazionalizzazione spesso sottovaluta gli aspetti fiscali, pensando esclusivamente al fatto che dovrà fare i conti con la fiscalità del Paese estero dove eventualmente andrà ad aprire una subsidiary o una branch. Tuttavia, guardando agli esempi che ti ho indicato, la leva fiscale deve essere un elemento da valutare attentamente. Per questo motivo, se stai avviando un processo legato all’entrata in mercati esteri, valutare bene la propria situazione fiscale è un elemento importante a cui prestare la dovuta attenzione.

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