Il reddito da lavoro dipendente svolto all’estero per un periodo inferiore a 183 giorni nell’anno, remunerato da un ente residente in Italia che non possiede stabili organizzazioni nello Stato estero, è tassato esclusivamente in Italia. Questa regola, prevista dall’art. 15, par. 2, del modello OCSE rappresenta una deroga al principio generale di tassazione concorrente dei redditi da lavoro dipendente svolti all’estero (prevista dal art. 15, par. 1 dello stesso modello OCSE).
Quelle appena indicate sono delle disposizioni specifiche previste al fine di coordinare la potestà impositiva tra lo Stato di residenza del lavoratore e lo Stato in cui l’attività viene svolta (Stato della fonte). Queste convenzioni prevalgono sulla normativa interna (ex art. 75 DPR n. 600/73 e 169 del TUIR), a meno che quest’ultima non risulti più favorevole per il contribuente.
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La regola generale sulla tassazione del lavoro dipendente estero
Secondo l’art. 15, par. 1 del Modello OCSE, la regola generale prevede una tassazione concorrente dei redditi da lavoro dipendente svolto all’estero: sia lo Stato della fonte (dove si lavora) sia lo Stato di residenza possono tassare il reddito. Sono esclusi da questa regola generale i compensi per membri di CDA, le pensioni e le remunerazioni per servizi resi a enti statali o autorità locali, mentre artisti e sportivi sono soggetti alle disposizioni dell’art. 17 che, comunque, riporta ad una tassazione concorrente del reddito prodotto.
Naturalmente, al fine di attenuare gli effetti della doppia imposizione giuridica del reddito, sia il modello OCSE (art. 23 B) che la normativa interna (art. 165 del TUIR) ammettono la possibilità di ottenere un credito legato alle imposte assolte all’estero (versate a titolo definitivo). Il credito deve essere utilizzato per ridurre la tassazione dovuta nello Stato di residenza del lavoratore.
La deroga dei 183 giorni: quando la tassazione è solo in Italia
L’art. 15, par. 2 del Modello OCSE introduce una fondamentale deroga al principio della tassazione concorrente. La potestà impositiva spetta esclusivamente allo Stato di residenza del lavoratore (quindi, l’Italia per un residente fiscale italiano) se si verificano congiuntamente tre condizioni:
- Il beneficiario soggiorna nell’altro Stato (Stato della fonte) per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni in un arco di 12 mesi che inizia o termina nell’anno fiscale considerato;
- Le remunerazioni sono pagate da, o per conto di, un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato (Stato della fonte);
- L’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione che il datore di lavoro ha nell’altro Stato (Stato della fonte).
Se anche una sola di queste condizioni non è soddisfatta, si ricade nella regola generale della tassazione concorrente.
Il requisito temporale: calcolo dei 183 giorni ed evoluzione
Il conteggio dei 183 giorni è cruciale. Si basa sul criterio della presenza fisica nello Stato della fonte. È importante sottolineare che:
- I giorni non devono essere necessariamente consecutivi;
- Anche le frazioni di giorno (giorni di arrivo e partenza) contano nel computo;
- Nel calcolo rientrano anche brevi periodi di interruzione dell’attività lavorativa (ferie, weekend, malattia) trascorsi nello Stato della fonte, come chiarito dal Commentario OCSE. Questo aspetto è esplicitamente menzionato solo nei trattati con Costa d’Avorio e Marocco, ma rappresenta un principio generale;
- È fondamentale tenere traccia accurata dei giorni trascorsi all’estero.
Il riferimento temporale dei “12 mesi che iniziano o terminano nell’anno fiscale considerato“, introdotto nel Modello OCSE per finalità anti-elusive, non è però universale. Molte Convenzioni stipulate dall’Italia, specie quelle più datate (es. con Argentina, Germania, Francia, USA, Paesi Bassi, Svizzera), fanno ancora riferimento ai 183 giorni “nel corso dell’anno fiscale considerato” o “anno solare“. In questi casi, il calcolo deve necessariamente essere effettuato unicamente sull’anno fiscale (o solare) di riferimento.
La tassazione del reddito in modo analitico
Nel caso in cui trovi applicazione la tassazione esclusivamente in Italia del reddito da lavoro dipendente prodotto all’estero, il lavoratore deve dichiarare il reddito analiticamente percepito. Questo, in quanto non può trovare applicazione la disciplina delle retribuzioni convenzionali. Sul punto, infatti, la regola da ricordare è la seguente:
- Lavoro all’estero > 183 giorni (art. 51, co. 8-bis TUIR): Se un dipendente residente lavora all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto per più di 183 giorni nell’arco di 12 mesi, il suo reddito imponibile in Italia non è determinato analiticamente, ma sulla base delle cosiddette “retribuzioni convenzionali“, fissate annualmente con decreto ministeriale. Questo regime non si applica ai dipendenti in trasferta;
- Lavoro all’estero < 183 giorni: Se il periodo è inferiore, il reddito è tassato analiticamente secondo le regole ordinarie degli articoli 50 e 51 del TUIR (principio di onnicomprensività). In questo caso, si applicano le regole convenzionali per evitare la doppia imposizione.
Obblighi del datore di lavoro italiano
Il datore di lavoro italiano con dipendenti che operano all’estero ha diversi obblighi:
- Sicurezza sul lavoro: Deve garantire la salute e la sicurezza del lavoratore anche all’estero (art. 2087 c.c., D.Lgs. n. 81/08). Ciò include la valutazione dei rischi specifici del Paese di destinazione, l’adozione di misure preventive, l’informazione e la formazione adeguata del dipendente. La responsabilità (civile e penale) permane anche per infortuni avvenuti all’estero;
- Obblighi fiscali: È tenuto ad operare le ritenute fiscali (ex art. 23 DPR n. 600/73), considerando però la possibile applicazione delle retribuzioni convenzionali o la necessità di adeguare il prelievo in base alla residenza fiscale del dipendente e alle norme convenzionali per evitare ritenute non dovute;
- Obblighi previdenziali: Deve gestire correttamente la contribuzione, applicando le normative europee o gli accordi internazionali di sicurezza sociale per evitare doppia contribuzione o assicurare la copertura nel Paese corretto.
Consulenza fiscalità internazionale: la necessità di un’analisi personalizzata
La determinazione del corretto regime fiscale per i redditi da lavoro dipendente conseguiti all’estero richiede un’attenta analisi della situazione specifica del lavoratore e del datore di lavoro. È indispensabile verificare:
- La residenza fiscale del dipendente;
- Lo Stato estero in cui viene svolta l’attività;
- La Convenzione bilaterale applicabile e le sue specifiche disposizioni (in particolare riguardo alla regola dei 183 giorni);
- La durata e le modalità della permanenza/attività all’estero;
- Lo status del datore di lavoro (residente o meno nello Stato della fonte, presenza di stabile organizzazione).
Data la complessità della materia e le potenziali conseguenze di un’errata applicazione delle norme (doppia imposizione, sanzioni), rivolgersi a un Dottore commercialista esperto in fiscalità internazionale è fortemente raccomandato per pianificare correttamente gli incarichi all’estero e adempiere correttamente agli obblighi dichiarativi e contributivi.
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