Le valute virtuali detenute dal contribuente fiscalmente residente in Italia in digital wallet devono essere obbligatoriamente dichiarate nel quadro RW. La questione è stata definitivamente risolta dalla risposta ad interpello n. 788/E/2021 con cui l’Agenzia delle Entrate ha chiarito il dilemma che deriva dalla lettura dell’art. 4 del Model Tax Convention on Income and on Capital, documento OCSE del 21 novembre 2017. Questo documento, sicuramente molto importante, afferma un principio secondo cui la disponibilità della valuta virtuale esclusivamente all’interno della chiave privata del contribuente non porti all’obbligo del monitoraggio fiscale. Su questo aspetto era attesa l’emanazione di una posizione ufficiale da parte dell’Agenzia delle Entrate, che è arrivata con il documento di prassi in commento.
L’Agenzia delle Entrate chiarisce la propria posizione sulla tassazione e sugli obblighi dichiarativi relativi alle valute virtuali. Se desideri approfondire questo argomento ti lascio al nostro articolo di approfondimento dedicato: “Criptovalute in dichiarazione dei redditi“. Questa posizione, espressa dall’Amministrazione finanziaria, come già fatto notare anche da autorevole dottrina, arriva a pochissimi giorni dalla chiusura delle dichiarazioni dei redditi. Detto questo, andiamo ad analizzare, in dettaglio, il caso sottoposto all’attenzione dell’Agenzia e la relativa risposta.
Detenzione di valute virtuali in wallet privato: il caso
Il caso di partenza è quello di un contribuente residente in Italia che detiene valute virtuali in un digital wallet per un periodo superiore ai cinque anni, senza che queste siano cedute o convertite in euro (c.d. “detenzione in holding“). Queste valute virtuali sono state acquistate a titolo oneroso. Parte delle valute virtuali sono detenute su wallet presso un exchange estero mentre altre sono in un “hardware wallet” e in un “desktop wallet” con disponibilità diretta di chiave privata.
Monitoraggio fiscale e fiscalità diretta delle valute virtuali
Il trattamento fiscale applicabile alla detenzione di valute virtuali in capo a persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di arte, professione o impresa, è stato oggetto di chiarimenti nella Risoluzione n. 72/E/2016, con particolare riferimento
ai bitcoin. Con tale documento è stato precisato che la moneta “virtuale” è utilizzata come “moneta” alternativa a quella tradizionale avente corso legale ed emessa dall’Autorità monetaria, la cui circolazione si fonda su un principio di accettazione
volontaria da parte degli operatori che decidono di utilizzarla.
Tecnicamente, le valute virtuali sono stringhe di codici digitali opportunamente criptati, generati in via informatica mediante complessi algoritmi matematici. Lo scambio di tali codici criptati tra gli utenti avviene attraverso applicazioni software specifiche. Pertanto, tali “valute” hanno natura esclusivamente “digitale” essendo create, memorizzate e utilizzate attraverso dispositivi elettronici (ad esempio pc e smartphone) e sono conservate, generalmente, in “portafogli elettronici” (c.d. wallet). I wallet sono classificati in base a criteri diversi tra i quali quelli più rilevanti si basano sulla tecnologica del mezzo di conservazione (i.e. paper, hardware, desktop, mobile, web), sulla connettività alla rete dell’ambiente in cui sono archiviate le chiavi (i.e. hot wallet e cold wallet) e sul controllo o meno della chiave privata da parte dell’utente (custodial/non custodial wallet). In sostanza, i wallet consistono in una coppia di chiavi crittografiche di cui:
- La chiave pubblica, comunicata agli altri utenti, rappresenta l’indirizzo a cui associare la titolarità delle valute virtuali ricevute;
- La chiave privata, mantenuta segreta per garantire la sicurezza delle valute associate, consente di trasferire valute virtuali ad altri portafogli.
Trattamento fiscale delle valute virtuali
Con riferimento al trattamento fiscale applicabile alle operazioni relative alle valute virtuali, come precisato nella Risoluzione n. 72/E/2016, in assenza di una specifica normativa applicabile al sistema delle monete virtuali, costituisce necessariamente un punto di riferimento sul piano della disciplina fiscale applicabile alle stesse, la sentenza della Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, causa C-264/14. Pertanto, ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche che detengono valute virtuali al di fuori dell’attività d’impresa, alle operazioni in valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali.
Ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-ter), del TUIR costituiscono redditi diversi di natura finanziaria “le plusvalenze, diverse da quelle di cui alle lettere c) e c-bis), realizzate mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreché siano allo stato grezzo o monetato, e di quote di partecipazione ad organismi d’investimento collettivo. Agli effetti dell’applicazione della presente lettera si considera cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente“.
Ai sensi del comma 1-ter) del medesimo articolo 67 “Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza
dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a cento milioni di lire (Ndr 51.645,69 euro) per almeno sette giorni lavorativi continui“.
Conseguentemente, le cessioni a termine di valute virtuali rilevano sempre fiscalmente, mentre le cessioni a pronti generalmente non danno origine a redditi imponibili mancando la finalità speculativa, salva l’ipotesi in cui la valuta ceduta derivi da prelievi da portafogli elettronici (wallet), per i quali la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta, ai sensi del combinato disposto degli articoli 67, comma 1, lettera c-ter), e comma 1-ter. Agli effetti di quest’ultima disposizione, il prelievo dai wallet è equiparato ad una cessione a titolo oneroso.
Ai fini della eventuale tassazione del reddito diverso occorre, dunque, verificare se la conversione di una data valuta virtuale con altra valuta virtuale (oppure da valute virtuali in euro o altra valuta avente corso legale) avviene per effetto di una cessione a termine oppure in caso di cessione a pronti o di prelievo se la giacenza media dei wallet abbia superato il controvalore in euro di 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta.
Il reddito, se percepito da una persona fisica al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, è soggetto ad imposta sostitutiva ai sensi dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 461/97, attualmente prevista nella misura del 26 per cento.
Monitoraggio fiscale delle valute virtuali
Per quanto riguarda gli obblighi di monitoraggio fiscale, l’articolo 4 del D.L. n. 167/90 prevede che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate residenti in Italia che, nel periodo di imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi. Sul punto, la Circolare n. 38/E/2013 (paragrafo 1.3.1) è stato precisato che il medesimo obbligo sussiste anche per le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti.
Pertanto, con riferimento alla detenzione di valute virtuali da parte di soggetti residenti, si ritiene che tale obbligo sia esistente costituendo le stesse attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia. Pertanto, nel quadro RW del modello Redditi, deve essere indicato:
- In colonna 3 “codice individuazione del bene” il codice 14 (“Altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali”).
- In colonna 4, “Codice Paese estero” non deve essere indicato niente.
L’Agenzia ricorda poi che con la sentenza n. 1077 il TAR del Lazio si è pronunciato a favore della linea interpretativa adottata dall’Agenzia delle Entrate. Il TAR ha ribadito che i soggetti titolari di valute virtuali sono obbligati a indicare tali valute nel quadro RW del Modello Redditi. Ai fini della compilazione di tale quadro, il controvalore in euro della valuta virtuale, detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento, deve essere determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale.
Negli anni successivi, il contribuente dovrà indicare il controvalore detenuto alla fine di ciascun anno o alla data di vendita nel caso di valuta virtuale vendute in corso d’anno. Da ultimo, l’Agenzia precisa che le valute virtuali non sono soggette all’imposta sul
valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE) dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, in quanto tale imposta si applica ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura bancaria (Circolare n. 28/E/2012). Pertanto, l’Agenzia afferma che il contribuente avendo detenuto valute virtuali nei wallet (privati o su exchange esteri) sia obbligato in ogni caso ad adempiere agli obblighi di monitoraggio fiscale, attraverso la compilazione del quadro RW.
Valute virtuali detenute in wallet privati: conclusioni
Il documento di prassi oggetto di commento è sicuramente rilevante in quanto emerge (finalmente) la posizione dell’Amministrazione finanziaria sulle valute virtuali detenute in wallet privati. Naturalmente si tratta della posizione dell’Agenzia delle Entrate, sicuramente non vincolante per il contribuente, ma si tratta di un primo documento utile a valutare questo specifico tema. Sul punto, infatti, si erano create posizioni diverse anche nella più autorevole dottrina.
In linea generale, è importante sottolineare che, in ogni caso il limite maggiore è comunque dato dall’assenza di norme di diritto che diano una definizione delle valute virtuali. Infatti, solo attraverso una definizione giuridica condivisa ed univoca sarà possibile arrivare a definire un regime fiscale e di monitoraggio fiscale definitivi e su misura per questi strumenti. Ad oggi, infatti, il paradosso principale è comunque legato all’equiparazione tra valuta virtuale e valuta estera, aspetto che determina l’assoggettamento agli obblighi di monitoraggio fiscale.
Per questo motivo non possiamo che augurarci che una disciplina giuridica e fiscale specifica possa essere presto attuata anche in Italia (considerato il fatto che alcuni Paesi sono sicuramente più avanti di noi anche su questa disciplina). Solo in questo modo, infatti, sarà possibile porre le basi per lo sviluppo del mercato di queste attività anche in Italia.
Il fatto che l’agenzia si sia espressa a Novembre 2021 cosa implica per le dichiarazioni riguardo all’anno fiscale 2020 e anni precedenti? La dichiarazione di criptovalute su wallet privati va integrata per le dichiarazioni precedenti oppure non è necessaria secondo la sentenza della Corte di Giustizia 22 ottobre 2015?
E’ sicuramente consigliabile dichiarare le valute virtuali ai fini del monitoraggio fiscale, come indicato dalla stessa Agenzia delle Entrate.