Il trasferimento di beni a se stessi, presso altro stabilimento dell’azienda, tra stati diversi della UE, richiede sempre l’apertura di una posizione IVA nel secondo Stato coinvolto.
Un’operazione frequente che di solito si verifica nelle aziende commerciali riguarda lo spostamento di beni a se stessi tra due depositi della stessa azienda. Quando questa operazione avviene all’interno del territorio di uno stesso Stato non vi sono particolari problematiche, almeno sotto il profilo IVA. Lo spostamento dei beni deve essere accompagnato dal documento di trasporto (DDT) che descrive lo spostamento e non vi sono ulteriori obblighi. Quando, invece, il trasferimento di beni a se stessi avviene tra due unità della stessa azienda poste in due Paesi diversi della UE le problematiche IVA aumentano. In questo caso, infatti, occorre chiedersi quali sono i riflessi IVA di questa operazione, e quali accorgimenti è necessario tenere presenti per non commettere errori.
Indice degli Argomenti
- Trasferimento di beni a se stessi: disciplina IVA
- Adempimenti contabili
- Trasferimento di beni a se stessi da parte di operatore comunitario in Italia
- Trasferimento di beni a se stessi in ambito UE e fattura elettronica
- Trasferimenti di beni a se stessi senza identificazione nell’altro Stato
- Consulenza fiscale online
Trasferimento di beni a se stessi: disciplina IVA
Per quanto riguarda la normativa IVA il trasferimento di beni a se se stessi è una operazione assimilata alle vendite intracomunitarie. In pratica, quando un’operatore economico residente in Italia invia dei beni ad un’altra unità della medesima azienda posta in un diverso Stato UE si realizza una cessione intracomunitaria assimilata. Infatti, lo spostamento per finalità della propria impresa di beni in ambito UE è considerata una cessione assimilata alle vendite intracomunitarie non imponibili IVA. Per questo motivo l’azienda è tenuta ad identificarsi direttamente o a nominare un proprio rappresentante fiscale nello Stato membro di destinazione dei beni.
Il trasferimento di beni a se stessi come cessione intracomunitaria non imponibile IVA
Secondo le regole generali indicate dall’articolo 41, comma 1, lettera a) del D.L. n. 331/93 si realizza una cessione intra-comunitaria qualora siano congiuntamente e contemporaneamente soddisfatti i seguenti requisiti, oggettivi, soggettivi e territoriali. Si tratta dei sottostanti:
- Status di operatore economico del cedente e dell’acquirente, con iscrizione al VIES;
- Onerosità dell’operazione;
- Trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale;
- Effettivo trasferimento dei beni in altro Stato comunitario.
Stabilite le regole generali, lo stesso articolo prevede però alcune eccezioni. In particolare la lettera c) del comma 2, che riprende l’articolo 17 della Direttiva n. 2006/112/CE. Questa norma prevede che vi sia, anche in assenza dell’effetto traslativo della proprietà e dell’onerosità, una cessione intracomunitaria quando vi è invio di beni dal territorio nazionale a quello di altro Stato membro. Il trasferimento deve avvenire mediante trasporto o spedizione a cura del soggetto passivo nel territorio dello Stato, o da altri per suo conto.
Esempio: |
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Prendiamo il caso di un società italiana che decide di creare un deposito in un altro Stato membro UE presso un proprio agente o presso una società di logistica. L’azienda invia i beni nel deposito, effettuando una cessione intracomunitaria. Successivamente i beni saranno oggetto di una cessione domestica in quanto venduti all’interno del territorio dello Stato ove sono depositati. |
Naturalmente, nel caso in cui ci si trovi di fronte alla restituzione dei beni dal deposito all’azienda che li ha inizialmente inviati, siamo sempre di fronte ad operazione intracomunitaria passiva con l’emissione di fattura da parte dell’identificazione diretta o del rappresentante fiscale UE nei confronti dell’azienda italiana che si vede ritornare i beni nel territorio nazionale.
Adempimenti dell’operatore residente
Quando la società italiana invia i beni nel Paese comunitario dà luogo ad una cessione intracomunitaria “assimilata”. Questa operazione deve essere fatturata ai sensi dell’articolo 41, comma 2, lettera c) del D.L. n. 331/93. Inoltre, in relazione a tale posizione devono essere espletati tutti gli obblighi relativi, considerando come controparte la propria posizione IVA estera.
La fattura, ai sensi dell’art. 6 del DPR IVA, essere emessa al momento di effettuazione dell’operazione. L’effettuazione dell’operazione per le cessioni intracomunitarie coincide con l’inizio del trasporto o della spedizione al cessionario o a terzi per suo conto (articolo 39, comma 1 del D.L. n. 331/93). Inoltre, essendo il trasferimento assimilato ad una cessione comunitaria deve essere compilato il modello INTRASTAT. Questo è quanto previsto dall’articolo 50 comma 6 del D.L. n. 331/93.
Identificazione diretta UE dell’operatore nazionale
Prima dell’invio dei beni in territorio UE l’operatore nazionale è quindi tenuto ad identificarsi direttamente nel Paese di destinazione del bene o a nominare un rappresentante fiscale. Questa procedura, obbligatoria, si rende necessaria:
- Al fine di poter correttamente rilevare l’acquisto intracomunitario di beni;
- Per poter gestire correttamente la successiva cessione dei beni al cliente finale. Infatti, in caso di cessione interna al cliente finale, come vedremo di seguito, devono essere espletati adempimenti IVA.
La successiva fatturazione dell’operazione finale di vendita in relazione alla diversa natura dell’acquirente
La procedura sinora delineata deve essere effettuata anche per porre in essere correttamente gli adempimenti IVA legati alla cessione del bene al cliente finale. In relazione a questo adempimento possiamo trovarci di fronte a due casistiche:
- Qualora il cliente finale sia un soggetto privato l’operazione di cessione domestica si configura come una operazione soggetta ad IVA locale. Operazione che deve essere gestita dalla posizione IVA dell’operatore nazionale nello Stato membro ove si trovano i beni ceduti;
- Qualora, il cliente sia un soggetto passivo IVA è opportuno fare attenzione. Si deve verificare se, secondo la legislazione locale, la cessione debba essere assoggettata ad imposta dalla posizione IVA locale dell’operatore italiano. Oppure se l’operazione richieda l’applicazione del reverse charge da parte dell’acquirente. Nel caso, quindi, la fattura deve essere emessa dall’operatore italiano (mediante la propria partita IVA italiana) ai sensi dell’articolo 21, comma 6-bis, lett. a) del DPR n. 633/72 direttamente al cessionario finale.
Adempimenti contabili
Il trasferimento di beni a se stessi in un altro Stato comunitario, si qualifica come “trasferimento di bene” e non come “cessione comunitaria”. Questo sebbene si tratti di una operazione assimilata alla cessione intracomunitaria, ai fini IVA non comporta l’effettivo trasferimento della proprietà del bene.
Da questa considerazione deriva la necessità di gestire l’operazione da un punto di vista contabile attraverso l’utilizzo di appositi conti transitori. Si tratta di partite contabili utili all’evidenziazione del fatto che la cessione dei beni ai fini contabili ed ai fini delle imposte dirette avviene soltanto nel momento in cui si perfeziona la cessione del bene al cliente finale.
Trasferimento di beni a se stessi da parte di operatore comunitario in Italia
Le considerazioni sin quì esposte si rendono applicabili anche nelle situazioni inverse. Mi riferisco al caso, ad esempio, di un operatore comunitario con residenza UE che trasferisce beni di proprietà in Italia. In questo caso, si tratta di operazione intracomunitaria passiva ex art. 38, comma 3, lettera b) del D.L. n. 331/93. In questo caso l’operatore comunitario è chiamato a dotarsi di una posizione IVA in Italia al fine di rilevare come acquisto intracomunitario il trasferimento di beni a se stesso nel territorio italiano.
La successiva cessione del bene, già esistente nel territorio dello Stato, deve essere fatturata con IVA italiana se il bene è ceduto ad un soggetto privato o a un soggetto passivo IVA non stabilito in Italia. Oppure, al contrario, si tratterà di una cessione in reverse charge se ceduto ad un soggetto passivo IVA stabilito nel territorio dello Stato. Tale operazione, quindi, deve essere posta in essere da parte della casa madre residente UE che emetterà fattura in non imponibilità IVA, trattandosi di operazione territorialmente rilevante in Italia con applicazione dell’inversione contabile.
Trasferimento di beni a se stessi in ambito UE e fattura elettronica
Un ulteriore aspetto da approfondire sull’argomento riguarda il collegamento tra la cessione di beni a se stessi in altro paese UE e gli obblighi di emissione della fattura elettronica in Italia. Il trasferimento di beni a se stessi, come visto, è una operazione di cessione assimilata alle cessioni intracomunitarie in regime di non imponibilità IVA. Per questa operazione vi è obbligo di emissione della fattura con l’indicazione del numero di identificazione attribuito nell’altro Stato membro.
Trasferimenti di beni a se stessi senza identificazione nell’altro Stato
Una situazione particolare che può venirsi a creare in fattispecie come il trasferimento di beni a se stessi è la mancata identificazione dell’operatore nell’altro Stato UE. Può capitare, infatti, che l’operatore economico italiano non si identifichi ai fini IVA nell’altro Stato UE ove ha un deposito ove vi ha fatto inviare i beni. In questo caso al momento della vendita di quei beni nel territorio dello Stato ci si chiede se tale cessione debba essere comunque una cessione intracomunitaria o meno. Sul punto è intervenuta la sentenza resa dalla Corte di giustizia UE nella causa C-24/15 del 20 ottobre 2016.
Questa sentenza ha visto coinvolto un imprenditore tedesco per la cessione di un veicolo aziendale, di sua proprietà, posta in essere in Spagna. Il veicolo è stato inviato, ai fini della successiva vendita, ad un concessionario spagnolo nel corso del mese di ottobre 2006. La cessione finale nei confronti dell’impresa acquirente, anch’essa spagnola, è avvenuta nel mese di luglio dell’anno successivo. In sede di fatturazione, il venditore ha applicato la non imponibilità IVA prevista per le cessioni intracomunitarie. Tuttavia, le Autorità fiscali tedesche hanno negato tale regime non tanto perché il veicolo, al momento della vendita, si trovava già in Spagna. Quanto, piuttosto perché la fattura emessa non riportava il numero di identificazione attribuito dallo Stato membro di destinazione.
Nel caso oggetto di analisi l’invio del veicolo in Spagna rientra nelle finalità imprenditoriali dell’operatore tedesco. Per questo motivo soddisfa i requisiti “sostanziali” richiesti dalla normativa per l’applicazione dell’esenzione. Infatti, l’indicazione in fattura del codice identificativo IVA attribuito dal Paese di destinazione è un requisito di carattere esclusivamente “formale“. Quindi requisito non idoneo ad incidere sul trattamento impositivo dell’operazione posta in essere. Pertanto, l’operazione deve essere considerata come non imponibile a prescindere dal regime applicabile a destino. In conclusione, per le operazioni intracomunitarie, la possibile di esenzione IVA nel Paese membro di origine prescinde dall’identificazione nel Paese membro di destinazione del cessionario. Questo anche in caso di trasferimento di beni per esigenze dell’impresa cedente. In quest’ultima ipotesi, una volta accertato che il bene sia trasferito nello Stato membro di destinazione per le esigenze dell’impresa, la non imponibilità spetta a prescindere dall’avvenuta identificazione dell’operatore nello Stato membro di destinazione del bene.
Consulenza fiscale online
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