La possibilità di operare in smart working in Italia per conto di datore di lavoro non residente (con contratto di lavoro estero) è possibile, vedasi la Circolare n. 33/E/20. Tuttavia, in alcuni casi tale situazione può generare fattispecie di stabile organizzazione (occulta) del datore di lavoro estero in Italia.
Lavori da casa in Italia per un’azienda estera. Hai un contratto di lavoro dipendente straniero e svolgi tutta la tua attività dal tuo appartamento a Roma o Milano. Sai che questa situazione può creare una stabile organizzazione occulta del tuo datore in Italia? Il rischio è concreto e le conseguenze sono pesanti: il datore estero deve identificarsi fiscalmente in Italia, versare imposte sui profitti attribuibili e gestire tutti gli adempimenti fiscali italiani.
Il commentario OCSE 2025 ha introdotto criteri innovativi per valutare quando l’abitazione del lavoratore diventa una sede fissa di affari dell’impresa estera. La soglia del 50% del tempo lavorativo e il criterio della ragione commerciale cambiano completamente l’approccio. Non basta più verificare solo se la casa è a disposizione dell’impresa. Devi capire perché lavori dall’Italia e quanto tempo dedichi al lavoro da remoto. L’Agenzia delle Entrate, nella Circolare n. 33/E/20, ha avvertito esplicitamente: il lavoratore impatriato potrebbe configurare una stabile organizzazione del datore non residente (nel caso nel contesto dei lavoratori impatriati).
Questa guida approfondisce esclusivamente il rischio di stabile organizzazione nel lavoro da remoto. Analizziamo i nuovi parametri OCSE 2025, i criteri tradizionali ancora validi e le conseguenze concrete per datore e lavoratore. Per una guida completa sulla tassazione del lavoro per datore estero, consulta il nostro articolo dedicato.
Indice degli argomenti
- Stabile organizzazione: definizione e rilevanza per lo smart working
- I nuovi criteri OCSE 2025: soglia del 50% e ragione commerciale
- I tre criteri tradizionali ancora validi
- Conseguenze fiscali della stabile organizzazione per il datore estero
- Riflessioni operative per evitare la stabile organizzazione
- Consulenza fiscalità internazionale
- Fonti
Stabile organizzazione: definizione e rilevanza per lo smart working
La stabile organizzazione è una sede fissa di affari attraverso cui un’impresa estera esercita la propria attività in altro Stato. L’articolo 5 del modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni definisce questa presenza fiscalmente rilevante. Comprende sedi di direzione, succursali, uffici, officine e laboratori. Nel contesto del lavoro da remoto, rileva particolarmente la fattispecie dell’ufficio. La casa di abitazione del lavoratore può diventare un ufficio dell’impresa estera.
Quando si configura una stabile organizzazione, l’impresa estera ha obblighi fiscali nello Stato dove opera. Deve identificarsi, versare imposte sui profitti attribuibili alla stabile organizzazione e presentare dichiarazioni dei redditi. Gli Stati tassano i profitti delle imprese estere solo se queste hanno una presenza stabile e significativa sul territorio. La stabile organizzazione rappresenta questa soglia minima di presenza. Sotto questa soglia, lo Stato non può tassare l’impresa estera.
Il lavoro da remoto complica l’applicazione di questi principi. Prima della pandemia, i dipendenti lavoravano negli uffici dell’azienda. La sede era identificabile con certezza. Oggi milioni di lavoratori operano dalle proprie abitazioni sparse nel mondo. Un’azienda tedesca può avere dipendenti che lavorano da Italia, Spagna, Francia, tutti da casa. Ogni abitazione diventa potenzialmente una stabile organizzazione. Le autorità fiscali devono verificare caso per caso se sussistono i requisiti.
L’OCSE ha aggiornato il commentario all’articolo 5 proprio per affrontare queste problematiche. Le novità del 2025, contenute nei paragrafi 44.1-44.21, forniscono parametri più precisi. Ribadiscono un principio fondamentale: non esiste automatismo. Il semplice fatto che un dipendente lavori da casa non crea stabile organizzazione. Serve un’analisi approfondita di fatti e circostanze. Occorre verificare se il luogo è effettivamente a disposizione dell’impresa per le sue esigenze commerciali.
I nuovi criteri OCSE 2025: soglia del 50% e ragione commerciale
Il commentario OCSE 2025 introduce due parametri operativi fondamentali per valutare la stabile organizzazione nel lavoro da remoto. Si tratta dei seguenti:
- La soglia del 50% del tempo lavorativo.
- La ragione commerciale della presenza nel territorio.
Questi criteri semplificano l’analisi iniziale ma richiedono poi approfondimenti caso per caso. Vediamoli nel dettaglio.
La soglia del 50% del tempo lavorativo
Se in un periodo di 12 mesi lavori da casa per meno del 50% del tempo complessivo di lavoro per l’impresa, in linea generale quella casa non costituisce stabile organizzazione. Questo parametro offre una prima indicazione oggettiva. Calcola quanti giorni lavori da casa rispetto al totale dei giorni lavorativi nell’anno. Se lavori due giorni su cinque da casa, sei al 40%: sotto la soglia. Se lavori quattro giorni su cinque da casa, sei all’80%: sopra la soglia.
Attenzione però: superare il 50% non significa automaticamente stabile organizzazione. Serve un’analisi ulteriore. Il commentario OCSE chiarisce che la soglia è solo un primo filtro. Se stai sotto il 50%, puoi stare relativamente tranquillo. Se superi il 50%, devi verificare gli altri criteri. In particolare, diventa decisivo il criterio della ragione commerciale. Perché lavori dall’Italia? La tua presenza qui facilita il business dell’impresa estera?
Il conteggio dei giorni deve essere preciso. Conta ogni giorno effettivo di lavoro da casa nell’anno. Se hai lavorato da casa 120 giorni su 240 giorni lavorativi totali, sei al 50% esatto. Considera anche i periodi di ferie, malattia e trasferte. Questi giorni non contano nel calcolo perché non lavori. Se l’impresa estera ti chiede di recarti periodicamente nella sede principale, quei giorni riducono la percentuale di lavoro da casa.
Il criterio della ragione commerciale
Elemento decisivo diventa la presenza di una ragione commerciale perché tu svolga l’attività dall’Italia. Esiste ragione commerciale quando la tua presenza fisica in Italia facilita lo svolgimento del business dell’impresa estera. Esempi concreti: devi incontrare clienti italiani regolarmente, gestisci fornitori locali, coordini team sul territorio italiano, eroghi servizi in tempo reale a clienti in fuso orario europeo.
Non bastano invece la semplice presenza di clienti in Italia, le differenze di fuso orario o le scelte dettate unicamente da risparmio di costi o tua comodità personale. Se lavori dall’Italia solo perché hai scelto di vivere qui per motivi familiari, senza che questo apporti vantaggi commerciali all’impresa estera, manca la ragione commerciale. L’azienda tedesca non ha bisogno che tu sia in Italia. Potresti lavorare da Berlino con gli stessi risultati. In questo caso, anche superando il 50% del tempo, non si configura stabile organizzazione.
Particolare attenzione quando sei l’unico o il principale soggetto che svolge l’attività dell’impresa in Italia. Se l’azienda estera opera in Italia solo attraverso te in Gli individui che effettuano attività di telelavoro, la tua abitazione diventa di fatto la sede operativa dell’impresa sul territorio italiano. Questo rafforza molto la configurazione di stabile organizzazione. Non puoi essere considerato un semplice dipendente che lavora da remoto. Rappresenti l’intera presenza dell’impresa in Italia.
Esempi pratici
Il commentario OCSE fornisce esempi pratici illuminanti. Un utilizzo temporaneo di tre mesi in un anno non conferisce il requisito della fissità. Lavorare da casa uno o due giorni alla settimana per un totale del 30% del tempo, anche se continuativo sull’anno, non porta a stabile organizzazione in assenza di ulteriori elementi. Al contrario, se lavori da casa per l’80% del tempo e incontri regolarmente clienti italiani, la ragione commerciale è evidente. La stabile organizzazione può configurarsi.
Un project manager che lavora da Firenze per una software house olandese, gestendo clienti italiani e coordinando sviluppatori locali per il 70% del tempo, supera sia la soglia del 50% che il test della ragione commerciale. Rischio stabile organizzazione molto elevato.
I tre criteri tradizionali ancora validi
Oltre ai nuovi parametri OCSE 2025, restano validi i tre criteri tradizionali che l’Agenzia delle Entrate e la giurisprudenza hanno sempre utilizzato. Questi criteri derivano dai paragrafi 18 e 19 del commentario all’articolo 5 del modello OCSE. Sono: la disponibilità della casa per l’impresa estera, l’abitualità dell’utilizzo e lo svolgimento di attività core business. Devono sussistere tutti e tre contemporaneamente.
Casa di abitazione a disposizione dell’impresa estera
La disponibilità dell’abitazione si verifica quando l’azienda richiede che tu utilizzi la tua casa per l’attività lavorativa. Questo accade tipicamente quando il datore non ti fornisce un ufficio. Non hai una postazione nella sede principale dell’azienda. Non hai accesso a spazi di coworking pagati dall’azienda. L’impresa ti dice: lavora da casa tua. In questo caso, la casa diventa a disposizione dell’impresa.
Al contrario, se tu chiedi espressamente di lavorare da casa pur avendo un ufficio disponibile nella sede aziendale, la casa non è a disposizione dell’impresa. La scelta deriva da tua iniziativa personale. L’azienda ha messo a disposizione un ufficio ma tu preferisci lavorare da casa. Questa distinzione è fondamentale. Devi dimostrare che esiste un ufficio per te nella sede principale e che hai scelto volontariamente il lavoro remoto.
La giurisprudenza internazionale ha individuato indicatori della disponibilità. La Tax Court canadese nelle sentenze Knights of Columbus e American Income Life Insurance del 2008 ha elencato elementi significativi: il datore paga il canone di locazione o le utenze dell’abitazione, ha diritto di ispezionare l’abitazione, nell’home office sono presenti segni distintivi dell’impresa estera come loghi o insegne. L’Amministrazione fiscale svedese segue criteri simili. Se il datore rimborsa il canone di locazione, la casa è chiaramente a sua disposizione.
L’autorità fiscale belga in un ruling del 2011 ha escluso la stabile organizzazione per l’home office di un manager perché il datore non aveva potere di disporre dell’abitazione. Il manager poteva venderla e acquistarne un’altra liberamente. Non era contrattualmente obbligato a lavorare da quell’abitazione. L’indirizzo non compariva su biglietti da visita o sito web aziendale. Questi elementi dimostravano che la casa restava nella disponibilità esclusiva del manager, non dell’impresa.
Abitualità e continuità dell’utilizzo
Il carattere continuativo dell’utilizzo rappresenta il secondo criterio essenziale. La stabile organizzazione richiede stabilità temporale. Lavorare dalla tua casa a Torino per due settimane un paio di volte all’anno non configura stabile organizzazione. Manca la continuità richiesta. La presenza deve protrarsi nell’anno in modo significativo. La soglia del 50% OCSE fornisce un parametro, ma anche percentuali inferiori possono integrare l’abitualità se distribuite continuativamente.
La presenza in Italia per oltre 183 giorni nell’anno rappresenta una situazione di stabilità da valutare attentamente. Superi metà anno sul territorio italiano. Questo dato si intreccia con i criteri di residenza fiscale. Se resti in Italia oltre 183 giorni, rischi di diventare residente fiscale italiano. La residenza fiscale italiana rafforza ulteriormente la configurazione di stabile organizzazione.
Non esiste una soglia temporale precisa codificata. L’analisi dipende da fatti e circostanze. Tre mesi continuativi possono bastare se accompagnati dagli altri requisiti. Sei mesi discontinui potrebbero non bastare se l’attività è occasionale. Conta la regolarità e prevedibilità della presenza. Se l’impresa estera sa che operi stabilmente dall’Italia per tutto l’anno, l’abitualità è evidente. Se la tua presenza è imprevedibile e legata a eventi personali, l’abitualità è dubbia.
Attività core business, non preparatorie o ausiliarie
Le attività che svolgi non devono rientrare tra quelle meramente preparatorie o ausiliarie. La stabile organizzazione si configura quando svolgi funzioni che rappresentano il core business aziendale. Il commentario OCSE chiarisce con un esempio perfetto: costituisce stabile organizzazione la casa di una persona che svolge servizi di consulenza per un’impresa estera che a sua volta svolge attività di consulenza. La consulenza è il business principale dell’azienda e tu fai esattamente quello.
Se invece svolgi solo attività amministrative di supporto, rimani nell’area delle attività ausiliarie. Esempi: archivi documenti, gestisci agende, elabori rimborsi spese, prepari report interni. Queste attività supportano il business ma non lo costituiscono. Non producono direttamente ricavi per l’impresa. L’esclusione per attività preparatorie e ausiliarie prevista dall’articolo 5, paragrafo 4, del modello OCSE può applicarsi. Ma attenzione: l’interpretazione è restrittiva.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1977 del 2020 ha accertato l’esistenza di una stabile organizzazione italiana nella casa del legale rappresentante italiano di una società ceca. Da casa sua organizzava e gestiva pacchetti turistici in Lombardia per clientela ceca. L’attività di organizzazione turistica rappresentava il core business della società ceca. Il legale rappresentante non svolgeva attività ausiliarie ma l’attività principale dell’impresa. La sentenza conferma l’approccio rigoroso della giurisprudenza italiana.
Conseguenze fiscali della stabile organizzazione per il datore estero
Se si configura una stabile organizzazione in Italia, le conseguenze colpiscono principalmente il datore estero. L’impresa deve identificarsi fiscalmente in Italia attraverso l’ottenimento di partita IVA e codice fiscale. Deve nominare un rappresentante fiscale italiano che gestisca tutti gli adempimenti. Deve presentare dichiarazioni dei redditi annuali in Italia. Infine, deve versare imposte sui profitti attribuibili alla stabile organizzazione. Gli obblighi sono pesanti e complessi.
L’imputazione del reddito alla stabile organizzazione segue l’articolo 7 del modello OCSE e l’articolo 152, comma 2, del TUIR. Occorre determinare quali profitti l’impresa avrebbe ottenuto se la stabile organizzazione fosse un’impresa separata e indipendente. Si applicano i principi del transfer pricing. Devi analizzare le funzioni svolte dalla stabile organizzazione, i rischi assunti e gli asset utilizzati. Poi determini un compenso di libera concorrenza per queste attività.
Supponi che tu svolga attività di consulenza commerciale per il datore estero. Gestisci clienti italiani e generi ricavi per € 500.000 annui. La stabile organizzazione italiana dovrebbe ricevere un compenso adeguato per questa attività. Forse il 20-30% dei ricavi generati, quindi € 100.000-150.000. Questo importo costituisce il reddito imponibile della stabile organizzazione in Italia. L’impresa estera deve versare IRES al 24% su questo reddito, quindi € 24.000-36.000 di imposte.
Regime sanzionatorio
Le sanzioni per omessa identificazione fiscale sono pesanti. L’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi comporta sanzioni del 120% delle imposte dovute. L’omesso versamento delle imposte comporta sanzioni del 25% degli importi non versati. Se l’Agenzia delle Entrate accerta la stabile organizzazione occulta dopo alcuni anni, le sanzioni si accumulano. Possono superare facilmente le imposte dovute. Un accertamento su tre anni di stabile organizzazione non dichiarata può costare centinaia di migliaia di euro.
Per te come lavoratore, l’impatto diretto è limitato. Continui a essere dipendente e a pagare le tue tasse normalmente in Italia secondo le regole ordinarie. Potrebbero però esserci conseguenze indirette significative. Il datore estero, scoprendo di avere obblighi fiscali in Italia, potrebbe reagire in vari modi. Potrebbe decidere di cessare il rapporto di lavoro. Potrebbe rilocarti in altro Stato. Oppure, potrebbe costituire formalmente una società controllata italiana e assumerti con contratto italiano.
Se richiedi il regime impatriati lavorando per datore estero, l’Agenzia delle Entrate controllerà quasi certamente se si configura stabile organizzazione. Il rischio di accertamento sale drasticamente.
Riflessioni operative per evitare la stabile organizzazione
Nella pratica professionale quotidiana, incontro spesso situazioni limite. Datori esteri che rifiutano di identificarsi in Italia. Lavoratori che vogliono vivere in Italia mantenendo il contratto estero. Come comportarsi? Esistono strategie per ridurre il rischio di stabile organizzazione? Vediamo alcune riflessioni operative basate sull’esperienza concreta.
Ogni volta che il lavoro da remoto deriva da tua espressa richiesta, l’abitazione non può considerarsi a disposizione dell’impresa estera. Questo vale però solo se l’impresa mantiene un ufficio e una postazione per te presso una delle sue sedi. Devi poter recarti in ufficio quando vuoi. Se l’impresa estera utilizza gli uffici soltanto per attività occasionali come riunioni, il problema stabile organizzazione si pone comunque.
Molte imprese estere scelgono deliberatamente di non operare in Italia attraverso identificazione diretta o costituzione di subsidiary. Rifiutano di aprire partita IVA italiana. Mantengono solo contratti di lavoro esteri con dipendenti che lavorano dall’Italia. Questo comportamento può essere interpretato come imposizione indiretta del lavoro da casa. Il datore non ti dà alternative. Non ha strutture in Italia. Quindi la tua casa diventa per forza la sua base operativa italiana.
Finché il fenomeno riguarda pochi dipendenti di un’impresa estera, le concrete possibilità di accertamento fiscale si riducono. L’Agenzia delle Entrate difficilmente scopre un singolo lavoratore che opera da casa per datore estero. Salvo che tu non richieda agevolazioni fiscali come il regime impatriati. In quel caso il controllo è praticamente certo. L’Agenzia in caso di verifica dei requisiti per le agevolazioni, inevitabilmente può scoprire la situazione.
Le mansioni effettivamente svolte contano moltissimo. Se svolgi mansioni prevalentemente ausiliarie, non determinanti per l’esercizio dell’attività dell’impresa estera, i rischi si riducono. Se ti occupi solo di back office, amministrazione interna, supporto IT, probabilmente non configuri stabile organizzazione. Invece, se gestisci vendite, clienti, contratti commerciali, progetti, probabilmente sì.
Soluzioni pratiche per regolarizzare la situazione
Il datore estero che vuole operare correttamente in Italia ha diverse opzioni. La prima è costituire una società controllata italiana. Crea una SRL controllata al 100% dalla casa madre estera. La controllata assume il lavoratore con contratto italiano. Paga regolarmente contributi INPS e imposte in Italia. Questa soluzione è pulita ma costosa: richiede capitale sociale, commercialista, consulente del lavoro, costi amministrativi.
In alternativa può aprire una stabile organizzazione formale in Italia. L’impresa estera si identifica direttamente ottenendo partita IVA italiana. Nomina un rappresentante fiscale. Presenta dichiarazioni dei redditi. Assume il lavoratore con contratto italiano. Questa soluzione evita la costituzione di una società separata ma mantiene tutti gli obblighi fiscali e contributivi. Costa meno della subsidiary ma resta complessa.
Ulteriore opzione è quella di utilizzare un employer of record. Aziende specializzate assumono formalmente il lavoratore in Italia per conto del datore estero. Gestiscono buste paga, contributi, dichiarazioni fiscali. Il lavoratore risulta dipendente dell’employer of record ma lavora operativamente per il datore estero. Questa soluzione semplifica molto ma ha costi mensili per i servizi dell’employer of record. Funziona bene per pochi dipendenti.
L’ultima opzione, è quella di limitare drasticamente il lavoro da casa in Italia. Il lavoratore si reca regolarmente nella sede estera del datore. Lavora dall’Italia solo occasionalmente, restando sotto il 30% del tempo. Non gestisce clienti o attività commerciali italiane. In questo modo si resta ampiamente sotto la soglia del 50% OCSE e manca la ragione commerciale. Il rischio di stabile organizzazione si riduce molto.
Consulenza fiscalità internazionale
La valutazione del rischio di stabile organizzazione richiede analisi approfondita della tua situazione specifica. Ogni caso è diverso. Dipende dalle mansioni concrete, dall’organizzazione del datore estero, dalle modalità di lavoro, dai contratti in essere. Non puoi basarti su valutazioni generiche. Serve un’analisi professionale che consideri tutti gli elementi di fatto e le novità normative.
Le conseguenze di una stabile organizzazione non dichiarata sono pesantissime per il datore estero. Imposte arretrate, sanzioni che superano spesso le imposte stesse, interessi di mora. Un accertamento può costare centinaia di migliaia di euro. Per te come lavoratore, il rischio è indiretto ma reale: perdita del lavoro, necessità di ricollocazione, tensioni con il datore. Meglio prevenire analizzando correttamente la situazione prima che l’Agenzia delle Entrate la scopra.
Se lavori per un datore estero o se sei un’azienda estera con dipendenti in Italia, contattami attraverso il form di consulenza. Analizzerò nel dettaglio la tua situazione applicando i nuovi criteri OCSE 2025. Ti dirò se sussiste rischio di stabile organizzazione e quali strategie puoi adottare per regolarizzare o per ridurre il rischio. Solo con un’analisi professionale puoi gestire correttamente questa situazione complessa ed evitare contestazioni pesanti.
Leggi anche:
Fonti
- Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni – art. 5
- Commentario OCSE 2025 all’articolo 5 – paragrafi 44.1-44.21, 18, 19
- D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) – art. 152
- Circolare Agenzia delle Entrate n. 33 del 28 dicembre 2020
- Circolare Agenzia delle Entrate n. 25 del 18 agosto 2023
- Cassazione, ordinanza n. 1977 del 29 gennaio 2020
- Tax Court of Canada – Knights of Columbus v. Queen (16 maggio 2008)
- Tax Court of Canada – American Income Life Insurance v. Queen (16 maggio 2008)
- Belgian Tax Authority – Ruling 15 ottobre 2011