Da alcuni anni molti lavoratori hanno iniziato a praticare varie forme di smart working, alternando presenza in ufficio e lavoro da remoto. Questa nuova modalità di organizzazione del lavoro per i dipendenti ha fatto emergere interrogativi sull’applicazione norme legate ai criteri di collegamento dei redditi, ma soprattutto ai criteri di identificazione della residenza fiscale dei contribuenti, siano essi:
- Persone fisiche, secondo la disciplina di cui all’art. 2 del TUIR;
- Enti societari, secondo la disciplina di cui all’art. 73 del TUIR.
Inoltre, tali problematiche di identificazione della residenza fiscale sono influenzate anche dall’applicazione dei trattati fiscali internazionali esistenti contro le doppie imposizioni. Ad esempio, in una giurisdizione possono sorgere nuovi diritti di tassazione sul reddito di un lavoratore dipendente se questi cambia luogo di lavoro.
Proprio al fine di regolamentare queste fattispecie il segretariato dell’OCSE ha emesso una guida sull’applicazione delle norme contenute nelle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni in circostanze in cui i lavoratori ed i transfrontalieri sono rimasti bloccati in una giurisdizione che non era la loro giurisdizione di residenza a causa di questa pandemia. Adesso questa guida è stata nuovamente aggiornata al 21 gennaio 2021. L’obiettivo di questa guida aggiornata è, senza dubbio, quello di suggerire le modalità con cui i governi possono affrontare al meglio questi problemi dei trattati fiscali attraverso la legislazione, i regolamenti e le linee guida. In particolare, la problematica che spesso come consulenti fiscali ci troviamo ad affrontare, e che andiamo ad analizzare di seguito, riguarda la possibilità di identificare come stabile organizzazione in Italia il lavoro da casa svolto da parte del lavoratore dipendente di azienda non residente.
Questa fattispecie oggi più che mai, con il modificarsi delle condizioni lavorative e l’utilizzo sempre più frequente dello smart working sta portando all’emersione di problematiche fiscali importanti, come l’emersione di possibili stabili organizzazioni occulte delle imprese nei territori ove i propri lavoratori prestano la propria attività, lavorando da casa. Andiamo, quindi, ad analizzare la problematiche in relazione a quanto chiarito dall’OCSE, facendo qualche riflessione sull’argomento.
Smart working in Italia per datore di lavoro estero tra opportunità e rischi
Le possibilità di lavoro in Italia per conto di un datore di lavoro estero stanno notevolmente aumentando in Italia. Basti pensare alle moltissime situazioni di lavoratori che impatriano in Italia dopo un periodo di studio o lavoro all’estero e che magari stipulano contratti di lavoro dipendente esteri con possibilità di lavoro in Italia, da remoto. Questa possibilità sta spingendo sempre più lavoratori a sfruttare modalità di lavoro più agili per vivere in Italia lavorando per committenti esteri da casa propria.
Questo tema è stato affrontato, in modo sintetico, anche dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020 che ha approfondito, appunto, l’applicazione dell’agevolazione per i lavoratori impatriati in Italia. In questo documento l’Amministrazione finanziaria ha indicato quanto segue:
Punto 7.5 Circolare n. 33/e/2020 Agenzia delle Entrate |
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“Il lavoratore impatriato, peraltro, potrebbe configurare una stabile organizzazione nel territorio dello Stato del datore di lavoro non residente, ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa dall’Italia, ove esistente, o ai sensi dell’articolo 162 del TUIR“ |
Sostanzialmente, l’Agenzia delle Entrate da un avvertimento ai lavoratori che dall’estero vengono in Italia per svolgere attività di lavoro dipendente in Italia con contratti esteri. In questi casi, occorre verificare che non si rientri in una delle fattispecie di stabile organizzazione indicate in una Convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra l’Italia e lo Stato estero ove si trova il datore di lavoro. Il rischio di stabile organizzazione del dipendente che lavora da remoto dalla propria abitazione in Italia per un datore di lavoro estero esiste ed è concreto. Per questo motivo occorre individuare come le Convenzioni basate sul modello OCSE (ovvero principalmente quelle siglate dall’Italia), individuano la stabile organizzazione.
Stabile organizzazione nel modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni
Andando ad analizzare l’art. 5 del modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni vediamo che, l’espressione “stabile organizzazione” riguarda l’individuazione di una sede fissa d’affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività. L’espressione stabile organizzazione, comprende, secondo l’articolo in commento:
- Una sede di direzione;
- Una succursale;
- Un ufficio;
- Un’officina;
- Un laboratorio, etc.
Quello che interessa ai nostri fini è sicuramente la fattispecie dell’ufficio. Proprio in questo senso può essere utile andare ad analizzare quanto chiarito dall’OCSE nell’aggiornamento al 21 gennaio 2020 del commentario.
Smart working e stabile organizzazione: per l’OCSE conta la disponibilità e la richiesta di lavoro da casa da parte dell’impresa estera
Nel determinare l’esistenza di una stabile organizzazione, in genere, è necessario considerare i fatti e le circostanze determinanti della stessa. In genere, un luogo deve essere permanente e a disposizione di un’impresa affinché quel luogo sia considerato una sede fissa di attività. In tale luogo, qualora venga svolta, in tutto o in parte, l’oggetto dell’attività dell’impresa, è considerato stabile organizzazione secondo quanto afferma la guida OCSE aggiornata.
Ai sensi del paragrafo 18 del Commento all’articolo 5 del modello di convenzione fiscale OCSE (modello OCSE), anche se parte dell’attività di un’impresa può essere svolta in un luogo, come l’ufficio di una persona fisica, questo non dovrebbe portare alla conclusione che quella sede sia a disposizione dell’impresa semplicemente perché un individuo utilizza quella sede (ad esempio, un dipendente) che lavora per l’impresa.
Con maggiore dettaglio, ci si deve porre la questione se lo svolgimento di attività lavorative intermittenti a casa di un dipendente renda quella casa un posto a disposizione dell’impresa, secondo le note di orientamento dell’OCSE aggiornate. Infatti, anche un ufficio può essere considerato stabile organizzazione di un’impresa se utilizzato in modo continuativo per svolgere attività di impresa. Partendo da questo presupposto è possibile affermare, quindi, che se un individuo continua a lavorare da casa dopo la cessazione delle misure di sanità pubblica imposte o raccomandate dal governo, si può ritenere che vi sia un certo grado di permanenza e quindi di stabilità. Tuttavia, tale cambiamento da solo non comporterà necessariamente che l’ufficio interno dia luogo a una sede fissa di stabile organizzazione aziendale, osserva la guida aggiornata dell’OCSE. Affinché possa avvenire questa allocazione è necessario un ulteriore esame dei fatti e delle circostanze per determinare se l’attività svolta dal lavoratore è attività di impresa.
Ai sensi dei paragrafi 18 e 19 del Commento all’articolo 5 del Modello OCSE, il fatto che l’impresa richieda o meno a un individuo di lavorare da casa è un fattore importante per determinare se questa modalità di lavoro possa comportare l’individuazione di una stabile organizzazione.
A titolo di esempio, il paragrafo 19 del Commentario al modello di Convenzione OCSE prevede che quando un lavoratore transfrontaliero svolge la maggior parte del proprio lavoro dalla propria casa situata in una giurisdizione piuttosto che dall’ufficio messo a sua disposizione nell’altra giurisdizione, non si dovrebbe considerare che tale abitazione sia a disposizione dell’impresa. Questo, a meno che tale impresa non abbia richiesto che l’abitazione del proprio lavoratore dipendente venga utilizzata per le sue attività lavorative. Gli individui che effettuano attività di telelavoro da casa (cioè, l’ufficio domestico) come misura di salute pubblica imposta o raccomandata da almeno uno dei governi delle giurisdizioni per prevenire la diffusione del virus COVID-19 non creerebbe una sede fissa di stabile organizzazione aziendale per l’impresa/datore di lavoro, osserva la guida OCSE. Tuttavia, occorre chiedersi cosa accade quando non vi sono obblighi imposti dallo Stato per il lavoro da casa, ma sia il lavoratore a scegliere con l’azienda, in autonomia, questa modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
Criteri per individuare la stabile organizzazione occulta in Italia del datore non residente
Il Commentario all’art. 5 del modello OCSE di Convenzioni contro le doppie imposizioni (§ 18, penultimo periodo) fa riferimento ad una possibile fattispecie di stabile organizzazione occulta del datore estero in Italia. Questa dipende dalla presenza di alcuni criteri collegati all’attività lavorativa da remoto del dipendente in altro Stato. In particolare, il Commentario precisa che i criteri da considerare sono essenzialmente tre per individuare una fattispecie di stabile organizzazione occulta:
Il fatto che la casa di abitazione sia o meno “a disposizione” dell’impresa localizzata nell’altro Stato | La casa di abitazione è considerata a disposizione dell’impresa nella misura in cui quest’ultima ha richiesto al dipendente di utilizzare la stessa per l’attività lavorativa, ad esempio non fornendogli un ufficio. Pertanto, al fine di evitare possibili contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, è necessario che l’attività di remote working derivi da un accordo tra le parti e non da un’imposizione da parte del datore di lavoro. |
Il carattere continuativo o meno del suo utilizzo (c.d. “abitualità“) | Proviamo a chiarire con un esempio. Nessuna contestazione può essere mossa ad una persona che lavora da una casa di abitazione in Italia per brevi periodi (ad esempio, due settimane per un paio di volte all’anno mentre si fa visita ad un genitore), in quanto la nozione stessa di stabile organizzazione prevede il carattere della stabilità sotto il profilo temporale. |
Lo svolgimento di attività che rientrano o meno tra quelle preparatorie o ausiliarie. | La stabile organizzazione è tale nel momento in cui vengono svolte funzioni che rientrano nel core business aziendale e non hanno carattere meramente ausiliario. Il Commentario all’art. 5 del modello OCSE (§ 19) applica questo principio per i remote workers chiarendo che configura stabile organizzazione la casa di abitazione di una persona dalla quale quest’ultima svolge servizi di consulenza per l’impresa estera, la quale a sua volta svolge essa stessa attività di consulenza. Tuttavia, sul punto deve essere segnalata anche l’ordinanza n. 1977/2020 della Corte di Cassazione, nella quale viene accertata l’esistenza di una stabile organizzazione italiana nella casa di abitazione del legale rappresentante (italiano) di una società con sede nella Repubblica ceca, nella quale veniva svolta da remoto l’attività di organizzazione e di gestione di pacchetti turistici in Lombardia a favore della clientela ceca. |
Nel caso in cui venisse accertata la presenza della stabile organizzazione occulta, deve essere risolto il problema della corretta imputazione alla stessa (azienda estera) del reddito prodotto (in Italia), da determinare secondo i canoni dell’art. 7 del modello OCSE e dall’art. 152 comma 2 del TUIR. Problematica questa che, qualora accertata, va ad interessare la posizione del datore di lavoro in Italia (chiamato a versare imposte e sanzioni), senza impatto diretto sul lavoratore (ma che potrebbe subire conseguenze indirette, come la cessazione del lavoro da remoto, la riallocazione, etc).
Le considerazioni sul lavoro in smart working per datore di lavoro estero
Quanto indicato sino a questo momento è sicuramente rilevante per tutti i lavoratori dipendenti che in Italia lavorano per committenti esteri. Naturalmente, l’indicazione dell’OCSE è quella che prevede l’esistenza di una stabile organizzazione quando la disponibilità del lavoro da casa deriva da esigenze dell’impresa. Naturalmente, a parere dello scrivente, è opportuno anche tenere in considerazione il fatto che, spesso, il datore di lavoro estero sceglie di non operare in Italia attraverso:
- Un’identificazione diretta ai fini fiscali e previdenziali;
- Una stabile organizzazione o una subsidiary in Italia.
Entrambe queste soluzioni, infatti, permetterebbero al lavoratore dipendente italiano di potersi trovare, ipoteticamente, come stabile organizzazione insediata in Italia del datore di lavoro estero. Infatti, in questi casi l’azienda estera si troverebbe ad avere in Italia un’identificazione che le permetterebbe di assumere il lavoratore dipendente con contratto di lavoro italiano (superando tutte le problematiche in commento). Ebbene, nella prassi, molte imprese estere, per loro motivazioni, non prendono in considerazione soluzioni di questo tipo. Per tale ragione c’è da chiedersi se tale comportamento possa, di fatto, portare a considerare l’abitazione del dipendente in Italia, come una sua disponibilità forzata dal fatto che non vi sarebbero altre opzioni per lei percorribili (per questo il lavoro da casa diventa esigenza dell’impresa estera). Naturalmente, si tratta solo di un ragionamento, frutto di consulenze quotidiane sul tema, ma che potrebbe essere fatto anche nei futuri controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate.
C’è da da dire poi che, fintanto questa casistica riguarda pochi dipendenti di un’impresa estera, di fatto, le concrete possibilità di incappare in un accertamento fiscale si riducono (a meno che i lavoratori in commento non siano impatriati in Italia e chiedano l’applicazione di agevolazioni, in quanto nel caso il controllo è assai probabile). Inoltre, occorre prestare attenzione alle mansioni, di fatto, svolte dal lavoratore dipendente in Italia. Infatti, qualora questi svolga mansioni per lo più ausiliarie (ovvero non determinanti per l’esercizio dell’attività dell’impresa estera) i rischi si riducono.
Conclusioni e consulenza fiscale online
Stante quanto detto sinora, possiamo affermare che, in linea generale, ogni qualvolta il lavoro da remoto venga chiesto espressamente dal lavoratore dipendente, l’abitazione del lavoratore non può considerarsi “a disposizione” dell’impresa estera (quindi non può esserci stabile organizzazione ex art. 5 del modello OCSE). Tuttavia, è necessario che l’impresa estera mantenga un ufficio ed una postazione per il lavoratore dipendente presso una delle sue sedi. Qualora questo non avvenga, ovvero qualora l’impresa estera utilizzi gli uffici soltanto per attività ausiliarie (es. riunioni) il problema stabile organizzazione dell’abitazione del lavoratore si pone. In questi casi l’abitazione del lavoratore diventa una base fissa a disposizione dell’impresa estera.
Allo stesso modo, come detto, occorre chiedersi se rappresenti una base fissa anche l’abitazione del lavoratore dipendente quando il datore di lavoro estero mantenga il contratto estero per il lavoratore in Italia rifiutandosi (di fatto) di operare con una identificazione diretta in Italia.
Ebbene, in tutti questi casi, occorrerà attendere quale sarà il comportamento dell’Agenzia delle Entrate quando andrà ad effettuare i primi controlli su queste fattispecie, tenendo in considerazione quanto già chiarito sinora dall’OCSE. Particolarmente interessanti saranno i primi accertamenti che coinvolgeranno datori di lavoro non residenti, ai quali potrebbe essere contestata l’esistenza di una stabile organizzazione occulta in Italia con la riallocazione di redditi in Italia e sanzioni sicuramente rilevanti.
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