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Indagini finanziarie: come funzionano e come difendersi

Fisco NazionaleIndagini finanziarie: come funzionano e come difendersi

Le indagini finanziarie rappresentano uno strumento fondamentale per l'Amministrazione Finanziaria italiana nel contrasto all'evasione fiscale. Attraverso l'analisi delle movimentazioni bancarie dei contribuenti, l'Agenzia delle Entrate può ricostruire il reddito effettivo e individuare eventuali discrepanze rispetto a quanto dichiarato.

L’accertamento basato su indagini finanziarie è sicuramente uno di quelli a cui nessun contribuente vorrebbe mai essere sottoposto. Questo sia perché nessuno vorrebbe mai che altri mettessero gli occhi sui propri conti correnti, ma anche e soprattutto perché in questo metodo di controllo, vige l’inversione dell’onere della prova (come vedremo).

Le indagini finanziarie rappresentano il c.d. “accertamento bancario” il quale, in senso tecnico, non è un accertamento vero e proprio. Bensì una particolare procedura che consente ai verificatori di reperire dati utili alla stesura dell’avviso di rettifica. In concreto, in base la combinato disposto dagli articoli 32 del DPR n. 600/73 e articolo 51 del DPR n. 633/72:

  • Gli Uffici possono avvalersi di controlli con riferimento alla generalità delle tipologie di rapporti e operazioni finanziarie poste in essere dai contribuenti, formulando apposite richieste agli intermediari finanziari;
  • Gli intermediari finanziari sono tenuti a comunicare all’Anagrafe tributaria, con cadenza periodica, gli estremi identificativi di ciascun cliente, nonché la tipologia di rapporto con esso intrattenuto e, anche il contenuto dei singoli rapporti.

Vediamo, quindi, come funzionano concretamente le indagini finanziarie effettuate nei confronti dei contribuenti e quali strumenti hanno a disposizione i soggetti controllati per difendersi.

L’Anagrafe dei rapporti finanziari

Tale Anagrafe dei rapporti finanziari costituisce un’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria istituita per rendere più efficiente l’attività di controllo in ambito fiscale ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA. Essa consente lo svolgimento di indagini finanziarie in modo mirato nei confronti dei soli operatori con i quali il soggetto controllato ha instaurato rapporti di natura finanziaria.

Nella stessa risultano indicati, per ciascuna posizione, il saldo iniziale e quello finale del rapporto, il totale degli accrediti e degli addebiti e la giacenza media sui conti. L’Amministrazione finanziaria ha iniziato ad utilizzare i dati risultanti dall’Anagrafe dei rapporti finanziari ai fini dell’elaborazione di liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione, sulla base delle indicazioni contenute nei Provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 31 agosto 2018, n. 197357, e dell’8 agosto 2019, n. 669173.

Comunicazioni all’anagrafe tributaria

L’articolo 7 del DPR n. 605/73 prevede l’obbligo per gli operatori finanziari di comunicare all’Anagrafe tributaria l’esistenza e la natura dei rapporti da essi intrattenuti. Con l’indicazione dei dati anagrafici dei titolari compreso il codice fiscale: le informazioni così raccolte sono archiviate in un’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria. Denominata “Archivio dei rapporti con operatori finanziari“.

I soggetti obbligati alle comunicazioni finanziarie sono, in generale, le banche e gli intermediari finanziari. Tutti gli operatori finanziari sono così obbligati ad informare l’anagrafe tributaria, oltre che dei dati identificativi del rapporto anche dei relativi saldi.

Con distinzione di quello iniziale e finale, delle eventuali aperture e chiusure dei conti o delle gestioni patrimoniali e di tutte le movimentazioni distinte tra dare ed avere conteggiate su base annua. Tali comunicazioni non riguardano solo i conti correnti ordinari, ma anche i conti deposito, i titoli e/o obbligazioni, considerando l’importo degli acquisti e vendite effettuati nell’anno, le movimentazioni di rapporti fiduciari, dettagliando i conferimenti o i prelievi, delle gestioni di risparmio, del portafoglio titoli. E ancora. Il numero totale degli accessi effettuati alle cassette di sicurezza, degli utilizzi delle carte di credito, comprese quelle ricaricabili, delle operazioni extra conto, ecc. Insomma, un quadro dettagliato e preciso di tutti i rapporti che il contribuente, sia esso persona fisica o giuridica, ha intrattenuto (ed in che misura) con gli intermediari finanziari.

Indagini finanziarie: controlli sui conti correnti

finanziaria e la Guardia di Finanza richiedono, previa autorizzazione dei propri direttori e comandanti, alle banche, alle Poste ed agli altri intermediari finanziari:

  • Il dettaglio dei conti correnti e dei rapporti finanziari intrattenuti con il contribuente (conto corrente, conto deposito titoli e/o obbligazioni, conto deposito a risparmio libero/vincolato, rapporto fiduciario, gestione patrimoniale, certificati di deposito e buoni fruttiferi, cassette di sicurezza, carte di credito/debito, finanziamenti e fondi pensione – provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 188870/2005 e successive modifiche).
  • Le operazioni extra conto effettuate. Si tratta di tutte quelle movimentazioni finanziarie che non sono registrate sui rapporti di conto corrente, come, per esempio, un bonifico in contanti effettuato direttamente allo sportello bancario, senza addebito sul proprio conto corrente.

Attraverso queste informazioni viene formato il c.d. “accertamento bancario“, ovvero una particolare forma di accertamento induttivo del reddito da parte dell’Amministrazione finanziaria.

La norma prevede che i dati e gli elementi che riguardano rapporti ed operazioni sono posti alla base delle rettifiche e degli accertamenti se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito, o che non hanno rilevanza reddituale. Allo stesso modo sono considerati ricavi i prelevamenti o gli importi riscossi per un ammontare superiore a 1.000 euro giornalieri e, comunque, a 5.000 euro mensili (art. 32, co. 1, n. 2) secondo periodo del DPR n. 600/73 e art. 51 co. 2, n. 2) DPR n. 633/72).

Prelevanti e versamenti non giustificati

L’esame dei conti correnti bancari del contribuente consente il rinvenimento di movimentazioni che non trovano riscontro nella contabilità dell’impresa o del professionista. I prelevamenti ed i versamenti non giustificati, infatti, danno luogo ad una presunzione legale relativa, in forza della quale le somme prelevate o versate si presumono compensi/ricavi non dichiarati. L’anagrafe dei conti e le comunicazioni ad essa correlate, devono essere distinte dalle indagini finanziarie.

Nel primo caso si tratta di un obbligo previsto per tutti gli intermediari grazie ai quali, di fatto, il patrimonio informativo dell’Amministrazione si arricchisce di dati riconducibili a ciascun contribuente: una sorta di comunicazione paragonabile allo spesometro o agli elenchi clienti/fornitori o alla comunicazione dei beni sociali concessi in uso a terzi. Informazioni che potranno essere utilizzate dall’Agenzia per la formazione di specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione. Dai dati contenuti nelle comunicazioni degli intermediari, potrebbero emergere ad esempio movimentazioni di denaro eccessivamente sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati o altre anomalie sintomatiche di evasione.

Sul punto va segnalato che l’Agenzia delle Entrate, con la circ. n. 16 del 28.4.2016, ha precisato che l’utilizzo delle indagini finanziarie è da preferirsi solo a valle di un’attenta analisi del rischio. Analisi dalla quale possano emergere significative anomalie dichiarative e quando è già in corso un’attività istruttoria d’ufficio, deve essere appropriato e finalizzato ad attuare ricostruzioni credibili e realistiche. Ha così escluso che si possano operare ricostruzioni induttive, soprattutto se di ammontare particolarmente rilevante, effettuate senza valutare in modo attento e preciso la coerenza del risultato ottenuto con il profilo del contribuente e con l’attività dallo stesso svolta.

Indagini finanziarie: ambito di applicazione

Le indagini finanziarie sono state originariamente contemplate per gli accertamenti delle imposte sui redditi e dell’Iva. Successivamente, lo strumento è stato esteso anche per l’accertamento dell’imposta di registro e delle imposte ipo-catastali. L’indagine finanziaria può essere attivata su richiesta:

  • Dell’Agenzia delle Entrate;
  • Della Guardia di Finanza;
  • Della Commissione tributaria.

Le poste, le banche e gli altri intermediari finanziari devono dare seguito alla richiesta entro il termine di 30 giorni previsto dall’art. 32 co. 2 DPR n. 600/1973. Il termine può essere prorogato, su richiesta, di ulteriori 20 giorni. La proroga può essere richiesta con apposita istanza dall’operatore finanziario e viene autorizzata, purché sussistano giustificati motivi, dagli stessi uffici direttivi dell’Agenzia delle entrate o della Guardia di finanza che hanno la competenza al rilascio dell’autorizzazione.

L’autorizzazione del direttore regionale/direttore centrale Accertamento o dal comandante regionale è necessaria nel momento in cui il funzionario intende chiedere la documentazione bancaria di un certo contribuente ad un istituto di credito o quando la richiesta sia inoltrata al contribuente stesso. Deve essere evidenziato, che l’eventuale carenza di autorizzazione non conduce all’invalidità dell’avviso di accertamento.

Destinatari della richiesta

Gli Uffici finanziari possono richiedere dati, notizie e documenti a:

  • Banche;
  • Società Poste Italiane S.p.A. (per le attività finanziarie e creditizie);
  • Imprese di investimento (SIM);
  • Organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR);
  • Società di gestione del risparmio (SGR);
  • altri intermediari finanziari;
  • Società fiduciarie;
  • Società ed enti di assicurazione per le attività finanziarie.

Ambito oggettivo

I dati, le notizie e i documenti che gli Uffici finanziari possono richiedere concernono qualsiasi rapporto intrattenuto e operazione effettuata con i loro clienti, ivi compresi i servizi effettuati e le garanzie prestate da terzi. In sostanza, i verificatori possono acquisire le operazioni:

  • Di natura finanziaria, intendendosi per tali tutte le transazioni caratterizzate da movimenti di denaro;
  • Relative a mezzi di pagamento, ossia quelle che interessano gli incassi, i pagamenti, i trasferimenti in denaro contante, gli assegni, i vaglia postali, i bonifici e la gestione di carte di credito;
  • Relative a servizi accessori, quali, ad esempio:
    • La locazione di cassette di sicurezza;
    • La consulenza in materia di strategia d’impresa e di emissione e collocamento di strumenti finanziari;
    • La domiciliazione di bollette e di utenze;
    • L’intermediazione di cambi;
    • La concessione di finanziamenti agli investitori per consentire loro di eseguire un’operazione inerente gli strumenti finanziari.

Possono formare oggetto della richiesta di informazioni non solo i rapporti in corso, ma anche quelli estinti da non più di cinque anni dalla data della richiesta.

Operazioni extra conto

Le indagini finanziarie possono riguardare anche le c.d. “operazioni extra-conto“. Ovvero le operazioni che, essendo eseguite allo sportello, non comportano alcuna registrazione contabile all’interno di rapporti continuativi. Sono tali, a titolo esemplificativo:

  • La richiesta di assegni circolari e in valuta estera;
  • Il cambio di assegni;
  • L’acquisto o la vendita di valuta estera, di titoli e di certificati di deposito;
  • La consegna di effetti al dopo incasso;
  • Tutti i pagamenti per cassa;
  • La richiesta di vaglia e buoni postali.

Effetti per il contribuente

L’ultimo periodo del n. 7 dell’art. 32 co. 1 del DPR n. 600/73 prevede che il responsabile di struttura o di sede dell’operatore finanziario cui viene indirizzata la richiesta deve darne notizia immediata al contribuente.

Le indagini bancarie consentono l’acquisizione di elementi idonei a supportare la rideterminazione della base imponibile sia di tipo analitico che di tipo induttivo. In particolare, i dati e gli elementi rinvenuti in sede di accertamento bancario possono essere utilizzati ai fini della rettifica della base imponibile dichiarata dal contribuente. Se questi non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione della base imponibile stessa o che non hanno rilevanza allo stesso fine.

Presunzioni derivanti dalle movimentazioni bancarie

I dati risultanti dalle movimentazioni bancarie sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti nei confronti delle persone fisiche e delle imprese, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto a imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine. Alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni. Si tratta, all’evidenza, di una presunzione legale relativa, per cui il contribuente può dimostrare, ad esempio, che i versamenti trovino giustificazione nella contabilità o che concernono fatti fiscalmente irrilevanti.

La Amministrazione finanziaria (C.M. 29 dicembre 1999 n. 246/E e circ. Guardia di finanza 20 ottobre 98 n. 1, prot. n. 360000) ha precisato che possono formare oggetto di verifica non solo i conti intestati al contribuente sottoposto ad accertamento, ma anche i conti cointestati al contribuente accertato e a soggetti terzi. Possono essere oggetto anche i conti intestati a soggetti terzi, ma sui quali il contribuente accertato ha la possibilità di operare. Infine, possono essere accertati anche i conti intestati a soggetti terzi e sui quali il contribuente «accertato» non ha la possibilità di operare, ma relativamente ai quali gli uffici ritengono sussistere gli estremi dell’interposizione fittizia (effettiva riconducibilità al contribuente «accertato» del conto fittiziamente intestato a un prestanome).

Il DL 22.10.2016 n. 193 ha modificato l’art. 32 del DPR n. 600/73, introducendo, in relazione ai soli prelevamenti, un limite di 1.000 euro giornalieri, e comunque di 5.000 euro mensili al di sotto del quale la presunzione non può operare. Di fatto, quindi, al di sotto di questa soglia la prova contraria non dovrebbe essere posta dagli uffici accertatori.

Le principali situazioni di anomalia sui conti correnti

Di seguito, senza alcuna pretesa di esaustività andiamo a riepilogare schematicamente quali sono le principali fattispecie di anomalie che l’Amministrazione finanziaria può riscontrare sul conto corrente di un contribuente.

Le finte donazioni da parte di familiari o parenti

Un movimento sospetto sul conto corrente potrebbe riguardare un accredito da parte di un conoscente di un importo di diverse migliaia di euro senza una carta che giustifica il motivo del bonifico. In questi casi non è sufficiente giustificarsi con l’alibi della donazione. La donazione è un atto di liberalità che un soggetto compie verso un altro. Per la normativa le donazioni di modico valore non prevedono procedure particolari, ma quando gli importi sono rilevanti per il soggetto che li riceve occorre passare da atto notarile e da imposta di donazione.

Le donazioni, infatti, prevedono l’applicazione di un’imposta patrimoniale dell’8 per cento. Solo le donazioni tra parenti stretti hanno una franchigia che supera il milione di euro con una tassa pari al 4 per cento. Tra fratelli e sorelle la franchigia è fissata a 100mila euro con una imposta del 6 per cento.

In questi casi i problemi principali riguardano l’identificazione del “modico valore” della donazione e la giustificazione che deve esserci in relazione al trasferimento di denaro. Tempo fa mi è capitato il caso di un soggetto che ha ricevuto un accertamento fiscale per una ingente somma ricevuta sul proprio conto corrente. La somma era stata bonificata da una zia che aveva venduto un quadro di famiglia. Con parte del ricavato la zia ha fatto un “regalo” al nipote. In questo caso, senza alcune verifica preliminare (sempre necessaria in questi casi) l’operazione è avvenuta informalmente, senza un (necessario) passaggio da atto notarile (di donazione). Tutta la situazione è stata difficilmente dimostrabile per la mancata documentazione della vendita del quadro (avvenuta tra privati), e sul fatto che per il donatario la somma non rappresentava “modico valore“.

Non si deve mai dimenticare di prestare molta attenzione a queste situazioni (c.d. “donazioni indirette“), per le quali spesso si rende necessario e prudenziale passare per atto notariale. Altrimenti, il rischio che si corre è che questo tipo di operazione possa aprire la strada verso un accertamento bancario da parte dell’Agenzia delle Entrate.

I bonifici effettuati in modo continuativo verso uno stesso beneficiario

Una seconda fattispecie su cui porre attenzione riguarda l’effettuazione di bonifici bancari periodici diretti ad una stessa persona. In questi casi l’Amministrazione finanziaria potrebbe sospettare di un rapporto di lavoro in “nero o del pagamento di un affitto senza regolare contratto.

Immagina il caso di usufruire di un collaboratore familiare “non regolare” contrattualmente in casa, che viene pagata tramite bonifico ogni mese. La movimentazione continua dal conto attraverso bonifici con uno stesso beneficiario è un campanello di allarme.

L’Agenzia delle Entrate potrebbe chiederti la giustificazione di queste movimentazioni, che potrebbero segnalare un lavoratore non regolare o un contratto di affitto non registrato.

Incassi e prelevamenti non giustificati per i titolari di partita Iva

Se sei un soggetto titolare di partita Iva (professionista o imprenditore individuale) devi sempre prestare attenzione ad incassi e prelevamenti sul conto corrente. Come anticipato, la regola generale è che un incasso non giustificato o un prelevamento non giustificato potrebbero esserti contestati come fatturato non dichiarato. Questo aspetto è molto importante la normativa in questi casi introduce una presunzione legale relativa, che ribalta l’onere probatorio sul contribuente (è il contribuente a doversi giustificare, non è l’Amministrazione finanziaria che deve cercare prove).

Se operi con una partita Iva e vuoi evitare accertamenti sul conto corrente devi sempre verificare tutti gli incassi, per individuare tutti quelli da fatturare. Allo stesso modo, prelevamenti di importo superiore a quello giustificabile per esigenze proprie e della famiglia devono essere giustificabili. Ma cosa vuole dire prelevamenti di importo giustificabile?

L’art. 32 del DPR n. 600/73 prevede un limite per i prelievi di 1.000 euro giornalieri, e comunque di 5.000 euro mensili al di sotto del quale la presunzione (di cui sopra) non può operare. Per i versamenti, a prescindere dall’importo, rimane la presunzione di ricavi o compensi non dichiarati. Il computo delle soglie dovrebbe essere interpretato nel senso che il contribuente deve fornire la prova contraria per i prelevamenti:

  • Eccedenti la soglia giornaliera di 1.000 euro, seppur inferiori a quella di 5.000 euro mensili;
  • Di importo inferiore a 1.000 euro, che nel complesso superino la soglia mensile di 5.000 euro, per la quota eccedente i 5.000 euro (circ. Guardia di Finanza n. 109546/17).

Se questo tipo di accorgimenti non viene effettuato nel modo corretto, in caso di accertamenti sul conto corrente, tutto quello che non è giustificato con documentazione è considerato maggior reddito. Ma quanto detto vale anche per i privati (non solo per le partite Iva). Facciamo un esempio.

Versamento di contanti sul conto corrente

Immagina questa situazione. Soggetto disoccupato che ha raccolto nel salvadanaio di casa un po’ di risparmi, derivanti da regali di compleanno, donazioni da parenti e qualche vendita al mercato dell’usato. Ipotizziamo che questa persona abbia da parte circa 5.000 euro. Per questo il soggetto si reca allo sportello bancario per fare un versamento sul suo conto corrente. L’istituto bancario in questi casi potrebbe far partire una segnalazione che viene vista dall’Agenzia delle Entrate. Questa verifica il fatto che il soggetto è disoccupato e non percepisce alcun reddito.

Per questo viene inviato un accertamento fiscale. L’Agenzia, come vedremo di seguito, non ha bisogno di chiedere al contribuente come si è procurato quei soldi. Viene notificato direttamente l’atto impositivo. Se questo soggetto non vuole pagare dovrà difendersi in tribunale, impugnando l’avviso di accertamento ricevuto.

Ma cosa vuole da lui l’Agenzia delle Entrate? Le imposte, chiaramente sul versamento effettuato, che viene considerato reddito non dichiarato (sempre se il contribuente non dimostra con prova contraria che quel versamento non è reddito non dichiarato).

Prelevamenti dei professionisti

Nel caso di indagini finanziarie svolte nei confronti dei professionisti la presunzione relativa ai prelevamenti non può essere applicata. Secondo la Corte Costituzionale, infatti (sentenza 228/2014) la presunzione in argomento sui prelevamenti riguarda solo i titolari di reddito di impresa. Ciò anche se le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo sono per molti versi affini nel diritto interno come nel diritto comunitario. Tuttavia, esistono specificità di quest’ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento nella specie, in base al quale il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo.

L’attività dei lavoratori autonomi si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo. Inoltre in caso di contabilità semplificata – di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria – vi è una fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali. Le presunzioni legali bancarie, secondo la giurisprudenza, operano anche se:

  • Il conto corrente ha saldo negativo (Cass. 15.11.2007 n. 23690);
  • Le entrate e le uscite sono “in pareggio (Cass. 22.10.2010 n. 21695).

Prova contraria

La prova contraria consiste nell’analitica dimostrazione dell’irrilevanza di ciascuna singola operazione, non potendo risultare sufficienti profili probatori generici. In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione. Con riferimento al caso di un contribuente che aveva addotto, quale prova contraria alla presunzione legale, il fatto generico che l’attività da esso svolta (amministratore di condominio) lo aveva portato in varie occasioni ad utilizzare il proprio conto corrente bancario per ricevere i versamenti dei condomini. Effettuando poi con tali provviste pagamenti per spese inerenti al condominio stesso. La giurisprudenza, in merito alla prova contraria, ha determinato che:

  • La prova contraria non può essere fornita mediante presunzioni semplici, ovvero mediante affermazioni di carattere generale;
  • Non è sufficiente che il contribuente si limiti ad eccepire di avere cessato l’attività, e che le operazioni erano da attribuire alla successiva attività prestata per conto di due diverse società;
  • L’onere di prova contraria non può ritenersi assolto ove il ricorrente si limiti a sostenere che le somme transitate sui conti erano in realtà riferibili ad un ragioniere (divenuto successivamente suo coniuge), che avrebbe utilizzato i conti ai fini della gestione di alcune aziende;
  • Non ha rilievo la semplice produzione di una perizia disposta in sede penale;
  • Non è sufficiente sostenere che i versamenti concernono restituzione di prestiti in precedenza concessi ad un amico di famiglia, senza puntuali dimostrazioni di ciò.

Per contro, la prova contraria può essere costituita da:

  • Dichiarazioni di terzi beneficiari di determinati assegni;
  • In ipotesi di persona fisica, restituzione di prestiti a familiari già parzialmente avvenuti nelle precedenti annualità, posto che la persona fisica non è tenuta a precisi adempimenti in ordine alla gestione dei rapporti con gli altri soggetti, soprattutto se familiari;
  • Vincite al lotto, ma, visto che lo scontrino di giocata ha una natura al portatore, occorre: l’identificazione, per ognuna delle giocate indicate dal contribuente, di questi con il presentatore dell’afferente scontrino; solo successivamente, all’esito favorevole di tale riscontro, la effettiva riconducibilità di ogni incasso delle vincite proprie del contribuente ai versamenti bancari contestati.

Prova contraria: posizione della Guardia di Finanza

La Guardia di Finanza ha affermato che la prova contraria è idonea a vincere la presunzione legale solo qualora il contribuente produca documentazione da cui risulti con certezza l’assoluta irrilevanza fiscale delle risultanze dei conti. A titolo esemplificativo, la prova contraria può essere fornita da documenti:

  • Provenienti da soggetti aventi funzione certificativa (avvocati, notai) o da terzi formalmente interessati a rapporti contrattuali con il contribuente. Quali rimborsi, prestiti, mutui e risarcimenti danni;
  • Relativi ad operazioni attinenti titoli di credito quali cambiali, assegni e polizze assicurative. Trattasi infatti di documenti idonei a dimostrare in modo oggettivo e determinato la natura e l’origine delle movimentazioni finanziarie.

Per contro, non sono idonei a costituire prova contraria:

  • Scritture private attestanti flussi di denaro (a titolo di anticipo o prestito);
  • Mere dichiarazioni di parte.

Prova contraria e difesa del contribuente

È chiaro che l’interpretazione letterale della norma comporta in molte ipotesi la sostanziale impossibilità di difesa da parte del contribuente. Specie nel caso delle imprese individuali e dei professionisti. Infatti, se ogni prelievo/versamento non transitato in contabilità costituisce ricavo/compenso (fermo restando per i professionisti l’esclusione dei prelevamenti). E se, come ha detto la giurisprudenza, la presunzione può essere vinta mediante la dimostrazione dell’irrilevanza reddituale di ogni singola movimentazione bancaria, in parecchie ipotesi sarebbe inibita la difesa.

L’assunto deriva dal fatto che pare impossibile giustificare ogni singola movimentazione, siccome è chiaro che, periodicamente, il contribuente preleva somme per le proprie esigenze personali, o le fa transitare dal conto dedicato all’attività a quello personale.

Resasi conto di ciò, l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 32/E/2006, antecedente alla pronuncia della Consulta ma comunque utile in quanto estensibile alle ditte individuali, ha specificato che, per i professionisti i verificatori devono astenersi da una valutazione rigida e formale dei dati acquisiti. Da ciò l’esigenza di non trascurare “le eventuali dimostrazioni, anche di natura presuntiva, che trattasi di spese non aventi rilevanza fiscale sia per la loro esiguità, sia per la loro occasionalità, e, comunque, per la loro coerenza con il tenore di vita rapportabile al volume di affari dichiarato“.

Va da sé che, in questo contesto, l’effettuazione di spese a titolo personale tramite mezzi elettronici di pagamento (bancomat, carte di credito), agevola l’eventuale difesa. In tal modo, infatti, dal semplice estratto conto bancario emerge la causale del pagamento, e ciò, è verosimilmente sufficiente come prova contraria.

Estensione della presunzione ai lavoratori autonomi

Fino alla predetta pronuncia della Corte Costituzionale (228/2014), per effetto delle modifiche introdotte dalla finanziaria 2005 (Legge n. 311/2004) erano state estese anche ai titolari di reddito di lavoro autonomo le presunzioni sui prelevamenti in caso di mancata indicazione del beneficiario. In sostanza se il professionista non fosse stato in grado di fornire tali indicazioni sugli importi riscossi, l’amministrazione li riteneva automaticamente maggiori compensi. In analogia a quanto sino ad allora avvenuto con i titolari di reddito di impresa.

Sono quindi conseguiti in questi anni numerosi controlli bancari nei confronti dei professionisti i quali spesso si sono trovati nell’impossibilità di documentare. Così come preteso dai verificatori, i propri prelevamenti spesso eseguiti per finalità personali e familiari. La C.T.R. del Lazio (ord. 10.6.2013) ritenendo dubbia la costituzionalità della presunzione in questione ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale che non ha ancora fissato l’udienza.

Tesi della consulta

La Consulta ha condiviso la tesi dei giudici laziali ed ha ritenuto incostituzionale la norma nella parte in cui estende la presunzione, ai maggiori “compensi“. Secondo la Corte, anche se le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo sono per molti versi affini nel diritto interno come nel diritto comunitario, esistono specificità di quest’ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento, in base al quale il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo.

L’attività dei lavoratori autonomi si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo. Inoltre in caso di contabilità semplificata – di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria – vi è una fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali.

Tracciabilità del denaro

Secondo la Consulta, l’esigenza di combattere l’evasione fiscale trova una risposta nella recente produzione normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari in capo anche ai professionisti. Ancorché non specificamente sanzionata in caso di inosservanza. Infatti, la tracciabilità del danaro, oltre ad essere uno strumento di lotta al riciclaggio, persegue il dichiarato fine di contrastare l’evasione attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti che si possono prestare ad operazioni “in nero”. In conclusione, la presunzione nei confronti dei professionisti è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito.

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