Il soggetto che rientra dall’estero, ha la possibilità di accedere alle agevolazioni per i lavoratori impatriati anche in assenza di iscrizione AIRE (nel rispetto dei requisiti previsti dall’art. 5 del D.Lgs. n. 209/23), provando la residenza in uno Stato con cui l’Italia ha in essere una convenzione internazionale.
In questo caso il contribuente ha la possibilità di richiedere una certificazione di residenza fiscale rilasciata dall’autorità fiscale competente (ex par. 4 della Convenzione) se l’altro Stato ritiene di accordare la residenza. A questo punto occorre andare ad approfondire la specifica situazione del soggetto impatriato per verificare e documentare l’applicazione di una delle “tie breaker rules” previste da tale convenzione.
Di fatto, quindi, anche il soggetto non iscritto AIRE ha la possibilità di comprovare il requisito della residenza fiscale estera secondo le disposizioni previste dalla Convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia con i vari Paesi esteri (vedasi risposta ad interpello n. 204/E/2019 e n. 207/E/2019).
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Le convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia
Per prima cosa, quindi, un contribuente che rientra in Italia in assenza di iscrizione AIRE è chiamato a verificare se lo Stato estero dove ha vissuto negli ultimi due anni rientra tra quelli con cui l’Italia ha sottoscritto una convenzione internazionale.
Per individuare questo è possibile consultare l’elenco completo al link seguente, con tutte le convenzioni sottoscritte dall’Italia:
La ratio di questa disposizione di favore è quella di valorizzare, per i soggetti che hanno stabilmente vissuto all’estero ma non risultano iscritti all’AIRE, la possibilità di comprovare il periodo di residenza all’estero, attraverso le disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
Come si verifica la residenza fiscale secondo le convenzioni internazionali?
Come detto, la normativa sull’agevolazione impatriati permette oggi di poter offrire la possibilità di verificare il requisito della residenza fiscale estera (con durata variabile a seconda della specifica situazione del soggetto impatriato) anche in assenza di iscrizione AIRE. In questo caso il contribuente, dopo aver verificato la presenza del Paese estero dove ha vissuto tra quelli in convenzione con l’Italia, è individuare come poter dimostrare la propria residenza fiscale estera.
In particolare, nelle convenzioni redatte secondo il modello di Convenzione OCSE, gli aspetti legati all’identificazione della residenza fiscale del contribuente sono demandate al paragrafo 4. Questa disposizione, nel primo paragrafo, rimanda espressamente alla legislazione domestica degli Stati contraenti, prevedendo che:
Il modello OCSE aggiunge, inoltre, che:
precisando cioè che ai fini della Convenzione un soggetto non può essere considerato residente in un Paese se lo stesso è assoggettato ad imposizione in tale Paese solo in base al principio di territorialità (questo è il problema dei soggetti che si trasferiscono in Paesi ove possono applicare regimi di tassazione su base territoriale del reddito, vedi “Regime dei non domiciliati UK: le problematiche fiscali“).
In buona sostanza, il modello OCSE in relazione alla residenza fiscale non individua un’univoca definizione di residenza da applicare. Infatti, nella disposizione vi è un esplicito rimando alla definizione di residenza fiscale fornita dalle legislazioni nazionali. Pertanto, nella pratica si possono verificare, frequentemente, situazioni in cui un soggetto è considerato fiscalmente residente in entrambi gli Stati in base alle rispettive normative domestiche (fattispecie di c.d. “dual residence“).
L’utilizzo delle tie breaker rules
Nel caso in cui si verifichi un caso di doppia residenza in base alle rispettive normative locali, assume rilievo il secondo comma del paragrafo 4, del modello di Convenzione OCSE. Tale disposizione ha l’obiettivo di andare a risolvere le problematiche di conflitto di residenza che si possono creare tra le legislazioni dei due Stati contraenti coinvolti, ed identificare in modo univoco la residenza del contribuente.
Sotto il profilo pratico le tie breaker rules sono disposizioni (criteri di collegamento della persona allo Stato) che devono essere verificate in modo gerarichico (con ordine preciso) ed in modo non concorrente, una volta che una di esse trova riscontro in uno solo dei due Stati coinvolti, quello diventa lo Stato di residenza fiscale del contribuente. In particolare, i criteri delle tie breaker rules, per la definizione della residenza fiscale sono, nell’ordine, le seguenti:
N° | Tie breaker rules Convenzione OCSE |
---|---|
1 | Abitazione permanente |
2 | Centro degli interessi vitali |
3 | Soggiorno abituale |
4 | Nazionalità |
5 | Accordo tra le autorità competenti dei due Paesi contraenti |
Poiché l’articolo, 4 paragrafo 2, stabilisce un ordine di priorità dei summenzionati criteri, il conflitto di residenza si dirime non appena uno dei test ottiene un risultato positivo. Secondo il Commentario, il criterio di collegamento individuato deve essere tale da riflettere il più forte legame (attachment) del contribuente ad uno dei due Stati, di modo che appaia “naturale” la residenza del contribuente nello Stato individuato. Detto questo andiamo ad analizzare, con maggiore dettaglio, i criteri previsti per risolvere le problematiche di doppia residenza fiscale.
1) Abitazione Permanente (Permanent Home)
In base al primo criterio, la residenza coincide con il luogo in cui il contribuente possiede o dispone di un’abitazione permanente. Sul tema, il Commentario fornisce indicazioni utili e in particolare chiarisce che l’abitazione:
- Può essere posseduta a qualsiasi titolo (in proprietà o in affitto o anche a disposizione da parte di altri soggetti);
- Deve disporre di un’adeguata organizzazione che consenta al contribuente una lunga e non occasionale permanenza.
La previsione in esame sembrerebbe riconducibile al concetto di “residenza” ex art. 43 del Codice Civile. Tuttavia, la nozione domestica di residenza, intesa come dimora abituale, non prevede la possibilità che essa venga identificata in più luoghi contemporaneamente, mentre la norma convenzionale non esclude tale possibilità. Infatti, il secondo criterio previsto dalle convenzioni muove dal presupposto che un soggetto possa avere una dimora permanente in entrambi gli Stati contraenti (o in nessuno di essi).
Nella prassi dell’Agenzia dell’Entrate, si ritiene che la disponibilità dell’immobile possa verificarsi anche in caso di disponibilità attraverso intestazione ad interposta persona, e che la presenza di una disponibilità per oltre 90 giorni dell’immobile sia elemento rilevante (vedi check-list sulla residenza fiscale in relazione all’applicazione dell’art. 24-bis del TUIR)
Relativamente a questo primo test, è interessante notare il riferimento al primo criterio in una sentenza della Commissione Tributaria della Lombardia (CTR Lombardia n. 102/28/2012). Sentenza dalla quale emerge che la persona fisica che possiede una doppia residenza deve essere considerata fiscalmente residente nel Paese in cui possiede un’abitazione permanente. Secondo la Commissione il fatto che il contribuente non avesse anche in Italia un’abitazione di proprietà o posseduta in forza di un qualsiasi titolo giuridico e che tale abitazione non fosse a disposizione in modo continuativo, rendeva soddisfatto già il primo criterio e, quindi, superflua la verifica di quelli successivi previsti dall’articolo 4 della Convenzione.
2) Centro Degli Interessi Vitali (Centre Of Vital Interests)
Il secondo criterio, il centro degli interessi vitali, corrisponde al luogo in cui le relazioni personali ed economiche dell’individuo sono più strette (closer). Come indicato dal Commentario, al fine di determinare il centro degli interessi vitali, occorre tener conto delle relazioni familiari e sociali del contribuente, ma anche delle sue attività politiche, culturali o di altro genere, della sua sede di affari e del luogo dal quale amministra le sue proprietà. Queste circostanze devono essere esaminate in una visione globale, tenuto conto della particolare situazione personale dell’individuo. Spesso non è facile stabilire qual è il luogo in cui una persona ha stabilito il proprio centro degli interessi vitali, magari perché, ad esempio, le relazioni familiari e personali sono in uno Stato mentre gli interessi economici e patrimoniali prevalenti sono in un altro.
Si evidenzia che il concetto di “centro degli interessi vitali” è molto vicino alla nozione domestica di “domicilio” e che l’orientamento prevalente dell’Amministrazione finanziaria e della giurisprudenza italiana attribuisce solitamente una particolare rilevanza ai legami personali ed affettivi. Tuttavia è interessante leggere una recente sentenza nella quale la Cassazione ha ritenuto che il domicilio del contribuente, trasferitosi con la moglie a Montecarlo, fosse in Italia “(…) essendo risultato il suo pieno coinvolgimento nelle vicende economiche e morali della famiglia (omissis) e delle società ad essa facenti capo ”. Il tutto, dando di fatto prevalenza agli interessi economici del contribuente. Proseguendo nella disamina delle tie-breker rules, nel caso in cui non sia possibile determinare lo Stato in cui il contribuente ha il centro dei suoi interessi vitali occorrerà procedere ai test successivi.
3) Soggiorno Abituale (Habitual Abode)
Il criterio di risoluzione del conflitto di residenza da verificare nel caso in cui non è possibile determinare lo Stato contraente nel quale la persona ha il proprio centro degli interessi vitali o se la medesima non ha un’abitazione permanente in alcuno degli Stati contraenti, è il luogo in cui il contribuente “soggiorna abitualmente”. Il Commentario non fornisce una chiara interpretazione dei requisiti da verificare al fine di individuare qual è l’intervallo di tempo minimo richiesto affinché possa dirsi verificato il criterio del soggiorno abituale. Il commentario si limita a richiedere “a sufficient length of time”. Ovvero, una durata sufficientemente ampia tale da consentire di determinare se la residenza in ciascuno degli Stati sia abituale o meno. Il soggiorno abituale non deve essere verificato in relazione al numero di giorni effettivi di un soggetto in uno Stato, ma attraverso l’attitudine, abitualità ed i comportamenti del contribuenti volti a dimostrare che abitualmente soggiorna in un dato Stato.
4) Nazionalità (Nationality)
Il quarto criterio individuato dall’articolo 4 della Convenzione è quello della cittadinanza del soggetto. È utile sottolineare che la Convenzione fa espresso rinvio alla normativa interna per la definizione della cittadinanza di un soggetto. In questo caso la possibilità di valutare situazioni di doppia cittadinanza potrebbe essere determinante nel far valere questa rules, in relazione all’identificazione della residenza fiscale di un soggetto.
5) Procedura Amichevole (Mutual Agreement Procedure)
Se nessuna delle su esposte tie breaker rules ha avuto un esito positivo, la questione della residenza viene risolta di comune accordo tra gli Stati contraenti. La risoluzione avviene in base alla procedura amichevole stabilita nell’articolo 25 della Convenzione stessa. Tale procedura, comunque, è limitata a situazioni relativamente importanti, e di scarsa applicazione pratica nei casi di minore rilevanza.
Come è possibile valutare la propria situazione?
Una volta individuate tutte le regole da seguire è possibile approfondire ulteriormente e chiedersi come un soggetto può valutare la propria situazione. Ricordo che, l’agevolazione per i lavoratori impatriati prevede il rilascio di una autocertificazione sulla presenza dei requisiti previsti dalla norma, rilasciata dal contribuente. Per questo il contribuente è chiamato, sostanzialmente, ad autovalutare la propria posizione in attesa dei futuri controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Ebbene, nel caso in cui si renda necessario effettuare una (auto)valutazione è opportuno partire dal fatto che le circostanze del soggetto devono essere valutate nel complesso e il comportamento personale dell’interessato deve essere considerato in modo particolare. Questo significa che se una persona, la quale possiede una abitazione in uno Stato, stabilisce una seconda abitazione nell’altro Stato, conservando tuttavia la prima abitazione, il fatto che la stessa mantenga tale prima abitazione nell’ambiente ove ha sempre vissuto, ove ha sempre lavorato, e ove ha la propria famiglia e i beni, può, unitamente ad altri elementi, contribuire a dimostrare che il suo centro degli interessi vitali si trovi nel primo Stato. Nel caso in cui la persona fisica:
- Disponga di una abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti e non sia possibile determinare in quale dei due Stati abbia il centro degli interessi vitali;
- Non disponga di una abitazione permanente in alcuno Stato contraente;
la preferenza viene accordata allo Stato contraente del soggiorno abituale. Tale requisito deve essere valutato all’interno di un arco temporale sufficientemente duraturo, tale da consentire di valutare la presenza in ciascuno dei due Stati coinvolti, per individuare la periodicità dei soggiorni. Qualora il soggiorno abituale sia rinvenibile in entrambi gli Stati contraenti o, al contrario, non si configuri in alcuno di detti Stati, la preferenza deve essere accordata allo Stato del quale la persona fisica possiede la nazionalità. Infine, qualora la persone fisica detenga la nazionalità di entrambi gli Stati coinvolti, l’art. 4 della Convenzione attribuisce alle autorità competenti il dovere di determinare la residenza mediante ricorso alla procedura amichevole di cui all’art. 25 del Modello OCSE.
Quindi, possiamo dire che, molto spesso, sono il centro degli interessi vitali di un soggetto ed il suo soggiorno abituale a dirimere, per le Convenzioni internazionali basate sul modello OCSE, a dirimere situazioni di doppia residenza fiscale. Solo in situazioni più complesse si passa al soggiorno abituale ed alla nazionalità.
Conclusioni
Da quanto emerso sino a questo momento avrai capito che una valutazione della residenza fiscale sulla base delle Convenzioni internazionali non è semplice, in quanto la posizione di un soggetto potrebbe benissimo non rendere evidente e palese il suo collegamento principale con uno Stato. Questa situazione potrebbe poi portare ad una situazione poco piacevole in caso di controlli sull’agevolazione da parte dell’Agenzia delle Entrate (considerate le sanzioni previste). Questo tipo di valutazioni, infatti, risentono molto anche del grado di soggettività del soggetto (ente) che effettua i controlli.
Per questo motivo il consiglio che posso dare, anche se al momento non vi è conferma da parte delle Entrate, è quello di provare a chiedere una certificazione di residenza fiscale (per le annualità oggetto di controllo di residenza fiscale estera) all’Agenzia fiscale estera interessata. Mi riferisco ad una certificazione rilasciata ai sensi del paragrafo 4 della Convenzione contro le doppie imposizioni in essere con l’Italia. Tale documento, infatti, assieme agli altri elementi documentali di cui deve essere in possesso il contribuente, può avvalorare la posizione dello stesso, in quanto identifica con chiarezza la posizione dell’altro Stato coinvolto nell’identificazione della residenza fiscale del contribuente. Tuttavia, nella pratica, il rilascio di tale documento non appare semplice, soprattutto se non è ancora iniziata una fase di accertamento fiscale nell’altro Stato coinvolto (Italia).
In ogni caso, questo tipo di valutazioni non può prescindere dalla presenza di un fascicolo probatorio importante da parte del contribuente in modo da evidenziare con chiarezza che i principali collegamenti del soggetto sono stati con il Paese estero (e non con l’Italia).
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