Nella pratica può capitare che un soggetto Iva, committente nazionale, riceva una fattura da un prestatore UE. All’interno di questa casistica generale possono venirsi a creare alcune fattispecie anomale legate alla ricezione di fatture da parte di fornitori UE per l’acquisto di beni e/o servizi. In particolare, occorre prestare attenzione alle ipotesi in cui il committente italiano riceva una fattura con Iva estera esposta.
Questa fattispecie può nella pratica verificarsi, solitamente, per due casistiche:
- Un errore di territorialità Iva commesso da parte del fornitore non residente;
- Un disallineamento tra normative Iva: quella nazionale e quella estera.
Sostanzialmente, l’applicazione dell’Iva da parte del prestatore non residente può derivare, in primo luogo, dalla difficoltà dello stesso nel qualificare il committente come soggetto passivo d’imposta. È il caso, ad esempio, di acquisti di servizi effettuati tramite internet, anche se il committente nazionale ha inserito nel portale web del fornitore la propria partita Iva.
In altri casi, invece, l’assoggettamento ad Iva estera può essere “legittimo”. Questo, a causa del diverso trattamento riservato all’operazione dalla normativa vigente nel Paese del fornitore.
Nella pratica quotidiana le casistiche che possiamo trovarci di fronte sono molte, ma tutte riconducibili ad una stessa problematica di fondo: una fattura con Iva estera esposta. Per questo motivo, quindi, è utile capire il corretto trattamento da riservare ai fini Iva a questa fattura. In particolare, vedremo come è possibile applicare il reverse charge in casi come questi.
Cosa fare se ricevi una fattura estera con Iva esposta?
L’aspetto che in questa sede andiamo ad evidenziare è, sostanzialmente, la risposta alla domanda sottostante, ovvero:
In presenza di imposta erroneamente applicata dal prestatore comunitario, il cliente non è esonerato dall’integrazione della fattura che deve essere comunque operata. Questo è quanto previsto ai sensi del combinato disposto degli articoli 17 del DPR n. 633/72 e 46 e 47 del D.L. n. 331/93.
Con la Circolare n 28/E/2011 § 1.4 (del 28 giugno 2011) l’Agenzia delle Entrate ha affrontato, nello specifico, il comportamento che deve essere tenuto dal committente residente nel particolare caso in cui il fornitore estero applichi indebitamente l’IVA.
Il caso è quello di una prestazione qualificata come “servizio generico”. L’Amministrazione finanziaria ha chiarito che il soggetto residente deve procedere all’applicazione del reverse charge. Questo, secondo le norme e la prassi nazionale, a prescindere dal trattamento applicato all’estero. Sostanzialmente, il primo elemento che è possibile desumere è che se riceviamo una fattura estera con IVA esposta per un servizio generico, non dobbiamo trattare il documento come “non fiscale“. La fattura estera con IVA esposta deve essere integrata con il meccanismo del reverse charge. Questo, sempre che non si riesca ad ottenere l’emissione di una nota di credito da parte del fornitore. Nota di credito che, nel caso, deve essere seguita dall’emissione della nuova fattura corretta.
Identificazione della base imponibile per il reverse charge
Quando viene notificata una fattura con Iva estera esposta le alternative a disposizione sono due:
- Chiedere al fornitore l’emissione di una nota di credito, con l’emissione di una nuova fattura corretta;
- L’integrazione della fattura estera con il meccanismo del reverse charge.
Considerato che, solitamente, la prima opzione è difficilmente ottenibile nella prassi, spesso la seconda opzione è quella più semplice da realizzare. Ebbene, in questo caso occorre capire come effettuare nel modo corretto l’integrazione della fattura. In particolare, occorre capire se l’integrazione della fattura deve essere effettuata:
- Sul corrispettivo imponibile, quindi al netto dell’Iva estera, oppure
- Sull’importo totale addebitato, quindi comprensivo dell’Iva estera.
La risposta dipende dalla fattispecie per cui l’Iva è stata esposta nella fattura. Vediamo le casistiche a disposizione.
Caso di Iva indicata in fattura per errore di territorialità
Posto che ai sensi dell’articolo 168 della Direttiva n. 2006/112/CE, l’imposta è detraibile solo se “dovuta”, la quota di imposta inserita in fattura dal prestatore estero diventa un costo per l’azienda committente. Esso, infatti costituisce un onere aggiuntivo che va a sommarsi al corrispettivo contrattuale.
La deducibilità del costo discende dalla duplice considerazione che il committente residente resta definitivamente inciso dell’onere che è certo nel suo ammontare e inerente. Esso costituisce “maggior prezzo”, quindi non determina né influenza né la natura del costo. In questo caso, quindi, la base imponibile diventa il totale addebitato in fattura, comprensivo dell’IVA estera.
Caso di Iva applicata in virtù dell’applicazione di norma estera
Più delicato appare il caso in cui l’applicazione dell’Iva da parte del prestatore non residente sia conseguente ad un addebito “corretto” in base alla normativa vigente nello Stato estero, così come interpretata dalla locale autorità fiscale.
Questo accade frequentemente nell’ambito dell’acquisto di servizi che, nonostante l’emanazione del Regolamento UE n. 1042/2013 in alcuni Paesi, alcuni di questi servizi sono ancora considerati relativi a beni immobili anziché qualificati nella categoria dei c.d. “servizi generici”. Ne sono esempio, la fornitura di spazi espositivi presso le fiere o i servizi di logistica.
Nel caso di Iva correttamente esposta, secondo le norme vigenti nel Paese del fornitore comunitario, l’ammontare di riferimento per l’inversione contabile (al netto o al lordo dell’Iva applicata in fattura) dipende dalla scelta di chiedere il rimborso dell’Iva estera.
Nel caso in cui l’operatore nazionale opti per la richiesta di rimborso è implicito che l’integrazione debba essere effettuata sull’imponibile esposto in fattura. Importo, quindi, al netto dell’Iva estera, non potendo rappresentare l’imposta una componente di costo. Diversamente, nel caso in cui l’operatore rinunci all’istanza di rimborso Iva, la quota corrispondente all’imposta estera non dovrebbe teoricamente essere ridotta. In tal senso l’Agenzia delle Entrate, che nella Circolare n. 25/E/2010 (del 19 maggio 2010) afferma che: “ai fini reddituali l’Iva rappresenta un costo deducibile solo nel caso in cui vi sia una limitazione oggettiva della detraibilità”.
Deve essere evidenziato, tuttavia, che la regola possa essere derogata (integrando il corrispettivo al lordo dell’imposta) qualora per valutazioni di convenienza economico-gestionale l’operatore nazionale decida di non procedere alla richiesta di rimborso. L’Agenzia delle Entrate, infatti, nella medesima Circolare n. 25/E/2010, ha riconosciuto l’Iva non detratta sui servizi di ristorazione la natura di costo inerente deducibile nel caso in cui l’azienda non proceda per i motivi suddetti alla richiesta della fattura.
Fatture ricevute da prestatori extracomunitari
Analoghe considerazioni a quelle sin qui svolte possono essere estese nel caso di prestatori extracomunitari tenendo in dovuta considerazione le diverse regole vigenti e di non facile individuazione ai fini dell’eventuale possibilità di rimborso dell’Iva (o analoga imposta) esistente nel Paese del prestatore.
Tabella riassuntiva: integrazione Iva su fattura con Iva estera esposta
FATTISPECIE | IMPONIBILE PER IL REVERSE CHARGE |
---|---|
Iva estera indicata per errore di territorialità | Reverse charge sul valore totale della fattura |
Iva estera indicata in virtù di norma estera – Presentata istanza di rimborso Iva allo Stato estero | Reverse charge sul valore netto della fattura |
Iva estera indicata in virtù di norma estera – Non presentata istanza di rimborso Iva allo Stato estero | Reverse charge sul valore totale della fattura |
Conclusioni
La possibilità di trovarsi di fronte ad una fattura con Iva estera esposta è assai frequente nella prassi quotidiana. Tuttavia, molto spesso non ci poniamo nel modo corretto quale sia la corretta modalità per effettuare l’integrazione dell’Iva. Come visto, qualora vi sia Iva esposta per problematiche di errata territorialità l’integrazione dell’Iva italiana deve essere effettuata sul valore complessivo della fattura. Tale Iva, infatti non rappresenta un valore deducibile, in quanto non dovuta.
La situazione si complica, invece, nel caso in cui di Iva applicata in virtù di una norma estera. In questo caso qualora non si sia chiesta istanza di rimborso l’inversione contabile si applica sull’importo complessivo. Al contrario, se viene richiesto il rimborso dell’Iva allo stato estero, naturalmente l’importo del reverse charge è costituito da quell’imponibile. Tuttavia, sul punto, la Circolare n. 25/E/2010 permette l’applicazione dell’integrazione sul corrispettivo lordo della fattura. Questo qualora per valutazioni di convenienza economico-gestionale l’operatore non proceda alla richiesta di rimborso. Se hai dubbi riguardanti la corretta applicazione dell’Iva in fattura o sulla corretta applicazione del reverse charge, contattaci. Segui il link sottostante per richiedere una consulenza personalizzata in materia di Iva.