Chiudere la partita IVA: procedura, modulistica e tempistiche

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La chiusura della partita Iva deve essere effettuata entro 30 giorni dalla cessione dell’attività tramite modello AA9/11. Ci sono poi situazioni di chiusura d’ufficio di partite IVA inattive o quando non si presenta la dichiarazione dei redditi per tre anni.

La chiusura della partita IVA è gratuita se gestita autonomamente. Devi presentare il modello AA9/12 entro 30 giorni dalla cessazione dell’attività all’Agenzia delle Entrate. Se sei iscritto al Registro delle Imprese, utilizzi la procedura ComUnica che comunica automaticamente la chiusura anche a INPS e INAIL.

Chiudere la partita IVA rappresenta un passaggio delicato nella vita professionale di ogni contribuente. Non basta smettere di fatturare: serve una comunicazione formale che coinvolge diversi enti. Molti professionisti e imprenditori sottovalutano questa procedura, dimenticando di chiudere posizioni previdenziali o contributive. Questa dimenticanza costa cara: contributi fissi continuano ad accumularsi anche dopo la cessazione effettiva dell’attività. La chiusura richiede attenzione ai dettagli, rispetto delle tempistiche e coordinamento tra Agenzia delle Entrate, INPS, Camera di Commercio e altri enti. In questa guida ti spiego tutto quello che devi sapere per chiudere correttamente la tua posizione fiscale.

Quando è obbligatorio chiudere la partita IVA

Chiudere la partita IVA diventa obbligatorio nel momento in cui cessi definitivamente ogni attività professionale o imprenditoriale. La cessazione non coincide con l’ultimo giorno di fatturazione attiva: puoi chiudere solo dopo aver incassato tutti i crediti e fatturato tutte le prestazioni concluse. Questa distinzione è fondamentale perché determina la data corretta da indicare nei modelli di chiusura.

La normativa prevede che tu comunichi la cessazione entro 30 giorni dalla data effettiva di chiusura. Questo termine decorre dal giorno in cui completi realmente ogni operazione legata all’attività. Se hai fatture ancora da emettere per prestazioni già svolte, non puoi considerare cessata l’attività. L’Agenzia delle Entrate, attraverso l’art. 35 del DPR n. 633/72, stabilisce che la chiusura deve riflettere la realtà dei fatti. Non puoi chiudere la partita IVA mantenendo posizioni attive o crediti da riscuotere che richiedano emissione di fatture.

Molti contribuenti scoprono anni dopo di avere la partita IVA ancora aperta. Questo accade quando ci si dimentica di comunicare la cessazione, pensando che smettere di fatturare equivalga automaticamente alla chiusura. L’Agenzia delle Entrate, dal 2016, procede alla chiusura d’ufficio delle partite IVA inattive da oltre tre anni. Prima di questa chiusura automatica, ricevi una comunicazione con 60 giorni di tempo per fornire chiarimenti sull’effettivo stato della tua attività.

Consiglio: Verifica sempre lo stato della tua partita IVA sul sito dell’Agenzia delle Entrate prima di procedere con la chiusura. Potrebbe essere già stata chiusa d’ufficio se sei inattivo da oltre tre anni.

Procedura di chiusura per persone fisiche

La chiusura per liberi professionisti e ditte individuali segue una procedura relativamente semplice. Compili il modello AA9/12 che trovi sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Questo modulo richiede poche informazioni essenziali: il tuo numero di partita IVA, i dati anagrafici completi, il codice attività ATECO e soprattutto la data di cessazione effettiva.

Se non sei a conoscenza del codice attività che stai utilizzando hai la possibilità di verificarlo attraverso l’accesso al tuo “cassetto fiscale“. All’interno di esso puoi trovare le informazioni fiscalmente rilevanti che ti riguardano come, appunto, il tuo codice attività.

La compilazione del modello richiede attenzione particolare alla sezione dedicata alla cessazione. Barri la casella numero 3 del quadro A, inserisci il numero di partita IVA e la data precisa in cui hai concluso ogni operazione. Non devi inventare una data: quella che indichi deve corrispondere al giorno reale in cui hai completato l’ultima prestazione e incassato l’ultimo compenso fatturato.

Puoi trasmettere il modello in tre modalità diverse. La prima è via PEC, inviando il documento a qualsiasi Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate. Se sottoscrivi con firma digitale, alleghi solo il PDF del modello. Con firma autografa, aggiungi anche la copia di un documento d’identità valido. La seconda modalità prevede la consegna diretta presso un qualsiasi ufficio dell’Agenzia, portando due copie del modello e un documento. La terza opzione è l’invio tramite raccomandata a uno degli uffici territoriali.

Modalità di presentazione del modello

Puoi trasmettere il modello in tre modalità diverse. La prima è via PEC, inviando il documento a qualsiasi Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate. Se sottoscrivi con firma digitale, alleghi solo il PDF del modello. Con firma autografa, aggiungi anche la copia di un documento d’identità valido. La seconda modalità prevede la consegna diretta presso un qualsiasi ufficio dell’Agenzia, portando due copie del modello e un documento. La terza opzione è l’invio tramite raccomandata a uno degli uffici territoriali.

Ricevi la ricevuta di attestazione della chiusura all’indirizzo PEC utilizzato per l’invio, oppure allo sportello se hai consegnato il modello di persona. La chiusura della partita IVA presso l’Agenzia delle Entrate avviene in tempi rapidi, solitamente entro pochi giorni lavorativi dalla presentazione del modello. Questa velocità non deve farti dimenticare gli altri enti presso cui devi comunicare la cessazione.

Chiusura per iscritti alla gestione separata INPS

I liberi professionisti iscritti alla gestione separata INPS non devono presentare una comunicazione specifica all’istituto previdenziale. La chiusura della partita IVA all’Agenzia delle Entrate non genera automaticamente la cessazione contributiva, ma i contributi alla gestione separata sono calcolati sul reddito effettivo. Se non fatturi, non produci reddito e quindi non paghi contributi. Devi comunque presentare la dichiarazione dei redditi per l’anno di cessazione, indicando il reddito prodotto fino alla data di chiusura.

Gli iscritti agli ordini professionali seguono una procedura diversa. Se sei avvocato, commercialista, ingegnere, medico o altro professionista ordinistico, devi comunicare la cessazione sia all’ordine di appartenenza che alla relativa cassa previdenziale. Cassa Forense, INARCASSA, CNPADC, ENPAM e le altre casse private hanno regole specifiche per la cancellazione. Ogni cassa richiede documentazione diversa e applica tempistiche proprie per la cessazione dell’obbligo contributivo.

Chiusura per ditte individuali e società

Le ditte individuali iscritte al Registro delle Imprese seguono una procedura più articolata. Non puoi limitarti alla chiusura presso l’Agenzia delle Entrate: devi utilizzare il sistema ComUnica che coordina la comunicazione con Camera di Commercio, INPS e INAIL. Questa procedura unificata ti permette di chiudere contemporaneamente tutte le posizioni con un’unica pratica telematica.

ComUnica richiede competenze tecniche specifiche. Devi possedere le credenziali SPID o CIE per accedere al portale, una firma digitale per sottoscrivere i documenti e conoscenza dei software necessari. Molti contribuenti preferiscono affidarsi a un commercialista per questa fase, considerando la complessità della procedura e il rischio di errori che potrebbero lasciare aperte alcune posizioni.

Le società di persone e di capitali affrontano una procedura ancora più complessa. La chiusura della partita IVA rappresenta solo l’ultimo step di un processo che include la liquidazione societaria, il bilancio finale e la cancellazione dal Registro delle Imprese. Serve l’intervento di un notaio per formalizzare lo scioglimento della società. Utilizzi il modello AA7/10 per comunicare la cessazione all’Agenzia delle Entrate, ma solo dopo aver completato tutte le procedure previste dal codice civile per la liquidazione.

La procedura ComUnica passo dopo passo

La procedura ComUnica parte dalla compilazione del modello S5 per la cessazione dell’attività presso la Camera di Commercio. Questo modulo raccoglie tutte le informazioni necessarie per comunicare simultaneamente la chiusura a più enti. Inserisci i dati della ditta, la data di cessazione e le motivazioni della chiusura.

Alleghi al modello S5 la documentazione richiesta dalla Camera di Commercio. Se hai una ditta individuale commerciale, serve il certificato di cancellazione dalla gestione artigiani o commercianti INPS. Per le attività artigiane, aggiungi anche la documentazione INAIL. Ogni Camera ha requisiti specifici che puoi verificare sul portale della tua provincia.

Trasmetti la pratica telematicamente attraverso il portale Registro Imprese. Il sistema genera automaticamente la comunicazione verso l’Agenzia delle Entrate per la chiusura della partita IVA, verso l’INPS per la cessazione contributiva e verso l’INAIL se applicabile. Ricevi le ricevute separate da ogni ente, con tempi diversi per ciascuno. La Camera di Commercio risponde entro 5-10 giorni lavorativi, mentre INPS e INAIL possono richiedere fino a 30 giorni per confermare la cessazione.

Costi della chiusura partita IVA

La chiusura della partita IVA presso l’Agenzia delle Entrate è completamente gratuita. Non paghi bolli, diritti o tasse per comunicare la cessazione della tua posizione fiscale. Questo vale sia per la presentazione diretta che per l’invio tramite PEC o raccomandata. L’unica spesa eventuale riguarda i costi postali se scegli la raccomandata, ma si tratta di pochi euro.

I costi aumentano se sei iscritto al Registro delle Imprese. La Camera di Commercio richiede il pagamento di diritti di segreteria per la cancellazione. Le ditte individuali commerciali pagano circa € 18-20. Le ditte artigiane sostengono una spesa leggermente superiore, circa € 20-25, dovuta alla necessità di cancellare anche l’iscrizione al ruolo artigiani. Questi importi variano leggermente da provincia a provincia.

Le pratiche ComUnica generano costi aggiuntivi. Paghi i bolli per i modelli telematici UL e S5, che ammontano a circa € 30 complessivi. A questi si aggiungono i diritti di segreteria già menzionati. Il totale per chiudere una ditta individuale iscritta al Registro delle Imprese si aggira quindi tra € 50 e € 90, dipendendo dalla Camera di Commercio territoriale.

Molti contribuenti scelgono di affidarsi a un commercialista per gestire l’intera procedura. Le tariffe professionali variano considerevolmente. Per una semplice chiusura di partita IVA come libero professionista, i compensi partono da € 50-100. Per una ditta individuale con ComUnica, i costi aumentano a € 200-400. Le società affrontano spese molto più elevate, dai € 500 in su, per la complessità della procedura che include liquidazione e bilancio finale.

Attenzione: La chiusura retroattiva costa di più perché alcuni enti applicano sanzioni per comunicazione tardiva. INAIL e SUAP comunale richiedono spesso il pagamento di penali anche se l’Agenzia delle Entrate non sanziona più l’omessa comunicazione.

Tempistiche e scadenze da rispettare

La legge ti concede 30 giorni dalla data di effettiva cessazione per presentare la dichiarazione di chiusura. Questo termine non ammette proroghe o eccezioni: decorre automaticamente dal giorno in cui completi l’ultima operazione riconducibile alla tua attività. Se cessi l’attività il 15 marzo, hai tempo fino al 14 aprile per inviare il modello AA9/12 o la pratica ComUnica.

La data di cessazione che indichi nel modello non può essere futura. Devi scegliere una data passata o al massimo la data stessa di presentazione della comunicazione. Non puoi programmare una chiusura futura dicendo “chiudo tra un mese”. La chiusura deve riflettere un fatto già avvenuto: l’interruzione definitiva di ogni attività professionale o imprenditoriale.

Rispettare il termine dei 30 giorni è fondamentale per evitare complicazioni. Dal 2016, l’Agenzia delle Entrate ha abolito le sanzioni per tardiva comunicazione di cessazione. Non paghi multe se presenti il modello in ritardo. Tuttavia, altri enti mantengono le sanzioni. INAIL applica penali se comunichi tardivamente la cessazione della posizione assicurativa. Anche alcuni comuni sanzionano la tardiva comunicazione di chiusura della SCIA, quando l’attività richiedeva questa autorizzazione.

La tempistica ideale per chiudere la partita IVA cade entro il 31 dicembre. Chiudendo prima della fine dell’anno, eviti di dover presentare tutti gli adempimenti fiscali dell’anno successivo. Anche un solo giorno di apertura nel nuovo anno ti obbliga alla dichiarazione dei redditi, alla dichiarazione IVA e a tutti gli altri adempimenti annuali. Considera questo aspetto quando scegli la data di cessazione, se hai margine di manovra.

Chiusura retroattiva: procedura e limiti

La chiusura retroattiva permette di sanare situazioni in cui hai dimenticato di comunicare la cessazione per mesi o anni. L’Agenzia delle Entrate accetta comunicazioni con data passata, a condizione che tu possa dimostrare la reale inattività dal periodo indicato. Non esistono limiti temporali rigidi: puoi chiudere con anni di ritardo se provi che l’attività era effettivamente cessata.

La prova dell’inattività si basa su elementi oggettivi. L’assenza di fatture emesse o ricevute rappresenta il criterio principale. Se dal 2020 non hai più movimenti in fatturazione elettronica, puoi chiudere retroattivamente indicando come data di cessazione l’ultimo giorno di attività documentata. L’Agenzia verifica nei propri database l’assenza di operazioni successive alla data dichiarata.

Utilizzi gli stessi modelli della chiusura ordinaria: AA9/12 per persone fisiche o ComUnica per iscritti al Registro Imprese. Nella sezione dedicata alla data di cessazione, inserisci la data passata reale. Aggiungi una nota esplicativa che chiarisca i motivi del ritardo nella comunicazione. Non serve presentare documentazione particolare, ma è utile preparare evidenze dell’inattività in caso di richieste da parte degli uffici.

La chiusura retroattiva genera conseguenze presso altri enti. L’INPS, ricevendo comunicazione della cessazione con data passata, ricalcola i contributi dovuti. Se hai pagato contributi fissi per periodi successivi alla cessazione effettiva, puoi richiedere lo sgravio delle somme non dovute. Presenta domanda specifica all’INPS allegando la ricevuta di chiusura della partita IVA con data retroattiva. L’istituto annulla i contributi posteriori alla data di cessazione e comunica l’annullamento all’Agenzia delle Entrate-Riscossione per cancellare eventuali cartelle.

Sanzioni per chiusura tardiva

L’Agenzia delle Entrate non applica più sanzioni per omessa o tardiva comunicazione di cessazione. Il D.L. n. 193/2016 ha abolito le multe previste dall’articolo 5 del D.Lgs. n. 471/97, che oscillavano tra € 516 e € 2.000. Questa abolizione vale anche per chiusure comunicate con anni di ritardo. Puoi regolarizzare la tua posizione senza temere sanzioni fiscali dirette.

Altri enti mantengono invece il potere sanzionatorio. L’INAIL richiede il pagamento di una penale per tardiva comunicazione di cessazione dell’attività artigiana. L’importo varia ma si aggira generalmente su poche centinaia di euro. La Camera di Commercio può applicare sanzioni amministrative se la chiusura retroattiva comporta irregolarità nella posizione del Registro Imprese. Il SUAP comunale sanziona la mancata comunicazione di cessazione della SCIA entro i termini previsti dai regolamenti locali.

Le cartelle esattoriali emesse per contributi o tributi relativi a periodi successivi alla data di effettiva cessazione possono essere annullate. Dopo aver ottenuto la chiusura retroattiva, presenti istanza di sgravio agli enti creditori allegando la documentazione che prova la cessazione anteriore. INPS, INAIL e Camera di Commercio devono ricalcolare i debiti escludendo i periodi non dovuti. Puoi gestire autonomamente queste pratiche oppure rivolgerti a un commercialista per coordinare tutte le richieste di sgravio.

Come verificare la cessazione dell’attività

Dopo aver provveduto alla chiusura della partita Iva, è possibile verificare attraverso il servizio offerto dall’Agenzia delle Entrate, se e quando la partita Iva è stata chiusa o se ancora risulta attiva. Tale servizio, permette quindi di verificare validità di una partita Iva e di conoscere anche altre informazioni registrate nell’Anagrafe tributaria come per esempio lo stato di attività, la denominazione dell’impresa o i datai anagrafici del titolare.

Di seguito puoi trovare i link per effettuare questo tipo di verifica.

Partita Iva e lavoro dipendente

Un aspetto particolare legato a molte domande che ci arrivano, riguarda la chiusura della partita Iva per un soggetto al quale è stato proposto di accettare un contratto di lavoro dipendente. Sull’argomento mi rendo conto vi sia ancora molta confusione. Infatti, non è assolutamente vietato avere una partita Iva aperta e contemporaneamente avere anche un contratto di lavoro dipendente.

La cosa importante è che non vi sia conflitto di interesse. Se l’attività di lavoro dipendente è la stessa che svolgete con partita Iva, allora vi potrebbero sorgere conflitti di interesse che è bene evitare sin da subito. Ma non vi sono limitazioni se l’attività da freelance e lavoro dipendente riguardano ambiti o settori diversi.

Una lavoratrice dipendente come segretaria, può benissimo aprire partita Iva per effettuare attività di web design, e così via. La cosa importante è consultarti sempre con il proprio Commercialista di fiducia. Questo, in relazione al fatto che gli aspetti fiscali e previdenziali legati alla doppia attività, devono essere gestiti con cura, per evitare di mancare qualche pagamento o di effettuare versamenti in eccesso. Per i freelance iscritti alla gestione separata, ad esempio, se contemporaneamente svolgono anche attività di lavoro dipendente, è prevista una riduzione dell’aliquota contributiva applicabile.

Per approfondire: “Partita Iva e lavoro dipendente“.

Chiusura d’ufficio della partita Iva inattiva (in caso di tre anni di inattività)

L’Agenzia delle Entrate procede alla chiusura d’ufficio delle partite Iva dei soggetti che, sulla base dei dati e degli elementi in possesso dell’Agenzia stessa, risultano non aver esercitato attività d’impresa ovvero attività artistica o professionale nelle tre annualità precedenti.

Lo stabilisce il provvedimento direttoriale del 3 dicembre 2019, per effetto del quale viene data attuazione all’art. 35 comma 15-quinquies del DPR n. 633/72 (introdotto dal D.Lgs. n. 175/2014 e modificato dal D.L. n. 193/2016).

Questa disposizione prevede la cessazione d’ufficio delle partite Iva dopo tre anni di inattività. D’altra parte è stata abolita la sanzione in caso di omessa dichiarazione di cessazione dell’attività ai fini IVA. L’identificazione delle partite Iva da chiudere avviene sulla base di riscontri automatizzati in ragione dei dati disponibili in Anagrafe tributaria. Più precisamente, l’Agenzia individua i soggetti titolari di partita Iva che nelle tre annualità precedenti non hanno presentato, se dovuta, la dichiarazione IVA annuale o la dichiarazione dei redditi di lavoro autonomo o d’impresa.

La procedura di chiusura d’ufficio

La procedura per la cessazione della partita Iva determinata dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate si struttura nel modo seguente:

  • Al soggetto individuato come potenzialmente inattivo è inviata una comunicazione preventiva di chiusura d’ufficio della partita Iva, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento;
  • Il destinatario ha la possibilità di rivolgersi, entro 60 giorni dalla ricezione delle lettera, ad un qualsiasi ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate. Questo al fine di fornire chiarimento in merito alla propria posizione di soggetto attivo ai fini Iva (ed eventualmente, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, motivare e richiedere la riattivazione del codice fiscale);
  • Gli Uffici, verificate le argomentazioni e la documentazione prodotta dal contribuente, possono archiviare la comunicazione di chiusura della partita Iva, mantenendo il soggetto in stato di attività, oppure rigettare l’istanza con motivato diniego.

Valutazione del rischio

Quest’ultimo provvedimento individua specifici elementi di valutazione del rischio riferiti essenzialmente a:

  • Elementi di rischio riconducibili al titolare della ditta individuale o al rappresentante legale, agli amministratori e ai soci della persona giuridica titolare della partita IVA;
  • Elementi di rischio relativi alla tipologia e alle modalità di svolgimento dell’attività operativa, finanziaria, gestionale, nonché ausiliaria da parte del soggetto titolare della partita IVA;
  • Gli elementi di rischio relativi alla posizione fiscale del soggetto titolare della partita IVA, con particolare riferimento alle omissioni e/o incongruenze negli obblighi dichiarativi o nei versamenti;
  • Elementi di rischio derivanti da collegamenti coinvolti in fenomeni evasivi o fraudolenti. Scatta il divieto di compensazione di tributi e contributi.

Esclusione dal VIES

Ai sensi dell’art. 35 comma 15-bis del DPR n. 633/72 è anche previsto, in capo a coloro cui sia stata imposta la cessazione della partita Iva, l’esclusione della medesima dalla banca dati VIES. A tal fine, l’Agenzia pone in essere ulteriori controlli periodici – per il mantenimento dello status di soggetto passivo Iva – disciplinati dal provv. n. 110418/2017.

Per quanto concerne il provvedimento di esclusione dal VIES, il soggetto escluso può presentare un’istanza di nuova inclusione ed eventualmente essere reinserito nella banca dati se sono state rimosse le irregolarità che ne avevano determinato l’esclusione.

Limite alle compensazioni

In caso di provvedimento di chiusura d’ufficio della partita Iva, è fatto divieto di effettuare compensazioni. Il limite riguarda la compensazione “orizzontale” (art. 17 del D.Lgs. n. 241/97) di crediti di qualsiasi natura e gli altri tributi o contributi per i quali è ammesso l’utilizzo mediante F24.

È, inoltre, espressamente esclusa la compensazione anche per i crediti che non siano maturati con riferimento all’attività esercitata con la partita Iva oggetto del provvedimento di cessazione della partita Iva.

Ai sensi dell’art. 2 del D.L. n. 124/2019, l’esclusione dalla possibilità di compensare i crediti tributari e contributivi ha effetti a partire dalla data di notifica del provvedimento di cessazione e rimane in vigore “fino a quando la partita IVA risulti cessata”. Implicitamente, sarebbe consentita la compensazione del credito in caso di successiva “riapertura” della posizione Iva.

Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti in violazione della norma appena menzionata, il relativo modello F24 è scartato. Lo scarto è comunicato tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate al soggetto che ha trasmesso il modello, mediante apposita ricevuta. Lo scarto del modello F24 per effetto di questa disciplina potrebbe essere soggetto alla sanzione di 1.000 euro di cui all’art. 15 co. 2-ter del D.Lgs. n. 471/97.

Adempimenti fiscali dopo la chiusura

Chiudere la partita IVA non ti libera immediatamente da tutti gli obblighi fiscali. Devi presentare l’ultima dichiarazione dei redditi nell’anno successivo alla cessazione. Se chiudi nel 2026, presenti il modello Redditi Persone Fisiche 2027 per dichiarare i redditi prodotti fino alla data di cessazione. Questa dichiarazione include tutti i compensi o ricavi realizzati nel periodo di attività dell’anno di chiusura.

La liquidazione IVA finale rappresenta un altro adempimento obbligatorio per chi opera in regime ordinario. Compili l’ultima liquidazione periodica riferita al trimestre o al mese di cessazione. Calcoli l’IVA a debito o a credito fino alla data di chiusura. Se risulti a credito, puoi richiedere il rimborso seguendo le procedure ordinarie. L’IVA a debito va versata con F24 utilizzando i codici tributo standard, indicando la competenza del periodo finale.

I contribuenti in regime forfettario hanno obblighi semplificati. Non effettui liquidazioni IVA periodiche e non scarichi l’IVA sugli acquisti. Devi solo presentare la dichiarazione dei redditi indicando i compensi incassati fino alla cessazione. Applichi il coefficiente di redditività alla base imponibile e versi l’imposta sostitutiva del 5% o 15% secondo le tue condizioni. Non hai adempimenti IVA specifici da completare dopo la chiusura.

Compensi incassati dopo la chiusura

Può capitare di incassare compensi dopo aver già chiuso la partita IVA. Questa situazione crea dubbi sulla corretta gestione fiscale di questi importi. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che devi riaprire la partita IVA se incassi crediti per prestazioni professionali successive alla chiusura. Riattivi la posizione fiscale, emetti le fatture necessarie e dichiari i compensi come redditi di lavoro autonomo.

I compensi relativi a prestazioni concluse prima della chiusura ma incassati dopo seguono regole diverse. Se operavi in regime di cassa, come nel forfettario, questi importi avrebbero dovuto essere fatturati prima della chiusura. Incassandoli dopo, perdi i requisiti di abitualità dell’attività professionale. L’Agenzia ritiene che vadano dichiarati come redditi diversi nel quadro RL della dichiarazione, non come redditi di lavoro autonomo. Non serve riaprire la partita IVA per questi casi isolati.

Valuta attentamente prima di chiudere se hai crediti significativi ancora da incassare. La gestione dei compensi post-chiusura complica la tua posizione fiscale e può generare contenziosi interpretativi. Aspetta di incassare tutti i crediti pendenti prima di comunicare la cessazione. Se i tempi si allungano eccessivamente, considera la possibilità di mantenere aperta la partita IVA fino al completamento di tutte le operazioni, anche se non produrrai nuovo fatturato attivo.

Gestione dei beni strumentali nella chiusura

Alla cessazione di un’attività aziendale o professionale, in particolare per commercianti e artigiani, emerge il problema di come gestire le merci e i beni strumentali acquistati, che restano di proprietà dell’impresa.

Nel momento in cui un’impresa chiude, tutti i beni devono essere eliminati dalla contabilità aziendale attraverso un processo di liquidazione. I beni in questione possono includere merci, attrezzature varie, beni strumentali come arredi, PC, veicoli, impianti, ecc. In generale, le vie percorribili sono tre:

  1. Vendita dei beni tramite fatturazione all’acquirente;
  2. Autoconsumo personale mediante emissione di autofattura;
  3. Distruzione e smaltimento dei beni seguendo le procedure adeguate.

Per quanto riguarda la vendita a terzi dei beni, non vi sono particolari osservazioni. Si applicano le ordinarie regole di fatturazione, sia ai fini IVA che per le imposte sui redditi. Per quanto riguarda, invece, la distruzione e lo smaltimento dei beni, deve essere seguita un’apposita procedura descritta in questo articolo: Dismissione dei beni aziendali obsoleti: procedura.

Di seguito, invece, andiamo ad approfondire la procedura legata all’autoconsumo personale tramite emissione di autofattura.

Autofattura per autoconsumo nel regime IVA ordinario

Nel contesto della chiusura di un’attività, l’autofattura è necessaria per il trasferimento dei beni aziendali alla sfera privata del titolare. Si tratta di emettere una normale fattura di vendita a sé stessi, con una descrizione chiara dei beni ceduti. Ad esempio, nella descrizione si potrà indicare “cessione beni strumentali“, seguita dall’elenco dettagliato dei beni trasferiti, specificando quantità e valore.

Per quanto riguarda il valore, in assenza di una vendita effettiva e di un reale acquirente, il prezzo indicato nell’autofattura deve corrispondere al valore nominale dei beni al momento della cessione. Questo valore deve essere determinato accuratamente, e il commercialista è la figura più indicata per individuare come valutare correttamente i beni strumentali durante la fase di chiusura.

Ai sensi dell’art. 5 del DPR n. 633/72, nel caso di commercianti che trasferiscono merce dalla sfera aziendale a quella personale (per esempio merce invenduta), è necessario emettere un’autofattura con applicazione dell’IVA. Questa regola si applica indipendentemente dal fatto che l’IVA sia stata detratta al momento dell’acquisto.

L’autofatturazione è necessaria proprio perché al momento dell’acquisto l’IVA è stata detratta. Di conseguenza, quando i beni escono dalla sfera imprenditoriale, è necessario includere l’IVA nell’autofattura per garantire che l’imposta sia effettivamente assolta.

Autofattura per autoconsumo nel regime forfettario

La situazione è leggermente diversa per i contribuenti in regime forfettario. Come sappiamo, i contribuenti forfettari non applicano l’IVA e non possono portare in detrazione l’IVA sugli acquisti. Pertanto, al momento della chiusura dell’attività, l’autofattura per il trasferimento dei beni alla sfera privata non comporta l’applicazione dell’IVA. L’autofattura è fuori campo IVA, dato che non è mai stata detratta l’imposta al momento dell’acquisto.

Inoltre, questa autofattura non ha nessun impatto dal punto di vista reddituale per il contribuente forfettario. Infatti, per i contribuenti in regime forfettario rilevano solo i ricavi o compensi effettivamente incassati, mentre le plusvalenze o minusvalenze derivanti dall’autoconsumo di beni strumentali non hanno alcuna rilevanza ai fini delle imposte dirette.

Riapertura partita IVA: nuove regole 2025

Riaprire la partita IVA dopo una chiusura recente è diventato più difficile. La Legge di Bilancio 2023 ha introdotto controlli rafforzati per contrastare le partite IVA “apri e chiudi”. Se riapri entro 12 mesi dalla chiusura precedente, l’Agenzia delle Entrate effettua verifiche stringenti sulla tua affidabilità fiscale. Analizza il tuo profilo soggettivo, la solidità patrimoniale, le competenze professionali e la coerenza dell’attività dichiarata.

Il fisco può richiederti una fideiussione bancaria o assicurativa per riaprire la partita IVA. L’importo minimo ammonta a € 50.000 con durata triennale. Questa garanzia serve a tutelare l’erario da possibili frodi o evasioni. Se nella precedente gestione hai commesso violazioni fiscali superiori a € 50.000, l’importo della fideiussione aumenta proporzionalmente. La richiesta di garanzia non è automatica: dipende dall’esito dell’analisi del rischio condotta dall’ufficio.

L’Agenzia può convocarti prima di riaprire la partita IVA. Durante questo colloquio devi dimostrare l’effettiva volontà e capacità di esercitare l’attività dichiarata. Porti documenti che provano la tua preparazione professionale, i locali dove svolgerai l’attività, eventuali contratti preliminari con clienti o fornitori. Gli uffici valutano caso per caso decidendo se autorizzare la riapertura immediata, richiedere garanzie o negare l’attribuzione del numero.

Consulenza fiscale online

La chiusura della partita IVA richiede coordinamento tra più enti e attenzione ai dettagli procedurali. Ogni situazione presenta specificità che possono generare complicazioni se non gestite correttamente. Un errore nella data di cessazione, la dimenticanza di un ente o la mancata presentazione della dichiarazione finale possono costarti sanzioni e accertamenti.

Se devi chiudere la tua partita IVA o hai scoperto di averne una ancora aperta da anni, contattaci per una consulenza personalizzata. Analizziamo insieme la tua situazione specifica e definiamo la strategia migliore per regolarizzare tutto senza sorprese future.

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    Elisa Migliorini
    Elisa Migliorinihttps://www.linkedin.com/in/elisa-migliorini-0024a4171/
    Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Firenze. Approfondisce i temi legati all'IVA ed alla normativa fiscale domestica oltre ad approfondire aspetti legati al diritto societario.
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