L’invio automatico di dati CRS ha rivoluzionato la difesa fiscale: con la riforma sull’onere della prova, impugnare l’accertamento su redditi esteri richiede nuove strategie processuali.
L’avvento del Common Reporting Standard ha trasformato radicalmente il controllo fiscale sui redditi esteri. Ogni anno l’Agenzia delle Entrate riceve milioni di segnalazioni automatiche da banche e intermediari esteri, dati che diventano la base per accertamenti sui contribuenti residenti. Se hai ricevuto un avviso di accertamento per redditi esteri non dichiarati, la situazione non è necessariamente compromessa. La riforma del processo tributario, con l’introduzione dell’obbligo di contraddittorio preventivo e la modifica dell’art. 7, comma 5-bis del D.Lgs. n. 546/1992, ha ribaltato l’onere della prova a favore del contribuente. In questo articolo analizzeremo come costruire una difesa efficace, quali vizi formali e sostanziali contestare, e quando valutare un’adesione rispetto al ricorso tributario.
Indice degli argomenti
- Cos’è l’accertamento basato su CRS e quando arriva
- Contraddittorio preventivo e art. 7 comma 5-bis
- Verifiche preliminari prima dell’impugnazione
- Strategie difensive: come contestare l’accertamento
- Strategia operativa: quando proporre adesione vs ricorso
- Caso pratico: accertamento su conto in Paese black list
- Consulenza online fiscalità internazionale
Cos’è l’accertamento basato su CRS e quando arriva
L’accertamento sui redditi esteri nasce dall’elaborazione dei dati trasmessi attraverso il Common Reporting Standard (CRS), il sistema globale di scambio automatico di informazioni finanziarie tra oltre 100 Paesi. Le banche e gli intermediari esteri comunicano ogni anno all’Agenzia delle Entrate italiana i saldi, i movimenti e i rendimenti dei conti detenuti da soggetti fiscalmente residenti in Italia. Questi dati grezzi, tuttavia, non dimostrano automaticamente l’esistenza di un reddito imponibile non dichiarato.
Accertamento da CRS: procedimento mediante il quale l’Agenzia delle Entrate, dopo aver ricevuto i dati finanziari esteri tramite scambio automatico, contesta al contribuente la presunta omessa dichiarazione di redditi prodotti all’estero. Il presupposto è la residenza fiscale italiana del contribuente nel periodo oggetto di accertamento, ai sensi dell’art. 2, comma 2 del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR).
Il Common Reporting Standard: come funziona lo scambio automatico
Il CRS, recepito in Italia con la L. n. 95/2015 e il D.M. 28 dicembre 2015, obbliga gli istituti finanziari a identificare i titolari di conti non residenti e a trasmettere annualmente alle autorità fiscali locali informazioni dettagliate. Queste includono dati anagrafici del titolare, numero di identificazione fiscale, saldo del conto al 31 dicembre, interessi maturati, dividendi percepiti e plusvalenze realizzate. Le autorità fiscali estere inviano poi queste informazioni all’Agenzia delle Entrate italiana attraverso un canale telematico sicuro gestito dall’OCSE.
L’Italia ha partecipato fin dal 2017 al primo scambio automatico come early adopter. Questo significa che dal 2017 l’Agenzia delle Entrate riceve annualmente milioni di segnalazioni relative ai conti esteri detenuti da residenti fiscali italiani. Il dato critico è che lo scambio riguarda informazioni aggregate annuali, non il dettaglio di ogni singola transazione. Per approfondire il funzionamento tecnico dello scambio, consulta la guida completa al Common Reporting Standard.
Lettere di compliance vs avviso di accertamento: le differenze
L’Agenzia delle Entrate può attivarsi in due modalità diverse quando riceve segnalazioni CRS anomale. La lettera di compliance, disciplinata dall’art. 1, comma 634 della L. n. 190/2014, è una comunicazione informale che invita il contribuente a regolarizzare spontaneamente la propria posizione. Non ha valore di atto impositivo e lascia al contribuente la facoltà di fornire chiarimenti o presentare una dichiarazione integrativa. L’avviso di accertamento, invece, è un atto formale impugnabile davanti alle Corti di giustizia tributaria che determina la pretesa impositiva e applica sanzioni.
La distinzione è fondamentale perché la lettera di compliance consente ancora un dialogo informale, mentre l’avviso di accertamento apre la fase contenziosa. Tuttavia, dal 30 aprile 2024, anche gli avvisi di accertamento devono essere preceduti da un contraddittorio obbligatorio, modificando sostanzialmente l’approccio del Fisco nei controlli sui redditi esteri non dichiarati.
Contraddittorio preventivo e art. 7 comma 5-bis
La riforma del processo tributario ha introdotto due innovazioni decisive per la difesa del contribuente: l’obbligo di contraddittorio preventivo e la modifica dell’onere della prova processuale. Queste modifiche si applicano agli atti emessi dal 30 aprile 2024 e rappresentano un cambio di paradigma nel rapporto tra Fisco e contribuente.
Contraddittorio preventivo obbligatorio: ai sensi dell’art. 6-bis della L. n. 212/2000, introdotto dal D.Lgs. n. 219/2023, tutti gli atti autonomamente impugnabili devono essere preceduti, a pena di annullabilità , dall’invio al contribuente di uno schema di atto impositivo. Il contribuente ha 60 giorni per presentare osservazioni o richiede un incontro. L’omissione del contraddittorio comporta l’annullabilità dell’atto se il contribuente dimostra che avrebbe potuto fornire elementi per una diversa conclusione del procedimento.
Obbligo di contraddittorio prima dell’accertamento
Il nuovo art. 6-bis dello Statuto del contribuente impone all’Agenzia delle Entrate di comunicare al contribuente lo schema dell’avviso di accertamento prima della sua emissione definitiva. Il contribuente ha 60 giorni per presentare controdeduzioni scritte o richiedere un contraddittorio orale. L’Amministrazione deve valutare le osservazioni ricevute e motivare adeguatamente le ragioni per cui eventualmente non le accoglie. Questa procedura si applica anche agli accertamenti basati su dati CRS, salvo eccezioni tassative previste per gli atti automatizzati.
Il D.L. n. 39/2024, convertito nella L. n. 67/2024, ha chiarito che il contraddittorio preventivo non si applica agli atti emessi prima del 30 aprile 2024. Per gli accertamenti successivi a tale data, l’omissione del contraddittorio costituisce vizio dell’atto impugnabile con il ricorso tributario. Il contribuente deve però dimostrare che la partecipazione al contraddittorio avrebbe potuto condurre a una diversa conclusione, secondo la cosiddetta “prova di resistenza” elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Onere della prova: cosa cambia per il contribuente
L’art. 7, comma 5-bis del D.Lgs. n. 546/1992, introdotto dalla L. n. 130/2022, stabilisce che “l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato“. Il giudice annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca, è contraddittoria o insufficiente a dimostrare in modo circostanziato e puntuale le ragioni oggettive della pretesa tributaria. Questa norma ha portata innovativa rispetto al tradizionale riparto dell’onere probatorio.
Come evidenziato dalla Corte di giustizia tributaria di I grado di Siracusa nella sentenza n. 3856 del 23 novembre 2022, la novella introduce una regola propria nel diritto tributario che si distacca dall’art. 2697 del codice civile. Il comma 5-bis impone all’Agenzia delle Entrate di provare in modo circostanziato i fatti costitutivi della pretesa tributaria, senza limitarsi a formulare presunzioni semplici basate sui soli dati CRS. Se il Fisco riceve una segnalazione di un saldo di 100.000 euro su un conto estero, non può presumere automaticamente che l’intera somma sia reddito evaso nell’anno. Deve dimostrare che quegli importi sono flussi reddituali imponibili e non capitale accumulato negli anni precedenti o somme già tassate.
Per maggiori dettagli sul meccanismo del credito per imposte estere, vedi la guida dedicata.
Verifiche preliminari prima dell’impugnazione
Prima di decidere se impugnare l’avviso di accertamento, è necessario effettuare controlli formali rigorosi sull’atto ricevuto. Un vizio procedurale o la violazione dei termini di decadenza può determinare l’annullamento dell’accertamento indipendentemente dal merito della pretesa fiscale.
Controllo termini di decadenza e prescrizione
L’Agenzia delle Entrate deve notificare l’avviso di accertamento entro termini precisi stabiliti dall’art. 43 del DPR n. 600/1973. Per i redditi delle persone fisiche, il termine ordinario è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Se la dichiarazione è omessa, il termine si estende al 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata. Per attività detenute in Paesi in black list e non dichiarate, ai sensi dell’art. 12, comma 2-ter del D.L. n. 78/2009, i termini sono raddoppiati.
| Situazione | Termine ordinario | Termine per attività estere non dichiarate in black list |
|---|---|---|
| Dichiarazione presentata | 31/12 del 5° anno | 31/12 del 10° anno |
| Dichiarazione omessa | 31/12 del 7° anno | 31/12 del 14° anno |
| Crediti d’imposta inesistenti | 31/12 dell’8° anno | 31/12 del 16° anno |
La verifica dei termini richiede attenzione perché la giurisprudenza ha chiarito che la notifica oltre i termini di decadenza comporta la nullità insanabile dell’atto. Se l’accertamento riguarda redditi percepiti in Svizzera (Paese white list dal 2017), si applicano i termini ordinari. Se invece riguarda redditi prodotti in un paradiso fiscale, i termini sono raddoppiati. La distinzione è cruciale per valutare la tempestività dell’azione del Fisco.
Per approfondire:
- Termini di accertamento per imposte sui redditi e IVA.
- Termini di accertamento fiscale in scadenza al 31 dicembre.
- Quadro RW: scadenza sanzioni accertamento.
Analisi della motivazione dell’atto
L’avviso di accertamento deve contenere una motivazione adeguata che indichi chiaramente come l’Agenzia delle Entrate è giunta alla determinazione del reddito contestato. L’art. 7 della L. n. 212/2000 impone che l’atto indichi i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Una semplice citazione dei dati ricevuti tramite CRS, senza analisi dei movimenti finanziari e senza distinzione tra capitale e reddito, costituisce vizio di motivazione che determina l’annullabilità dell’atto.
La motivazione deve spiegare perché l’Amministrazione ritiene che il saldo del conto estero o i movimenti registrati rappresentino redditi imponibili non dichiarati. Se l’accertamento si limita a riportare che nel 2020 il contribuente aveva un conto in Svizzera con saldo di 150.000 euro e ne deduce un reddito non dichiarato di pari importo, la motivazione è insufficiente. Manca infatti l’analisi della provenienza di quel capitale, che potrebbe derivare da risparmi accumulati in anni precedenti, da eredità , da dismissioni patrimoniali o da redditi già tassati all’estero.
Verifica del contraddittorio preventivo
Per gli atti emessi dal 30 aprile 2024, verifica se l’Agenzia delle Entrate ha rispettato l’obbligo di contraddittorio preventivo ex art. 6-bis della L. n. 212/2000. L’omissione dello schema di atto o la concessione di un termine inferiore ai 60 giorni per le controdeduzioni costituisce vizio procedurale che determina l’annullabilità dell’accertamento. Tuttavia, per far valere questo vizio, il contribuente deve indicare nel ricorso quali elementi avrebbe potuto fornire in sede di contraddittorio e come questi avrebbero potuto condurre a una diversa conclusione del procedimento.
Attenzione: l’art. 6-bis, comma 2 della L. n. 212/2000 esclude l’obbligo di contraddittorio per gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale. Il D.M. attuativo ha chiarito che gli accertamenti basati su segnalazioni della Guardia di Finanza o su elaborazioni complesse dei dati CRS sono soggetti a contraddittorio. Solo gli atti derivanti da semplice incrocio automatico di banche dati ne sono esclusi.
Strategie difensive: come contestare l’accertamento
La difesa contro un accertamento sui redditi esteri si articola su più livelli: contestazione della natura reddituale delle somme, prova della tassazione già avvenuta all’estero, verifica della residenza fiscale e contestazione dell’onere della prova.
La stratificazione del capitale: distinguere patrimonio e reddito
Molti accertamenti nascono dall’errore metodologico di confondere il patrimonio con il reddito. Il saldo di un conto corrente estero al 31 dicembre rappresenta una giacenza di capitale, non necessariamente un flusso reddituale dell’anno. Per contestare efficacemente la pretesa del Fisco, il contribuente deve ricostruire la formazione storica del capitale presente sul conto, dimostrando che si tratta di risparmi accumulati in anni precedenti.
La ricostruzione storica richiede la produzione di estratti conto relativi agli anni precedenti che dimostrino l’origine del capitale. Se il conto era già esistente cinque anni prima con un saldo significativo, questo prova che la giacenza attuale deriva da capitale preesistente. Occorre poi distinguere i conferimenti iniziali dai rendimenti maturati negli anni. Gli interessi bancari e i dividendi sono redditi finanziari esteri che devono essere dichiarati annualmente nel quadro RM del modello Redditi, ma vanno tassati anno per anno, non in blocco nell’ultimo periodo accertato.
Tutto questo, a maggior ragione, in caso di attività non dichiarate in paesi black list, dove la presunzione pro fisco è proprio quella di considerare il patrimonio non dichiarato come reddito evaso.
Prova della tassazione all’estero e credito d’imposta ex art. 165 TUIR
Se il reddito è stato effettivamente prodotto all’estero, il contribuente ha diritto al credito d’imposta per le imposte pagate all’estero ai sensi dell’art. 165 del TUIR. Questo meccanismo evita la doppia imposizione internazionale, consentendo di scomputa dalle imposte italiane dovute le imposte già versate nello Stato estero della fonte del reddito. Il credito spetta anche in caso di omessa dichiarazione in Italia, purché il contribuente dimostri l’avvenuto pagamento definitivo delle imposte estere.
La giurisprudenza più recente, pur non essendo ancora consolidata, sta aprendo alla possibilità di riconoscere il credito d’imposta anche in sede di accertamento. La Corte di Cassazione ha riconosciuto in alcune pronunce che negare completamente il credito d’imposta in presenza di pagamento documentato delle imposte estere violerebbe il principio di capacità contributiva ex art. 53 della Costituzione, determinando una doppia tassazione del medesimo reddito. Per ottenere il credito occorre produrre certificazioni rilasciate dall’autorità fiscale estera che attestino il pagamento definitivo delle imposte, oppure copia della dichiarazione dei redditi presentata all’estero con evidenza dei versamenti effettuati.
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Contestazione della residenza fiscale e tie-breaker rules
Se l’accertamento muove dal presupposto che il contribuente sia residente fiscalmente in Italia, ma questi vive stabilmente all’estero, la difesa deve basarsi sulla contestazione della residenza fiscale. L’art. 2, comma 2 del TUIR stabilisce che sono considerati residenti in Italia i soggetti che per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni) sono iscritti nell’anagrafe della popolazione residente, hanno il domicilio nel territorio dello Stato o hanno la residenza nel territorio dello Stato.
La prova della residenza fiscale all’estero richiede la produzione di documenti che dimostrino il trasferimento effettivo. L’iscrizione all’AIRE è un elemento importante ma non decisivo. Occorre dimostrare che il centro degli interessi vitali ed economici si trova stabilmente all’estero. I documenti probatori includono contratto di affitto o atto di proprietà dell’immobile estero, utenze intestate, estratti conto bancari con addebiti ordinari all’estero, iscrizione dei figli a scuola estera, certificato di lavoro rilasciato dal datore di lavoro estero.
Se esistono dubbi sulla residenza fiscale e il contribuente ha legami sia con l’Italia che con lo Stato estero, occorre applicare le tie-breaker rules previste dall’art. 4, paragrafo 2 delle Convenzioni contro le doppie imposizioni basate sul modello OCSE. Queste regole stabiliscono una gerarchia di criteri per determinare l’unico Stato di residenza: abitazione permanente, centro degli interessi vitali, soggiorno abituale, nazionalità . Per maggiori dettagli sulla tassazione dei lavoratori italiani all’estero, consulta la guida specifica.
Errore del Fisco sull’onere della prova
Il quarto pilastro della difesa consiste nel contestare che l’Agenzia delle Entrate non abbia assolto l’onere probatorio rafforzato imposto dall’art. 7, comma 5-bis del D.Lgs. n. 546/1992. Nel ricorso tributario occorre evidenziare specificamente che il Fisco si è limitato a trasmettere i dati grezzi ricevuti tramite CRS senza fornire alcuna prova circostanziata della natura reddituale delle somme contestate. Secondo l’orientamento innovativo della CGT di Siracusa (sentenza n. 3856/2022), l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa grava interamente sull’Amministrazione, che non può limitarsi a formulare presunzioni semplici.
La strategia processuale consiste nel contestare punto per punto le carenze probatorie dell’accertamento. Se il Fisco afferma che il contribuente ha percepito redditi esteri non dichiarati, deve provare che quelle somme costituiscono redditi imponibili dell’anno e non capitale preesistente. Se sostiene che non sono state pagate imposte all’estero, deve dimostrare l’assenza di tassazione alla fonte. Mentre, se contesta la residenza fiscale estera, deve provare la sussistenza dei requisiti di residenza italiana. Il semplice rinvio ai dati CRS non è sufficiente a integrare la prova richiesta dalla riforma 2024.
Nel ricorso è necessario un motivo dedicato che contesti specificamente l’insufficienza probatoria dell’accertamento. Occorre evidenziare che il Fisco si è limitato a riportare dati CRS grezzi senza fornire alcuna prova circostanziata della natura reddituale delle somme, violando l’obbligo di prova analitica imposto dalla L. n. 130/2022.
Strategia operativa: quando proporre adesione vs ricorso
L’ultima questione critica riguarda la scelta strategica tra l’accertamento con adesione e il ricorso tributario. Questa valutazione deve essere effettuata caso per caso in funzione della solidità dell’accertamento, della documentazione disponibile e della posizione del contribuente.
Conviene l’adesione quando:
- L’accertamento ha una base fattuale corretta: il contribuente ha effettivamente omesso di dichiarare redditi esteri di cui era a conoscenza
- La documentazione probatoria del contribuente è carente: mancano certificazioni estere, tax reporting, o prove documentali sulla provenienza del capitale
- Il contribuente vuole definire rapidamente evitando un contenzioso lungo
- Le sanzioni ridotte (1/6 se aderisce entro 30 giorni dallo schema di atto, 1/3 se aderisce entro 15 giorni dall’avviso) comportano un risparmio significativo rispetto alle sanzioni ordinarie
Conviene il ricorso quando:
- L’accertamento presenta vizi formali gravi: omesso contraddittorio preventivo (per atti post 30 aprile 2024), violazione termini di decadenza, motivazione generica
- L’accertamento è basato su una qualificazione errata dei dati CRS: confonde patrimonio con reddito, non riconosce crediti d’imposta spettanti, contesta residenza fiscale nonostante iscrizione AIRE
- Il contribuente dispone di documentazione probatoria solida: tax reporting dettagliato, certificazioni fiscali estere, ricostruzione storica dei flussi
- L’importo contestato è significativo e giustifica l’investimento in un contenzioso (sia economico che temporale)
Tabella di confronto adesione vs ricorso
| Fattore | Favorevole ad adesione | Favorevole a ricorso |
|---|---|---|
| Vizi formali atto | Assenti | Presenti (contraddittorio, motivazione) |
| Fondatezza pretesa | Sostanzialmente corretta | Manifestamente errata |
| Documentazione contribuente | Bisognoso/sistemato | Completo e probatorio |
| Importo contestato | Contenuto (<50.000€) | Rilevante (>100.000€) |
| Urgenza definizione | Alta (esigenze personali) | Bassa (può attendere anni) |
| Rapporti con Fisco | Vuole evitare conflitto | Già in contenzioso su altri temi |
La strategia ottimale spesso prevede un approccio ibrido: nei 60 giorni dallo schema di atto (contraddittorio preventivo) si presentano osservazioni tecniche dettagliate che evidenziano i vizi dell’accertamento. Se l’Ufficio non accoglie le osservazioni ed emette comunque l’avviso, si presenta istanza di accertamento con adesione entro 15 giorni. In quella sede si negozia una riduzione della pretesa, facendo valere gli elementi già evidenziati nelle osservazioni. Solo se anche l’adesione fallisce o non produce condizioni accettabili, si procede con il ricorso tributario.
Caso pratico: accertamento su conto in Paese black list
Situazione di fatto:
Mario Rossi, residente fiscalmente in Italia, ha un conto corrente presso una banca negli Emirati Arabi Uniti (Paese black list) aperto nel 2015. Nel 2020 il conto presenta un saldo al 31 dicembre di 150.000 euro. L’Agenzia delle Entrate riceve la segnalazione tramite scambio di informazioni e nel 2024 notifica a Mario un avviso di accertamento per l’anno 2020, contestando l’omessa dichiarazione di redditi esteri per 150.000 euro.
Dati del caso:
- Paese: Emirati Arabi Uniti (black list)
- Saldo conto al 31/12/2020: 150.000 euro
- Saldo conto al 31/12/2015: 120.000 euro
- Interessi maturati nel 2020: 0 euro (conto corrente non fruttifero)
- Dividendi percepiti nel 2020: 0 euro
- Conferimento iniziale 2015: bonifico da conto italiano di 120.000 euro (vendita immobile in Italia)
- Bonifici aggiuntivi 2016-2019: 30.000 euro complessivi da conto italiano
Il problema della presunzione legale black list
L’art. 12, comma 2-ter del D.L. n. 78/2009 prevede che per gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata (black list), i relativi redditi si presumono conseguiti a partire dal momento di apertura del rapporto o della costituzione dell’investimento. Questa presunzione comporta che il saldo del conto è presunto costituire interamente reddito di fonte estera fino a prova contraria fornita dal contribuente.
Questo significa che, a differenza di un conto in Paese white list dove l’onere della prova grava sul Fisco (art. 7, comma 5-bis D.Lgs. 546/92), per i Paesi black list esiste una presunzione legale invertita: l’intero saldo di 150.000 euro è presunto essere reddito non dichiarato, salvo che il contribuente dimostri documentalmente che si tratta di capitale già formato e non di redditi occulti.
Strategia difensiva contro la presunzione
La difesa deve concentrarsi su due livelli: (1) superare la presunzione legale black list con prove documentali rigorose; (2) contestare comunque l’onere della prova residuo del Fisco in base all’art. 7, comma 5-bis.
1. Superamento della presunzione legale:
Per vincere la presunzione, Mario deve produrre documentazione che dimostri in modo inequivocabile l’origine del capitale:
Conferimento iniziale 2015 (120.000 euro):
- Atto notarile di vendita immobile in Italia del 15/03/2015 per 120.000 euro
- Estratto conto italiano che mostra accredito dal notaio il 20/03/2015
- Bonifico dal conto italiano al conto Emirati del 25/03/2015 con CRO e causale “conferimento capitale proprio”
- Quadro RW della dichiarazione 2015 che indica l’apertura del conto estero
Bonifici aggiuntivi 2016-2019 (30.000 euro):
- Estratti conto italiano 2016-2019 con evidenza di 6 bonifici da 5.000 euro ciascuno
- Copie dei bonifici con CRO, date e causali “integrazione capitale”
- Quadri RW delle dichiarazioni 2016-2019 che mostrano l’incremento progressivo del saldo
2. Calcolo del reddito effettivo 2020:
Anche superata la presunzione sull’origine del capitale, occorre dimostrare che nel 2020 non si sono prodotti redditi ulteriori:
- Saldo al 31/12/2019: 150.000 euro (dato da 120.000 + 30.000)
- Saldo al 31/12/2020: 150.000 euro
- Incremento patrimoniale 2020: 0 euro
- Redditi di capitale maturati: 0 euro (conto corrente non fruttifero)
- Reddito imponibile 2020: 0 euro
3. Contestazione art. 7 comma 5-bis:
Nonostante la presunzione black list, Mario può comunque contestare che l’Agenzia delle Entrate non ha assolto l’onere probatorio rafforzato. Anche in presenza di presunzione legale, l’Amministrazione deve:
- Verificare se il contribuente ha fornito elementi idonei a superare la presunzione
- Motivare adeguatamente perché ritiene insufficienti le prove documentali prodotte
- Dimostrare in modo circostanziato l’esistenza di redditi occulti nel 2020
Se l’accertamento si limita a dire “saldo 150.000 euro = reddito presunto 150.000 euro” senza analizzare i documenti prodotti dal contribuente che provano l’origine del capitale, c’è vizio di motivazione anche in presenza della presunzione black list.
Tabella documenti essenziali per superare la presunzione:
| Documento | Finalità | Effetto probatorio |
|---|---|---|
| Atto vendita immobile 2015 | Prova origine capitale iniziale | Dimostra che € 120.000 derivano da vendita tracciata in Italia |
| Estratti conto italiano 2015-2019 | Prova trasferimenti al conto estero | Dimostra che incrementi derivano da bonifici dal conto italiano |
| Copie bonifici con CRO | Prova tracciabilità movimenti | Dimostra che ogni euro è tracciabile e giustificato |
| Quadri RW 2015-2020 | Prova dichiarazione monitoraggio | Dimostra che conto era noto al Fisco (ostacola tesi occultamento) |
| Estratti conto Emirati 2015-2020 | Prova assenza redditi 2020 | Dimostra che nel 2020 non ci sono stati interessi, dividendi o plusvalenze |
Valutazioni operative
Il ricorso ha buone probabilità di accoglimento se la documentazione è completa e inattaccabile. Nonostante la presunzione black list favorisca il Fisco, la giurisprudenza riconosce che una prova documentale rigorosa la supera. Elementi favorevoli:
- Capitale tracciato: ogni euro presente sul conto deriva da operazioni documentate in Italia
- Monitoraggio dichiarato: i quadri RW dimostrano che il conto non era occulto
- Assenza incremento 2020: il saldo è rimasto invariato, quindi non ci sono redditi dell’anno da tassare
- Onere motivazionale: l’accertamento non ha motivato perché ritiene insufficienti le prove fornite
Attenzione: se Mario non avesse compilato i quadri RW degli anni precedenti, la situazione si complicherebbe perché si aggiungerebbero le sanzioni per violazione del monitoraggio fiscale (dal 3% al 15% dell’importo non dichiarato) che sono autonome rispetto alle imposte sui redditi.
L’errore più grave sarebbe non produrre alcuna documentazione, pensando che basti dire “i soldi vengono dalla vendita di un immobile“. Con la presunzione black list, le dichiarazioni verbali non superano la presunzione. Occorre la catena documentale completa: atto notarile → accredito conto italiano → bonifico a conto estero → estratti conto che mostrano l’evoluzione del saldo. Ogni anello mancante indebolisce la difesa.
Consulenza online fiscalità internazionale
La difesa da un accertamento su redditi esteri richiede competenze specialistiche in fiscalità internazionale, diritto tributario processuale e una conoscenza approfondita delle recenti riforme. Ogni caso presenta specificità che richiedono un’analisi su misura della documentazione, della normativa applicabile e delle strategie processuali più efficaci.
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