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Operazioni inesistenti soggette a Reverse Charge

Operazioni inesistenti soggette a Reverse Charge: con la sentenza n. 32552/2019, la Corte di Cassazione ha affermato che la previsione secondo cui l'applicazione del Reverse Charge alle operazioni inesistenti è soggetta alla sanzione proporzionale dal 5% al 10% dell'imponibile.

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Operazioni inesistenti soggette a Reverse Charge: con la sentenza n. 32552/2019, la Corte di Cassazione ha affermato che la previsione secondo cui l’applicazione del Reverse Charge alle operazioni inesistenti è soggetta alla sanzione proporzionale dal 5% al 10% dell’imponibile (con un minimo di 1.000 euro) e con neutralizzazione dell’imposta. Secondo il principio del “favor rei”, si estende anche alle violazioni commesse prima del 1° gennaio 2016.

L’Agenzia delle Entrate ha emesso negli anni 2004 e 2005, due avvisi di accertamento nei confronti di una società, contestando la contabilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, relative a cessione di rottami, emesse da varie società cartiere.

La pretesa dell’Agenzia delle Entrate, consisteva nel recupero dell’IVA detratta. La pretesa dell’Erario è stata poi confermata sia dai giudici di primo grado, sia da quelli in appello. Il contribuente sosteneva, invece, che in caso di fatture inesistenti relative a operazioni soggette a Reverse Charge, come nella fattispecie, l’assolvimento dell’imposta spetterebbe al cedente.

Il principio di cartolarità per le operazioni inesistenti

L’art. 203 della Direttiva 2006/112/CE, confermando la previsione dell’art. 21, lett. c), dell’abrogata VI Direttiva CEE, dispone che:

“l’Iva è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura”.

art. 203 della Direttiva 2006/112/CE

La finalità della Direttiva è di eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale, che si verifica nel caso in cui il destinatario del documento esercita la detrazione dell’imposta addebitata in fattura.

Essa è stata recepita nella legislazione nazionale per mezzo dell’art. 21, co. 7, DPR n. 633/1972.

Il principio di cartolarità per le operazioni inesistenti: l’orientamento della Giurisprudenza

L’art. 21, co. 7, DPR n. 633/1972 in vigore fino al 31 dicembre 2015, prevedeva che:

“se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicati in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.

art. 21, co. 7, D.P.R. n. 633/1972

L’orientamento maggioritario, che si era venuto a creare in giurisprudenza, riguardo alla norma sopracitata, riteneva che la ratio della norma fosse quello di ricondurre a coerenza il sistema impositivo, fondato sui principi della rivalsa e della detrazione.

Nel caso di operazioni “esistenti”, il presupposto impositivo è costituito dall’effettuazione di operazioni imponibili, in presenza, invece, di operazioni “inesistenti”, il presupposto impositivo non può che essere costituito dal contenuto della fattura.

Quest’ultima, per il solo fatto di essere emessa, costituisce il titolo rappresentativo del credito d’imposta (per il cessionario o il committente) e impone, il pagamento della corrispondente imposta da parte del cedente o prestatore.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, in assenza dell’art. 21, co. 7, DPR n. 633/1972, in caso di emissione di una fattura per un’operazione inesistente, il cedente o prestatore al quale fosse chiesto il pagamento dell’ imposta potrebbe contestare la sussistenza del debito d’imposta, stante la mancata esecuzione dell’operazione.

E’ per questo che la norma, incide sia sul soggetto che emette la fattura, che diventa debitore d’imposta, sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità, ma incide anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta in carenza del presupposto impositivo.

Limitazione del principio di cartolarità dell’IVA

Nel 2016, è stato riformulato l‘art. 21, co. 7, DPR n 633/1972, dall’art. 31, co. 1, D.Lgs. n. 158/2015, il quale prevede che:

“se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.

art. 21, co. 7, D.P.R. n 633/1972


Questa disposizione limita gli effetti del principio di cartolarità dell’Iva alla sfera del cedente o prestatore. La modifica è stata introdotta per chiarire che la relativa prescrizione non riguarda le ipotesi di operazioni soggette a Reverse Charge.

In pratica, quindi, si esclude la possibilità di pretendere nei confronti del destinatario della fattura il pagamento dell’IVA relativa a una operazione inesistente rientrante nel regime agevolativo del Reverse Charge.

Il regime sanzionatorio per le operazioni soggette a Reverse Charge

Il 1° gennaio 2016 è entrata in vigore la nuova disciplina sanzionatoria applicabile al Reverse Charge.

Il novellato co. 9-bis dell’art. 6 D.Lgs. 471/1997, non trova applicazione soltanto riguardo alle ipotesi di cui agli art. 17 e 74, co. 7 e 8, DPR n 633/1972, ma si estende alle altre forme di Reverse Charge contemplate dalla normativa e distingue, ai fini della sanzione irrogabile:

  • Il caso in cui il cedente o prestatore emette correttamente fattura senza applicazione dell’imposta e il cessionario o committente non pone in essere gli adempimenti connessi sul Reverse Charge;
  • Il caso in cui il cedente o prestatore non emette la fattura entro 4 mesi dall’operazione e il cessionario o committente non provvede a regolarizzare, entro 30 giorni, l’omissione.

Il co. 9-bis., invece, disciplina l’errata applicazione del Reverse Charge a operazioni esenti, non imponibili o non soggette a imposta. Stabilendo che:

“se il cessionario o committente applica l’inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell’imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l’imposta eventualmente non detratta ai sensi dell’articolo 26, comma 3, D.P.R. 633/1972, e dell’articolo 21, comma 2, D.Lgs. 546/1992”.

co. 9-bis dell’art. 6 D.Lgs. 471/1997


Prosegue disponendo che:

“la disposizione si applica anche nei casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso applicazione la sanzione amministrativa compresa tra il 5 e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro”.

co. 9-bis dell’art. 6 D.Lgs. 471/1997


La Relazione illustrativa al D.Lgs. 158/2015 ha chiarito che, la sanzione in esame è irrogata anche in caso di operazioni inesistenti soggette a Reverse Charge.

L’orientamento della giurisprudenza sulle operazioni inesistenti soggette Reverse Charge

Rispetto al quadro normativo in vigore fino al 31 dicembre 2015, l’art. 21, co. 7 del DPR n 633/1972 è stato interpretato in modo opinabile, in specie nelle ipotesi di emissione di fatture per operazioni inesistenti senza addebito dell’imposta.

In particolare, i giudici hanno respinto la tesi del contribuente in base alla quale il regime impositivo dell’operazione avente natura non imponibile non muta, passando da non imponibile a imponibile soltanto perché la cessione è simulata. Tale interpretazione è stata data nell’ambito delle cessioni all’esportazione che, benché inesistenti, siano state fatturate in regime di non imponibilità di cui all’art. 8, DPR n 633/1972.

Secondo la difesa erariale, infatti, l’art. 21, co. 7 del DPR n 633/1972, ha una portata generale e non prevede eccezioni. E’ incongrua l’indagine sul suo carattere sanzionatorio o sulla sua natura simulata, ragion per cui la diversa posizione, lungi dal trovare conforto in principi logici, è contraria alla disciplina Iva.

Inoltre, vi è anche, la possibilità di danno erariale con riferimento alle operazioni inesistenti diverse da quelle corrispondenti a operazioni imponibili, siccome:

  • Le operazioni inesistenti, apparentemente detassate, possono alterare, in danno del Fisco, il c.d. “pro-rata” di detrazione;
  • Le cessioni all’esportazione inesistenti possono essere utilizzate per acquisire i molteplici vantaggi accordati agli esportatori dalla normativa Iva;
  • Le operazioni inesistenti apparentemente esenti o non imponibili possono essere utilizzate per sottrarre al sistema dell’Iva i beni ceduti o i servizi prestati a soggetti che, per varie ragioni, non possono recuperare l’Iva “a monte”;
  • Le operazioni inesistenti possono essere utilizzate per evadere gli obblighi di versamento dell’imposta dovuta dal soggetto passivo.

Operazioni inesistenti non imponibili

La Corte di Cassazione ha chiarito la circostanza che le operazioni inesistenti determinino l’applicazione dell’IVA secondo l’art. 21, co. 7 del DPR n 633/1972, non comporta che la medesima disciplina si applichi alle operazioni che il Legislatore ha definito come detassate.

La diversa interpretazione, che la simulazione di un’operazione attribuirebbe a essa diversi caratteri mutandone la natura (da “esente” a “imponibile”), non trova conforto né in principi logici, né nelle finalità e nel contenuto della norma.

Adottando conclusioni diverse, si introdurrebbe una sanzione non prevista dal Legislatore. Invero, la generalità dell’art. 21, co. 7 del DPR n 633/1972 e la sua operatività senza eccezioni, non implica che la previsione regoli fattispecie che il Legislatore ha espressamente detassato (nella specie, l’art. 8, DPR n 633/1972).

Quindi, restano escluse dall’ambito applicativo della norma, le operazioni inesistenti detassate. Il Legislatore, nel sanzionare la fatturazione fittizia, stabilendo che l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato nella fattura, ha inteso far riferimento all’imposta astrattamente dovuta per l’operazione dichiarata in fattura.

Se per quella operazione non è dovuta l’imposta, per espressa esenzione è logico ritenere che non ricorre la possibilità di applicare l’art. 21, co. 7 del D.P.R. 633/1972 che, per disciplina operazioni non esistenti, ma astrattamente imponibili.

Infine, per quanto riguardo l’interpretazione che l’evento dannoso non costituisce un dato della figura impositiva prevista dall’art. 21, co. 7, DPR n 633/1972, per la Corte è sufficiente rilevare, per un verso, che l’esclusione delle operazioni detassate è risolutivo e assorbente; e che con il riferimento al danno si è inteso unicamente individuare il fine che ha mosso il Legislatore.

Operazioni inesistenti imponibili, soggette a Reverse Charge

Dall’orientamento giurisprudenziale si desume che, nel caso in cui l’operazione inesistente abbia natura imponibile, ma sia soggetta al meccanismo del Reverse Charge, è legittima la pretesa avanzata dall’ufficio, nei confronti del cessionario o committente, per il recupero della relativa imposta in base al principio di cartolarità dell’art. 21, co. 7, DPR n 633/1972.

Integrando la fattura ricevuta con l’addebito dell’imposta, la stessa diviene dovuta, ma al tempo stesso trova applicazione l’indetraibilità dell’imposta medesima in ragione dell’inesistenza dell’operazione.

La Suprema Corte, ha affrontato questo tema, nell’ambito degli acquisti intracomunitari. Il debitore dell’Iva è il cessionario dei beni, di cui all’art. 200 della Direttiva 2006/112/CE e l’obbligo di integrazione delle fatture d’acquisto serve ad assolvere il suo obbligo di eseguire il versamento dell’imposta quale reale debitore.

Pertanto, l’integrazione della fattura emessa dal cedente non residente, annotata nel registro delle fatture emesse da parte del cessionario nazionale, realizza il presupposto di cui all’art. 21, co. 7, DPR n 633/1972, che va individuato nel documento fiscale emesso, prescindendo dal rapporto economico sottostante.

Questo avviene qualora l’operazione risulti effettiva, non potendosi applicare tale procedura nel caso di operazione non esistente.

La variazione dell’imponile per operazioni inesistenti

A questo proposito, si può richiamare un’interpretazione della Corte di Cassazione in materia di variazione dell’imponibile e dell’imposta ex art. 26, DPR n 633/1972, ha affermato che la procedura in esame presuppone che l’operazione per la quale sia stata emessa fattura, da rettificare, sia una operazione reale e non inesistente.

Questo perché l’art. 21, co. 7, DPR n 633/1972, nel prevedere che, se viene emessa fattura per operazioni inesistenti:

“l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”

art. 21, co. 7, D.P.R. n 633/1972

Questa disposizione incide sia sul soggetto che emette la fattura e, dall’altro, incide anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta in totale carenza del suo presupposto, e cioè dell’acquisto o dell’importazione di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione.

Nel caso di operazioni inesistenti, il cessionario dell’operazione intracomunitaria è l’effettivo debitore d’imposta e l’Iva a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti resta dovuta in base al principio di cartolarità, mentre l’imposta a credito non è detraibile, stante la totale carenza del presupposto d’imposta.

Interpretazione della Corte di Cassazione a ricorrere dal 2016

Come anticipato, il riformulato art. 21, co. 7, DPR n 633/1972 limita gli effetti del principio di Cartolarità dell’Iva alla sfera del cedente o prestatore, con la conseguenza che al destinatario della fattura non può essere chiesto il pagamento dell’Iva relativa a una operazione inesistente rientrante nel Reverse Charge.

I giudici di legittimità con la sentenza n. 16679 del 2016, hanno affermato che:

“ciò tocca, però, unicamente la posizione del cedente verso il fisco e non quella del cessionario il quale per le operazioni inesistenti, anche se solo soggettivamente, ma pur sempre imponibili perde comunque il diritto di detrazione per effetto del combinato disposto dell’articolo 19, comma 1 e dell’articolo 26, comma 3, Decreto Iva”

sentenza n. 16679 del 2016

In base a questa disposizione:

“la frode opera, dunque, come limite generale al principio fondamentale di neutralità dell’Iva …, ossia al principio secondo cui la detrazione dell’imposta è accordata se i requisiti sostanziali dell’operazione sono comunque soddisfatti …, intendendosi per tali che gli «acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’Iva attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili» …. non può trovare applicazione il più generale principio secondo cui il diritto alla detrazione non può essere negato nei casi in cui l’operatore nazionale non ha applicato – o non ha applicato correttamente – la procedura dell’inversione contabile senza violazione dei requisiti sostanziali …”.

sentenza n. 16679 del 2016

Tale conclusione è stata successivamente ribadita dalla stessa Suprema Corte, escludendo la possibilità di invocare il principio di neutralità, atteso che quest’ultimo esige che la detrazione sia riconosciuta se gli obblighi sostanziali risultano soddisfatti.

I requisiti sostanziali del diritto di detrazione, dice la Corte, non possono considerarsi soddisfatti in presenza di fatture emesse per operazioni inesistenti soggettive.

Applicazione del principio del “favor rei” alle operazioni inesistenti soggette a Reverse Charge

L’orientamento restrittivo della Suprema Corte è stato rovesciato dalla sentenza n. 32552/2019 in commento, riconoscendo l’applicazione della previsione dell’art. 6, co. 9-bis.3, D.Lgs. n 471/1997, anche in riferimento alle operazioni inesistenti imponibili assoggettate a Reverse Charge.

Allo stesso tempo, la pronuncia in esame ha anche considerato applicabile il principio del “favor rei” nel caso di specie, in quanto dice la Suprema Corte:

“poiché è pacifico tra le parti che la società contribuente abbia regolarmente effettuato l’inversione contabile a suo carico e reso neutrali le operazioni ritenute soggettivamente inesistenti dalla CTR e poiché rimane ancora in contestazione l’«an» della violazione tributaria e sussiste ancora controversia sulla debenza delle sanzioni, non v’è dubbio che al caso all’esame s’impone l’applicazione del più favorevole regime sanzionatorio sopravvenuto, applicabile retroattivamente, anche d’ufficio, trattandosi di norme sanzionatorie sopravvenute più favorevoli”

sentenza n. 32552/2019

Operazioni inesistenti soggette a Reverse Charge: conclusioni

Ricapitolando, dal 1° gennaio 2016, non può più essere richiesto, al destinatario della fattura di un’operazione inesistente soggetta a Reverse Charge, il pagamento dell’Iva a debito, mentre l’applicazione del Reverse Charge alle operazioni inesistenti è soggetta alla sanzione proporzionale dal 5% al 10% dell’imponibile (con un minimo di 1.000 euro).

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 16679/2016 e nell’ordinanza n. 2862/2019, ha affermato che al cessionario o committente non può effettuare la detrazione relativa all’operazione inesistente e la nuova misura sanzionatoria si applica alle sole operazioni inesistenti che siano astrattamente esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, per le quali il cessionario o committente ha applicato il Reverse Charge.

Con il nuovo orientamento della Corte di Cassazione, contenuto nella sentenza n. 32552/2019, è stata riconosciuta applicabile la previsione dell’art. 6, co. 9-bis.3, D.Lgs. 471/1997, anche in riferimento alle operazioni inesistenti imponibili assoggettate a Reverse Charge e in base al principio del favor rei, il nuovo regime si estende anche alle violazioni commesse prima del 1° gennaio 2016.

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