L’impatrio in Italia del lavoratore che aveva già lavorato per la stessa società di un gruppo multinazionale prima del suo trasferimento in Italia, comporta un periodo minimo di almeno 7 anni di residenza fiscale estera.
Il periodo di residenza fiscale estero pregresso rispetto all’impatrio in Italia è uno dei requisiti fondamentali dell’agevolazione impatriati (ex art. 5 D.Lgs. n. 209/23). La norma prevede un periodo “ordinario” di 3 anni, ma che può allungarsi a 6 se il lavoratore rientra in Italia per la stesso gruppo multinazionale (con mantenimento di contratto o per aziende diverse del gruppo), o a 7 anni se prima del trasferimento e durante lo stesso ha lavoratore per aziende diverse del gruppo multinazionale. A confermare questa imposta la risposta ad interpello n. 41/E del 20 febbraio 2025 dell’Agenzia delle Entrate.
Analoghi chiarimenti erano già arrivati con la precedente risposta n. 22/E/25 con la quale viene chiarito che il rientro in Italia per svolgere attività autonoma fatturando al datore di lavoro estero, comporta l’applicazione del periodo maggiorato di residenza estera di almeno 6 anni.
Nuovo regime impatriati: requisiti in breve
I redditi di lavoro dipendente e autonomo prodotti in Italia da lavoratori che ivi trasferiscono la residenza (nel limite di 600.000 euro annui) sono imponibili al 50% a condizione che:
- Risiedano fiscalmente in Italia per un periodo di 4 anni;
- Non siano stati fiscalmente residenti in Italia nei 3 periodi precedenti. Se il lavoratore presta attività per lo stesso soggetto per il quale era stato impiegato all’etero, il periodo è allungato a 6 anni. Mentre si arriva a 7 anni se l’ultimo datore italiano è dello stesso gruppo multinazionale, rispetto a quello del rientro;
- L’attività lavorativa (lavoro dipendente o esercizio di arte o professione abituale) è prestata per la maggior parte del periodo di imposta in Italia;
- Siano in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.
Il caso: rientro per aziende di un gruppo dove aveva lavorato in passato
Il caso analizzato è quello di un lavoratore che ha lavorato per due diverse società del gruppo. In particolare per una prima società Alfa, dove ha lavorato per gli anni “n” e “n+1”, poi per una società del gruppo (Beta) per gli anni “n+2” e “n+3”. Successivamente si è trasferito all’estero (Francia) ed ha intenzione di tornare in Italia lavorando, di nuovo, per la precedente società Alfa.
La questione rilevante è data al data dal fatto che il lavoratore, ritornando a lavorare per la stessa società per cui aveva lavorato in Italia (ma non negli anni precedenti al trasferimento all’estero) comporti il periodo di residenza estero allungato di 6 o 7 anni.
Periodo minimo di residenza estera
Per il periodo minimo di residenza all’estero occorre valutare se, al rientro in Italia, il lavoratore sarà occupato per lo stesso datore di lavoro (società o gruppo, identificato ex art. 2359 co. 1, n. 1 e 2 c.c.) per il quale ha lavorato all’estero durante il periodo di imposta precedente al trasferimento della residenza in Italia o, comunque fino alla data in cui avviene il trasferimento. Nel caso la residenza estera è allungata ai:
- Sei periodi d’imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore della stessa società per cui ha lavorato all’estero oppure di una appartenente al suo stesso gruppo. Ad esempio, il lavoratore impiegato all’estero presso la società Alfa, al trasferimento in Italia continua a lavorare per tale società (o per una dello stesso gruppo);
- Sette periodi d’imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, è stato impiegato in Italia in favore della stessa società o di una appartenente al suo stesso gruppo. Se il lavoratore già lavorava per la società Alfa (o per una società dello stesso gruppo) prima del trasferimento all’estero, si arriva ad un periodo minimo di 7 anni.
Allo stesso modo, si può desumere che, se il lavoratore ha svolto attività per un datore estero, fino all’anno “n”, e poi rientra in Italia nell’anno “n+4”, avrà un periodo estero minimo da rispettare di tre anni. Questo, in quanto l’attività per la società (o gruppo) si è interrotta prima del trasferimento in Italia.
Nel caso di specie il periodo minimo di residenza all’estero, ai fini dell’applicazione del regime, è di 6 anni, in quanto non c’è coincidenza tra il datore di lavoro (società o gruppo) per il quale il lavoratore è stato impiegato in Italia nel periodo immediatamente precedente al trasferimento all’estero e il soggetto presso il quale inizierà lavorare dopo il trasferimento in Italia.
Consulenza fiscale online
Il chiarimento fornito dall’Amministrazione finanziaria è importante in quanto definisce un criterio utile per capire quando, effettivamente, si deve applicare l’allungamento del periodo di residenza estera pregresso al trasferimento in Italia per soggetti che lavorano per gruppi multinazionali.
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