La disciplina fiscale di favore prevista per i lavoratori impatriati (art. 16 del D.Lgs. n. 147/15 e ss.mm. fino al 2023 e art. 5 D.Lgs. n. 209/23) si sostanzia in regime fiscale di favore per i contribuenti che rientrano in Italia dopo una residenza fiscale estera prolungata. Il tema è già stato affrontato in diversi articoli che puoi trovare su Fiscomania.com, ove sono andato ad analizzare caratteristiche, peculiarità, ma anche molti punti irrisolti e rischi insiti alla richiesta di questa agevolazione. Nelle consulenze che svolgo su questo argomento mi pongo sempre come obiettivo quello di far capire bene il fatto che questa agevolazione porta con se rischi per il soggetto richiedente, che verranno inevitabilmente trascinati fino al momento del successivo controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate.
In questo contributo, invece, voglio soffermarmi sugli aspetti che caratterizzano uno dei requisiti fondamentali richiesti dall’agevolazione impatriati. Mi riferisco, in particolare, al c.d. “criterio del collegamento funzionale“. Il lavoratore che intende usufruire dell’agevolazione impatriati, infatti, è chiamato a verificare e documentare il rispetto di un collegamento temporale e fattuale tra momento di impatrio in Italia ed il momento di avvio dell’attività lavorativa.
Il requisito del collegamento non è riscontrabile direttamente nella norma (sopra citata) ma, piuttosto, rappresenta un requisito aggiuntivo posto dall’Agenzia delle Entrate ad ulteriore vincolo per i lavoratori che decidono di impatriare in Italia.
L’obiettivo di questo ulteriore requisito è quello di evitare potenziali fattispecie (elusive) di richiesta dell’agevolazione anche da parte di soggetti impatriati in Italia per motivi non lavorativi (es. studenti che rientrano in Italia per ivi terminare un ciclo di studi) che, al momento dell’inizio di un’attività lavorativa potrebbero chiedere questo tipo di agevolazione. Proprio per provare a chiarire, per quanto possibile, i dubbi su questo argomento, di seguito andiamo ad analizzare come deve essere verificato il requisito del collegamento funzionale da parte dell’impatriato al momento del rientro stabile in Italia.
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Il criterio del collegamento tra impatrio ed inizio dell’attività lavorativa
La prasi dell’Agenzia delle Entrate con la pubblicazione della Circolare n. 17/E/2017 (parte II, § 3.1) ha previsto che, di fatto, debba essere verificato per il soggetto impatriato in Italia, un nesso di collegamento temporale tra:
- Il momento di rientro in Italia (identificabile con l’iscrizione anagrafica e contestuale cancellazione AIRE);
- L’inizio dell’attività lavorativa. L’inizio dell’attività lavorativa coincide con la data di inizio del rapporto di lavoro dipendente, o con la data di apertura della partita Iva, in caso di lavoro autonomo o di impresa in forma individuale.
Di fatto, l’Amministrazione finanziaria non vuole che il lavoratore rientri in Italia con l’obiettivo di cercare lavoro. Il requisito del collegamento, quindi, richiede che il soggetto che impatria in Italia avvii a stretto giro un’attività lavorativa (dipendente o autonoma) nei momenti successivi alla sua iscrizione anagrafica in Italia. Il requisito del collegamento si declina poi in modo diverso a seconda che l’attività lavorativa sia di lavoro dipendente o di lavoro autonomo.
Requisito del collegamento per l’attività di lavoro dipendente
Il requisito del collegamento stretto tra momento di iscrizione anagrafica in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa è molto importante per il lavoro dipendente. In questo caso, infatti, l’agevolazione impatriati può essere richiesta esclusivamente dal soggetto che rientra in Italia in virtù di un’impegno scritto del datore di lavoro (sotto forma di lettera firmata, di preaccordo, o di vero e proprio contratto). In tale documento deve essere indicata la data di inizio dell’attività lavorativa ed in relazione a tale data deve esserci quella di effettivo impatrio in Italia del lavoratore. Sul punto vedasi anche la risposta ad interpello n. 59/E/2020 dell’Agenzia delle Entrate.
Proviamo ad effettuare un semplice esempio per chiarire meglio questa fattispecie. Immaginiamo un lavoratore rientrato in Italia nel mese di giugno per avviare l’attività di lavoro dipendente nel successivo mese di luglio. In questo caso il requisito del collegamento stretto può trovare applicazione a condizione che vi sia la presenza di un contratto (o precontratto) firmato dal lavoratore e dal datore di lavoro prima della data di impatrio in Italia. Con il contratto firmato il periodo di inattività rimane giustificato e non pregiudica possibili contestazioni.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito anche che l’attività lavorativa in Italia può iniziare anche prima dell’iscrizione anagrafica a condizione che tra i due eventi vi sia un evidente nesso temporale (Circolare n. 17/e/2017 § 3.1). Diverso sarebbe il caso del lavoratore che rientra in Italia in assenza di un vincolo contrattuale firmato con il futuro datore di lavoro residente. Stessa situazione di non verifica del requisito si ha nel momento in cui tra il momento del rientro in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa in Italia non vi è nesso temporale (come ad esempio il fatto che trascorrano mesi tra il momento del rientro e quello di inizio dell’attività lavorativa, senza una motivazione oggettiva).
Fattispecie in cui il collegamento stretto è stato ritenuto non verificato
Vi è un caso evidente in cui l’Agenzia delle Entrate ha rifiutato il nesso di collegamento stretto tra rientro in Italia ed inizio dell’attività lavorativa. Nel caso di specie, un contribuente, in vista della scadenza del contratto con il datore di lavoro estero, avviava con quest’ultimo una negoziazione per essere trasferito in Italia, rientrando nel frattempo in Italia e iscrivendosi all’anagrafe della popolazione residente il 22.12.2016, anche per cercare nuove opportunità lavorative. Il 30.10.2017 veniva formalizzato il contratto di lavoro con la filiale italiana del gruppo estero. L’Agenzia ha escluso l’esistenza di un nesso tra il rientro in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa, ritenendo che (risposta interpello DRE Calabria 18.10.2018 n. 919-114/2018):
- Il rientro in Italia fosse motivato dalla naturale scadenza del contratto sottoscritto con la società estera e non, invece, da accordi con la filiale italiana “puntualmente finalizzati alla sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro”;
- La ricerca di impieghi lavorativi alternativi a quello inizialmente preventivato sarebbe indicativa dell’assenza di un collegamento tra i due eventi.
Discontinuità lavorativa richiesta solo in caso di rientro da distacco estero
L’Agenzia delle Entrate richiede la verifica del requisito del collegamento di natura temporale in tutti i casi di rientro in Italia dei lavoratori. Tuttavia, solo nel caso di distacco all’estero con successivo rientro in Italia, il carattere di “novità” nelle funzioni svolte dal lavoratore rappresenta un prerequisito essenziale per la fruizione del benefico. Negli altri casi, invece, l’Agenzia delle Entrate non sembra subordinare la fruizione dell’agevolazione ad una discontinuità di carattere “contenutistico” tra l’attività lavorativa prestata prima del rientro e quella prestata successivamente a tale momento, essendo al contrario sufficiente il trasferimento fisico della persona in Italia. Infatti, l’Agenzia ha ammesso al beneficio persone rientrate in Italia che, però, lavorano da remoto alle dipendenze della stessa impresa estera presso cui lavoravano in presenza nell’altro Stato prima del trasferimento (vedasi la risposta a interpello n. 596/E/2021, i cui principi sono stati replicati dalle risposte a interpello nn. 3, 50, 157 e 186/2022). Chiarimento, questo, utile per i rientri in Italia pre 2024.
Requisito del collegamento per l’attività di lavoro autonomo
Il requisito del collegamento stretto tra momento di rientro in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa deve trovare riscontro anche in caso di attività di lavoro autonomo. Come sappiamo, l’agevolazione in questi casi trova riscontro esclusivamente per le attività di lavoro autonomo o di impresa esercitate in forma individuale. In questo caso il lavoratore è chiamato a verificare il requisito del collegamento andando ad aprire partita Iva in momento attiguo a quello in cui acquisisce iscrizione anagrafica in Italia.
In buona sostanza, il lavoratore che rientra in Italia per svolgere attività di lavoro autonomo o di impresa non può attendere ad aprire la propria partita Iva. L’apertura della partita Iva nell’immediato momento di rientro in Italia è l’elemento che serve per verificare il requisito del collegamento. Anche in questo caso l’Agenzia delle Entrate vuole limitare le posizioni di elusione della norma. Un soggetto, infatti, potrebbe rientrare in Italia alla ricerca di un lavoro dipendente e in caso di ricerca improduttiva, potrebbe poi virare in un’attività di lavoro autonomo. Per ottenere l’Agevolazione impatriati, quindi, è necessario che vi sia da subito l’intenzione di avviare un’attività di lavoro autonomo.
Per quanto riguarda il lavoro autonomo, inoltre, in mancanza di chiarimenti ufficiali potrebbe essere utile che la partita Iva non sia soltanto aperta, ma anche attiva. Intendo dire che, un contribuente che verifica il nesso di collegamento aprendo partita Iva al momento del rientro in Italia potrebbe vedersi contestare l’agevolazione in commento, qualora l’attività lavorativa, in concreto, inizi molti mesi dopo. L’attesa, in questo caso, potrebbe giocare negativamente nella verifica del requisito del collegamento. Indirettamente, quindi, è opportuno che al momento del rientro in Italia il lavoratore autonomo abbia già contratti di mandato con clienti (nazionali o esteri) che gli consentano di iniziare a fatturare da subito. In questo modo è possibile superare eventuali problematiche connesse al requisito del collegamento.
Il requisito del collegamento nel successivo avvio di attività di lavoro autonomo
Un’altra fattispecie che sovente si verifica nella pratica è quella di un soggetto che rientra in Italia per svolgere attività di lavoro dipendente e poi avvia successivamente un’attività di lavoro autonomo. In questo caso è evidente il fatto che entrambe le attività lavorative rientrano nell’ambito dell’agevolazione. Tuttavia, occorre chiedersi come debba essere verificato il requisito del collegamento.
Immagina la situazione di un soggetto che dopo sei mesi dal rientro in Italia, iniziato il contratto di lavoro dipendente, decide di aprire anche una partita Iva individuale. In questo caso, occorre effettuare qualche precisazione in merito al requisito del collegamento.
Per prima cosa occorre rilevare che l’agevolazione impatriati riguarda sia il reddito da lavoro dipendente, ma anche l’attività di lavoro autonomo professionale o di impresa in forma individuale (non è ammessa l’attività sotto forma di SRL). Pertanto, teoricamente, anche questa seconda attività ha la possibilità di rientrare nella determinazione dell’imponibile in forma ridotta.
Un secondo aspetto da rilevare è che, il lavoratore impatriato è chiamato a verificare i requisiti dell’agevolazione esclusivamente al momento dell’impatrio (con il sopraindicato requisito del collegamento). Ebbene, una volta verificati i requisiti il lavoratore ha la possibilità di cambiare attività lavorativa a suo piacimento, aprendo anche una partita Iva per esercitare attività di lavoro autonomo. Sul punto occorre evidenziare quanto chiarito dalla stessa Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 33/E/2020 (§ 1).
Nel documento viene indicato chiaramente che qualora la prima attività soddisfi il requisito del collegamento tra il trasferimento della residenza in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa possono rientrare nell’agevolazione anche eventuali reddito derivanti da attività lavorative intraprese in periodi di imposta successivi al rientro. Il tutto, sempre, nell’ambito del quinquennio di base previsto come arco temporale agevolabile. Di fatto la seconda attività lavorativa intrapresa dall’impatriato non richiede il rispetto del requisito del collegamento, che deve essere verificato soltanto al momento del rientro in Italia e per la prima attività esercitata dal lavoratore.
Giurisprudenza: il collegamento funzionale non rileva
Il requisito del c.d. “collegamento stretto” è stato oggetto di contenzioso con l’Agenzia delle Entrate. In particolare, è da segnalare la sentenza n. 2587/2023 della Corte di Giustizia tributaria di I grado di Milano. I giudici hanno previsto che la norma non prevede alcun periodo temporale minimo che deve intercorrere tra la data del trasferimento in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa per l’accesso all’agevolazione impatriati.
Il caso oggetto di analisi è quello di una cittadina che ha impugnato il provvedimento di diniego del rimborso del credito IRPEF chiesto mediante la presentazione del modello 730, nel quale aveva espresso l’opzione di accesso al regime dei lavoratori impatriati (ex art. 16 D.Lgs. n. 147/15). In particolare, questa persona aveva interrotto il proprio lavoro presso una filiale estera di un gruppo multinazionale riprendendo, dopo circa 6 mesi, a lavorare per la filiale italiana dello stesso gruppo multinazionale. Secondo l’Agenzia delle Entrate in questo caso sarebbe venuto a mancare il collegamento tra rientro in Italia ed inizio dell’attività lavorativa nel territorio italiano.
In relazione a questa casistica la Corte di Giustizia tributaria di Milano ha previsto l’illegittimità del diniego alla contribuente sulla base della norma (art. 16) che subordina l’applicazione del regime a solo queste condizioni: i lavoratori non devono essere stati residenti In Italia nei due periodi d’imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni; l’attività lavorativa deve essere prestata prevalentemente nel territorio italiano. La norma, quindi, non prevede alcun periodo temporale minimo tra data di trasferimento in Italia e inizio dell’attività lavorativa in Italia. Il collegamento stretto, come detto, è un requisito “aggiunto” dall’Agenzia delle Entrate, non riscontrandosi nella norma. Secondo i giudici fare riferimento a elementi altri e diversi da quelli puramente richiesti dalla norma comporterebbe che debba effettuarsi una valutazione caso per caso, con il rischio continuo che questa valutazione sia “immancabilmente condizionata dalla soggettività del singolo funzionario accertatore”. L’aspetto più rilevante è che secondo la Corte nel caso di specie il collegamento temporale deve emergere dai fatti, posto che il trasferimento di residenza è avvenuto nella seconda parte dell’anno e che l’efficacia dell’agevolazione sarebbe partita dal primo gennaio dell’anno successivo (ex art. 2 del TUIR). A distanza di poco più di un mese dal nuovo anno la contribuente ha iniziato la propria attività lavorativa sul territorio italiano. Secondo la Corte, infatti, “tale lasso temporale (di 6 mesi)” “è del tutto compatibile, secondo la comune esperienza, con la necessità di fruire di un breve periodo di assestamento in Italia necessario per imparare la lingua italiana (…) ed espletare le varie incombenze presumibilmente legale al trasferimento intercontinentale dell’intera famiglia”.
Conclusioni e consulenza fiscale online
L’agevolazione legata ai lavoratori impatriati richiede la verifica di molti elementi, tra cui non è possibile sottovalutare il requisito del collegamento temporale richiesto dalla stessa Agenzia delle Entrate. La volontà di evitare situazioni di possibile elusione rispetto alla finalità della norma agevolativa hanno portato l’Amministrazione finanziaria a concedere l’agevolazione solo ai lavoratori che intendono impatriare in Italia per avviare un’attività di lavoro (dipendente o autonomo in forma individuale).
Importante:
Una possibile situazione elusiva della norma potrebbe essere quella di uno studente che dopo un periodo di residenza fiscale estera torna in Italia per termina il ciclo di studi, andando poi mesi dopo ad iniziare un’attività lavorativa in Italia. In questo caso, il requisito del collegamento non può trovare applicazione in quanto il rientro in Italia non è connesso all’inizio dell’attività lavorativa, ma piuttosto al completamento del ciclo di studi.
Il requisito del collegamento in questo contesto è elemento che deve rientrare nell’attività di pianificazione del rientro in Italia che tutti i soggetti devono effettuare se vogliono prepararsi nel migliore dei modi ai possibili futuri accertamenti che l’Agenzia delle Entrate potrebbe effettuare sugli impatriati. Considerata l’impossibilità di presentare interpelli probatori, il fatto di precostituire un fascicolo documentale preventivo potrebbe essere importante per tutti gli impatriati. Documentazione in cui includere anche quanto utile al fine di evidenziare la presenza del requisito del collegamento tra rientro in Italia ed inizio dell’attività lavorativa.
Se leggendo questo articolo ti sei reso conto che potresti rientrare nella disciplina dei lavoratori impatriati allora non perdere questa occasione. Se lo desideri posso esserti di aiuto per approfondire i chiarimenti di prassi esistenti e la normativa in vigore. Quello che posso fare è esclusivamente aiutarti a comprendere rischi e problematiche insite in questa agevolazione in modo che tu possa prendere poi, in totale autonomia, le decisioni che riterrai maggiormente opportune.