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Espatriati co.co.co. criteri di collegamento del reddito

Il criterio di collegamento per la tassazione dei redditi derivanti da collaborazioni coordinate e continuative (Co.co.co.) sono gli stessi del lavoro dipendente. Pertanto, i lavoratori Co.co.co. che svolgono attività all’estero per azienda italiana non pagano imposte in Italia.

Il reddito, nella forma della Collaborazione coordinata e continuativa (Co.co.co.) erogato da parte di azienda italiana ad un lavoratore espatriato all’estero, ed ivi residente, non è soggetto a tassazione in Italia. Questo, in relazione al fatto che l’attività lavorativa è svolta fuori dai confini nazionali e la residenza fiscale del lavoratore è nel Paese estero. Il riferimento è dato dall’art. 15 del modello OCSE che tratta i criteri di collegamento per i redditi da lavoro dipendente. Questo in assenza di una disposizione che tratta specificatamente dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

Sul punto deve essere segnalata anche la posizione presa dall’Agenzia delle Entrate con l’interpello n 271 del 18 luglio 2019 (lavoro dipendente estero). In particolare, si tratta di aspetti peculiari sul lavoro degli espatriati Co.co.co. L’intervento dell’Agenzia delle Entrate è sicuramente di impatto importante perché chiarisce il criterio di territorialità da adottare sui redditi da Collaborazioni continuative. Questa categoria reddituale in Italia è assimilata al reddito da lavoro dipendente ed è proprio da questa base che l’Agenzia fonda il suo ragionamento. Infatti, il Co.co.co residente estero che lavora per azienda italiana fuori dai confini nazionali non è soggetto a tassazione del reddito in Italia. Vediamo tutte le info sulla tassazione del reddito dell’expat Co.co.co. di seguito.

Collaboratore coordinato e continuativo

Il Collaboratore coordinato e continuativo (Co.co.co.) è una tipologia di contratto lavorativo di tipo parasubordinato. Tale contratto trova applicazione per quei lavoratori che si trovano a metà strada tra lo svolgimento di attività di lavoro dipendente e quella di lavoro autonomo. Attraverso questo contratto il lavoratore opera in piena autonomia operativa, senza alcun vincolo di subordinazione. Tuttavia vi è un rapporto continuativo con il datore di lavoro, dove figurano all’interno dell’organizzazione e dove il datore ha la possibilità di coordinarne l’attività in relazione del soddisfacimento delle esigenze aziendali.

Expat collaboratore coordinato e continuativo di azienda italiana

Il caso di cui si è occupata l’Agenzia è quello di un soggetto che vive e lavora in uno Stato estero (Danimarca). La residenza fiscale di questo soggetto è nel Paese in cui lavora. Tale soggetto, tuttavia, mantiene un rapporto lavorativo con una società italiana, per la quale effettua prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa. Come vedremo in seguito, aspetto fondamentale è che l’attività lavorativa del soggetto è svolta in Danimarca.

Il problema posto è come considerare correttamente questi compensi ai fini della tassazione. La corretta ricostruzione effettuata dall’Agenzia delle Entrate va nel senso di considerare questi redditi di regola non imponibili in Italia. Questo, in base alle regole convenzionali conformi al modello OCSE.

La territorialità del reddito da Co.co.co.

Al fine di inquadrare correttamente la questione è il caso di ricordare che i redditi da Collaborazione coordinata e continuativa sono redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente. Questo ai sensi dell’articolo 50, comma 1, lettera c-bis) del TUIR. Tali redditi sono in ogni caso imponibili in capo ai non residenti a norma dell’articolo 23, comma 2 lettera b) del TUIR, se corrisposti da un soggetto residente in Italia. Tali redditi, scontano quindi la ritenuta a titolo di imposta del 30% prevista dall’articolo 24 comma 1-ter del DPR n. 600/73.

Il criterio di territorialità legato alla residenza del percettore per gli espatriati co.co.co è abbastanza anomalo nel contesto dei redditi da lavoro. Questo, sia per quanto riguarda i redditi da lavoro dipendente, sia per i redditi da lavoro autonomo. Infatti, l’articolo 23, comma 1, lettere c) e d) del TUIR prevede la tassazione italiana in capo ai non residenti se l’attività è svolta in Italia.

Per le fattispecie di lavoro dipendente e autonomo il criterio di territorialità del reddito è basato sul luogo di esercizio dell’attività. Per le collaborazioni coordinate e continuative la territorialità è legata alla residenza del soggetto che eroga le somme, al pari di quanto avviene per i compensi degli amministratori.

Espatriati Co.co.co. senza indicazioni nel Modello OCSE

La ricostruzione effettuata dall’Agenzia delle Entrate nuove dal presupposto che non vi sono disposizioni specifiche nel modello OCSE per le Collaborazione coordinate e continuative. L’articolo 16 del modello OCSE riguarda le sole collaborazioni tipiche per gli espatriati co.co.co. Si tratta dei compensi corrisposti agli amministratori. Richiamando la Circolare n 9 del 26 gennaio 2001 l’Agenzia delle Entrate giunge alla conclusione per cui, ai fini convenzionali, le regole da applicare sono quelle dell’articolo 15 sui redditi da lavoro dipendente. Categoria, questa, alla quale i proventi derivanti dalla Co.co.co. sono assimilati ai fini fiscali in Italia. Non vengono presi in considerazione, invece, gli articoli 7 e 14 che riguardano le professioni indipendenti.

Articolo 15 del modello OCSE per gli espatriati Co.co.co.

L’articolo 15 del modello OCSE a cui si rifà la Convenzione Italia – Danimarca prevede quale regola generale che i redditi di lavoro dipendente che un residente di uno Stato (Danimarca) percepisce sono tassati in questo Stato. A meno che l’attività venga svolta nell’altro Stato (Italia). Quindi, lo svolgimento dell’attività di freelance nel solo Stato estero di residenza assicurerebbe in ogni caso l’assenza di obblighi impositivi in Italia. Oppure, nel caso, il diritto al rimborso della ritenuta a titolo di imposta prelevata.

Questa conclusione risulterebbe valida anche se il rapporto di lavoro si qualificasse come rapporto di lavoro dipendente o autonomo. Anzi, in quest’ultimo caso non vi sarebbe nemmeno la necessità di di ricorrere alle Convenzioni. Infatti, le norme richiamate dell’articolo 23, comma 1, del TUIR già di per se escludono il potere dello Stato italiano di prelevare l’imposta. Nel caso di espatriati Co.co.co. a tutela della persona appare opportuno inserire clausole contrattuali che prevedano lo svolgimento dell’attività solo nell’altro Stato, ovviamente se queste sono le modalità con cui la prestazione è effettuata.

Conclusioni e consulenza fiscale online

L’analisi svolta dall’Interpello n. 271/E/2019 si conclude con l’avvertenza che: “se l’attività fosse svolta in Italia, il reddito potrebbe essere tassato anche in Italia se non ricorrono le condizioni previste dall’articolo 15, paragrafo 2, della Convenzione“. Questo, anche se non è esplicitato dall’Agenzia delle Entrate. Da considerare poi che il committente è italiano e quindi vi sarebbe tassazione italiana anche se il lavoratore soggiornasse in Italia per meno di 183 giorni in un periodo di 12 mesi che inizia o termina nell’anno fiscale considerato (situazione che potrebbe essere la regola). Quello che possiamo dire è che se l’attività di Co.co.co effettuata dall’espatriato Italiano nel Paese di residenza per conto di azienda italiana, non è imponibile in Italia. Questo criterio di territorialità, che si rifà all’articolo 15 della Convenzione cambia nel momento in cui il lavoratore si sposta in Italia.

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Federico Migliorini
Federico Migliorinihttps://fiscomania.com/federico-migliorini/
Dottore Commercialista, Tax Advisor, Revisore Legale. Aiuto imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale. La Fiscalità internazionale le convenzioni internazionali e l'internazionalizzazione di impresa sono la mia quotidianità. Continuo a studiare perché nella vita non si finisce mai di imparare. Se hai un dubbio o una questione da risolvere, contattami, troverò le risposte. Richiedi una consulenza personalizzata con me.

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