Nelle consulenze riguardanti l’agevolazione per i lavoratori impatriati in Italia, di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 147/15 (per ultimo modificato dal D.L. n. 34/19) molto spesso mi sono trovato di fronte giovani lavoratori pronti a rientrare in Italia per proseguire la propria attività lavorativa (in continuità contrattuale) in Italia in smart working.
Come sappiamo, infatti, la situazione epidemiologica internazionale (legata al Covid-19) sta portando molte imprese, soprattutto quelle internazionali, ad adottare piani di lavoro in smart working. Questa nuova possibilità di svolgimento dell’attività lavorativa, connessa ai modelli di organizzazione di tipo agile dell’attività lavorativa, consente di svolgere l’attività in qualsiasi luogo.
Attraverso questo tipo di sistema il personale assunto all’estero da parte di un datore di lavoro non residente potrebbe pensare di trasferirsi in Italia in modo stabile. L’obiettivo è quello di mantenere il proprio contratto di lavoro e proseguire l’attività lavorativa in smart working in qualsiasi luogo.
In questo contesto ci si chiede se questo lavoratore che rientra in Italia per svolgere attività lavorativa in smart working in prosecuzione del proprio contratto di lavoro estero possa applicare l’agevolazione per i lavoratori impatriati in Italia. Come vedremo non c’è una risposta chiara dall’Agenzia delle Entrate in tal senso. Tuttavia, guardando i documenti di prassi sinora pubblicati è possibile effettuare qualche riflessione importante.
Indice degli Argomenti
- Come può un lavoratore con contratto estero operare in Italia?
- Agevolazione impatriati sempre valida in caso di nuova occupazione in italia
- La continuità del rapporto lavorativo dall’estero all’Italia non verifica l’agevolazione impatriati
- Perché la continuità del rapporto lavorativo con l’estero non verifica la ratio dell’agevolazione?
- Smart working in Italia in continuità di contratto senza regime impatriati: conlusioni
- Consulenza fiscale online
Come può un lavoratore con contratto estero operare in Italia?
I sistemi legati all’organizzazione agile del lavoro e lo sviluppo tecnologico stanno modificando l’esecuzione dell’attività lavorativa in moltissimi settori. Soprattutto nel settore terziario dei servizi stiamo assistendo alla possibilità di svolgere la prestazione lavorativa in qualsiasi luogo. Questo, in quanto i sistemi tecnologici di connessione permettono di lavorare da remoto anche molto lontano dalla sede del datore di lavoro.
In linea generale, dobbiamo chiederci, preliminarmente, in che modo è possibile che un lavoratore con contratto estero possa lavorare in Italia. Ipotizziamo un lavoratore dipendente di impresa estera che vuole venire a lavorare in smart working dall’Italia. Ipotizziamo anche che l’azienda estera per la quale lavora questo soggetto non sia dotata di strutture stabili in Italia.
Ebbene, in questi casi, il dipendente deve essere soggetto alla legislazione previdenziale italiana per poter lavorare dall’Italia. Pertanto, per assolvere i relativi obblighi tale azienda estera deve ottenere presso la Direzione INPS competente per territorio le relative autorizzazioni (INPS, INAIL, contratto di assunzione e comunicazione di smart working). A quel punto potrà procedere con gli adempimenti contributivi periodici (in busta paga). Da un punto di vista fiscale le ritenute devono essere effettuate (qualora si sia di fronte all’apertura di una stabile organizzazione in Italia della società estera). Tuttavia, in alternativa, gli obblighi tributari possono essere assolti dal dipendente attraverso la predisposizione della dichiarazione dei redditi.
In questo contesto occorre chiedersi se il personale di un’impresa estera, priva di strutture in Italia, che decide di impatriare in Italia per operare in smart working, ha la possibilità di applicare le agevolazioni spettati ai lavoratori impatriati in Italia (art. 16 del D.Lgs. n. 147/15 e ss.mm.).
Agevolazione impatriati sempre valida in caso di nuova occupazione in italia
Come sappiamo il trasferimento in Italia di un lavoratore dipendente non residente che avvia un rapporto di lavoro con un datore di lavoro italiano, può godere dell’agevolazione in commento. Si tratta del trattamento di favore concesso per i lavoratori impatriati, con i requisiti previsti dal comma 1 dell’art. 16 del D.Lgs. n. 147/15.
Si tratta di un regime fiscale temporaneo agevolato che consente la riduzione dell’imponibile fiscale (ai fini Irpef) del 70% o del 90% in ragione della residenza presa nelle regioni del Nord/Centro o del Sud/Isole. Questo per redditi da lavoro dipendente o autonomo, in forma di impresa o per l’esercizio di arte o professione abituale.
Questa agevolazione, possiamo dire, che trova sicuramente riscontro, nel rispetto dei requisiti previsti dalla norma, nel caso di lavoratore estero che prende residenza in Italia, con contratto di lavoro italiano. Questo perché assunto:
- Da una sede distaccata (subsidiary) dell’azienda già presente in Italia, o
- Dalla posizione previdenziale dell’azienda aperta presso l’INPS.
In questi due casi siamo di fronte ad una situazione per cui vi è una “non continuità” del rapporto lavorativo. In entrambi i casi, infatti, il lavoratore che impatria in Italia inizia una nuova occupazione. Nel primo caso con un contratto di lavoro italiano stipulato con una società del gruppo operante in Italia. Nel secondo caso direttamente dall’azienda estera che lo assume dalla sua posizione italiana.
La continuità del rapporto lavorativo dall’estero all’Italia non verifica l’agevolazione impatriati
Quello che possiamo desumere, soprattutto dai documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate, è che l’agevolazione impatriati richieda un requisito “di prassi” ulteriore rispetto alla norma. Si tratta della “non continuità” del rapporto lavorativo dall’estero all’Italia. Infatti, il trasferimento in Italia di un lavoratore dipendente non residente per operare da remoto per lo stesso datore estero (in continuità di contratto), non verifica i requisiti dell’agevolazione impatriati.
Questo è quanto è possibile desumere se andiamo ad analizzare, in quest’ottica delle posizioni tenute dall’Agenzia delle Entrate in alcuni recenti documenti di prassi sull’argomento. Vediamo a cosa faccio riferimento.
Continuità del rapporto lavorativo non verifica l’agevolazione: il caso del distacco
La posizione dell’Agenzia delle Entrate sui rapporti di lavoro che consentono l’applicazione dell’agevolazione impatriati è molto chiara. L’Agenzia delle Entrate richiede l’inizio di una nuova attività lavorativa per il lavoratore dipendente che rientra in Italia dopo un periodo all’estero. Questa posizione è stata tenuta dall’Agenzia nelle recenti risposte ad interpello riguardanti lavoratori italiani che impatriano dopo un distacco lavorativo all’estero.
In tutti questi casi, vedasi le risposte ad interpello n. 45/2018, 492/2019 e 510/2019 l’Agenzia delle Entrate richiede per poter fruire dell’agevolazione:
- La necessità di una proroga del distacco estero, per verificare l’affievolimento del legame lavorativo con l’Italia;
- Il fatto che al lavoratore al momento del rientro in Italia a conclusione del distacco venga assegnato un ruolo diverso dal precedente. Deve trattarsi di un ruolo qualificante, dato dall’esperienza maturata all’estero. L’esempio dell’Agenzia è quello di un dipendente che al momento del rientro dal distacco viene inquadrato come dirigente (mentre prima del distacco era inquadrato come quadro).
Anche per quanto riguarda il rientro dal distacco all’estero l’Agenzia delle Entrate ritiene che l’agevolazione spetti, in caso di nuovo contratto di lavoro rispetto al precedente, con un diverso ruolo legato all’esperienza maturata all’estero.
Da sottolineare che per l’Agenzia delle Entrate deve trattarsi di cambiamento di “ruolo” e non semplicemente di “mansione” nel nuovo contratto del lavoratore in rientro dal distacco estero. Vedasi la Risoluzione n. 76/E/2018.
Continuità del rapporto lavorativo non verifica l’agevolazione: il caso della sede italiana di multinazionale
Dello stesso parere è l’Agenzia delle Entrate quando parla dell’autonomia dei rapporti contrattuali in caso di lavoratore estero che viene assunto dalla società italiana appartenente ad un gruppo estero (multinazionale).
In questo caso, secondo il documento di prassi (Risoluzione n. 72/E/2018) è possibile fruire del regime dei lavoratori impatriati nel caso in cui, fermi restando gli altri requisiti, nel periodo minimo precedente il rimpatrio è stata svolta attività di lavoro dipendente presso altra società del medesimo gruppo. Nel caso si tratta di società estera dello stesso gruppo multinazionale a cui apparteneva anche la società italiana che ha assunto il contribuente al rientro. Per l’Agenzia delle Entrate, tale fattispecie verifica l’applicazione dell’agevolazione in quanto vi è una autonomia dei rapporti contrattuali. In particolare vi è autonomia e separazione tra il contratto di lavoro estero (pre-impatrio) ed il contratto di lavoro italiano (post-impatrio).
Anche in questo caso, viene confermata la regola non scritta dell’autonomia contrattuale per la verifica dell’agevolazione impatriati in caso di lavoratore che impatria in Italia.
Lavoratori impatriati per svolgere smart working per datore di lavoro estero
Sulla base delle considerazioni sin qui esposte è possibile ritenere, sempre in assenza di un documento di prassi sull’argomento, che non sia possibile verificare i requisiti dell’agevolazione impatriati in caso di rientro in Italia per svolgere smart working.
Qualora il rientro in Italia, infatti, avvenga con continuità di contratto di lavoro estero, per il lavoratore che impatria per il solo svolgimento dello smart working non appare possibile fruire del regime impatriati. Questo, in quanto l’attività lavorativa svolta in Italia non rappresenta una “nuova occupazione“, ma piuttosto la continuazione di un rapporto lavorativo precedente.
Quando il rapporto lavorativo è iniziato all’estero e prosegue in Italia solo per motivazioni legate allo svolgimento di lavoro in modalità “agile“, non si può applicare l’agevolazione impatriati. Questa posizione, qualora fosse confermata, e solo in parte condivisibile, appare comunque in linea con quanto già indicato in precedenza dalla stessa agenzia per quanto riguarda il distacco e l’assunzione del lavoratore estero presso una società controllata italiana di multinazionale estera.
Perché la continuità del rapporto lavorativo con l’estero non verifica la ratio dell’agevolazione?
Non dobbiamo dimenticarci che la ratio dell’agevolazione legata ai lavoratori impatriati è quella di portare nuove competenze ed esperienze in Italia. Questo può avvenire soltanto quando il lavoratore inizia una attività lavorativa in territorio nazionale con relativo contratto.
Quando, invece, siamo di fronte ad una continuità del rapporto contrattuale lavorativo estero il lavoratore rimane legato ad datore estero. In questo caso tale lavoratore non contribuirà a portare sul territorio italiano competenze ed esperienze (verso sedi produttive italiane). Piuttosto, tale lavoratore, continuerà a portare produttività verso enti giuridici esteri. Aspetto questo, non contemplato dall’agevolazione. Infatti, volendo, ulteriormente approfondire ed interpretare la norma, quando il legislatore parla nell’art. 16 del D.Lgs. n. 147/15 dell’attività lavorativa prestata “prevalentemente in Italia” intende dire:
- Per il lavoro autonomo (professionale o di impresa) di esercitare l’attività con partita IVA italiana;
- Per il lavoro dipendente, di esercitare l’attività con un contratto di lavoro italiano (sia per conto di azienda italiana che estera). In questo modo, infatti, si verifica il requisito ulteriore posto dalla stessa agenzia delle Entrate legato alla non continuità del rapporto contrattuale nel rientro in Italia.
Smart working in Italia in continuità di contratto senza regime impatriati: conlusioni
Ancora una volta ci troviamo di fronte a delle posizioni (che abbiamo analizzato) dell’Agenzia delle Entrate che vanno non tanto a chiarire ma a porre ulteriori condizioni all’applicazione di una norma di legge. La ratio dell’agevolazione impatriati è quella di incentivare il rientro in Italia di lavoratori che dopo un periodo di almeno due periodi di imposta all’estero vogliano tornare in Italia.
Naturalmente, l’obiettivo è quello sia di accrescere le competenze e le esperienze di questi lavorati che si inseriscono nel tessuto produttivo nazionale, sia quello di aumentare i consumi e le imposte derivanti da questi lavoratori.
Di fatto, il rientro in Italia in continuità contrattuale con il periodo estero, di per se non va contro alla norma, art. 16 del D.Lgs. n. 147/15, che non ne fa cenno. Tuttavia, in molti documenti di prassi l’Agenzia delle Entrate fa proprio l’ulteriore requisito legato alla non continuità contrattuale, come detto, sia in caso di distacco estero, sia in caso di lavoratore che viene assunto dalla società controllata italiana del gruppo multinazionale.
Questi due principi si possono così rendere applicabili anche nel caso, oggi molto concreto, del lavoratore che con contratto di lavoro estero decide di impatriare in Italia per svolgervi la propria attività lavorativa. In questo caso, come detto, il rientro in Italia è legato soltanto ad esigenze di esecuzione dell’attività lavorativa, e non di volontà di rientrare in Italia con un contratto territorialmente applicabile. Quest’ultimo aspetto, essendo determinante per l’Agenzia non permette la possibilità di applicare l’agevolazione impatriati. Il discorso cambia totalmente, invece, qualora l’azienda estera decida di aprire una propria posizione previdenziale in Italia per l’avvio di un nuovo contratto di lavoro italiano per il lavoratore che impatria lavorando in smart working.
Consulenza fiscale online
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Riceviamo moltissime richieste sull’agevolazione impatriati ed abbiamo maturato esperienza e competenza sull’argomento, avendo anche contributo alla presentazione di istanze di interpello presso l’Agenzia delle Entrate.
Se hai dubbi sulla tua situazione personale in relazione alla possibilità di applicare l’agevolazione, contattaci per una consulenza. Soltanto in questo modo, infatti, potrai avere maggiore probabilità di evitare di commettere errori, che in futuro possono esserti contestati e quindi sanzionati.