Quando si parla di accertamento dei redditi di impresa, l’Amministrazione finanziaria ha la possibilità di usufruire dell’accertamento analitico induttivo, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del DPR n. 600/73, anche in presenza di scritture formalmente regolari, ove la contabilità risulti complessivamente inattendibile sulla base di elementi indiziari gravi e precisi.
La contabilità è inattendibile quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica.
Se le scritture contabili, dunque, sono irregolari formalmente, riportano annotazioni incomplete o non corrette e tali violazioni raggiungono una significativa soglia di rilevanza tale da indurre i verificatori a ritenere le scritture complessivamente inattendibili il fisco può disattenderle e determinare il reddito d’impresa induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili.
Indice degli Argomenti
- Quali elementi posso portare a ritenere inattendibile la contabilità?
- I controlli sulle rimanenze finali
- Le conseguenze della contabilità ritenuta inattendibile
- Posizione della giurisprudenza sulla contabilità inattendibile
- Contabilità inattendibile – DPR 16 settembre 1996, n° 570
- Contabilità inattendibile: cosa possiamo fare per te?
Quali elementi posso portare a ritenere inattendibile la contabilità?
Tutte le note metodologiche esortano i funzionari addetti al controllo di riscontrare preliminarmente le regolarità delle scritture contabili mediante due analisi rivolte a delle voci contabili particolarmente “sensibili” ad interventi mirati per eliminare indizi evasivi, tipici di una contabilità inattendibile. In particolare trattasi:
- Del conto cassa, laddove non è infrequente l’intervento mediante versamenti e/o prelevamenti dei soci o dell’imprenditore per arginare andamenti anomali dello stesso;
- Delle rimanenze finali, voce utilizzata in alcuni casi per indirizzare il risultato della gestione verso gli obiettivi prefissati.
L’eventuale contestazione di contabilità inattendibile consente all’Ufficio accertatore il ricorso all’accertamento induttivo extracontabile di cui all’articolo 39 comma 2, del DPR n. 600/73, metodologia sicuramente più agevole atteso che, sotto il profilo probatorio, ammette l’utilizzabilità di presunzioni “semplici“, ovvero non fornite dei requisiti di precisione, gravità e concordanza che, altrimenti, sono sempre necessari. Vediamo quindi, di analizzare di seguito, con maggiore dettaglio, questi due rilievi per capire come l’Amministrazione finanziaria riesce a definire una contabilità inattendibile.
I controlli sul conto cassa
L’elemento frequente di inattendibilità è l’evidenza di ripetuti saldi di valore negativo. Ciò in quanto nei meccanismi della partita doppia, la cassa contabile non può mai assumere valori negativi, e laddove questo avvenisse, apparirebbe evidente l’infedeltà delle registrazioni.
Le circostanze che possono condurre ad una simile situazione sono solitamente dovute alla volontà di massimizzare la deducibilità dei propri costi e alla contemporanea propensione all’occultamento di quanto realmente conseguito, con l’inevitabile innesco di una dinamica viziosa all’interno della cassa contabile, che resta svuotata dagli incassi regolari e non alimentata da altrettanti incassi in nero.
Finanziamenti infruttiferi
Nel maggior parte dei casi, per ottenere un quadro quanto più coerente possibile, si cerca di risolvere il problema accreditando il conto cassa tramite “finanziamenti infruttiferi” da parte di soci, anticipando, sotto il profilo temporale, la contabilizzazione del movimento finanziario antecedentemente a quello in cui è registrata la negatività di cassa ed ottenendo il vantaggio di occultare il corrispettivo soggetto a tassazione mediante il finanziamento infruttifero, che rappresenta soltanto una voce di debito nei confronti dei soci.
Per questo motivo il ricorso a frequenti finanziamenti soci costituisce un indizio che l’attività d’impresa sia potenzialmente finanziata con proventi derivanti da corrispettivi non dichiarati e, peraltro, si espone a facili contestazioni mediante due tipologie di operazioni in sede di controllo.
In primo luogo, si osservano le eventuali motivazioni che hanno indotto all’approvvigionamento di cassa e se poi, effettivamente, le stesse sono state affrontate mediante il ricorso al contante, senza considerare la valutazione delle disponibilità economiche dei soggetti che intervengono e la relativa coerenza con i redditi dichiarati, nonché l’anomalia della contemporanea presenza di detti interventi e di un elevato indebitamento bancario, con palese antieconomicità dei risultati conseguiti. In secondo luogo, si procede ad un’attività di nettizzazione del conto cassa dai versamenti del socio, allo scopo di verificare quali saldi si sarebbero registrati in assenza di detti versamenti.
I controlli sulle rimanenze finali
Il controllo viene effettuato partendo dal confronto delle stesse, indicate nel relativo dettaglio, e le movimentazioni di materie prime e di merci registrate nell’anno. Ciò in quanto, in alcuni casi, in sede di dichiarazione le rimanenze finali sono oggetto di valutazioni non propriamente tecniche ma forfettizzate in base ai dati contabili del contribuente.
Infatti, la determinazione delle rimanenze è spesso finalizzata al raggiungimento di una dichiarazione credibile, oppure a contenere qualche risultato imponibile troppo emergente. Tale esercizio eclettico, però, potrebbe dare fronte a possibili problematiche, in quanto l’eventuale dato dichiarato e del relativo prospetto delle rimanenze finali può rappresentare l’elemento fondante per convincere l’Amministrazione finanziaria dell’inattendibilità di tutto l’impianto contabile.
In tale ottica, la determinazione a forfait delle rimanenze offre il fianco a possibili contestazioni, in special modo in quei settori in cui vi sono poche materie prime o prodotti impiegati significativi e facilmente identificabili.
In tutti questi casi, come detto, la contestazione di contabilità sostanzialmente inattendibile permette all’ufficio accertatore il ricorso al più agevole accertamento induttivo extracontabile per la determinazione del reddito imponibile del contribuente, che sarà chiamato a fornire prove a suo carico per affermare la correttezza della sua contabilità, con quasi certi risvolti poco incoraggianti, fino ad arrivare alla fase di contenzioso.
Le conseguenze della contabilità ritenuta inattendibile
In caso di accertamento di violazioni gravi e ripetute tali da ritenere inattendibile la contabilità, l’Agenzia delle Entrate ha la possibilità di rettificare il reddito di impresa con l’accertamento induttivo. Questo, sulla base di presunzioni anche non dotate dei requisiti di, gravità, precisione e concordanza. In pratica, i verificatori hanno la possibilità di determinare il reddito di impresa sulla base di informazioni comunque raccolte, con la possibilità di prescindere totalmente o parzialmente da quando indicato dalla contabilità (la quale, appunto, è ritenuta inattendibile).
Spetta all’impresa accertata avere prova del fatto che le presunzioni del Fisco non sono reali. Aspetto non semplice trovandosi in una situazione dove la contabilità è ritenuta non rispecchiare l’andamento economico e patrimoniale dell’impresa stessa.
Posizione della giurisprudenza sulla contabilità inattendibile
Sentenza n. 20899 del 3 ottobre 2014 – Documentazione extracontabile
La conservazione di documenti informatici nel pc aventi le stesse caratteristiche delle fatture costituisce un idoneo elemento presuntivo dal quale desumere l’esistenza di ricavi non dichiarati, se nessuno di detti documenti informatici è “transitato” dalla contabilità ufficiale e ad essi non fa riscontro la versione cartacea, al pari delle altre fatture presenti sia nei file che su carta. In questo caso siamo di fronte a contabilità inattendibile e possibilità di utilizzo dell’accertamento induttivo extracontabile. |
Sentenza n. 24061 del 24 novembre 2017 – Omesso raggruppamento rimanenze
Nell’ambito del processo di valutazione delle rimanenze finali, l’omesso raggruppamento dei beni in categorie omogenee per natura e valore costituisce una grave irregolarità che rende inattendibile la contabilità e consente all’Ufficio di procedere all’accertamento induttivo. La finalità della norma – hanno puntualizzato i Supremi Giudici – è quella di evitare incertezze e difficoltà tecnico-pratiche nei processi di valutazione delle rimanenze, atteso che l’omogeneità dei gruppi creati rende immediata la valutazione di quantità anche rilevanti di merci. La Cassazione ha stabilito che anche nel caso di specie era imprescindibile, ai fini valutativi, il preventivo raggruppamento dei beni in categorie omogenee per natura e valore, così come prescritto dal più volte citato art. 92 e, quindi, non avendovi provveduto la società, la sua contabilità era da ritenersi inattendibile – tanto più in base all’art. 1, lettera d), del DPR 570/1996, a mente del quale la contabilità è inattendibile quando nella nota integrativa o nel libro degli inventari non sono indicati i criteri di valutazione delle rimanenze – di talché l’accertamento induttivo era legittimo. |
Ordinanza n.14479 del 6 maggio 2022 – Conto corrente non registrato
È legittimo il metodo induttivo prescelto dall’Amministrazione finanziaria a causa della totale inattendibilità della contabilità dell’impresa che aveva un saldo cassa apparentemente attivo e utilizzava un conto corrente occulto, non registrato nella contabilità ufficiale. Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza n.14479 del 6 maggio 2022. |
Ordinanza n. 17187 del 26 maggio 2022 – Antieconomicità
L’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, che può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purché preciso e grave, quale l’abnormità e l’irragionevolezza della percentuale di ricarico. Così si esprime la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.17187 del 26 maggio 2022. |
Contabilità inattendibile – DPR 16 settembre 1996, n° 570
Decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1996, n° 570 (in Gazzetta Ufficiale 8 novembre, n° 262) – Regolamento per la determinazione dei criteri in base ai quali la contabilità ordinaria è considerata inattendibile, relativamente agli esercenti attività d’impresa, arti e professioni.
Art. 1 – Inattendibilità della contabilità degli esercenti attività d’impresa
1. Ai soli fini dell’applicazione dell’art. 3, comma 181, lettera b), della legge 28 dicembre 1995, n° 549, le irregolarità delle scritture obbligatorie degli esercenti attività d’impresa si considerano gravi e rendono inattendibile la contabilità ordinaria di tali soggetti, quando:
- a) le disponibilità liquide non sono specificate nei conti relativi ai depositi bancari e postali, al denaro e agli altri valori in cassa e i predetti depositi non risultano dalle scritture ausiliarie di cui all’art. 14, primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n° 600, che possono essere sviluppate anche in sottoconti o partitari, intestati analiticamente a ciascuna banca o dipendenza di essa o a ciascun ufficio postale;
- b) i conti che si riferiscono a crediti e a debiti, diversi da quelli relativi alle retribuzioni dei dipendenti, non sono integrati dalle scritture ausiliarie menzionate alla lettera a), in cui siano indicati singolarmente i creditori e i debitori, ovvero, per i crediti derivanti dalle operazioni effettuate dai soggetti di cui all’art. 22 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n° 633, con riguardo alle quali non è emessa fattura oppure è emessa fattura registrata ai sensi dell’art. 24 dello stesso decreto n° 633 del 1972, da scritture elementari in cui siano rilevati singolarmente i debitori;
- c) i versamenti e i prelevamenti effettuati dall’imprenditore o dai soci non sono rilevati in contabilità ed evidenziati nelle scritture ausiliarie menzionate alla lettera a), anche complessivamente;
- d) i criteri adottati per la valutazione delle rimanenze non sono indicati nella nota integrativa o nel libro degli inventari.
2. Ai medesimi fini indicati nel comma 1, le contraddizioni tra le scritture obbligatorie e i dati e gli elementi direttamente rilevati si considerano gravi e rendono altresì inattendibile la contabilità ordinaria degli esercenti attività d’impresa, quando:
- a) i valori rilevati a seguito di ispezioni o verifiche, anche parziali, compresi quelli dei beni di cui alla successiva lettera b), abbiano uno scostamento, rispetto a quelli indicati in contabilità, superiore al 10 per cento del valore complessivo delle voci interessate, a condizione che tale scostamento non sia riconducibile a errata applicazione dei criteri di valutazione ovvero di imputazione temporale sempreché le annotazioni effettuate in violazione dei criteri di cui all’art. 75 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n° 917, risultino dalle scritture contabili obbligatorie del periodo d’imposta antecedente o successivo a quello di competenza e derivino dall’adozione di metodi costanti di impostazione contabile. A tal fine per le rimanenze di cui all’art. 59 del citato testo unico delle imposte sui redditi, il controllo deve riguardare beni o categorie di beni il cui valore contabile è non inferiore al 25 per cento di quello complessivo risultante dall’inventario riportato nel bilancio dell’ultimo periodo d’imposta per il quale è stata presentata la dichiarazione dei redditi. Indipendentemente dal superamento del menzionato limite del 10 per cento, la disposizione non si applica quando lo scostamento è di importo inferiore a cinque milioni di lire e si applica comunque quando è superiore all’importo di cinquanta milioni di lire, che va aumentato, con riferimento ai beni di cui al predetto art. 59, dell’1 per cento del valore complessivo dei beni o categorie di beni rilevati a seguito dell’ispezione o verifica fino a tre miliardi di lire e dello 0,5 per cento di tale valore per la parte che eccede i tre miliardi di lire;
- b) non risultano indicati in alcuna delle scritture contabili o, in mancanza dell’obbligo di indicazione nelle stesse, in altra documentazione attendibile, uno o più beni strumentali, diversi dagli immobili relativi all’impresa individuale, utilizzati nell’attività – anche se non posseduti a titolo di proprietà e anche se completamente ammortizzati – il cui valore complessivo sia superiore al 10 per cento di quello di tutti i beni strumentali utilizzati, esclusi i menzionati immobili. Indipendentemente dal superamento del predetto limite percentuale, la disposizione non si applica quando lo scostamento è di importo inferiore a cinque milioni di lire e si applica comunque quando è superiore a cinquanta milioni di lire. Ai fini della determinazione del valore dei beni, si tiene conto del costo storico, comprensivo degli oneri accessori di diretta imputazione e degli eventuali contributi di terzi, dei beni materiali e immateriali ammortizzabili ai sensi degli articoli 67 e 68 del testo unico delle imposte sui redditi, al lordo degli ammortamenti e delle eventuali rivalutazioni nonché di quello dei beni di costo unitario non superiore ad un milione di lire; per i beni acquisiti in dipendenza di contratti di locazione finanziaria, si tiene conto del costo sostenuto dal concedente e, per quelli acquisiti in comodato ovvero in dipendenza di contratti di locazione non finanziaria, del valore normale al momento dell’immissione nell’attività. I costi relativi ai beni mobili adibiti promiscuamente all’esercizio dell’impresa ed all’uso personale o familiare dell’imprenditore si computano nella misura del 50 per cento;
- c) sono impiegati lavoratori dipendenti che non risultano iscritti nei libri da tenere ai fini della legislazione sul lavoro e per i quali è scaduto il primo termine utile per il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti, o altri addetti, diversi dai familiari di cui all’art. 5, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi che prestano attività occasionale, il cui rapporto non risulta dalle scritture contabili o da altra attendibile documentazione rinvenuta nel luogo in cui sono tenute le scritture contabili. Detta disposizione si applica a condizione che i compensi non contabilizzati, calcolati sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro ovvero, per gli addetti diversi dai lavoratori dipendenti, sulla base delle retribuzioni mensili previste dagli stessi contratti, siano complessivamente superiori al 10 per cento delle spese per prestazioni di lavoro contabilizzate nello stesso periodo nel corso del quale i lavoratori dipendenti e gli altri addetti hanno prestato l’attività. A tal fine non rilevano gli scostamenti riconducibili ad errata applicazione dei criteri di imputazione temporale, sempreché le annotazioni effettuate in violazione dei criteri di cui all’art. 75 del testo unico delle imposte sui redditi emergano dalle scritture contabili obbligatorie del periodo di imposta antecedente o successivo a quello di competenza e derivino dall’adozione di metodi costanti di impostazione contabile. Indipendentemente dal superamento del predetto limite percentuale, la disposizione non si applica quando l’ammontare complessivo dei compensi non indicati in contabilità è di importo inferiore a cinque milioni di lire e si applica comunque quando è superiore a cinquanta milioni di lire.
- 3. Le contraddizioni riscontrate ai sensi del comma 2 sono imputabili al periodo d’imposta 1995 anche se rilevate in periodi d’imposta successivi, salvo che il contribuente dimostri, in base ad elementi certi e precisi, che le stesse sono riferibili a periodi di imposta diversi dal 1995.
Art. 2 – Inattendibilità della contabilità degli esercenti arti e professioni
1. Ai medesimi fini indicati nell’art. 1, la contabilità ordinaria degli esercenti arti e professioni è considerata inattendibile quando:
- a) i valori rilevati a seguito di ispezioni o verifiche, anche parziali, compresi quelli dei beni di cui alla successiva lettera b), abbiano uno scostamento, rispetto a quelli indicati in contabilità, superiore al 10 per cento del valore complessivo delle voci interessate, a condizione che tale scostamento non sia riconducibile a errata applicazione dei criteri di imputazione temporale e sempreché le annotazioni risultino dalle scritture contabili obbligatorie del periodo d’imposta antecedente o successivo e derivino dall’adozione di metodi costanti di impostazione contabile. Indipendentemente dal superamento del menzionato limite percentuale, la disposizione non si applica quando lo scostamento è di importo inferiore a cinque milioni di lire e si applica comunque quando è superiore a cinquanta milioni di lire;
- b) non risultano indicati in alcuna delle scritture contabili o, in mancanza dell’obbligo di indicazione nelle stesse, in altra documentazione attendibile, uno o più beni strumentali, diversi dagli immobili utilizzati nell’attività – anche se non posseduti a titolo di proprietà e anche se completamente ammortizzati – il cui valore complessivo sia superiore al 10 per cento di quello di tutti i beni strumentali utilizzati, esclusi i menzionati immobili. Indipendentemente dal superamento del predetto limite percentuale, la disposizione non si applica quando lo scostamento è di importo inferiore a cinque milioni di lire e si applica comunque quando è superiore a cinquanta milioni di lire. Ai fini della determinazione del valore dei beni si tiene conto del costo storico, comprensivo degli oneri accessori di diretta imputazione, dei beni ammortizzabili ai sensi dell’art. 50, commi 2, 3 e 3-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, al lordo degli ammortamenti nonché di quello dei beni di costo unitario non superiore ad un milione di lire; per i beni acquisiti in dipendenza di contratti di locazione finanziaria, si tiene conto del costo sostenuto dal concedente e, per quelli acquisiti in comodato ovvero in dipendenza di contratti di locazione non finanziaria, del valore normale al momento dell’immissione nell’attività. Le spese relative all’acquisto di beni mobili adibiti promiscuamente all’esercizio di arte o professione ed all’uso personale o familiare dell’esercente arte o professione si computano nella misura del 50 per cento;
- c) sono impiegati lavoratori dipendenti che non risultano iscritti nei libri da tenere ai fini della legislazione sul lavoro e per i quali è scaduto il primo termine utile per il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti, o altri addetti, diversi dai familiari di cui all’art. 5, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi che prestano attività occasionale, il cui rapporto non risulta dalle scritture contabili o da altra attendibile documentazione rinvenuta nel luogo in cui sono conservate le scritture contabili dell’artista o professionista. Detta disposizione si applica a condizione che i compensi non contabilizzati, calcolati sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro ovvero, per gli addetti diversi dai lavoratori dipendenti, sulla base delle retribuzioni mensili previste dagli stessi contratti, siano complessivamente superiori al 10 per cento delle spese per prestazioni di lavoro contabilizzate nello stesso periodo nel corso del quale i lavoratori dipendenti e gli altri addetti hanno prestato l’attività. Indipendentemente dal superamento del menzionato limite percentuale, la disposizione non si applica quando l’ammontare complessivo dei compensi non indicati in contabilità è di importo inferiore a cinque milioni di lire e si applica comunque quando è superiore a cinquanta milioni di lire.
2. Le contraddizioni riscontrate ai sensi del comma 1 sono imputabili al periodo d’imposta 1995 anche se rilevate in periodi d’imposta successivi, salvo che il contribuente dimostri, in base ad elementi certi e precisi, che le stesse sono riferibili a periodi di imposta diversi dal 1995.
Art. 3 – Relazione tecnica
1. Entro il trentesimo giorno successivo alla notifica del verbale di ispezione previsto dall’art. 3, comma 181, lettera b), della legge 28 dicembre 1995, n° 549, il contribuente può esibire o trasmettere all’ufficio competente una relazione tecnica, redatta da uno dei soggetti abilitati ad apporre il visto di conformità di cui all’art. 78, comma 4, della legge 30 dicembre 1991, n° 413, nella quale può essere documentata l’eventuale riconducibilità delle irregolarità riscontrate a meri errori formali, dovuti anche all’utilizzo di procedure meccanografiche standardizzate, che non pregiudicano l’idoneità delle scritture contabili a rappresentare la effettiva realtà aziendale. Della menzionata relazione tecnica l’ufficio deve tenere conto nel corso del procedimento di cui all’art. 2-bis del decreto-legge 30 settembre 1994, n° 564, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n° 656.
Contabilità inattendibile: cosa possiamo fare per te?
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