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Prestazioni estere dei professionisti: fatturazione e tassazione

Fisco InternazionaleTassazione di redditi esteriPrestazioni estere dei professionisti: fatturazione e tassazione

Quali sono le regole che disciplinano la tassazione dei compensi dei professionisti italiani che svolgono una prestazione all'estero? Quando deve essere tassata anche in Italia la prestazione fornita da un professionista estero?

Criteri di collegamento previsti dalla normativa fiscale convenzionale per la tassazione dei redditi transfrontalieri dei professionisti tra l’art. 14 del modello OCSE ed il rimango all’art. 7 del modello che disciplina i redditi di impresa.


Quando un professionista, esercente attività di arte o professione abituale, fiscalmente residente in Italia svolge una prestazione professionale all’estero (o al contrario, quando un professionista non residente effettua prestazioni professionali in Italia), deve chiedersi quale sia il regime impositivo con quale tassare il suo compenso.

Al fine di poter determinare i corretti criteri di collegamento del reddito del professionista si rende necessario coordinare la disciplina tributaria italiana con quella Convenzionale, ove esistente. Le Convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia sono dei trattati bilaterali in cui viene ripartita la potestà impositiva dei due stati contraenti al fine di evitare (o superare) problematiche di doppia imposizione giuridica o economica dei redditi transfrontalieri. In particolare, in questo contributo voglio concentrare la mia attenzione sulla tassazione delle prestazioni estere dei professionisti italiani. Con gli stessi criteri, tuttavia, è possibile anche inquadrare la tassazione delle prestazioni svolte in Italia da parte di professionisti residenti fiscalmente all’estero.

Tassazione dei compensi legati alle prestazioni estere dei professionisti

Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, DPR n. 917/86) all’articolo 3, comma 1, afferma che sono soggetti a tassazione in Italia i redditi ovunque prodotti da parte dei soggetti ivi residenti. Si tratta del c.d. “worldwide taxation principle”, che assicura a tassazione nel Paese di residenza fiscale tutti i redditi di un soggetto, compresi quelli percepiti all’estero. Questo significa che un professionista fiscalmente residente in Italia che effettua una prestazione lavorativa all’estero, è tenuto a tassare tale prestazione in Italia. Come detto, infatti, essendo l’Italia il paese di residenza fiscale del prestatore, in tale paese deve essere assoggettato a tassazione il reddito da lui percepito, anche se di fonte estera.

Prestazione estera del professionista senza base fissa

Questo significa che, in linea generale, un professionista italiano che effettua una prestazione professionale verso un committente residente fuori dai confini nazionali deve imputare il compenso a tassazione in Italia. Oltre all’art. 3 del TUIR, il criterio di collegamento del reddito da analizzare è costituito dall’art. 23 del TUIR, secondo il quale i redditi da lavoro autonomo sono soggetti ad imposizione in Italia se l’attività è esercitata nel territorio dello Stato italiano.

Prestazione estera del professionista con base fissa

Per un professionista l’attività professionale si considera prestata nel luogo in cui questi opera, ovvero nel luogo in cui materialmente esercita l’attività professionale, come ad esempio l’ufficio o la sua base fissa. Quindi, ad esempio, un professionista italiano che si reca in Germania per svolgere una consulenza ad un suo cliente, non possedendo un ufficio o una base fissa in Germania, è tenuto a tassare il suo reddito esclusivamente in Italia. Al contrario, qualora quel professionista disponga in Germania di una base fissa o un ufficio dal quale eroga in modo stabile la sua attività professionale, tali redditi, per quanto imputabile alla base fissa tedesca devono essere assoggettati a tassazione:

  • In Germania, ovvero nello Stato della fonte del reddito;
  • In Italia, Stato di residenza fiscale del professionista.

Questo criterio di collegamento è molto importante in quanto è quello che determina la tassazione dei professionisti che effettuano prestazioni professionali all’estero. Tale criterio, indirettamente, determina anche i criteri di tassazione in Italia delle prestazioni professionali effettuate da professionisti non residenti. Infatti, qualora un professionista non fiscalmente residente in Italia operi sul territorio italiano con un ufficio o una base fissa, i redditi da questi ricavabili sono imponibili anche in Italia (oltre che nel suo Paese di residenza fiscale).

Prestazioni estere dei professionisti nelle Convenzioni internazionali

Gli aspetti che hai appena visto, tuttavia, devono essere confrontati anche con quanto previsto dalla normativa sovranazionale. In particolare, faccio riferimento alle diverse Convenzioni contro le doppie imposizioni. Si tratta di accordi bilaterali aventi valenza sovranazionale stipulati tra due stati contraenti. La forza di questi accordi è confermata dall’art. 75 del DPR n. 600/1973, il quale prevede che nell’applicazione delle norme relative alle imposte sui redditi sono fatti salvi gli accordi internazionali resi esecutivi in Italia.

Art. 14 modello OCSE: redditi dei professionisti

Detto questo, analizziamo quanto previsto dall’art. 14 del modello di convenzione OCSE contro le doppie imposizioni. Tale disposizione prevede quanto segue:

Art. 14 modello OCSE – Redditi dei professionisti
i redditi che un soggetto residente di uno Stato estero ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività di carattere indipendente in Italia sono imponibili soltanto nello Stato di residenza del professionista. A meno che questi non disponga di una sede fissa stabile in Italia

Prima di tutto, andando ad analizzare l’art. 14 del modello OCSE ci dobbiamo soffermare sull’espressione “soltanto in detto Stato“. Questa locuzione, secondo il commentario allo stesso modello indica che l’unica potestà impositiva è quella dello Stato di residenza fiscale del professionista. Detto questo, l’aspetto più importante di questo articolo è che dirime la questione riguardante la territorialità delle prestazioni estere dei professionisti riguarda l’eventuale presenza (o meno) di una base fissa all’estero da parte del professionista.

In pratica i professionisti non residenti possono essere tassati in Italia solamente se dispongono nel nostro Stato di una base fissa. Per base fissa come, ad esempio, si può intendere un ufficio. In mancanza della base fissa, anche se la prestazione è stata svolta in Italia, la stessa non sconterà alcuna tassazione.

Art. 7 del modello OCSE: applicabile dopo l’abrogazione dell’art. 14

Per quanto riguarda, invece, le Convenzioni internazionali che non prevedono l’art. 14 (in virtù della soppressione avvenuta qualche anno fa) in questi casi occorre fare riferimento all’art. 7 del modello di Convenzione che tratta gli aspetti legati alla stabile organizzazione, e l’attribuzione degli utili alle imprese.

In pratica, si assiste ad una piena assimilazione del reddito professionale al reddito di impresa, che determina un chiaro rinvio alle disposizioni dell’articolo 7 del modello relativo alla stabile organizzazione, e quindi la necessità di attribuire alla stabile organizzazione (sede fissa per i professionisti) gli utili che questa avrebbe conseguito se si fosse trattato di un’impresa distinta e separata che svolge attività identiche o analoghe in condizioni identiche o analoghe.

Che cosa si intende per “base fissa all’estero” del professionista?

Con il termine base fissa di lavoro all’estero si intende un luogo fisico che identifica chiaramente il professionista. Ad esempio, uno studio legale che ha una sede estera sarà tenuto obbligatoriamente a dichiarare i redditi dell’ufficio estero nello Stato ove esso è ubicato. In questo modo si viene a creare una doppia tassazione del reddito estero, che sarà soggetto a tassazione sia nello Stato ove è ubicata la sede fissa all’estero, sia nello Stato di residenza fiscale.

Al contrario ipotizziamo il caso di un avvocato che segue una causa internazionale di un cliente all’estero. Se l’avvocato italiano non è dotato di una base fissa in loco, non è tenuto in alcun modo pagare imposte estere per la sua prestazione professionale. Tutta la sua tassazione dei redditi (compresi quelli esteri) avverrà in Italia.

Se pensi al mondo del lavoro online sono tantissimi i professionisti che lavorano quotidianamente, anche da casa, per conto di aziende estere committenti. In questi casi se la prestazione è svolta in Italia e il professionista non ha sede fissa all’estero, la tassazione del relativo reddito deve avvenire in Italia.

Come regolare la doppia imposizione giuridica del reddito del professionista con base fissa all’estero?

Abbiamo detto che il professionista dotato di base fissa all’estero è soggetto ad una doppia imposizione del reddito percepito. Questo sia nello Stato ove è situata la base fissa di lavoro all’estero, sia nello Stato di residenza fiscale.

Questo fenomeno di doppia imposizione giuridica del reddito viene attenuato attraverso l’applicazione del credito per imposte estere. Infatti, l’importo delle imposte pagate all’estero divenute definitive, ovvero non più emendabili, può essere portato a riduzione dell’imposta dovuta in Italia sul reddito complessivo del professionista. Questo è quanto previsto dall’art. 23 del Modello OCSE che dall’art. 165 del TUIR.

Naturalmente, deve trattarsi di reddito imponibile IRPEF. Nel caso del professionista che opera con regimi fiscali di vantaggio, ad esempio in Regime Forfettario, l’imposta sostitutiva a cui è soggetto, non essendo inserita tra le imposte comprese nelle convenzioni internazionali, non consente la fruizione del credito per imposte estere.

Tassazione del professionista italiano che effettua una prestazione professionale all’estero

Secondo quanto indicato sino ad ora, quindi, il professionista italiano che effettua una prestazione all’estero è chiamato a verificare se c’è o meno la presenza di una base fissa all’estero. Senza la presenza di una base fissa all’estero ci sarà l’applicazione di una eventuale ritenuta di imposta estera (c.d. “withholding tax“).

Si tratta di una ritenuta fiscale applicabile sui compensi transfrontalieri in uscita dallo Stato in cui è situato il committente della prestazione professionale. Tale ritenuta è applicabile in misura piena, oppure ridotta, nel caso in cui tra l’Italia e il Paese estero sia stata siglata una Convenzione contro le doppie imposizioni, che prevede solitamente l’applicazione di aliquote ridotte.

Mentre, se la convenzione esiste, o se questa riporta la tassazione nel Paese di percepimento del reddito solo in presenza di base fissa, si dovrà verificare questo aspetto. Senza una base fissa, per il professionista, non ci sarà alcuna tassazione all’estero. Il compenso, in questo caso, come già detto, deve essere assoggettato a tassazione esclusivamente in Italia. Qualora lo Stato estero decida di applicare la ritenuta in uscita sui compensi del professionista questa non potrà essere portata a credito nello Stato di residenza, in quanto viene a mancare il requisito della definitività dell’imposta. Pertanto, tale ritenuta dovrà, eventualmente, essere chiesta a rimborso all’autorità fiscale dello Stato estero, in relazione alla richiesta di applicazione della normativa convenzionale tra i due Stati coinvolti.

Per approfondire: “Ritenuta estera del professionista a rimborso“.

Tassazione del professionista non residente che svolge prestazione professionale in Italia

Vediamo adesso come affrontare la tassazione di un professionista estero che si trova a lavorare in Italia. Riepilogando, per comprendere la modalità di tassazione del professionista non residente (può trattarsi anche di un soggetto italiano che ha acquisito la residenza in un Paese straniero, iscrivendosi regolarmente all’AIRE), che esercita un’attività professionale in Italia. In questo scenario devono risolversi le seguenti problematiche:

  • Effetti dell’articolo 23 del DPR n. 917/86 – Se non vi è una convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra l’Italia e il Paese di residenza del professionista, in questo caso il professionista estero è tassato in Italia, in quanto ivi è svolta la prestazione. La tassazione è una ritenuta fiscale del 30%, ai sensi dell’articolo 25 del DPR n. 600/1973;
  • Configurazione della base fissa – Se espressamente specificato nella convenzione contro le doppie imposizioni, il professionista è tassato in Italia soltanto se ivi ha ubicato una base fissa (ufficio). In questo caso si applica la ritenuta del 20%, ma il professionista dovrà essere in grado di documentare quanti dei suoi redditi derivano dalla base fissa italiana.

Da queste regole possiamo affermare anche che nel caso in cui l’attività professionale di un soggetto estero sia svolta in maniera soltanto occasionale in Italia, la stessa risulterà tassabile soltanto nel Paese di residenza del professionista. Ovviamente la Convenzione trova applicazione anche nei confronti dei professionisti residenti in Italia che svolgono attività professionale all’estero. In assenza di base fissa nel paese estero, la tassazione avverrà esclusivamente in Italia. Dunque sul piano pratico è sufficiente traslare le considerazioni svolte in precedenza per comprendere come dette prestazioni sono tassate (e se sono tassate) all’estero.

Ritenuta del 20% per il professionista estero con base fissa in Italia

Con la Risoluzione n. 154/E/2009, relativa al trattamento fiscale dei compensi percepiti in Italia dalla base fissa di una società professionale estera, l’Agenzia delle Entrate, richiamando la precedente Risoluzione n. 80/2007, ha dapprima affermato che sui suddetti compensi grava la ritenuta d’acconto del 20% ai sensi dell’art. 25 comma 1 del DPR n. 600/73, benché la norma si riferisca ai redditi di lavoro autonomo corrisposti a soggetti residenti. Questo, deriva dal fatto che la presenza di una base fissa indica che il professionista non residente ha raggiunto un livello di penetrazione economica nel territorio italiano tale da renderlo equiparabile ad un residente.

In un secondo momento, tuttavia, la Risoluzione n. 154/E/2009 ha specificato che, nei casi di compensi prodotti per il tramite di una base fissa, non opera l’esclusione dalla ritenuta a titolo d’imposta del 30% prevista dalla seconda parte dell’art. 25 comma 2 per i compensi corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, in quanto tale esclusione riguarderebbe le sole “stabili organizzazioni”, e non quindi le “basi fisse”. Tale interpretazione aveva fatto sorgere il dubbio circa il corretto trattamento da applicare al caso dei compensi percepiti da base fissa in Italia da non residenti. Tuttavia, la Risposta ad interpello n. 429/E/2019 ha superato le perplessità in favore della ritenuta a titolo d’acconto del 20%, in virtù dell’equiparazione del reddito prodotto da base fissa a quello prodotto dal professionista residente.

Professionista estero senza base fissa in Italia e tassazione tramite ritenuta

Abbiamo visto che per le prestazioni professionali soggette a tassazione in Italia (ex. articolo 23, o al configurarsi di una base fissa), da parte di professionisti non residenti sono soggette ad una ritenuta a titolo di imposta del 30%. Ritenuta che il soggetto erogante il compenso deve trattenere e versare allo Stato italiano. Questa disciplina è stabilita dall’articolo 25, comma 2 del DPR n. 600/1973, secondo il quale:

Art. 25, co. 2 DPR n. 600/73 – Ritenuta 30%
se i compensi […] sono corrisposti a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30% [..] ne sono esclusi i compensi per prestazioni di lavoro autonomo effettuate all’estero e quelli corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti”

Procedura di tassazione in Italia del professionista non residente

Riassumendo, è possibile giungere alle seguenti alternative:

  1. Il professionista residente in uno stato estero che ha siglato una Convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia. Il professionista che effettua una prestazione professionale in Italia senza una base fissa, non è soggetto a tassazione in Italia, quindi la ritenuta del 30% non si applica;
  2. Il professionista residente in uno stato estero che ha siglato una Convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia. Il professionista che effettua una prestazione professionale in Italia con una base fissa, la ritenuta del 20% deve essere applicata;
  3. Infine, il professionista residente in uno stato estero che non ha siglato una Convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia. Il professionista che effettua una prestazione professionale in Italia è soggetto a tassazione nel nostro Paese. Questo ai sensi dell’articolo 23 del DPR n. 917/86, ed anche in questo caso la ritenuta del 30% trova applicazione.

In pratica, per i Paesi con cui esiste una Convenzione contro le doppie imposizioni, in assenza di base fissa in Italia è dunque pacifico che la ritenuta del 30%. Questo di cui al richiamato articolo 25 del DPR n. 600/73 non deve essere operata.

Tabella riassuntiva: applicazione della ritenuta in uscita in Italia verso professionisti esteri

Riassumendo, è possibile giungere alle seguenti alternative indicate nella seguente tabella.

FATTISPECIERITENUTA APPLICATA
Professionista residente in uno stato estero che ha siglato una convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia che effettua una prestazione professionale in Italia senza una base fissaRitenuta a titolo di imposta del 30%
Professionista residente in uno stato estero che ha siglato una convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia che effettua una prestazione professionale in Italia con una base fissaRitenuta a titolo di imposta del 20%
Professionista residente in uno stato estero che non ha siglato una convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia che effettua una prestazione professionale in ItaliaRitenuta a titolo di imposta del 30%

Adempimenti del committente italiano su prestazioni estere dei professionisti svolte in Italia

Nel caso in cui un soggetto committente italiano si trovi di fronte ad una prestazione professionale estera dovrà comportarsi in maniera tale da evitare contestazioni future da parte dell’Amministrazione finanziaria. In pratica, il sostituto è chiamato a farsi consegnare un attestato dell’autorità fiscale straniera certificante l’esistenza delle condizioni richieste ai fini dell’applicazione del regime convenzionale, ovvero la residenza fiscale nello Stato estero e l’imponibilità in tale Stato dei redditi a questo imputabili.

In tal modo, il committente italiano è esonerato dall’adempimento e non opera nessuna ritenuta in relazione alle prestazioni professionali ricevute. Inoltre, appare opportuno farsi rilasciare dal professionista straniero una dichiarazione relativa al periodo di complessiva permanenza in Italia nell’anno solare, nonché la dichiarazione di non possedere in Italia una stabile organizzazione o base fissa, onde escludere in maniera categorica l’attrazione alla tassazione in Italia.

Tale documentazione è indispensabile in quanto il sostituto italiano, in sede di elaborazione degli adempimenti fiscali, è tenuto ad illustrare il comportamento assunto. Se eventualmente la ritenuta operata dovesse essere operata e comunque in capo al professionista si configurano le condizioni di tassazione soltanto all’estero, è possibile chiedere il rimborso della ritenuta subita entro 48 mesi.

Come internazionalizzare l’attività professionale all’estero

Stanti le considerazioni fatte sinora, viene da chiedersi se ai fini fiscali per un professionista estero che vuole operare in Italia (o al contrario un professionista italiano che voglia operare all’estero), sia più conveniente dotarsi di una stabile organizzazione oppure aprire una società di diritto locale in loco.

Proviamo a chiarirci le idee con un esempio. Poniamo che uno studio professionale di consulenza italiano decida di operare in uno Stato estero attraverso una società di diritto locale per erogare consulenze locali. Tale scelta consente allo studio italiano di separare la propria attività ed anche la propria responsabilità tributaria nello stato estero. I redditi relativi all’attività professionale svolta con lo studio italiano sono imponibili in Italia, mentre quelli prodotti dallo studio estero solo all’estero. Si potrebbe ottenere un vantaggio qualora l’imposta relativa ai redditi prodotti all’estero sia più bassa rispetto a quella che avrebbe applicato l’Italia.

Se tale studio avesse, invece, semplicemente aperto un ufficio in loco, lo stesso avrebbe costituito una stabile organizzazione che avrebbe scontato l’imposta locale. Tale stabile organizzazione, tuttavia, sarebbe stata tassata anche in Italia nell’ambito dell’associazione professionale e quindi per trasparenza in capo ai soci. In pratica, possiamo dire che l’utilizzo di una società di diritto locale in luogo della stabile organizzazione permette di sterilizzare la tassazione, limitandola al prelievo estero.

Disciplina previdenziale delle prestazioni estere dei professionisti

Per capire la disciplina previdenziale dei redditi percepiti all’estero da un professionista residente fiscalmente in Italia, occorre andare a verificare cosa prevede la regolamentazione internazionale di sicurezza sociale. Ed in particolare con la Regolamentazione 883/2004 vigente dal primo maggio 2010 nei rapporti tra gli Stati della UE. Tale normativa è improntata ad alcuni principi ispiratori fondamentali, uno dei quali è il principio dell’Unicità della legislazione applicabile ad un medesimo soggetto.

Disciplina che individua la legislazione applicabile nei casi in cui un lavoratore autonomo sia già soggetto alla legislazione di sicurezza sociale di un altro Paese membro, oppure svolga la propria attività lavorativa contemporaneamente in due o più Stati membri. A tale proposito, la Regolamentazione comunitaria fissa quale principio generale in materia di legislazione applicabile per i lavoratori autonomi, quello della Territorialità ovvero della “lex loci laboris“, secondo cui:

i lavoratori occupati nel territorio di uno Stato membro sono soggetti alla legislazione di tale Stato, salve le eccezioni disciplinate dagli articoli 12 e 13 del Regolamento CE n. 883/2004 per i casi di  esercizio di attività lavorativa in più Stati

In applicazione dei principi di Unicità e di Territorialità, i richiamati articoli 12 e 13 prevedono che qualora il lavoratore autonomo eserciti la sua attività in più Stati, la legislazione di sicurezza sociale a lui applicabile sarà quella dello Stato di residenza fiscale. La residenza fiscale è quella determinata ai sensi dell’articolo 2, comma 2 del DPR n. 917/86. Articolo da leggere in combinato disposto con l’articolo 4, comma 1 del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni. Diversamente, il lavoratore sarà soggetto alla legislazione previdenziale dello Stato membro in cui si trova il centro dei suoi interessi.

Casi pratici di situazioni dubbie risolte dall’INPS

Vediamo di seguito alcune fattispecie dubbie su cui l’INPS ha espresso un parere.

Lavoratore dipendente in Italia e lavoro autonomo all’estero

Il lavoratore dipendente in Italia che, contemporaneamente, esercita un’attività considerata di lavoro autonomo in uno o più Stati membri, è tenuto a iscriversi alla Gestione separata INPS. Tale obbligo sorge a condizione che l’attività di arte o professione abituale rientri tra le attività che per l’INPS hanno l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata (vedi ad esempio il caso di amministratore di società all’estero). L’obbligo di iscrizione alla Gestione separata INPS si ha anche in caso di lavoratore italiano che operi come subordinato con contemporanea presenza di partita Iva con attività esercitata anche all’estero.

Lavoratore dipendente ed autonomo con attività in Italia ed all’estero

Lavoratore dipendente esercita in Italia anche un’attività professionale (con iscrizione alla Gestione Separata) e, contemporaneamente, esercita un’attività professionale in altro Stato membro. Nel caso il lavoratore è chiamato, comunque, ad essere assicurato in Italia. Questo in quanto in Italia vi esercita l’attività di lavoro subordinato. Inoltre, il lavoratore deve assoggettare alla contribuzione previdenziale il reddito derivante dall’attività professionale svolta all’estero. Inoltre, il lavoratore dipendente che esercita contemporaneamente un’attività professionale in uno Stato membro è chiamato, comunque, ad essere assicurato in Italia e iscriversi altresì alla Gestione separata quale libero professionista.

Lavoratore con obbligo contributivo estero che svolge attività in Italia

Quando il lavoratore deve essere assoggettato alla legislazione di un altro Stato (senza obblighi di versamento contributivo in Italia) anche qualora eserciti un’attività che in Italia comporti l’iscrizione alla Gestione separata, potrebbero verificarsi due ipotesi. La prima riguarda il lavoratore subordinato in uno Stato membro che svolga contemporaneamente attività di libero professionista iscritto alla Gestione separata in Italia. In tal caso deve essere assoggettato unicamente alla legislazione dello Stato estero in cui è dipendente. Anche il lavoratore subordinato che svolge l’attività di amministratore in Italia deve essere comunque assoggettato alla legislazione estera. Quindi, nel caso sia stata presentata denuncia UniEmens e pagata la contribuzione alla Gestione separata, l’azienda non è chiamata ad effettuare alcuna variazione alle denunce inviate. La contribuzione deve, nel caso, essere gestita d’ufficio.

Consulenza fiscale online

Se hai letto questo articolo e ti stai rendendo conto che necessiti dell’analisi della tua situazione personale, ti invito a contattarci attraverso il form di cui al link seguente. Riceverai il preventivo per una consulenza personalizzata in grado di risolvere i tuoi dubbi sull’argomento. Soltanto in questo modo, infatti, potrai essere sicuro di evitare di commettere errori, che in futuro possono esserti contestati e quindi sanzionati.

Domande frequenti

Quali sono le imposte da pagare su un compenso ricevuto per un lavoro svolto all’estero?

Le imposte da pagare su un compenso ricevuto per un lavoro svolto all’estero dipendono da diversi fattori, tra cui:
Residenza del professionista: Se è residente in Italia, il compenso sarà tassato in Italia. Indipendentemente dal luogo in cui è stato svolto il lavoro.
Luogo di svolgimento del lavoro: Se è stato svolto in un paese con cui l’Italia ha una convenzione contro le doppie imposizioni, il professionista potrebbe beneficiare di una riduzione o esenzione dalle imposte nel paese in cui ha lavorato.
Tipologia di prestazione: Le imposte possono variare a seconda che la prestazione sia considerata un lavoro autonomo o dipendente.

Quali sono gli adempimenti fiscali che un professionista italiano deve assolvere se lavora all’estero?

Gli adempimenti fiscali che un professionista italiano deve assolvere se lavora all’estero dipendono da diversi fattori, tra cui:
Residenza del professionista: Se il professionista è residente in Italia, deve presentare la dichiarazione dei redditi in Italia e includere il compenso ricevuto per il lavoro svolto all’estero.
Luogo di svolgimento del lavoro: Se il lavoro è stato svolto in un paese con cui l’Italia ha una convenzione contro le doppie imposizioni, il professionista potrebbe dover presentare una dichiarazione dei redditi anche nel paese in cui ha lavorato.
Tipologia di prestazione: Gli adempimenti fiscali possono variare a seconda che la prestazione sia considerata un lavoro autonomo o dipendente.

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