HomeFisco InternazionaleTassazione di redditi esteriRitenuta estera del professionista a rimborso

Ritenuta estera del professionista a rimborso

Il professionista residente che effettua una prestazione professionale all’estero subendo l’applicazione di una ritenuta sul proprio compenso, applicata dal committente non residente, non ha la possibilità di portare a credito tale ritenuta in Italia. Lo scomputo della stessa dal reddito nazionale è possibile solo nel caso in cui il professionista disponga di una base fissa all’estero (stabile organizzazione).


Uno degli aspetti che si realizzano con frequenza nel mondo dei lavoratori autonomi è l’esercizio di un’attività per conto di un committente estero. Immagina, ad esempio, il caso di un un ingegnere, un avvocato, un geometra o un consulente aziendale che si trova a dover svolgere una prestazione professionale fuori dal territorio nazionale per conto di un committente estero. In particolare, immagina che tale prestazione venga svolta nello Stato estero del committente. In questo territorio il professionista non ha alcuna sede fissa di affari.

Ebbene, in questo caso, lo Stato estero può prevedere l’applicazione di una ritenuta in uscita (“withholding tax“) sul compenso del professionista. Tale ritenuta non può essere portata in deduzione dalle imposte dovute in Italia da parte del professionista. Infatti, il professionista residente non dotato di base fissa d’affari all’estero inciso dalla ritenuta è tenuto a presentare rimborso della stessa all’autorità fiscale estera. A chiarire questa procedura è stata l’Agenzia delle Entrate con alcuni documenti di prassi, tra cui la Risoluzione n. 277/E/2008, seguita poi dalla Circolare n. 9/E/2015, ed anche dalla Risposta ad interpello n. 23/E/2019. Dopo aver analizzato il tema in dettaglio in questo articolo: “Prestazioni estere dei professionisti: fatturazione e tassazione“, vediamo, di seguito, come gestire le ritenute estere subite dai professionisti residenti in Italia.

Ritenuta estera su prestazioni professionali svolte all’estero senza base fissa

L’applicazione di ritenute in uscita per professionisti italiani che operano all’estero è da sempre una questione problematica. Le imposte trattenute in Stati esteri, se non riconducibili ad una base fissa (stabile organizzazione), non possono essere detratte dalle imposte italiane. Sostanzialmente, le ritenute estere trattenute sul compenso del professionista non concorrono alla formazione del credito per imposte estere, disciplinato dall’art. 24 del modello OCSE e dall’articolo 165 del TUIR (per quanto riguarda la normativa interna).

Questa è la regola generale da rispettare. Se non vi è una base fissa (o stabile organizzazione) estera l’imposta trattenuta all’estero non può formare credito in Italia. Per la definizione di base fissa o stabile organizzazione del professionista occorre fare riferimento a quanto disposto dalla Convenzione contro le doppie imposizioni siglata con lo Stato estero (il riferimento è all’art. 5 del modello di Convenzione OCSE).

Il caso analizzato dall’Agenzia delle Entrate

La fattispecie, sul tema, analizzata dall’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 23/E/2019 riguarda una società italiana che ha prestato servizi ingegneristici per un soggetto estero. Si tratta di un committente albanese per il quale la società ha effettuato disegni e consulenza ed assistenza tecnica il loco. Il tutto per l’obiettivo della costruzione di un hotel. In dettaglio, la predisposizione dei disegni è stata svolta interamente in Italia. Al contrario, l’assistenza prevedeva, evidentemente, la presenza di personale della società italiana in loco.

Sui compensi percepiti lo Stato della fonte ha prelevato una ritenuta a titolo di imposta del 15%. L’obiettivo è quello di capire se per questa ritenuta l’azienda prestatrice italiana può godere del credito di imposta per redditi esteri. L’Agenzia delle Entrate, nel fornire la sua risposta riprende le disposizioni generali già fornite con la Circolare n 9/E/2015 (del 5 marzo 2015). Quest’ultimo documento di concentrava sui servizi tecnici prestati:

  • In Stati senza Convenzione con l’Italia, o
  • In Stati in cui la convenzione con l’Italia prevede in modo espresso la forniture di servizi di assistenza tecnica, quale ipotesi di stabile organizzazione.

Nella risposta ad interpello n. 23/E/2019 si verte nella situazione, più semplice, dei rapporti con uno Stato (l’Albania):

  • Legato all’Italia con una Convenzione contro le doppie imposizioni (Convenzione firmata in Tirana il 12 dicembre 1994, ratificata con Legge n. 175/98);
  • La cui Convenzione è conforme al modello OCSE per quanto riguarda l’articolo 5 sulla Stabile Organizzazione. Definizione, questa, che non ricomprende, quindi, i servizi tecnici.

Articolo 7 sul reddito di impresa o art. 14 sui redditi professionali

L’articolo 14 del modello di Convenzione OCSE è quello che riguarda i criteri di collegamento per la tassazione dei redditi dei professionisti. La norma dispone il criterio generale di tassazione nello Stato di residenza del professionista a meno che questi non disponga nello Stato estero di una base fissa. Il concetto di base fissa è in qualche modo sovrapponibile al concetto di stabile organizzazione previsto per le società (art. 5 del modello OCSE). Infatti, in alcune delle ultime Convenzioni siglate dall’Italia è stato soppresso l’art. 14, facendo in modo che i compensi dei professionisti siano compresi nell’art. 7 del modello OCSE che disciplina i criteri di collegamento del reddito delle società.

Sostanzialmente, l’applicazione dell’articolo 7 della Convenzione internazionale prevede che le ritenute subite dal professionista (o azienda) italiana all’estero (in assenza di base fissa o stabile organizzazione) non siano dovuti. Questo, in quanto l’articolo 7 prevede la tassazione esclusiva del reddito d’impresa nello Stato di residenza del percipiente, se questo non ha una stabile organizzazione nello Stato della Fonte.

Occorre quindi astenersi dal detrarre l’imposta estera da quella italiana a norma dell’articolo 165 del TUIR. Questo, in quanto, si tratta di un’imposta prelevata in assenza dei relativi presupposto e quindi non dovuta. Imposta che non presenta il carattere di “irripetibilità” necessario affinché possa avvenire la sua detrazione nel quadro CE della dichiarazione italiana.

L’imposta subita, infatti, deve essere chiesta a rimborso alla stessa Amministrazione finanziaria dello Stato estero. La richiesta di rimborso avviene esclusivamente attraverso la presentazione della dichiarazione dei redditi nello Stato estero. In questo scenario il rimborso può riguardare l’intero importo della ritenuta, qualora vi sia una Convenzione in essere tra i due Paesi coinvolti che non preveda applicazione della ritenuta. Oppure, la richiesta di rimborso può riguardare la differenza tra la ritenuta applicata secondo la normativa nazionale e la minore ritenute prevista dalla normativa convenzionale.

Posizione di prassi stabile nel tempo

La soluzione legata alla richiesta di rimborso della ritenuta estera sui compensi di imprese e professionisti italiani si presenta coerente nel tempo. L’Agenzia delle Entrate, infatti, aveva già espresso parere simile con la Risoluzione n. 277/E/2008. Il documento aveva ad oggetto le ritenute subita da un’impresa italiana in Kazakhistan per prestazioni tecniche connesse alla realizzazione di un gasdotto.

Le prestazioni erano rese senza che vi fosse una struttura qualificabile come stabile organizzazione in Kazakhistan. Nella fattispecie, poiché l’installazione necessaria alla realizzazione del gasdotto era stata smantellata dopo sette mesi, e quindi prima del termine di dodici mesi che qualifica in questi casi la presenza della stabile organizzazione in base alle Convenzioni redatte secondo lo standard usuale. In questo scenario le ritenute applicate sui compensi erogati verso la società residenti, devono essere chieste a rimborso all’autorità fiscale estera, non potendo essere portate a credito in Italia. Questo, in quanto, come detto, viene a mancare il presupposto della definitività dell’imposta (requisito indispensabile per la formazione del credito per imposte estere ex art. 24 del modello OCSE o 165 del TUIR).

Il diverso caso delle prestazioni professionali estere legate alle royalties: applicazione del credito per imposte estere

Che cosa accadrebbe se i compensi transnazionali fossero qualificabili come royalty?

La citata risposta ad interpello n. 23/E/2019 pone, poi, alcune interessanti indicazioni in merito alle conseguenze che avrebbero potuto verificarsi ove le prestazioni rese dalla società italiana fossero considerate individualmente, anziché unitariamente. Viene infatti rilevato che non rientrano nella nozione convenzionale di royalties:

  • Né i compensi per la redazione di modelli o disegni che non siano già esistenti. Nella fattispecie in commento, invece, i disegni sono svolti “ad hoc” per la realizzazione dell’hotel;
  • Né i servizi di consulenza veri e propri. Servizi non riconducibili alla cessione di informazioni riguardanti esperienze di carattere industriale, commerciale o scientifico in quanto non vi è un trasferimento di know-how al cliente.

Qualora i compensi in questione non fossero stati pattuiti nel contesto di una prestazione unitaria, sarebbero stati inquadrabili tra le royalties. Le royalties sono un elemento di reddito espressamente preso in considerazione dalla Convenzione Italia / Albania. In questo caso, la soluzione adottata dall’Agenzia delle Entrate sarebbe stata diversa. In questo caso vi sarebbe stata spettanza del credito sull’imposta non eccedente la misura convenzionale.

Conclusioni e consulenza fiscale

In questo articolo ho cercato di riepilogare le principali indicazioni utili per un’azienda o un professionista che opera senza stabile organizzazione all’estero. Se la prestazione è compiuta verso committente residente in Stato in Convenzione con l’Italia, non dovrebbe esserci ritenuta in uscita. Tuttavia, qualora il committente applichi una ritenuta in uscita sul compenso corrisposto, questo importo non potrà costituire credito per imposte estere.

L’impresa o il professionista per recuperare l’importo sono tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi nello Stato estero per ottenere il rimborso della ritenuta subita. Questo, in quanto non si tratta di ritenuta spettante. La territorialità di quel reddito, infatti, è in Italia, Stato di residenza fiscale del prestatore. A conclusioni diametralmente opposte è possibile giungere qualora si tratti di compensi sotto forma di royalty. Se desideri un dottore Commercialista che possa analizzare la tua situazione fiscale ed indicarti le migliori soluzioni, contattami!

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Federico Migliorini
Federico Migliorinihttps://fiscomania.com/federico-migliorini/
Dottore Commercialista, Tax Advisor, Revisore Legale. Aiuto imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale. La Fiscalità internazionale le convenzioni internazionali e l'internazionalizzazione di impresa sono la mia quotidianità. Continuo a studiare perché nella vita non si finisce mai di imparare. Se hai un dubbio o una questione da risolvere, contattami, troverò le risposte. Richiedi una consulenza personalizzata con me.

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