Quando una società estera può essere considerata sostituto di imposta in Italia? Una società estera con un dipendente italiano è tenuta a fare trattenute fiscali?
Scopriamo insieme quanto prevede la normativa e la risposta di prassi dell’Agenzia delle Entrate con la risposta ad interpello n. 312 del 24 luglio 2019 sulle società estere con attività in Italia.
Società estera sostituto di imposta solo con stabile organizzazione
Individuare quando una società di diritto estero può essere considerata sostituto di imposta in Italia non è mai semplice. La fattispecie si determina ogni volta che una società estera ha un lavoratore che svolgerà la propria attività lavorativa in Italia. Sul tema un importante chiarimento di prassi è arrivato con la risposta ad interpello n. 312 del 24 luglio 2019. In questo documento l’Amministrazione finanziaria ha chiarito gli obblighi di sostituzione d’imposta a carico delle società estere in caso di lavoratori presenti sul territorio italiano.
Il punto di partenza di questa analisi è che le società estere possono assumere la qualifica di sostituto di imposta in Italia solo se esse hanno in Italia una stabile organizzazione. Quindi, in tutti i casi in cui una società estera ha lavoratori in Italia in assenza di stabile organizzazione su di essa non possono gravare gli obblighi di sostituto di imposta italiano. Questo chiarimento è da accogliere sicuramente con favore:
- Sia perché è un primo chiarimento ufficiale sul tema,
- Sia perché esiste un riferimento chiaro per individuare quando vi sono obblighi fiscali in Italia da parte di società estere.
Andiamo adesso ad analizzare la fattispecie analizzata dall’Agenzia e le considerazione che se ne possono trarre.
Società estera con dipendente in Italia
Il caso esaminato dall’Agenzia è quello di una società di diritto spagnolo che ha in dipendente italiano. La società ha intenzione di aprire in Italia un ufficio di rappresentanza. Questa struttura, comunque, non avrebbe natura di stabile organizzazione in base a quanto disposto:
- Dall’articolo 162 del TUIR;
- Dall’articolo 5 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Spagna.
La domanda che si pone l’istante è se un ufficio di rappresentanza è idoneo a rappresentare una fattispecie di sostituto di imposta in Italia. Sul punto l’opinione espressa dall’Agenzia delle Entrate è stata in linea ed in continuità con la Circolare Ministeriale n 326 del 23 dicembre 1997 (§ 3.1). L’opinione è quella che:
Questo parere assume particolare importanza. Infatti, tale orientamento supera il principio di diritto n. 8 del 12 febbraio 2019. Quest’ultimo documento aveva, infatti, preso in considerazione la situazione di una società non residente senza stabile organizzazione italiana, proprietaria di alcuni immobili in Italia. Il documento concludeva nel senso per cui essa doveva considerarsi sostituto d’imposta.
La qualifica di sostituto di imposta per le società non residenti
Il punto di tutte queste analisi, così come richiamato dalla risposta ad interpello n .312/19, è la qualifica di sostituto d’imposta. Ai sensi dell’art. 23 del DPR n. 600/73 sono considerati sostituto di imposta gli:
La norma, se interpretata in modo letterale, farebbe gravare gli obblighi in questione su tutte le società ed enti non residenti. In questo senso andrebbero, sempre con un’interpretazione letterale, le istruzioni al modello 770, le quali menzionano, tra i soggetti tenuti all’adempimento, le “società ed enti di ogni tipo (…) non residenti nel territorio dello Stato”.
Società estere sostituto d’imposta solo con obbligo di dichiarazione in Italia (parere precedente)
In passato l’Amministrazione finanziaria ha, tuttavia, circoscritto gli obblighi, oltre che alle stabili organizzazioni, alle società estere tenute alla presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia (R.M. n. 649 dell’8 luglio 1980). Questa pare essere, peraltro, la motivazione che sta alla base del principio di diritto n. 8/2019, pur se non resa esplicita.
La società non residente proprietaria di immobili, infatti, è tenuta a presentare la dichiarazione dei redditi per i redditi fondiari degli immobili stessi, imponibili in Italia a norma dell’art. 23 comma 1 lettera a) del TUIR (che definisce i criteri di collegamento del reddito). Questo fatto “attrarrebbe” a sé gli obblighi di presentazione del 770 (così come, a monte, gli adempimenti propedeutici, rappresentati dal prelievo delle ritenute e dalla certificazione ai percipienti dei redditi corrisposti).
Con la risposta all’interpello n. 312/2019 si tornerebbe invece, come detto, all’impostazione sostenuta nella C.M. n. 326 del 23 dicembre 1997 (§ 3.1), nella quale vengono menzionate le sole stabili organizzazioni. Vero è che un possibile punto d’incontro tra il nuovo documento e il principio di diritto n. 8/2019 potrebbe essere rappresentato dal fatto che, nella situazione esaminata (società estere spagnole con una struttura italiana non qualificabile come stabile organizzazione) non dovrebbero esservi obblighi di dichiarazione in Italia (e, quindi, il fatto che la società spagnola non sia considerata sostituto d’imposta potrebbe essere giustificabile con l’assenza di obblighi di presentazione della dichiarazione).
Tuttavia, il riferimento espresso al fatto che la veste di sostituto d’imposta non è tale in virtù dell’assenza della stabile organizzazione dovrebbe essere interpretato quale un superamento del contenuto del principio di diritto n. 8/2019 a favore di criteri – quelli della risposta n. 312/2019 – molto più oggettivi e razionali. Deve essere da ultimo ricordato che, se la società non riveste la qualifica di sostituto d’imposta, oltre a non essere tenuta ad operare le ritenute sui redditi di lavoro dipendente (art. 23 del DPR n. 600/73), essa non opera le ritenute sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, sui redditi di lavoro autonomo, sulle provvigioni ecc. (artt. 24 e seguenti del DPR n. 600/73). I percipienti (nel caso specifico, il lavoratore dipendente) devono quindi assolvere le imposte in autoliquidazione con la dichiarazione dei redditi.
Una società estera può avere dipendenti in Italia senza individuare una stabile organizzazione?
La posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate in ordine agli obblighi della società estera ad effettuare gli adempimenti di sostituto di imposta solo al verificarsi di una fattispecie di stabile organizzazione deve essere conciliato con l’attuale situazione lavorativa. In particolare, mi riferisco a fattispecie come lo smart working, dove lavoratori dall’estero vengono a lavorare in Italia mantenendo il contratto di lavoro estero. In questo caso, occorre verificare se l’azienda estera configuri stabile organizzazione in Italia e quindi sia obbligata a fungere da sostituto di imposta per il lavoratore dipendente che svolge la propria attività lavorativa in Italia.
Il tema è sicuramente complesso, ed anche in questo caso, per la prima volta è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 33 del 28 dicembre 2020. In questo documento, in relazione all’agevolazione per i lavoratori impatriati in Italia ha chiarito che, la fattispecie in cui un lavoratore impatria in Italia e mantiene un contratto di lavoro estero potrebbe configurare un’ipotesi di stabile organizzazione personale del lavoratore per l’azienda estera (ex art. 162 del TUIR).
Di fatto, l’Amministrazione finanziaria, ci indica che non gradisce situazioni in cui un’azienda estera fa lavorare in Italia dei lavoratori attraverso un contratto di lavoro estero. In determinate fattispecie, tali lavoratori presenti in Italia possono configurare ipotesi di stabile organizzazione in Italia del datore di lavoro non residente. L’Agenzia, nel documento in commento, non ha chiarito quali siano le principali fattispecie di stabile organizzazione del lavoratore, ma possiamo provare ad individuare alcune ipotesi. Ad esempio:
- La possibilità, per il lavoratore, di influenzare le scelte gestionali dell’azienda. Sostanzialmente, facendo riferimento al trasferimento di un top manager della società;
- L’attività prevalentemente nell’ambito commerciale del lavoratore dipendente, attraverso la chiusura di contratti per conto dell’azienda;
- La non messa a disposizione da parte del datore di lavoro non residente di un ufficio stabile nella sede estera per il lavoratore residente in Italia. Sostanzialmente, questa posizione deriva dal commentario al modello di Convenzione OCSE, aggiornato al 2020, il quale individua stabile organizzazione il lavoratore che si trova in Italia in quanto il datore di lavoro non mette a disposizione un ufficio nel Paese ove è stato stipulato il contratto di lavoro.
Sicuramente questi sono soltanto esempi di possibili fattispecie di stabile organizzazione, ma sono tutti quelli possibili. Per il momento l’Amministrazione finanziaria non ha comunicato come farà i controlli e quali aspetti andrà ad attenzionare, lasciando la situazione aperta ed incerta. In ogni caso il consiglio non può che essere quello di fare attenzione e concordare con l’azienda possibili soluzioni che possono prevenire questo tipo di accertamenti.
Quali soluzioni per l’azienda estera che ha lavoratori in Italia?
L’azienda estera non residente che ha lavoratori che prestano la propria attività lavorativa in Italia deve individuare la soluzione migliore per superare la problematica legata ad una stabile organizzazione occulta in Italia. In particolare, le soluzioni possibili che possiamo individuare sono le seguenti:
- L’emersione e la costituzione della stabile organizzazione in Italia dell’azienda estera. In questo modo si regolarizza la situazione prima di un possibile accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, con la stabile organizzazione che funge da sostituto di imposta in Italia per il lavoratore dipendente;
- L’utilizzo di società di payroll. Si tratta di società di servizi HR che possono assumere direttamente il lavoratore dipendente, fatturando il costo del lavoratore ed il loro servizio direttamente all’azienda non residente. In questo modo il lavoratore avrebbe a tutti gli effetti un contratto di lavoro italiano superando le problematiche di stabile organizzazione per l’azienda estera.
In alcuni casi è ipotizzabile anche pensare a fattispecie temporanee come la nomina di un rappresentante previdenziale e/o fiscale in Italia. In ogni caso è importante confrontarsi sempre con un dottore Commercialista esperto per individuare la migliore soluzione possibile al caso concreto.
Per approfondire: “Lavoro in Italia per azienda estera: le possibilità“.
Conclusioni e consulenza fiscalità internazionale
Che cosa possiamo concludere? Quando una società estera è sostituto d’imposta in Italia?
Le società estere assumono la qualifica di sostituto d’imposta in Italia, possiamo riassumere, quando alternativamente:
- Sono dotate di una stabile organizzazione in Italia, ai sensi dell’articolo 162 del TUR o ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni;
- Hanno l’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia. Vedi il caso della società estera che detiene un immobile in Italia. Società che deve dichiarare in Italia il relativo reddito fondiario dell’immobile (articolo 23, comma 1, lettera a) del TUIR).
In assenza di uno di questi requisiti è possibile concludere che la società estera non abbia obblighi di effettuare trattenute fiscali in Italia, per:
- Redditi da lavoro dipendente e assimilati;
- Redditi da lavoro autonomo.
Inoltre, quando la società non residente si trova di fronte alla possibilità in cui un proprio lavoratore svolgere l’attività dall’Italia, occorre individuare se la presenza stabile di quel lavoratore possa rappresentare una stabile organizzazione per l’azienda. In questi casi occorre individuare come risolvere la situazione, anche in relazione ai controlli che effettuerà l’Agenzia delle Entrate su questo tipo di fattispecie.
Se hai letto questo articolo e ti stai rendendo conto che necessiti dell’analisi della tua situazione personale, ti invito a contattarci attraverso il form di cui al link seguente. Riceverai il preventivo per una consulenza personalizzata in grado di risolvere i tuoi dubbi sull’argomento. Soltanto in questo modo, infatti, potrai essere sicuro di evitare di commettere errori, che in futuro possono esserti contestati e quindi sanzionati.