Bonus impatriati non richiesto: come recuperare gli anni persi

HomeFiscalità InternazionaleAgevolazioni fiscali per impatrio in ItaliaBonus impatriati non richiesto: come recuperare gli anni persi
Ti sei accordo di essere in possesso dei requisiti dell’agevolazione impatriati ma non l’hai mai attivata? Scopri come recuperare con dichiarazione integrativa gli anni passati.

Sei rientrato in Italia dopo anni di lavoro all’estero, ma non hai mai attivato l’agevolazione fiscale per i lavoratori impatriati? La domanda che probabilmente ti stai facendo è se puoi ancora rimediare e recuperare le maggiori imposte versate in questi anni. La risposta è positiva, ma con alcune importanti condizioni da verificare attentamente. Negli ultimi mesi la giurisprudenza ha aperto nuove opportunità per chi si trova in questa situazione, grazie a una serie di sentenze della Corte di Cassazione che hanno ribaltato l’orientamento restrittivo dell’Agenzia delle Entrate. Questo significa che oggi è possibile presentare dichiarazioni integrative per gli anni dal 2020 al 2024 e ottenere il rimborso delle imposte pagate in eccesso, a condizione di dimostrare il possesso dei requisiti sostanziali previsti dalla norma.

Ma non è tutto: se hai acquistato un immobile residenziale in Italia entro il periodo agevolato (per i rientri fino al 2023), puoi accedere in modo automatico a una proroga quinquennale che estende i benefici fiscali, senza dover presentare alcuna domanda o versare contributi aggiuntivi.

Il discrimine temporale del rientro in Italia

Prima di addentrarci nelle modalità operative di recupero, è fondamentale comprendere quale regime ti si applica in base alla data del tuo rientro in Italia. Il legislatore ha infatti creato tre diverse casistiche con regole profondamente differenti, e posizionarti correttamente in una di queste è il primo passo indispensabile per capire quali opportunità hai a disposizione.

​Trasferimento della residenza in Italia dopo il 30 aprile 2019 ed entro il 31 dicembre 2023

Se hai trasferito la residenza fiscale in Italia dopo il 30 aprile 2019 ed entro il 31 dicembre 2023, ti trovi nella posizione più favorevole. Continui infatti ad applicare integralmente il vecchio regime dell’articolo 16 del Decreto Legislativo 147 del 2015, quello più generoso sia in termini di percentuale di reddito escluso da tassazione sia per le possibilità di proroga. In questo caso la proroga quinquennale è completamente automatica e gratuita al verificarsi delle condizioni che vedremo più avanti, senza necessità di opzioni formali o versamenti di alcun tipo. Questa è la categoria su cui ci concentreremo in modo particolare, perché rappresenta il bacino più ampio di contribuenti che potrebbero aver perso l’opportunità di attivare l’agevolazione al momento opportuno.

​Rientro prima del 30 aprile 2019

Chi invece è rientrato prima del 30 aprile 2019 e già beneficiava del regime al 31 dicembre 2019 si trova in una posizione diversa. Per questi contribuenti la proroga quinquennale era possibile ma richiedeva un’opzione formale da esercitare entro il 30 giugno dell’anno successivo alla scadenza del primo quinquennio, accompagnata dal versamento di un’imposta sostitutiva pari al 10% o al 5% dei redditi agevolati a seconda della situazione familiare. La scadenza per questa categoria è ormai trascorsa nel giugno 2024, rendendo non più accessibile la proroga per chi non ha esercitato l’opzione nei termini previsti.

​Trasferimenti di residenza dal 2024

Completamente diversa è invece la situazione per chi ha trasferito la residenza in Italia dal primo gennaio 2024 in poi. Questi contribuenti rientrano nel nuovo regime molto più restrittivo introdotto dal Decreto Legislativo 209 del 2023 (art. 5), caratterizzato da requisiti di accesso più stringenti, durata limitata a soli cinque anni senza possibilità di proroga, e un imponibile ridotto solo del 50% invece che del 70% o 90% previsto dal vecchio regime. Per questi ultimi le considerazioni che seguiranno non sono applicabili, essendo sottoposti a una disciplina completamente rinnovata.

Per approfondire:

Il nodo del collegamento funzionale tra rientro e lavoro

Uno degli ostacoli più insidiosi per chi vuole recuperare l’agevolazione per gli anni passati è rappresentato dal cosiddetto collegamento funzionale tra il momento del rientro in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa sul territorio nazionale. Questo requisito, che non compare esplicitamente nella norma ma è stato introdotto dall’Agenzia delle Entrate attraverso successive circolari interpretative, ha l’obiettivo di evitare che possano beneficiare dell’agevolazione persone rientrate in Italia per motivi diversi dal lavoro, come ad esempio studenti che terminano un ciclo di studi all’estero e solo successivamente iniziano un’attività lavorativa nel nostro Paese.​

La Circolare 17 del 2017 e la successiva Circolare 33 del 2020 hanno precisato che deve esistere un collegamento stretto tra la decisione di trasferire la residenza in Italia e l’avvio dell’attività lavorativa. Nella prassi applicativa, l’Agenzia tende a contestare l’agevolazione quando tra la data di rientro e quella di inizio del rapporto di lavoro intercorre un periodo significativo, ritenendo che in questi casi manchi la prova che il trasferimento sia stato motivato proprio dall’opportunità lavorativa. Questo approccio ha generato numerosi contenziosi, con esiti contrastanti presso le diverse Commissioni Tributarie provinciali e regionali.​

La questione si complica ulteriormente per i lavoratori dipendenti, per i quali l’Agenzia richiede idealmente la presenza di un impegno scritto del datore di lavoro che dimostri che il rientro era finalizzato specificamente a quella posizione. Quando un contribuente rientra in Italia e inizia a lavorare dopo alcune settimane o mesi, senza poter esibire una lettera di assunzione o un pre-accordo firmato prima del trasferimento della residenza, si espone a un potenziale diniego dell’agevolazione in fase di controllo. La situazione diventa particolarmente delicata quando il gap temporale supera i trenta giorni, anche se non esiste una soglia normativa precisa oltre la quale il collegamento viene automaticamente negato.

​Posizione della giurisprudenza

Fortunatamente la giurisprudenza ha iniziato a offrire interpretazioni più favorevoli ai contribuenti. La sentenza numero 2587 del 2023 della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Milano ha stabilito un principio importante: la norma dell’articolo 16 non prevede alcun periodo temporale minimo che deve intercorrere tra la data del trasferimento in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa. I giudici hanno analizzato il caso di una cittadina che aveva interrotto il lavoro presso una filiale estera di un gruppo multinazionale e aveva ripreso a lavorare dopo circa sei mesi per la filiale italiana dello stesso gruppo. L’Agenzia aveva contestato l’assenza di collegamento, ma la Commissione ha riconosciuto il diritto all’agevolazione, ritenendo che un periodo di alcuni mesi potesse essere giustificato da esigenze di trasferimento, organizzazione familiare e altre necessità pratiche connesse al rimpatrio.​

Questo orientamento giurisprudenziale apre spazi di tutela per chi si trova in situazioni analoghe. Un periodo di due o tre mesi tra rientro e inizio lavoro può essere difendibile se supportato da una documentazione che dimostri la volontà di rientrare per motivi lavorativi, anche in assenza di un contratto già firmato al momento del trasferimento della residenza. Diventa quindi cruciale conservare ogni elemento probatorio utile: eventuali scambi di email con potenziali datori di lavoro italiani precedenti al rientro, candidature inviate a posizioni in Italia mentre si era ancora all’estero, colloqui di lavoro sostenuti, o anche la semplice circostanza di aver cercato attivamente occupazione nelle settimane immediatamente successive al rimpatrio.

La svolta della Cassazione sul recupero degli anni pregressi

Per anni l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto una posizione rigida e sfavorevole ai contribuenti: chi non aveva richiesto formalmente l’agevolazione al proprio datore di lavoro al momento opportuno, o chi non l’aveva correttamente indicata nella dichiarazione dei redditi entro i termini ordinari, aveva definitivamente perso il diritto al beneficio. Questa interpretazione si basava sull’idea che il regime degli impatriati avesse natura opzionale e che gli adempimenti formali rappresentassero condizioni essenziali per l’accesso all’agevolazione. Di conseguenza, l’amministrazione finanziaria negava sistematicamente le istanze di rimborso presentate da lavoratori che, pur possedendo tutti i requisiti sostanziali, non avevano attivato la procedura nei tempi e nei modi richiesti.

​Obblighi formali non previsti per la Cassazione

Questa posizione è stata progressivamente smontata dalla giurisprudenza di merito e ha trovato la sua definitiva smentita con l’ordinanza numero 34655 del 27 dicembre 2024 della Corte di Cassazione. I giudici di legittimità si sono espressi per la prima volta sul tema, stabilendo un principio di portata generale: il diritto al rimborso delle maggiori imposte versate dai lavoratori impatriati deve essere riconosciuto sulla base della sola verifica dei requisiti sostanziali previsti dall’articolo 16 del Decreto Legislativo 147 del 2015, a prescindere dall’adempimento di qualsiasi obbligo di carattere formale. In altre parole, se possiedi oggettivamente i requisiti per accedere al regime agevolato, puoi recuperare il beneficio anche se non hai mai presentato la richiesta al datore di lavoro o non hai indicato correttamente il reddito imponibile nella dichiarazione originaria.​

Questa pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale già avviato dalle Commissioni Tributarie regionali. La Commissione Tributaria Provinciale di Milano aveva aperto la strada con la sentenza numero 4779 del 22 dicembre 2021, seguita dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con le sentenze numero 4023 del 20 ottobre 2022 e numero 288 del 2 febbraio 2022. Tutte queste pronunce hanno riconosciuto che eventuali irregolarità formali non possono essere tali da far decadere dal regime degli impatriati quando i requisiti sostanziali sono pienamente soddisfatti.

​Dichiarazione integrativa o istanza di rimborso

La Cassazione ha inoltre chiarito un aspetto procedurale importante. Quando un lavoratore non ha richiesto l’applicazione dell’agevolazione al proprio datore di lavoro entro i novanta giorni dall’inizio del rapporto, non può più attivare la procedura tramite il sostituto d’imposta. Questo però non significa perdere il diritto al beneficio, ma semplicemente che la via da seguire diventa quella della dichiarazione integrativa a favore o dell’istanza di rimborso diretta, strumenti che consentono al contribuente di far valere autonomamente il proprio diritto senza passare attraverso il datore di lavoro.​

Un elemento temporale cruciale riguarda l’efficacia di questi principi. La Cassazione ha precisato che il diritto al recupero tramite dichiarazione integrativa o istanza di rimborso si applica limitatamente al periodo precedente l’entrata in vigore delle modifiche normative introdotte dal Decreto Legge 34 del 2019. Questo significa che per i rientri avvenuti dal 2019 in poi il quadro normativo è più favorevole e stabile rispetto al passato. Inoltre, per chi è rientrato dopo il 30 aprile 2019, non opera il divieto di rimborso previsto dal comma 5-ter dell’articolo 16, che invece preclude alcune possibilità di recupero per i rientri più risalenti nel tempo.​

Come funziona operativamente la dichiarazione integrativa a favore

Una volta appurato che hai i requisiti sostanziali per beneficiare del regime impatriati e che il collegamento funzionale con l’attività lavorativa può essere dimostrato o è comunque difendibile, il passo successivo è comprendere quale strumento utilizzare per recuperare le maggiori imposte versate negli anni passati. La legislazione fiscale italiana offre due alternative:

  • L’istanza di rimborso ai sensi dell’articolo 38 del DPR n. 602 del 1973, oppure
  • La dichiarazione integrativa a favore prevista dall’articolo 2 comma 8-bis del DPR n. 322 del 1988.

Tra le due opzioni, la dichiarazione integrativa risulta generalmente preferibile perché consente di retroagire la correzione del reddito dichiarato a partire dall’annualità più remota ancora accertabile, facendo emergere direttamente nella dichiarazione il credito IRPEF spettante.

​La presentazione della dichiarazione integrativa a favore

La dichiarazione integrativa a favore è uno strumento che permette al contribuente di correggere errori o omissioni che hanno determinato il pagamento di un’imposta superiore a quella dovuta. Nel caso specifico del regime impatriati, consente di ricalcolare il reddito imponibile applicando l’abbattimento del 70% o del 90% previsto dalla norma, anche se questo non era stato fatto nella dichiarazione originaria. La presentazione di una dichiarazione integrativa non è soggetta a termini particolarmente stringenti: può essere presentata entro il termine di decadenza dell’azione accertatrice, che per le annualità più recenti è fissato al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione originaria.

​Esempio

Facciamo un esempio concreto per rendere più chiaro il meccanismo. Supponiamo che tu sia rientrato in Italia nell’ottobre 2019 e abbia iniziato a lavorare come dipendente nel dicembre dello stesso anno. Nel 2020 hai presentato la tua prima dichiarazione dei redditi italiana, indicando l’intero ammontare del reddito da lavoro dipendente percepito e pagando le relative imposte IRPEF secondo le aliquote progressive ordinarie. Mettiamo che il tuo reddito da lavoro dipendente per l’anno 2020 sia stato di 40.000 euro. Senza l’agevolazione impatriati, su questo importo hai pagato un’IRPEF di circa 10.100 euro secondo gli scaglioni ordinari. Se invece avessi applicato correttamente il regime agevolato con l’abbattimento del 70%, il tuo reddito imponibile sarebbe stato di soli 12.000 euro, con un’IRPEF dovuta di circa 2.900 euro. La differenza di circa 7.200 euro rappresenta l’importo che puoi recuperare presentando una dichiarazione integrativa per l’anno di imposta 2020.​

Lo stesso procedimento può essere replicato per ciascuna delle annualità successive fino al 2024. Se non hai mai attivato l’agevolazione, puoi presentare dichiarazioni integrative per il 2020, 2021, 2022, 2023 e 2024, recuperando per ciascun anno il differenziale di imposta versata in eccesso. Naturalmente i termini di accertamento devono essere verificati con precisione: per l’anno 2020, ad esempio, la dichiarazione integrativa può essere presentata fino al 31 dicembre 2025, mentre per le annualità successive i termini si estendono progressivamente.

​Modalità di presentazione

Dal punto di vista operativo, la dichiarazione integrativa si presenta utilizzando gli stessi modelli della dichiarazione ordinaria, compilando il quadro relativo ai redditi di lavoro dipendente e indicando nella sezione dedicata al regime impatriati l’importo del reddito escluso da imposizione. Il credito che emerge viene poi gestito secondo le regole ordinarie: può essere chiesto a rimborso, oppure utilizzato in compensazione per pagare altre imposte o contributi. Quando il credito deriva da dichiarazioni integrative relative ad annualità non più recenti, parliamo di crediti ultrannuali, che sono soggetti a regole specifiche per quanto riguarda l’utilizzo in compensazione e richiedono l’apposizione del visto di conformità da parte di un professionista abilitato.

Per approfondire:

La proroga automatica per chi ha acquistato casa

Se ti trovi nella fascia dei rientrati tra il 30 aprile 2019 e il 31 dicembre 2023 e hai acquistato un immobile residenziale in Italia durante il primo quinquennio di fruizione del regime agevolato, hai diritto a una proroga completamente automatica e gratuita che estende i benefici fiscali per ulteriori cinque anni. Questo significa che dal 2025 al 2029 continuerai a beneficiare della riduzione del reddito imponibile, anche se con percentuali leggermente diverse rispetto al primo quinquennio. Questa proroga non richiede la presentazione di alcuna domanda formale, non prevede termini di scadenza per comunicazioni all’amministrazione finanziaria, e soprattutto non comporta il versamento di alcuna imposta sostitutiva o contributo aggiuntivo.​

Il requisito fondamentale è che l’acquisto dell’immobile sia avvenuto successivamente al trasferimento della residenza in Italia (o nei 6 mesi precedenti) e comunque entro il periodo di fruizione del primo quinquennio agevolato. Prendiamo il caso di un contribuente rientrato nell’ottobre 2019 che ha iniziato a fruire del regime dal 2020. Il suo primo quinquennio copre gli anni dal 2020 al 2024. Se durante questo periodo, ad esempio nel novembre 2023, ha acquistato un’abitazione in Italia destinata a diventare la sua residenza, ha automaticamente diritto alla proroga dal 2025 al 2029 senza dover fare assolutamente nulla. L’Agenzia delle Entrate ha confermato questo principio in diversi interpelli, precisando che l’acquisto può avvenire in qualsiasi momento del quinquennio, anche nell’ultimo anno, purché sia successivo al rientro.

​Immobile di tipo residenziale

La norma parla di immobile di tipo residenziale, intendendo con questo termine un’abitazione destinata a uso abitativo. Non è necessario che l’immobile sia adibito ad abitazione principale con tutti i requisiti fiscali che questo comporta, ma certamente deve trattarsi di un immobile a destinazione residenziale e non commerciale o produttiva. L’acquisto può avvenire con qualsiasi modalità: compravendita diretta, asta giudiziaria, donazione onerosa, o anche tramite mutuo. Ciò che conta è che l’acquisto sia perfezionato e che il contribuente ne diventi proprietario durante il periodo agevolato.​

La proroga quinquennale prevede una riduzione del reddito imponibile al 50% per la generalità dei casi. Questo significa che nel secondo quinquennio il tuo reddito da lavoro dipendente o autonomo concorrerà alla formazione del reddito complessivo solo per metà del suo ammontare, con un beneficio comunque molto significativo rispetto alla tassazione ordinaria. Esiste però un’ulteriore agevolazione per chi ha almeno tre figli minorenni o a carico, anche in affido preadottivo: in questo caso il reddito imponibile nel secondo quinquennio scende addirittura al 10%, praticamente azzerando la tassazione sul reddito da lavoro.​

Un aspetto importante da comprendere è che la proroga è effettivamente automatica nel senso più pieno del termine. Non devi presentare istanze, non devi comunicare nulla all’Agenzia delle Entrate prima dell’inizio del secondo quinquennio, non devi allegare documenti probatori alla dichiarazione dei redditi dell’anno di accesso alla proroga. Semplicemente, quando presenterai la dichiarazione per l’anno 2025, continuerai a compilare la sezione relativa al regime impatriati indicando il reddito agevolabile e l’abbattimento del 50%. Sarà eventualmente in fase di controllo successivo che l’amministrazione finanziaria potrà richiedere la documentazione attestante l’acquisto dell’immobile residenziale, motivo per cui è fondamentale conservare l’atto di compravendita e ogni documento che provi l’effettivo acquisto entro i termini previsti.

Documentazione essenziale e profilo di rischio

La possibilità di recuperare gli anni pregressi tramite dichiarazione integrativa e di accedere alla proroga automatica rappresenta un’opportunità significativa, ma comporta anche l’assunzione di un rischio di contenzioso con l’Agenzia delle Entrate che deve essere valutato con attenzione. Non si tratta di operazioni completamente prive di profili critici, specialmente quando esistono elementi di fragilità nella documentazione o nella ricostruzione del collegamento funzionale tra rientro e attività lavorativa. Per questo motivo è fondamentale costruire un dossier documentale solido che possa resistere a eventuali controlli futuri.​​

Sul versante del collegamento funzionale, la documentazione diventa più delicata. Se hai la fortuna di possedere un contratto di lavoro italiano firmato prima del rientro, o anche solo una lettera di intenti o un’offerta formale del datore di lavoro ricevuta mentre eri ancora all’estero, questo costituisce la prova migliore possibile del collegamento. In mancanza di questi documenti, diventa utile ogni forma di comunicazione che dimostri la ricerca attiva di lavoro in Italia precedente al rientro: candidature inviate a società italiane con data certa, scambi di email con recruiter o responsabili delle risorse umane, conferme di partecipazione a colloqui di selezione. Anche la documentazione di contatti con agenzie per il lavoro o headhunter specializzati può avere una sua rilevanza.​

Per l’accesso alla proroga quinquennale tramite acquisto immobiliare, l’atto notarile di compravendita costituisce la prova regina. Deve emergere chiaramente la data dell’atto, la descrizione dell’immobile come unità a destinazione residenziale, e i dati identificativi del compratore che devono corrispondere ovviamente ai tuoi. Nel caso in cui l’immobile sia stato acquistato insieme al coniuge in comunione legale o con altre forme di comproprietà, questo non pregiudica il diritto alla proroga, purché tu risulti tra i proprietari.​

Quanto vale economicamente il recupero

Per comprendere se vale la pena intraprendere il percorso di recupero dell’agevolazione per gli anni pregressi, è utile fare alcuni esempi numerici concreti che mostrino l’effettivo vantaggio fiscale ottenibile. Le cifre possono essere molto significative, specialmente per redditi medio-alti e per chi può recuperare l’intero quinquennio dal 2020 al 2024. Naturalmente ogni situazione è diversa e i calcoli devono essere personalizzati in base al proprio livello di reddito e alla situazione familiare, ma i casi che seguono possono dare un’idea degli ordini di grandezza coinvolti.​

Consideriamo un lavoratore dipendente che è rientrato in Italia nell’ottobre 2019 e ha iniziato a lavorare nel dicembre dello stesso anno con un reddito annuo di 45.000 euro lordi. Senza l’agevolazione impatriati, su questo reddito l’IRPEF ordinaria ammonta a circa 11.500 euro all’anno secondo gli scaglioni progressivi in vigore. Applicando invece il regime agevolato con l’abbattimento del 70% del reddito, l’imponibile scende a 13.500 euro e l’IRPEF dovuta si riduce a circa 3.200 euro. Il risparmio annuo è quindi di circa 8.300 euro. Moltiplicando per cinque anni, dal 2020 al 2024, il recupero complessivo potenziale ammonta a circa 41.500 euro, una somma tutt’altro che trascurabile. Per chi ha diritto alla proroga quinquennale dal 2025 al 2029, i benefici si estendono ulteriormente. ​

Questi calcoli non tengono conto delle addizionali regionali e comunali, che seguono la stessa logica dell’IRPEF e quindi beneficiano anch’esse della riduzione della base imponibile. Includendo anche le addizionali, il risparmio effettivo può aumentare di un ulteriore 15-20% a seconda della regione e del comune di residenza. Va anche considerato che la riduzione del reddito imponibile può avere effetti positivi su altre prestazioni o agevolazioni legate all’ISEE o al reddito dichiarato.​​

Le prospettive per chi inizia ora il percorso

Se stai leggendo questo articolo nell’autunno del 2025 e ti riconosci nel profilo del lavoratore rientrato tra il 2019 e il 2023 che non ha mai attivato l’agevolazione, la prima domanda che probabilmente ti stai facendo è se sei ancora in tempo per agire. La risposta è positiva, ma con la consapevolezza che i margini temporali per le annualità più remote si stanno assottigliando. Per l’anno di imposta 2020 hai tempo fino al 31 dicembre 2026 per presentare la dichiarazione integrativa, il che significa che devi muoverti rapidamente se vuoi recuperare anche questa annualità. Per gli anni successivi i termini sono più ampi, ma comunque è opportuno non procrastinare eccessivamente.

​I passaggi operativi

Il percorso operativo che ti aspetta si articola in alcuni passaggi sequenziali. Il primo è una valutazione accurata della tua posizione, verificando il possesso di tutti i requisiti sostanziali richiesti dalla norma. Questa valutazione richiede l’analisi della documentazione in tuo possesso e l’eventuale ricerca di ulteriori elementi probatori che possano rafforzare la tua posizione.​

Il secondo passo consiste nella raccolta e organizzazione completa della documentazione: certificati anagrafici, contratti di lavoro esteri e italiani, buste paga, attestazioni varie. Questa fase è spesso più laboriosa di quanto si pensi, perché richiede di recuperare documenti relativi a periodi ormai lontani nel tempo e conservati magari in modo disordinato. È il momento anche di quantificare con precisione l’importo del recupero spettante per ciascuna annualità, utilizzando i dati delle dichiarazioni dei redditi già presentate e ricalcolando l’imposta dovuta con l’applicazione dell’agevolazione.​

Il terzo passo è la redazione e presentazione delle dichiarazioni integrative per ciascun anno di imposta interessato. Questo passaggio richiede competenze tecniche specifiche nella compilazione dei modelli dichiarativi, nella corretta indicazione dei codici e nell’esatta quantificazione dei crediti emergenti. ​

Il quarto e ultimo passo riguarda la gestione dei crediti e l’eventuale confronto con l’Agenzia delle Entrate. Una volta presentate le dichiarazioni integrative, i crediti possono essere utilizzati in compensazione per pagare altre imposte o contributi, oppure possono essere chiesti a rimborso. Nel primo caso serve il visto di conformità e per importi rilevanti anche l’asseverazione. Nel secondo caso bisogna attendere i tempi di liquidazione del rimborso da parte dell’amministrazione, che possono essere anche di diversi mesi. In entrambi i casi esiste la possibilità che l’Agenzia richieda chiarimenti o documentazione integrativa, e bisogna essere pronti a rispondere tempestivamente fornendo gli elementi richiesti.​​

Consulenza fiscale online

Recuperare l’agevolazione fiscale per i lavoratori impatriati anche per gli anni in cui non l’hai richiesta rappresenta oggi un’opportunità concreta grazie alle recenti aperture giurisprudenziali, in particolare all’ordinanza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto la prevalenza dei requisiti sostanziali sugli adempimenti formali. Se sei rientrato in Italia e possiedi i requisiti richiesti dalla norma, puoi presentare dichiarazioni integrative per recuperare le maggiori imposte versate, purché tu sia in grado di documentare adeguatamente la tua posizione e in particolare il collegamento tra il rientro e l’attività lavorativa.

Data la complessità tecnica delle procedure e i profili di rischio connessi a eventuali contestazioni, è consigliabile affrontare questo percorso con il supporto di un professionista esperto che possa valutare attentamente la tua situazione specifica, preparare la documentazione necessaria e gestire correttamente le dichiarazioni integrative e l’utilizzo dei crediti emergenti.

    Ho letto l’informativa Privacy e autorizzo il trattamento dei miei dati personali per le finalità ivi indicate.


    I più letti della settimana

    Abbonati a Fiscomania

    Oltre 1.000, tra studi, professionisti e imprese che hanno scelto di abbonarsi per non perdere i contenuti riservati e beneficiare dei vantaggi. Abbonati anche tu a Fiscomania.com oppure Accedi con il tuo account.

    I nostri tools

     

    Federico Migliorini
    Federico Migliorinihttps://fiscomania.com/federico-migliorini/
    Dottore Commercialista, Tax Advisor, Revisore Legale. Aiuto imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale. La Fiscalità internazionale le convenzioni internazionali e l'internazionalizzazione di impresa sono la mia quotidianità. Continuo a studiare perché nella vita non si finisce mai di imparare. Se hai un dubbio o una questione da risolvere, contattami, troverò le risposte. Richiedi una consulenza personalizzata con me.
    Leggi anche

    Piani di incentivazione azionaria per ex impatriati non agevolati

    La risposta ad interpello n. 274/E/2025 dell'Agenzia chiarisce che i redditi da stock option maturati durante l'impatrio ma percepiti...

    401k e IRA: rientrano nel regime pensionati esteri al 7%?

    Se hai un fondo pensionistico americano e vuoi trasferirti in Italia, scopri in quali casi puoi accedere alla flat...

    Monitoraggio partecipazioni qualificate per i Neo Residenti

    I soggetti "Neo Residenti", ex art. 24-bis del TUIR possono beneficiare dell'esenzione dagli obblighi di monitoraggio fiscale, IVIE ed...

    Regime impatriati: attività collaterali e dipendenti di istituzioni UE

    Interpelli n. 263 e 264/2025: il regime impatriati ammette attività collaterali, ma l'Agenzia applica il test del datore di...

    Rientro in Italia dall’estero: guida fiscale completa

    Rientro in Italia dall'estero: massimizza i tuoi vantaggi fiscali attraverso una pianificazione preventiva. Scopri come gestire in modo efficace...

    Impatriati: versamenti tardivi non precludono la proroga

    I lavoratori impatriati rientrati prima del 30 aprile 2019, che avrebbero dovuto versare l'imposta dovuta per la proroga entro...