Home Fisco Internazionale Tassazione di redditi esteri Lavoro dipendente in Svezia: dove tassare il reddito estero?

Lavoro dipendente in Svezia: dove tassare il reddito estero?

Voglio rispondere definitivamente a questa domanda, dandoti gli strumenti giusti per capire quando, in caso di redditi esteri, sei tenuto a pagare le imposte anche in Italia. Tutte le informazioni per i soggetti che percepiscono redditi da lavoro in Svezia.

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Lavori in Svezia e vuoi sapere se devi dichiarare anche in Italia i tuoi redditi? Hai passato un periodo di lavoro in Svezia e adesso ti chiedi se devi presentare la dichiarazione dei redditi in Italia?

In questo articolo troverai le risposte a queste domande e se tutto questo non basta potrai chiedere la mia consulenza. Negli ultimi anni trasferirsi in cerca di fortuna all’estero è stata la strada praticata da molti. Sia studenti che lavoratori hanno scelto per motivi diversi la Svezia come Paese nel quale raggiungere i propri obiettivi: studio, oppure lavoro e carriera.

Sono sicuro che se stai leggendo questo articolo molto probabilmente è perché stai effettuando un’attività di lavoro in Svezia. Oppure ci hai lavorato nel corso dell’ultimo anno e vuoi sapere se sei tenuto a dichiarare in Italia i redditi esteri che hai percepito. Come avrai avuto modo di constatare personalmente, la tassazione dei redditi percepiti all’estero è sempre un aspetto che genera molta confusione. Questo in quanto vi sono vari aspetti da tenere in considerazione per capire dove devono essere tassati i redditi percepiti all’estero.

Vi sono poi differenze a seconda della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e lo Stato estero ove il reddito è stato percepito. Per questo motivo, dare una risposta generale non è mai possibile, ma è sempre opportuno andare ad analizzare in dettaglio ogni situazione.

Lavoro in Svezia e mantenimento della residenza fiscale in Italia

Il primo aspetto da chiarire è che questo articolo non riguarda genericamente tutte le situazioni di lavoro in Svezia. Voglio occuparmi di una fattispecie in particolare, lasciando poi per tutte le altre la possibilità di contattarmi direttamente. La fattispecie di partenza è quella che riguarda i redditi da lavoro in Svezia percepiti da un soggetto che rimane fiscalmente residente in Italia, che si chiede se e come sia tenuto a dichiarare nel nostro Paese questi redditi. Voglio farti un esempio concreto prendendo spunto da un caso reale che mi è capitato qualche tempo fa. Prendiamo il caso di Giulia.

Vivo in Svezia da 10 anni, e sono un dipendente del sistema sanitario della mia città. Pago regolarmente le imposte sul reddito al Governo Svedese, ma vorrei sapere se questo è sufficiente anche per l’Italia, dove trascorro parte del tempo lavorando in smart working e dove si trovano mio marito e mio figlio. Per mia ignoranza non mi sono mai occupata della mia posizione fiscale in Italia, non essendomi mai iscritta all’AIRE, adesso parlando con dei connazionali ho capito che potrei non essere in regola. Potete aiutarmi?”

Giulia mi ha contattato perché è dubbiosa circa il da farsi per quanto riguarda la sua dichiarazione dei redditi in ItaliaDeve presentarla? Che tassazione riceverà sui redditi esteri che ha percepito? 

Prendendo spunto da questa situazione e prendendola come base per la risposta voglio fornirti alcuni consigli utili se ti trovi anche tu in questa situazione. Sono sicuro che sono molti gli italiani, soprattutto studenti, ad avere un lavoro in Svezia, magari temporaneo, per qualche mese o anno (manager, ingegneri, architetti, consulenti, ma anche persone in cerca di fortuna), e si chiedono se sono tenuti a pagare le imposte sui redditi anche in Italia. Non è raro il caso in cui  questi lavoratori italiani domiciliati all’estero, ignorino di dover pagare le imposte sul reddito anche in Italia. Vediamo, quindi, di dare una risposta chiara a questo argomento.

La residenza fiscale dei contribuenti

Sempre più italiani sognano di trasferirsi e andare a vivere in Svezia, un paese che è in grado di offrire molte opportunità lavorative. Una qualità della vita più alta, stipendi adeguati e bassa disoccupazione fanno di questa nazione una possibile alternativa per chi vuole veramente cambiare vita. E decidere di trasferirsi in Svezia e trovare lavoro non è nemmeno difficile come può sembrare.

Il concetto fondamentale per stabilire ove un soggetto sia tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti è quello di “residenza fiscale“. Nel nostro ordinamento tale definizione è indicata dall’articolo 2, comma 2, del DPR n. 917/86 (TUIR). È in base al concetto di residenza fiscale, infatti, che trova applicazione la potestà impositiva, a livello fiscale, di ogni Nazione. Secondo questa disposizione, un soggetto si considera fiscalmente residente in Italia se, alternativamente, verifica almeno una delle seguenti condizioni:

  • Ha la residenza nel territorio dello Stato, ex art. 43 co. 2 c.c. – La residenza deve essere individuata nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale, con intenzione di rimanervi;
  • Ha il domicilio nel territorio dello Stato. Per domicilio, deve intendersi “il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona“);
  • È presente nel territorio dello Stato (considerando anche le frazioni di giorno);
  • Salvo prova contraria, risulta iscritto nelle anagrafi della popolazione residente, presso i vari Comuni.

Worldwide taxation principle

Il mantenimento della residenza fiscale in Italia, come nel caso affrontato, comporta necessariamente l’obbligo di pagare le imposte sui redditi in Italia anche sui redditi prodotti all’estero. Questo significa obbligo di dichiarare in Italia i redditi che, nell’esempio, Giulia ha percepito in Svezia.

Questo, infatti, è quanto prevede il principio della World Wide Taxation, previsto dall’articolo 3 del TUIR. Questo principio è uno dei pilastri fondamentali su cui si basa il nostro sistema tributario, ed anche quello di molti dei sistemi fiscali dei Paesi europei.

Il concetto è molto semplice. Un soggetto è tenuto a pagare le imposte (ovunque esse siano prodotte e/o percepite), in un unico Stato, quello di residenza. Per attenuare la doppia imposizione è possibile poi ottenere un credito di imposta per le eventuali altre imposte già pagate nei Paesi ove i redditi sono stati percepiti (tassazione nello Stato della fonte). Riassumendo, quindi, un lavoratore Italiano che svolge la sua attività lavorativa e ha la sua vita all’estero, ha ugualmente l’obbligo del versamento delle imposte sul reddito anche in Italia in concomitanza di almeno uno dei seguenti requisiti:

  • Essere residente in Italia, per almeno 183 giorni all’anno (la maggior parte dell’anno solare).
  • Essere iscritto nelle anagrafi comunali della popolazione residente in Italia (quindi, non essere iscritto all’AIRE).
  • Avere eletto nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio o la propria residenza , ai sensi dell’articolo 43 del codice civile.

Per approfondire: “AIRE: Anagrafe degli Italiani residenti all’estero“.

Criteri di collegamento della residenza fiscale in Italia

I criteri sopra indicati utili per verificare la residenza fiscale sono alternativi tra loro. In pratica, è sufficiente realizzare anche soltanto una di quelle fattispecie per essere considerati fiscalmente residenti in Italia.

Se applichiamo quelle condizioni alla situazione descritta del caso di Giulia, possiamo fare alcune osservazioni. Prima di tutto, vi è un legame con l’Italia legato al domicilio, ovvero il luogo dove si sviluppano principalmente le relazioni personali e familiari. La presenza del coniuge che vive e lavora stabilmente in Italia, determina la presenza del suo domicilio in Italia. Inoltre, la mancata iscrizione AIRE, rappresenta una presunzione legale relativa di residenza in Italia. Teoricamente Giulia avrebbe la possibilità di superare la mancata iscrizione AIRE, ma per il concetto di domicilio legato al coniuge in Italia, la residenza fiscale per la normativa nazionale è in Italia.

La normativa convenzionale

Accanto alla normativa fiscale nazionale Italia e Svezia hanno siglato una Convenzione contro le doppie imposizioni. Questa normativa, sovranazionale, prevede all’art. 4 dei criteri per identificare la residenza fiscale del contribuente che si trovi in una situazione di “dual residence“. Si tratta di una situazione dove sia Italia che Svezia, per le loro normative interne, possono considerare residente fiscalmente il soggetto nel proprio territorio. In questo caso è necessario andare ad analizzare le c.d. “tie breaker rules“. Solo dove una di questa offre una risposta diretta verso un unico Stato questo diventa quello di residenza fiscale.

La prima di queste regole riguarda l’abitazione permanente. Si tratta di individuare una sola abitazione dove il soggetto risiede stabilmente. Nel caso di Giulia, vi sarebbe l’abitazione Svezia, ma anche quella italiana dove risiede il marito. La seconda regola riguarda il c.d. “centro degli interessi vitali“, ovvero il centro degli interessi economici, patrimoniali e familiari di un soggetto. Anche in questo caso la situazione non porta ad una soluzione verso un unico Stato. La regola successiva è il soggiorno abituale. Nella situazione Giulia non è in grado di dimostrare un soggiorno abituale in Svezia in quanto il tempo trascorso è parzialmente in Svezia ed in parte in Italia, senza una prevalenza netta, svolgendo anche attività di lavoro in smart working. A questo punto l’ultima regola è quella legata alla cittadinanza, che di fatto, porta la residenza fiscale in Italia.

Quindi, come si trasferisce la residenza fiscale all’estero?

Come abbiamo visto, mantenere la propria iscrizione anagrafica in Italia e, comunque, i propri collegamenti familiari, economici, patrimoniali, etc comporta il mantenimento della residenza fiscale in Italia e quindi l’obbligo di dichiarare in Italia tutti i propri redditi. Per questo motivo, per evitare questa situazione è necessario cancellare domicilio e residenza dall’Italia e non risultare iscritti all’anagrafe di paesi italiani per almeno 183 giorni dell’anno in corso. Ma questo potrebbe non bastare. Per lo stato italiano, infatti, bisogna anche spostare gli “interessi vitali”. Cambiare la residenza ma mantenere famiglia (ipoteticamente, coniugi e figli) in Italia, avere una macchina che circola in Italia e una casa intestata in Italia continuerà a rendere il lavoratore in soggetto a residenza fiscale italiana.

Per questo motivo è fondamentale comprendere bene la propria situazione personale per individuare la propria residenza fiscale e capire i propri obblighi fiscali. Per questo al termine dell’articolo puoi trovare il link per contattarmi direttamente per ricevere una consulenza personalizzata sulla tua situazione.

Criteri di collegamento dei redditi da lavoro estero di soggetti fiscalmente residenti in Italia

Una volta individuata la residenza fiscale in Italia di Giulia, sia sulla base della normativa fiscale nazionale che convenzionale occorre interrogarsi sui criteri di collegamento del reddito da lavoro dipendente prodotto all’estero.

In base a quanto previsto dall’art. 3 del TUIR, i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono tenuti alla dichiarazione dei redditi sia di fonte italiana che di fonte estera. Questo, anche se questi ultimi hanno già scontato le imposte nel Paese estero in cui il reddito è stato prodotto. Per questo motivo, quindi, Giulia è tenuta ogni anno a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia e dichiarare i redditi esteri.

Tassazione del reddito da lavoro dipendente prodotto in Svezia con residenza fiscale in Italia

Il reddito percepito dal contribuente, residente in Italia, a fronte della propria attività di lavoro dipendente, svolta in Svezia rientra nell’ambito applicativo dell’art. 15, par. 1 della Convenzione tra Italia e Svezia per evitare le doppie imposizioni. Tale disposizione prevede una tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del contribuente, a meno che tale attività non sia svolta nell’altro Stato contraente. In questo caso il reddito deve essere assoggettato a tassazione concorrente in entrambi in Paesi.

Quindi, questo significa che Giulia è tenuta ad assoggettata a tassazione concorrente in Italia (Stato di residenza del contribuente) e in Svezia (Stato della fonte del reddito). L’eventuale doppia imposizione del reddito deve essere eliminata in Italia, ai sensi delle disposizioni contenute nell’art. 24, par. 2 della Convenzione per evitare le doppie imposizioni e dall’art. 165 del TUIR.

Le eventuali giornate di lavoro effettuate da Giulia in Italia, come attività di smart working, devono essere assoggettate ad imposizione esclusiva nel nostro Paese (in quanto, tale ipotesi, Stato di residenza e Stato della fonte coincidono). Vedasi la risposta ad interpello n. 171/E/2023.

Lavorare in Svezia per oltre 183 giorni con residenza italiana: le retribuzioni convenzionali

Il caso preso in esame all’inizio dell’articolo è quello di un soggetto che si è trovato a svolgere attività di lavoro in Svezia, con la forma che conosciamo come “lavoro dipendente” per conto di un datore di lavoro residente in Svezia. Quando il numero di giorni di lavoro in Svezia supera i 183 nell’arco di dodici mesi, nonostante trovino applicazione le disposizioni sopra citate dell’art. 15, par. 1 della Convenzione, la normativa tributaria nazionale prevede una particolare forma di imposizione. Sul punto, l’articolo 51, comma 8, del DPR n. 917/86 prevede quanto segue:

il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del ministro del Lavoro e della previdenza sociale”

Si tratta di un’agevolazione che consente di tassare non il reddito da lavoro effettivamente percepito, ma previsto dalle retribuzioni convenzionali. Tuttavia, per poter applicare concretamente questa normativa, è necessario che il settore economico in cui viene svolta l’attività da parte del lavoratore dipendente sia previsto nel Decreto ministeriale che determina le retribuzioni convenzionali. In concreto, per poter applicare le retribuzioni convenzionali per la tassazione del reddito in Italia è necessario che il lavoratore abbia un contratto di lavoro nel quale è indicato il ruolo e la retribuzione che avrebbe avuto in Italia per quella stessa mansione.

È facile ritenere, quindi, che questa possibilità sia di più facile attuazione per i dipendenti di multinazionali, inviati a lavorare in un Paese diverso dall’Italia. In tutti gli altri casi chiedere l’applicazione di questa norma è sicuramente più difficile. Come, nel nostro esempio nel caso di Giulia.

Possibilità di attenuazione della doppia imposizione sul reddito

Come abbiamo visto, il lavoro in Svezia da parte di un soggetto residente in Italia, può comportare il pagamento delle imposte sui redditi nel nostro Paese. Questo è quanto è dovuto, almeno per il nostro caso preso in esame, in quanto Giulia si trova a dover pagare le imposte sia in Svezia (se dovute) che in Italia, a fronte di uno stesso reddito percepito.

Al fine di evitare questa doppia imposizione, conseguente al pagamento delle imposte sui redditi nel Paese di residenza del dichiarante oltre che nel Paese di produzione del reddito, sia la convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Svezia (Gazzetta ufficiale n. 439 del 1982), sia il TUIR, prevedono un principio generale di divieto della doppia imposizione, per cui la stessa imposta non può essere applicata più volte su uno stesso reddito. Per potere applicare concretamente questo principio ci viene in aiuto l’articolo 165 del DPR n. 917/86.

Tale articolo prevede che le imposte pagate a titolo definitivo sui redditi prodotti all’estero siano ammesse in detrazione dall’imposta netta, scaturente dal conguaglio di fine anno o dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo, fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra redditi prodotti all’estero e reddito complessivo.

Imposte a titolo definitivo

A prima vista può sembrare complicato, ma in pratica l’articolo 165 del DPR n. 917/86 prevede che il nostro lettore, cittadino Italiano, che sostanzialmente svolge la sua vita all’estero ma continua ad essere iscritto all’anagrafe comunale della popolazione residente abbia l’obbligo di contribuire alle imposte sul reddito in Italia. Nella sua dichiarazione dei redditi italiana, avrà diritto ad un abbattimento dell’IRPEF (l’imposta sui redditi) pari all’ammontare delle imposte pagate in Svezia a titolo definitivo (non devono essere presi in considerazione gli acconti). Questo credito, comunque, non potrà mai superare la quota di IRPEF relativa al reddito estero.

Ad esempio se per un reddito pari a 1.000 euro la tassazione in Svezia è pari a 21% ed in Italia pari al 23% il nostro lettore verserà all’Amministrazione finanziaria Italiana tutta la tassazione dovuta del 2%. Infatti, l’imposta da pagare in Italia è quella differenziale rispetto a quella dovuta nel Paese ove si è percepito il reddito. In questo modo viene correttamente applicato il principio di divieto di doppia imposizione di uno stesso reddito, previsto dall’articolo 165 del DPR n. 917/86.

Cosa possiamo imparare dall’esame di questo caso?

Prima di tutto è bene ribadire che in questi casi è fondamentale consultare un Commercialista esperto in fiscalità internazionale. Quando si intende trasferirsi all’estero per periodi maggiori di 6 mesi, sia per studio che per lavoro, in modo da pianificare correttamente gli adempimenti fiscali conseguenti. Non potendo tuttavia generalizzare in quanto ogni situazione personale ha le sue peculiarità.

Quello che posso dirti è che se un cittadino Italiano svolge la sua vita (personale e/o lavorativa) all’estero, per evitare il pagamento delle imposte sul reddito anche in Italia dovrebbe trasferire la propria residenza fiscale all’estero, iscrivendosi all’AIRE. La questione però non si risolve così semplicemente. È necessario che il contribuente che intende trasferirsi all’estero sposti con se i suoi principali interessi di tipo personale e familiare. Il tutto senza sottovalutare gli aspetti economici e patrimoniali.

Un soggetto che vuole trasferirsi all’estero lasciando la sua famiglia in Italia o i suoi principali interessi economici e/patrimoniali in Italia sarà sicuramente soggetto a controlli ed accertamenti. Per questo è bene pianificare con cura ed in anticipo questi aspetti legati alla normativa fiscale. Questo, anche se potrà sembrarvi poco conveniente, vi consentirà di risparmiarvi in futuro un possibile lungo e costoso contenzioso fiscale con l’Amministrazione finanziaria.

Consulenza fiscale online

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4 COMMENTI

  1. buongiorno io lavoro in svezia da un anno . Reddito da lavoro svedese 2018. Si pagano le normali tax al 30% e oltre alla svezia. questa e la tax in svezia non il 20% che ho visto qui….si sogna! ora la mia domanda è visto che la tax svedese e di gran lunga superiore al 23% italiano …. che si fa????? non e che devo pagare allo stato italiano? . La dichiarazione in questo caso dovro fare modello unico con quadro rx per i redditi percepiti all’estero? sono ovv residente in italia fiscalmente.

  2. E’ compilato da spiegare come risposta ad un commento, se vuole ne parliamo in dettaglio in consulenza e se vorrà potrà affidarsi a noi per la sua dichiarazione dei redditi.

  3. Trovo strana la risposta che ha dato a Giulia. Da quel che so, per lavorare in Svezia in modo continuativo bisogna registrare la residenza presso l’anagrafe svedese e quindi siamo nel caso di doppia residenza. In base quindi al trattato Italia-Svezia, Giulia risulta fiscalmente residente in Svezia e, non avendo redditi in italia, non deve dichiarare niente in Italia. O sbaglio?

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