Qual è il peso degli interessi familiari nell’identificazione della residenza fiscale di un soggetto. Il tema è sicuramente molto importante in quanto, sino ad oggi a livello di giurisprudenza non si è mai arrivati ad un orientamento costante. Il punto di partenza di ogni analisi è sicuramente l’analisi della normativa interna sulla residenza fiscale e la normativa convenzionale. Come sappiamo la normativa convenzionale prevale sulla norma interna, tuttavia, il riferimento alla norma convenzionale, rimanda primariamente alla norma nazionale per identificare la residenza di un soggetto. Per questo motivo, prima di tutto occorre osservare le disposizioni dell’articolo 2, comma 2 del TUIR, secondo le quali si è residenti qualora, alternativamente:
- Si ha il domicilio, ai sensi dell’articolo 43 del codice civile
- Si ha la residenza, ai sensi dello stesso articolo 43 del codice;
- Oppure, si è iscritti all’Anagrafe della popolazione residente,
Il tutto per la maggior parte dell’anno (183 giorni). Al verificarsi anche solo di una di queste disposizioni il soggetto è considerato residente fiscalmente in Italia.
ART. 2 TUIR | DESCRIZION4E |
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RESIDENZA | Il luogo in cui la persona ha fissato la sua dimora abituale |
DOMICILIO | Sede principale degli affari ed interessi di un soggetto, a prescindere dalla presenza effettiva in tale luogo |
Il concetto di domicilio deve intendersi in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari. È proprio sul confronto tra rapporti economico patrimoniali e familiari che, sia prassi che giurisprudenza si scontrano. Per questo andiamo a vedere quali sono i principali documenti di prassi e giurisprudenza in merito alla prevalenza degli aspetti familiari rispetto a quelli economico patrimoniali nel trasferimento di residenza fiscale all’estero.
Prevalenza degli aspetti familiari: documenti di prassi
Risposta ad interpello n. 294/E/2019
L’Agenzia delle Entrate in questo contributo ha risposto all’istanza di un contribuente che si dichiara fiscalmente residente in Svizzera. Lo stesso ha dichiarato di volersi trasferire in Italia con la famiglia (di cui fanno parte la moglie ed i figli). La famiglia si vorrebbe andare a stabilirsi in Italia in modo permanente, effettuando l’iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente. A conferma di questo i figli frequenteranno le scuole in Italia. Il contribuente precisa, tuttavia, che personalmente proseguirà attività lavorativa in Svizzera come dipendente di un’azienda. Questi si stabilirà nel Paese per ivi soggiornare per tre giorni a settimana (dal mercoledì al venerdì) per motivi di lavoro. Infatti, il datore di lavoro svizzero ha autorizzato il suo lavoro da casa (telelavoro). Riassumendo, il contribuente rimane in Italia con la famiglia da venerdì al martedì di ogni settimana. Tuttavia, questa permanenza non consente di superare i 183 giorni all’anno. Definito il caso concreto, viene chiesto un parere all’Agenzia delle Entrate in merito allo status di residenza fiscale.
In questo contesto, l’Agenzia delle Entrate afferma (nuovamente) il principio secondo cui la residenza fiscale non può essere definita attraverso interpello. Questo, in quanto l’interpello qualificatorio, al pari di quello ordinario, non può avere ad oggetto accertamenti di tipo tecnico. Controlli per i quali rileva il mero appuramento del fatto. Nella sua risposta l’Agenzia afferma che vi è prevalenza degli interessi familiari su quelli economici di un soggetto. In particolare: “In merito ai citati requisiti si rammenta che la giurisprudenza italiana ha inteso dare particolare rilievo, quale criterio di individuazione della residenza fiscale di una persona fisica, al luogo nel quale sono prioritariamente localizzati gli interessi economici ed affettivi della persona, partendo dalla sfera delle relazioni personali, intese come vincoli familiari (cfr. inter alia Sentenze della Corte di Cassazione, Sezione V, n. 9723/2015 e n. 12311/2016)“.
Sostanzialmente, la presenza della famiglia in Italia opera una attrazione della residenza fiscale nel nostro Paese anche del contribuente iscritto AIRE e che stabilmente soggiorna all’estero.
Prevalenza degli aspetti familiari e giurisprudenza
Ordinanza n. 18009/2022 della Cassazione
La Cassazione, con l’ordinanza n. 18009/2022, ha affrontato il caso di un soggetto che si era materialmente trasferito in Svizzera, prendendovi la residenza, si era iscritto all’AIRE (unitamente a moglie e figlio), aveva stipulato un mutuo per l’acquisto dell’abitazione in Svizzera e per tale abitazione aveva stipulato contratti di molteplici utenze domestiche (elettricità, gasolio, telefono, acqua, televisione). Il figlio frequentava l’Università in Svizzera e la moglie lavorava in una scuola svizzera. Tuttavia, egli lavorava presso una società con sede in Italia, della quale era amministratore e si recava giornalmente al lavoro dalla propria abitazione in Svizzera, vista la poca distanza tra luogo di residenza e luogo di lavoro (per quanto situati in due Stati diversi).
Il contribuente si riteneva fiscalmente residente in Svizzera, valorizzando la residenza ivi stabilita ed i legami personali in essa stanziati, ma l’Agenzia delle Entrate, invece, emetteva un accertamento IRPEF per redditi di lavoro dipendente e assimilati, ritenendolo residente fiscalmente in Italia, per avervi localizzato il luogo di lavoro e la sede principale della propria attività. Nei primi due gradi i giudici hanno espresso parere di merito a favore del contribuente. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate provvedeva ad impugnare la decisione in Cassazione. L’Amministrazione finanziaria sosteneva che il contribuente non avesse assolto l’onere della prova, su di esso gravante ai sensi dell’art. 2 comma 2 del TUIR, di non aver mantenuto alcun significativo legame con l’Italia, dopo il trasferimento in Svizzera. In tal senso, l’Amministrazione valorizzava l’incarico svolto presso una società italiana, prima come dirigente e poi come amministratore delegato con poteri di firma e gestione di tre stabilimenti, che necessariamente imponevano una presenza stabile in Italia. Secondo l’Agenzia delle Entrate, posto che l’art. 2 del TUIR individua tre diversi criteri, alternativi, per collocare la residenza fiscale in Italia (risultanze anagrafiche, residenza civilistica, domicilio civilistico), deve considerarsi residente anche il soggetto che, pur avendo trasferito la residenza anagrafica e civilistica in Svizzera abbia mantenuto in Italia il domicilio, ovvero “la sede dei propri affari ed interessi, tali essendo non solo quelli personali ma anche patrimoniali, che nel caso di specie … sarebbero preminenti”.
Per quanto riguarda l’aspetto dell’onere della prova, la Cassazione conferma che, per effetto del comma 2 dell’art. 2 del TUIR, opera una presunzione di residenza in Italia per i soggetti trasferiti in paesi a fiscalità privilegiata (D.M. 4 maggio 1999), ma ribadisce anche che tale presunzione ammette la prova contraria e che, nel caso di specie, la Commissione regionale ha correttamente previsto l’onere della prova al contribuente trasferito in Svizzera. Nel merito, quindi, il contribuente, per vincere la presunzione di residenza in Italia, doveva dimostrare di aver effettivamente trasferito la residenza all’estero ed il giudice di merito, con una complessiva valutazione della situazione di fatto, non sindacabile in Cassazione, ha ritenuto raggiunta tale prova.
Da ultimo, la Corte di sofferma sulla contestazione dell’Agenzia relativa alla conservazione del domicilio in Italia, avendo il contribuente mantenuto l’incarico di amministratore di una società Italiana. In proposito, viene ricordano che il domicilio deve intendersi come “sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali” e che esso coincide, quindi, con il luogo in cui la persona intrattiene sia rapporti personali che economici. Nel caso, la Corte condivide le conclusioni precedentemente accolte dalla Commissione regionale, che, valutando i vari elementi dedotti e provati dal contribuente, ha escluso la possibilità di individuarne il domicilio in Italia, ritenendo che il contribuente avesse da lungo tempo “stabilito il proprio centro di interessi vitali in Svizzera, unitamente al proprio nucleo familiare, e che non vi fossero altri elementi gravi, precisi e concordanti di segno contrario, tenuto conto che la vicinanza tra luogo di residenza e sede di lavoro non impediva di considerare il centro di interessi vitali in Svizzera”. Inoltre, la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Svizzera e Italia, che prevale sulle norme dei singoli Stati, individua, quale primo parametro di soluzione dei conflitti di residenza (ove entrambi gli Stati possano considerare residente fiscalmente il contribuente sulla base della normativa interna), quello del luogo in cui il contribuente ha l’abitazione permanente, che, pertanto, è stato correttamente valutato, dalla C.T. Reg., al fine di individuare la residenza fiscale.
Conclusioni e consulenza fiscale online
Sul punto si deve evidenziale un orientamento della Cassazione, che sembra superare quanto indicato sinora. Infatti, con la sentenza n 6501 del 31 marzo 2015 i giudici hanno chiarito che le relazioni affettive e familiari, la cui centrale importanza è invocata dalla ricorrente Agenzia delle entrate, non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale. I giudici hanno posto rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri, idoneamente presi in considerazione nel caso in esame, che univocamente attestino il luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento.
Inoltre, con l’ordinanza n. 32992 del 20 dicembre 2018 la Cassazione, dopo aver affermato che l’orientamento sulla prevalenza dei legami familiari attualmente appare recessivo ha concluso, citando puntualmente la pronuncia n. 6501 del 2015, nel senso che le relazioni affettive e familiari non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale. Esse vengono in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento.
Chiaramente i citati pronunciamenti devono essere analizzati nel contesto complessivo e alla luce delle singole caratteristiche del caso di volta in volta affrontato.
Il problema di fondo, risiede proprio nell’impossibilità (ricordata anche dal provvedimento in commento) dell’Agenzia delle Entrate di fornire una valutazione preventiva della residenza fiscale.
Questo, non può che ingenerare incertezze applicative sugli indicatori da tenere in considerazione per individuare il Paese di residenza. Questo, soprattutto per quelli che non sono connotati da una, per così dire, sola valenza “materiale” (si pensi all’iscrizione anagrafica o alla presenza fisica) ma, come nel caso del domicilio, da un coacervo di differenti elementi.
In questo articolo ho cercato di riassumere come anche gli orientamenti di prassi dell’Agenzia non siano perfettamente in linea con la giurisprudenza. Occorre ribadire che, comunque, la giurisprudenza deve sempre essere letta non tanto come criterio assoluto, ma come criterio valido in relazione a quella fattispecie di diritto applicabile al fatto reale. Questo significa che quanto indicato in una sentenza con una situazione particolare non possa essere portato a regola generale. Per questo motivo non è possibile individuare regole specifiche e valide in ogni caso per individuare la residenza fiscale di un contribuente.
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