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Credito per imposte estere: guida all’utilizzo

Fiscalità InternazionaleTassazione di redditi esteriCredito per imposte estere: guida all'utilizzo

L'art. 165 del TUIR e le convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall'Italia permettono al contribuente di far concorrere le imposte pagate all'estero a titolo definitivo alla formazione di un credito per imposte estere. Tuttavia, è necessario tenere in considerazione i requisiti richiesti per la formazione del credito e la documentazione da conservare.

Il credito per imposte estere è un meccanismo di compensazione fiscale che consente a un soggetto residente in Italia di detrarre dalle imposte dovute nel proprio Stato l’ammontare delle imposte già pagate all’estero su redditi di fonte estera. L’obiettivo di questa misura è evitare la doppia imposizione internazionale, ossia il fenomeno per cui uno stesso reddito viene tassato sia nello Stato della fonte (dove è stato prodotto) sia nello Stato di residenza del contribuente.

Questo istituto è disciplinato dall’articolo 165 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) e trova applicazione nei casi in cui vi sia una doppia imposizione giuridica sui redditi di fonte estera.

Strumento per eliminare la doppia imposizione internazionale

Le persone fisiche considerate fiscalmente residenti in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, sono assoggettate a tassazione sui redditi ovunque prodotti. Al contrario le persone fisiche fiscalmente residenti in un Paese estero scontano l’imposta esclusivamente sui redditi prodotti nel territorio dello Stato italiano (ex art. 3 del TUIR). Aspetto importante è che un soggetto residente fiscalmente in Italia può essere soggetto a tassazione anche nel Paese ove è percepito il reddito. Sono, infatti, le convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra l’Italia e i vari Paesi esteri a stabilire in quali casi vi è tassazione concorrente tra due stati per uno stesso reddito.

Il credito di imposta per redditi esteri nasce proprio per arginare questi fenomeni di doppia imposizione internazionale che si determina quando il soggetto è chiamato a tassare tali redditi anche nel Paese di residenza fiscale, oltre che in quello della fonte. Il nostro ordinamento riconosce, nel rispetto di determinati limiti e condizioni, la possibilità di detrarre dall’imposta netta le imposte pagate all’estero. Si tratta di imposte estere calcolate sui redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo determinato ai fini IRPEF o IRES.

Ad esempio, i redditi da lavoro dipendente percepiti da un soggetto non residente sono comunque soggetti all’applicazione di ritenute nello Stato della fonte. Allo stesso tempo, tuttavia, gli stessi devono essere tassati anche nello Stato di residenza fiscale del percettore.

Condizioni di applicazione

L’analisi della normativa in materia di “foreign tax credit” deve essere integrata sia con quella prevista dalla normativa convenzionale (Modello Ocse, articoli 23 o 24 della Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni), sia con quella prevista dall’articolo 23 del DPR n. 600/73.

L’articolo 165, comma 1, del TUIR, dispone che se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta in proporzione alla quota di imposta corrispondente al rapporto tra reddito prodotto all’estero e tassato in Italia e reddito complessivo. Da tale definizione emerge come la misura massima di credito di imposta detraibile sia pari alla quota parte di imposta lorda italiana proporzionale al rapporto tra reddito estero tassato in Italia e reddito complessivo percepito dal dipendente. Tale limite, noto come rapporto di detraibilità, deve in ogni caso sempre essere preso in considerazione nel computo del credito di imposta esigibile. Quindi, le condizioni richieste dalla normativa per fruire del credito d’imposta sono riepilogate come segue:

  1. Il lavoratore dipendente deve qualificarsi fiscalmente residente in Italia;
  2. Il reddito tassato all’estero ha concorso alla formazione del reddito complessivo dichiarato in Italia;
  3. Le imposte pagate all’estero devono essere di competenza dell’esercizio.

Residenza fiscale in Italia del percettore del reddito

I redditi esteri per cui si rende applicabile il credito di imposta sono quelli individuati nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia. Soltanto le tipologie di imposta previste nella convenzione possono essere oggetto di credito di per imposte estere.

Cosa fare, però, se il reddito è prodotto in uno Stato estero senza Convenzione con l’Italia? In questo caso, occorre farei riferimento ai criteri previsti dall’articolo 23 del TUIR per individuare i redditi prodotti in Italia. Si tratta della cd “lettura a specchio” dell’articolo 23 del TUIR, secondo il quale se il reddito non è prodotto in Italia, diventa un reddito estero. Questa interpretazione è confermata dalla Circolare n. 9/E/15, la quale afferma che il credito di imposta per redditi esteri si applica alle imposte di cui all’articolo 23 se si verifica una condizione. Tuttavia, la condizione legata alla lettura a specchio si rende applicabile solo nel caso in cui non vi sia una Convenzione siglata con l’Italia.

Occorre prestare particolare attenzione al fatto che solo le imposte statali e federali possono essere oggetto di credito per imposte estere. Tutte le altre imposte eventualmente trattenute all’estero, sfuggono al meccanismo del credito. In questo senso attenzione alla Convenzione con gli Stati Uniti, dove sono comprese solo le imposte federali.

Tipologia di impostaConcorso alla formazione del credito
Stato estero in Convenzione con l’ItaliaPer le imposte oggetto della convenzione
Stato estero non in Convenzione con l’ItaliaOccorre individuare i redditi di fonte estera secondo la lettura a “specchio” dell’art. 23 del TUIR. In caso di reddito estero l’imposta assolta concorre alla formazione del credito.

Escluse dal credito per le ritenute a titolo di imposte e le imposte sostitutive

La spettanza del credito d’imposta è subordinata alla condizione che il reddito estero concorra alla formazione del reddito imponibile in Italia. Il credito per imposte pagate all’estero si applica solo ai fini delle imposte sui redditi.

L’Agenzia delle Entrate ha escluso la spettanza del credito d’imposta per le imposte assolte all’estero in relazione a redditi esteri assoggettati in Italia a ritenuta a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva. Perciò, ad esempio, sono esclusi i redditi di capitale derivanti dalla partecipazione al patrimonio di società non residenti ed i redditi di capitale percepiti direttamente all’estero. È il caso dei dividendi, i quali se provenienti da società estere non black list, concorrono:

  • Per le persone fisiche a tassazione con ritenuta del 26% sul valore lordo percepito. Il “netto frontiera” si utilizza solo nel caso in cui vi sia un intermediario finanziario residente che incassa il dividendo;
  • Per le società di capitali, con il meccanismo dell’esenzione, il dividendo estero forma il reddito imponibile per il 5% del suo ammontare.

Se il reddito estero non è imponibile in Italia, ad esempio perché la convenzione prevede tassazione esclusiva nel Paese della fonte, non può formarsi credito per imposte assolte all’estero.

Posizione della giurisprudenza sui dividendi di fonte estera

In relazione ai dividendi deve essere segnalata la posizione della Cassazione, con la Sentenza n. 25698 del 2022. I giudici, partendo dall’art. 23, co. 3 della Convenzione (nel caso quella con gli Stati Uniti) secondo la quale: “tuttavia, nessuna deduzione sarà accordata ove l’elemento dì reddito sia assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta a titolo d’imposta su richiesta del beneficiario di detto reddito in base alla legislazione italiana“. Tale disposizione indica che quando la tassazione avviene mediante ritenuta a titolo di imposta o imposta sostitutiva, per legge e non su richiesta del beneficiario del dividendo, non potendo il contribuente chiedere l’imposizione ordinaria, l’imposta sul reddito pagata all’estero (negli Stati Uniti) si deve considerare detraibile.

In pratica, per i redditi di capitale di fonte estera percepiti direttamente dal contribuente persona fisica titolare di partecipazione, qualora l’assoggettamento a imposizione mediante ritenuta a titolo di imposta (come nel caso dell’art. 27, co. 4 del DPR n. 600/73 o mediante imposta sostitutiva, del tutto sovrapponibile alla prima in ragione dell’art. 18, co. 1, del TUIR) avvenga non su richiesta del beneficiario del reddito ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente chiedere l’imposizione ordinaria, l’imposta sul reddito pagata nel Paese estero si deve considerare detraibile. Questo in relazione al fatto che la locuzione “anche su richiesta del contribuente” che figura in molte Convenzioni siglate dall’Italia conferma che quando l’Italia ha voluto negare il credito di imposta, lo ha previsto espressamente.

Per approfondire: Dividendi esteri e doppia imposizione irrisolta per persone fisiche.

Attribuzione per competenza del credito

L’attribuzione del credito di imposta deve avvenire nel periodo di imposta in cui il reddito estero concorre a formare il reddito imponibile. In questo modo il credito di imposta segue sempre il periodo di imposta di tassazione del reddito. Questa regola si verifica se il pagamento definitivo delle imposte estere avviene entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al primo periodo di imposta successivo (ex art. 165, co. 5 del TUIR).

Questo significa, in buona sostanza, che il credito per imposte estere matura in relazione alle imposte estere divenute definitive (ovvero imposte che non possono più essere oggetto di rimborso). In questo senso è di fondamentale importanza che il soggetto abbia presentato la dichiarazione dei redditi nel Paese della fonte (in modo da dimostrare la definitività di quelle imposte).

Il momento in cui l’imposta estera acquista “definitività” è quello del suo pagamento. Non il momento in cui l’impresa è venuta in possesso della relativa certificazione. Tale momento assume rilevanza con la definitività riscontrata nella dichiarazione dei redditi presentata all’estero.

Imposte estere “definitive”

Le imposte estere che possono essere oggetto di formazione del credito sono principalmente quelle oggetto di una Convenzione contro le doppie imposizioni. Si tratta, quindi, principalmente, di imposte sul reddito pagate all’estero. Sul punto l’articolo 15 del D.Lgs. n. 147/15 ha ampliato l’ambito di applicazione del credito per imposte estere. In particolare, è stato stabilito attraverso una norma di interpretazione autentica che le imposte oggetto di applicazione del credito comprendono anche altri tributi esteri sul reddito. Affinché, tuttavia tali imposte estere siano rilevanti per il riconoscimento del credito devono essere imposte estere definitive. Tali imposte devono essere quindi irripetibili, quindi, non più modificabili a favore del contribuente. Quindi, ad esempio, il versamento di acconti di imposta, non concorre alla formazione del credito.

L’individuazione delle imposte estere definitive è una delle principali problematiche che spesso porta i contribuenti a commettere errori. La prima cosa da tenere presente è che le imposte si considerano pagate a titolo definitivo nel periodo in cui vengono versate all’Amministrazione finanziaria estera. Non è rilevante il momento di acquisizione della relativa certificazione, che invece, ha soltanto valenza probatoria. Questa, infatti, non serve per individuare l’anno di applicazione del credito.

Mi sono trovato diverse volte di fronte a situazioni non corrette. Ad esempio il credito è stato applicato nell’anno in cui si è ricevuta la certificazione sul reddito. Questo al posto del corretto anno, ovvero quello di versamento delle imposte. Si tratta di un errore non di poco conto. In questi casi è necessario procedere all’invio di dichiarazioni integrative per sanare la situazione.

Imposta non ripetibile

Cosa vuol dire imposta “non ripetibile”? Per rispondere occorre rifarsi a quanto disposto dalla Circolare n. 9/E/2015 (§ 2.4), dell’Agenzia delle Entrate. Secondo il documento di prassi in commento si considerano ripetibili, quindi imposte che non danno diritto al credito, le imposte suscettibili di rimborso nello Stato estero, oppure le imposte versate in acconto.

Ad esempio, il contribuente che ha svolto attività di lavoro dipendente all’estero, qualora tale reddito si renda imponibile in Italia (secondo i criteri di collegamento dell’art. 23 del TUIR e della Convenzione contro le doppie imposizioni, ove esistente), deve prestare attenzione alle imposte trattenute nello Stato estero di erogazione del reddito. Ebbene, il credito per imposte estere non può essere quello derivante dalle singole buste paga (tale credito, al momento, non ha ancora assunto carattere di esaustività). Tale importo, infatti, deve derivare da documentazione che possa certificare la definitività dell’imposta, quindi, deve derivare dalla presentazione di una dichiarazione dei redditi nello Stato estero. Il credito rilevante per l’Italia è determinato in relazione al valore dell’imposta definitiva per il contribuente (ovvero non più richiedibile a rimborso).

Al contrario, non possono considerarsi definitive le imposte pagate in acconto o in via provvisoria. Non si considerano definitive le imposte per le quali è prevista, sin dal momento del pagamento, la possibilità di rimborso totale o parziale. Stessa cosa vale anche per i rimborsi attraverso il meccanismo della “compensazione” con altre imposte dovute nello Stato estero. Allo stesso modo non possono essere detratte le imposte corrisposte in via provvisoria in pendenza di un contenzioso.

Ambito temporale

Altro aspetto problematico nella determinazione del credito per imposte estere riguarda le tempistiche entro le quali le imposte estere assumono carattere di definitività. Secondo quanto disposto dal comma 4 dell’art. 165 del TUIR, il pagamento a titolo definitivo dell’imposta estera deve avvenire entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui è stato prodotto il reddito. Tuttavia, è ammessa la possibilità di detrazione anche se il pagamento avviene entro la dichiarazione del periodo di imposta successivo, ex comma 5 dell’art. 165 del TUIR.

Riprendendo l’esempio precedente sul reddito da lavoro dipendente estero, ipotizziamo che il contribuente nell’anno successivo a quello di erogazione del reddito presenti la dichiarazione dei redditi nello Stato estero. Dalla dichiarazione emerge un debito ulteriore di imposta, che il contribuente versa sempre nell’anno successivo a quello di erogazione del reddito. A quel punto siamo nei termini previsti dal comma 4 o dal comma 5 (a seconda del momento di versamento) dell’art. 165 del TUIR. Tale imposta definitiva, risultante da dichiarazione dei redditi presentata all’estero, può concorrere alla determinazione dell’imposta dovuta in Italia.

La documentazione probatoria

Il comma 4 dell’articolo 165 del TUIR prevede che la detrazione per il credito di imposta deve essere calcolata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta cui appartiene il reddito prodotto all’estero al quale si riferisce l’imposta, a condizione che il pagamento a titolo definitivo avvenga prima della presentazione della dichiarazione stessa. Ai fini della fruizione del credito d’imposta, il sostituto di imposta (se il recupero del credito avviene in sede di conguaglio) o il dipendente (se il recupero del credito avviene in sede di dichiarazione) deve provvedere alla raccolta della seguente documentazione probatoria di supporto:

  • Copia della dichiarazione dei redditi presentata nello Stato estero;
  • L’eventuale richiesta di rimborso delle imposte pagate all’estero, qualora non sia inserita nella stessa dichiarazione;
  • Le ricevute o le distinte attestanti il versamento delle imposte pagate all’estero;
  • La certificazione ad hoc rilasciata dal sostituto d’imposta nel caso in cui il trattamento economico corrisposto al lavoratore venga corrisposto per il tramite di una società locale.

Occorre conservare la documentazione da cui risultino l’ammontare del reddito prodotto e le imposte pagate in via definitiva in modo da poterla esibire o trasmettere a richiesta degli uffici finanziari. In particolare, devono essere conservate (poiché le agenzie delle Entrate potranno farne esplicita richiesta) le certificazioni in originale delle imposte pagate nello Stato estero accompagnate da una traduzione giurata (se in lingua diversa da quella inglese, francese, spagnola o tedesca). Se la certificazione estera è in una delle lingue suindicate, non è necessaria la traduzione giurata, ma la traduzione semplice è sufficiente).


Il funzionamento del credito di imposta

Ai sensi dell’articolo 165 comma 1 del DPR n. 917/86 in caso di redditi prodotti all’estero che concorrono a formare il reddito complessivo ai fini delle imposte dirette, può trovare applicazione il credito per imposte estere.

Se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione

Inoltre, vi possono essere casi in cui l’importo del credito deve essere parametrato alla quota di imposta come, ad esempio, in caso di applicazione delle retribuzioni convenzionali, ex art. 51, co.8-bis del TUIR.

Nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente

Art. 165, co. 10 TUIR

Applicazione del credito di imposta o della detrazione

Questo inquadramento del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero si configura come detrazione o credito d’imposta vero e proprio a seconda del periodo d’imposta in cui va fruito. A seconda del periodo di imposta in cui è avvenuto il pagamento delle imposte a titolo definitivo possiamo avere:

  • Utilizzo del credito di imposta come una detrazione. Nel caso in cui si utilizzi il credito nello stesso periodo di imposta in cui è tassato il reddito estero. Questo in quanto il credito non può eccedere l’imposta italiana dovuta;
  • Utilizzo come credito di imposta. Nel caso in cui il credito si utilizzi in un periodo d’imposta successivo a quello di appartenenza del credito. Il credito può eccedere l’imposta netta nell’anno di fruizione. Tuttavia, sempre entro i limiti dell’imposta netta di percezione del reddito.

Al riguardo, le disposizioni presenti nelle convenzioni siglate dall’Italia non prevedono vincoli procedurali o temporali. Mi riferisco ad eventuali limiti al diritto del contribuente di poter scomputare il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero. In particolare, la limitazione all’utilizzo del credito di cui al comma 4, dell’articolo 165 DPR n 917/86 non compare in alcuna Convenzione sottoscritta dall’Italia. A parere di chi scrive, è pacifico ritenere che le norme convenzionali prevalgono su quelle interne.

Lo stesso articolo 169 del DPR n. 917/86 ammette di fatto un’eccezione, stabilendo che la normativa nazionale si applica, se più favorevole, al contribuente, in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione. Dello stesso tenuto anche l’art. 75 del DPR n. 600/73.

Il caso dei redditi esteri prodotti in più stati

Se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti in più stati esteri, l’ammontare della detrazione deve essere determinato separatamente per ogni Stato. In altri termini, il calcolo per la determinazione del credito d’imposta spettante deve essere ripetuto tante volte quanto sono i Paesi esteri in cui si percepiscono redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo. L’ammontare della detrazione ammessa è pari alla somma delle singole detrazioni determinate con riferimento ai diversi Paesi di produzione dei redditi.

Prescrizione e decadenza

La formulazione letterale dell’articolo 165 del DPR n. 917/86 permette di desumere che l’ordinamento non preveda alcun termine decadenziale per il diritto di portare in detrazione il credito d’imposta. L’unica preclusione attualmente ravvisabile nella normativa vigente è quella prevista al comma 8 dell’articolo 165, ove si specifica che: “la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata” casi in cui il recupero del credito risulta di fatto totalmente precluso. Sul punto deve essere presa in considerazione, inoltre, la pronuncia della Commissione tributaria regionale Lombardia n. 1443/2018. Pronuncia nella quale i giudici, dopo aver correttamente ricostruito il rapporto tra fonti del diritto (nella fattispecie, la prevalenza delle Convenzioni tra Italia e Spagna ed Italia e Paesi Bassi sulla normativa interna), hanno affermato che:

[…omissis…] Né il quarto comma in discorso prevede che la mancata presentazione nella dichiarazione relativa al periodo di imposta cui appartiene il reddito prodotto all’estero comporti la decadenza dal diritto ad una non doppia imposizione

CRT Lombardia n 1443/18

Modalità di calcolo

In caso di redditi prodotti all’estero che concorrono a formare il reddito complessivo, le relative imposte estere sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto fra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo (art. 165, comma 1). In sostanza, il calcolo del credito d’imposta richiede di determinare un primo limite, il cd. rapporto di detraibilità di cui all’articolo 165, comma 1, DPR n. 917/86.

Questo rappresenta il cd. “rapporto di detraibilità”, che esprime la misura massima di credito utilizzabile dal dipendente, rappresentato dalla quota parte di imposta lorda italiana afferente il rapporto tra reddito estero (ossia, il reddito riferibile all’attività prestata nello Stato estero e tassato in Italia sulla base della retribuzione convenzionale) ed il reddito complessivo del dipendente tassato in Italia nell’anno di riferimento. Naturalmente, nel reddito complessivo confluisce il reddito estero stesso. La formula del rapporto di detraibilità è la seguente:

(reddito estero/reddito complessivo) x imposta lorda italiana.

I dubbi che accompagnano gli operatori con riferimento alla determinazione del credito d’imposta in regime di comma 8-bis (ossia in presenza reddito di lavoro dipendente determinato su base convenzionale) sono per lo più incentrati sulla modalità di calcolo dello stesso credito, alla luce anche della particolare disposizione contenuta nel comma 10 dell’articolo 165 del DPR n. 917/86 e della disposizione di carattere interpretativo emanata dal legislatore con l’articolo 36, comma 30, del D.L. n. 223/06.

Calcolo del credito di imposta ridotto in caso di retribuzioni convenzionali

La disposizione normativa di cui al comma 10 dell’art. 165 del DPR n. 917/86 prevede che, nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera deve essere ridotta in misura corrispondente. Inoltre, per effetto della seconda disposizione normativa, in caso di reddito determinato convenzionalmente in misura ridotta in base a quanto previsto dall’articolo 51, comma 8-bis del DPR n. 917/86, il lavoratore dipendente residente fruisce, per le imposte assolte all’estero, di un credito di imposta non in misura piena, ma proporzionale al reddito estero che concorre alla formazione del proprio reddito complessivo.

Parametrizzazione del credito

In sostanza, la norma ha portato ad individuare un secondo limite da prendere in considerazione ai fini della determinazione del credito d’imposta spettante al lavoratore, che richiede di riproporzionare il credito d’imposta quando il reddito di lavoro dipendente è determinato su base convenzionale ai sensi del comma 8-bis. Pertanto, se il reddito effettivo prodotto all’estero non concorre per intero a formare il reddito complessivo in Italia (assumendo che il reddito convenzionale tassato in Italia sia inferiore al reddito imponibile nel paese estero), si deve limitare in misura proporzionale il riconoscimento del credito.

Per quanto la norma di interpretazione autentica faccia riferimento ai casi in cui il reddito estero imponibile in Italia sia rappresentato dalla retribuzione convenzionale di cui al comma 8-bis dell’art. 51 TUIR, tale disposizione può applicarsi ogniqualvolta ci si trovi di fronte a situazioni nelle quali il reddito estero tassato in Italia concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo del lavoratore e, dunque, anche ai casi che non rientrano nel regime 8-bis in riferimento ai quali il reddito di lavoro dipendente è calcolato secondo gli ordinari criteri analitici (si pensi al comune caso del lavoratore inviato in trasferta all’estero).

Tale valore rappresenta la misura del credito d’imposta (Foreign Tax Credit) esigibile che, tuttavia, deve essere confrontata anche con un altro limite, l’imposta netta. Dunque, una volta determinato il credito d’imposta, lo stesso dovrà comunque essere assunto nei limiti dell’imposta netta relativa al periodo di imposta cui il reddito fa riferimento, considerando anche eventuali crediti d’imposta di cui si sia già usufruito nelle precedenti dichiarazioni in relazione allo stesso reddito estero. Ciò consente di individuare il credito d’imposta effettivamente spettante al dipendente.

Modalità operative di calcolo del credito

Interpellata sulla corretta applicazione delle norme descritte, l’Agenzia delle entrate, con la Risoluzione n. 48/E/2013, ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla modalità di riduzione dell’imposta estera ai sensi del comma 10 dell’art. 165 del DPR n. 917/86, nel caso di redditi di lavoro dipendente prestato all’estero di cui al citato comma 8-bis dell’art. 51 DPR n. 917/86.

Con la suddetta risoluzione, l’Agenzia delle entrate ha affermato che ai fini della corretta applicazione dell’art. 165, comma 10, l’imposta estera deve essere ridotta in base al rapporto tra la retribuzione convenzionale e il reddito di lavoro dipendente prodotto all’estero, ma determinato – in modo teorico – sulla base delle regole che presiedono alla determinazione analitica secondo l’art. 51, commi da 1 a 8. In altre parole, per determinare correttamente il credito d’imposta detraibile spettante al dipendente, l’imposta pagata all’estero a titolo definitivo dovrebbe essere ridotta in proporzione al rapporto tra il reddito estero, da intendere come reddito convenzionale ai sensi del comma 8-bis, e il reddito di lavoro dipendente che sarebbe stato tassabile in via ordinaria, e non in misura convenzionale, in Italia. Sulla base di quanto precede, la formula di riferimento da utilizzare per il calcolo del credito di imposta, secondo le indicazioni dell’Agenzia è questa:

FTC = (Retribuzione Convenzionale ex art. 51 , comma 8bis Tuir/Reddito estero determinato ex art. 51 commi 1–8) * Imposte pagate all’estero a titolo definitivo

Esempio di calcolo: lavoro dipendente estero

Per chiarire meglio il calcolo del credito d’imposta riteniamo opportuno rappresentare il seguente esempio. Si ipotizzi il caso di un dipendente, fiscalmente residente in Italia, che presta la propria attività all’estero (ad esempio, in Romania), assoggettato a tassazione in Italia su base convenzionale e, in Romania, tassato con un’aliquota proporzionale prevista nella misura del 16% del reddito lordo. La fattispecie delineata è  riassumibile con i seguenti dati numerici:

  • Imponibile estero: Euro 100.000;
  • Imposte pagate all’estero: Euro 16.000;
  • Retribuzione convenzionale ex art. 51, comma 8-bis: Euro 70.000;
  • Reddito rideterminato ex art. 51 , commi 1-8, DPR n. 917/86: Euro 85.000

La modalità di calcolo del credito è la seguente:

(70.000/85.000) * 16.000 = Euro 13.176

Deve essere sottolineato che in alcuni casi può anche verificarsi che la rideterminazione dell’imponibile seconde le norme italiane porti ad un valore superiore all’imponibile determinato nel Paese estero (assumiamo sia pari a Euro 110.000). Questo può accadere nel caso in cui nella base imponibile estera non rientrino alcuni elementi invece tassabili in Italia, come potrebbe essere a seguito di regimi agevolativi applicabili all’estero con riferimento all’alloggio erogato come benefit al dipendente e, in generale, all’indennità di prima sistemazione. In tale situazione, dal calcolo del credito si otterrà un minore credito di imposta da recuperare, come segue: (70.000/110.000) * 16.000 = Euro 10.182.

Implicazioni operative sul calcolo

Come noto, il trattamento economico dei dipendenti che prestano attività all’estero comprende tipicamente molte voci e non tutte trovano una classificazione univoca nel nostro ordinamento giuridico (si pensi ad esempio alla componente in natura dell’alloggio o alle spese di trasporto).

Le maggiori difficoltà applicative riguardano, dunque, i compensi in natura generalmente corrisposti al lavoratore in distacco all’estero e, più precisamente, riguardano la concessione di un alloggio, che viene in genere fornito al dipendente in occasione dell’impiego estero, all’attribuzione di un’autovettura, ai viaggi di rientro per motivi personali, alla cd. indennità di prima sistemazione e alla cd. indennità per servizi prestati all’estero. Vediamo come avviene la tassazione di questi elementi in quanto la loro tassazione andrà ad incidere sul calcolo del credito di imposta.

L’alloggio

Nel caso dell’abitazione concessa al dipendente, in occasione dell’assegnazione all’estero, non è possibile far riferimento alla rendita catastale dell’immobile come previsto dall’art. 51 , comma 4, lett. c) DPR n. 917/86 e, pertanto, occorrerebbe fare ricorso al valore di mercato del canone di locazione. In questo caso, verrebbe però disattesa l’evidente agevolazione insita nella ratio della disposizione, agevolazione che sarebbe peraltro ancora più giustificata dal disagio connesso ad un trasferimento all’estero del dipendente.

In relazione ai problemi applicativi in ordine alla valorizzazione dell’alloggio concesso al dipendente nel Paese estero, il criterio da utilizzare varia in funzione della circostanza ove al dipendente vengano forniti servizi di alloggio collettivi previsti per la generalità dei dipendenti o per una categoria degli stessi (in tal caso essi non avrebbero rilevanza reddituale per effetto di una specifica disposizione legislativa e potrebbero quindi essere considerati non imponibili), ovvero siano concessi alloggi su unità residenziali in prossimità del luogo in cui viene prestata l’attività lavorativa. Dunque, con particolare riferimento alla componente in natura dell’alloggio, l’approccio che si propone potrebbe essere:

  • Applicare l’ art. 51 , comma 4, lett. c), del DPR n. 917/86 – che prevede di utilizzare come base il valore del canone di locazione – soluzione, questa, che sarebbe in valore assoluto la più prudente, ovvero
  • Optare per l’applicazione del comma 5 dello stesso articolo che consentirebbe – in analogia con quanto avviene per il regime delle trasferte – di escludere dalla base imponibile estera il controvalore dell’alloggio (ma anche delle spese di viaggio).

Al riguardo, il rimborso delle spese di alloggio e di viaggio potrebbe essere qualificato come una componente avente natura risarcitoria, ossia di mera reintegrazione patrimoniale, conseguente ad una spesa che il lavoratore sopporta nell’esclusivo interesse del datore di lavoro.

Autoveicoli

Per quanto concerne l’utilizzo promiscuo da parte del lavoratore di un’automobile all’estero non vi sono particolari problemi nella determinazione del reddito di lavoro dipendente da assoggettare a imposizione. Infatti, la stessa Circolare n. 326/E/97 aveva già fornito una risposta a tale ipotesi, facendo riferimento, per i veicoli esclusi dalle tabelle ACI, a quello che per tutte le sue caratteristiche risulta più simile.

Viaggi di rientro

Per i viaggi di rientro per motivi personali non esiste una previsione ad hoc, tali somme dovrebbero quindi concorrere in modo pieno alla formazione della base imponibile. Tuttavia, si ritiene che eventuali spese di viaggio per ragioni di lavoro (i cd. viaggi infracontrattuali, ad esempio per raggiungere la nuova sede di lavoro estera all’inizio e alla fine del periodo di assegnazione) non dovrebbero avere natura reddituale e possono essere considerate non imponibili ai fini della rideterminazione della base imponibile estera.

Indennità

Con riferimento alle ulteriori voci correlate con la prestazione lavorativa, come l’indennità di prima sistemazione, questa potrebbe usufruire del trattamento agevolato previsto dall’art. 51, comma 7, del TUIR che consente di escludere dalla formazione dell’imponibile il 50% dell’ammontare di tale indennità, nel limite massimo annuo di 4.648 euro.

Con riferimento alla cd. indennità per servizi prestati all’estero (che potrebbe essere costituita da un importo aggiuntivo riconosciuto al dipendente distaccato a compensazione del disagio morale e ambientale connesso con lo svolgimento dell’attività nel paese estero), potrà essere considerata al 50%, ai sensi del comma 8, art. 51 del TUIR, che prevede, appunto, la tassazione delle indennità percepite per servizi prestati all’estero in misura pari al 50%. In altri termini, assumere l’intero ammontare della predetta indennità sarebbe conseguente alla sterilizzazione che deriva per effetto della fornitura dell’alloggio, che costituirebbe una componente di natura risarcitoria il cui valore potrebbe, quindi, essere escluso in applicazione delle regole generalmente applicabili alle trasferte (o, comunque, in forza di un principio generale di esclusione dal reddito delle somme aventi natura di mera reintegrazione patrimoniale).

Il riporto delle eccedenze a credito

Il comma 6 dell’art. 165 del TUIR detta le regole per il riporto all’indietro (c.d. “carry back“) e il riporto in avanti (c.d. “carry forward“) delle eccedenze di imposta che si generano con riferimento ai redditi prodotti all’estero qualificati come redditi di impresa in Italia, da soggetti residenti titolari di redditi di impresa nello stesso paese estero. Per la determinazione del reddito di impresa, si precisa che è indifferente se la produzione del reddito estero avviene con la presenza, o meno, di una stabile organizzazione. In buona sostanza, il comma 6 dell’art. 165 prevede l’indicazione di due opposte eccedenze:

  • Nel caso in cui l’imposta estera sia superiore alla quota di imposta italiana relativa al reddito prodotto nel medesimo Stato estero, si genera un’eccedenza di imposta estera con riferimento alla quota di imposta italiana relativa al reddito prodotto nel medesimo Stato estero;
  • Nel caso in cui la quota di imposta italiana relativa al reddito prodotto nel medesimo Stato estero sia superiore all’imposta estera, si genera un’eccedenza della quota di imposta italiana con riferimento all’imposta estera relativa al reddito prodotto nel medesimo Stato estero.

Limiti temporali

Il riporto delle eccedenze ha dei precisi limiti temporali. Prima di tutto il riporto all’indietro deve essere operato prima del riporto in avanti. L’eccedenza di imposta estera deve essere raffrontata con le eccedenza di imposta italiana, eventualmente emersa, con riferimento allo stesso reddito estero, nei precedenti otto periodi di imposta.

Quindi, laddove negli otto periodi di imposta precedenti si riscontrino delle eccedenza di imposta italiana con riferimento allo stesso reddito estero, l’eccedenza di imposta estera si trasforma in un credito di imposta immediatamente fruibile, fino a concorrenza della riscontrata eccedenza di imposta italiana. Al contrario, nel caso in cui negli esercizi precedenti non si sia verificata alcuna eccedenza di imposta italiana relativa al medesimo reddito estero l’eccedenza di imposta estera può essere riportata in avanti fino all’ottavo esercizio successivo. Questa costituirà un credito di imposta fruibile nel momento in cui si manifesterà un eccedenza di imposta italiana rispetto al medesimo reddito estero e fino a concorrenza di quest’ultima.

Tabella: sezione II del quadro CE applicazione e riporto nel tempo delle eccedenze di imposta nel reddito di impresa

Eccedenza di impostaRiporto dell’eccedenzaEffetto
Eccedenza di imposta esteraPresenti pregresse eccedenza di imposta italianaL’eccedenza di imposta estera deve essere riportata indietro e compensata con le eccedenze di imposta italiana, fino ad un massimo di 8 anni precedenti. La compensazione si trasforma in credito di imposta immediatamente spendibile
Eccedenza di imposta esteraNon presenti pregresse eccedenze di imposta italianaLe eccedenze di imposta estera possono essere portate in avanti fino ad un massimo di 8 esercizi. Le eccedenze di imposta estera si trasformeranno in credito di imposta fruibile nel momento in cui si manifesterà una eccedenza di imposta italiana.
Riporto nel tempo delle eccedenze di imposta

Nella Sezione IIA del quadro CE devono essere indicati i dati relativi alla determinazione delle eccedenze di imposta di cui all’art. 165 comma 6 del TUIR.

Ritenuta convenzionale in uscita dallo Stato estero

Altro aspetto da tenere in considerazione è quello legato alla eventuale ritenuta in uscita applicata dallo Stato estero. Qualora le ritenuta applicata nello Stato estero sia superiore a quella convenzionale, il soggetto residente in Italia, può chiedere il rimborso. Il rimborso che riguarda la differenza tra la ritenuta in uscita applicata e la ritenuta massima prevista in ambito convenzionale.

Sul punto ricordo che soltanto la ritenuta prevista al livello convenzionale può essere oggetto di riconoscimento del credito di imposta. Così come previsto dall’articolo 165 del DPR n 917/86. Non è invece rilevante il fatto che l’imposta possa essere modificata a sfavore del contribuente. Come nel caso in cui la stessa si riferisca a redditi ancora assoggettabili ad accertamento da parte dell’Amministrazioni fiscale estera.


Utilizzo dell’eccedenza di credito

Le imposte pagate all’estero possono essere usate in detrazione delle imposte che si devono pagare in Italia. Il credito d’imposta maturato all’estero può essere utilizzato a riduzione delle imposte dovute in Italia nell’anno di percepimento.

L’eventuale eccedenza di credito può essere riportata a nuovo fino all’ottavo esercizio successivo. Il riporto a nuovo del credito è possibile sino a capienza dell’eccedenza dell’imposta italiana maturata nelle annualità precedenti. A tal proposito si consiglia di fare riferimento alla Circolare n 9/E/2015 per comprendere tutti gli aspetti previsti per l’utilizzo in Italia dei crediti per le imposte pagate all’estero. Sul punto, la Circolare n 4/E/19 analizza una fattispecie ulteriore.

In particolare, il caso in cui il reddito estero dichiarato venga rettificato in aumento dalle autorità fiscali. Per cui ci si chiede se è possibile utilizzare il maggior credito per le imposte versate all’estero ma non ancora utilizzato. Anche in questo caso, come nel precedente la circolare prende in considerazione il comportamento che il contribuente avrebbe potuto ottenere dichiarando sin da subito l’intero reddito estero poi accertato. Proprio per questo motivo è possibile utilizzare l’eccedenza di credito per imposte estere, anche in caso di accertamento fiscale.


Accertamenti fiscali

L’Agenzia delle Entrate ha la possibilità di effettuare attività di accertamento sui soggetti che applicano il credito per imposte estere. Infatti, entro il termine previsto per l’accertamento della dichiarazione dei redditi:

  • 31 dicembre del 5° anno successivo a quello di presentazione;
  • 31 dicembre del 7° anno successivo in caso di dichiarazione omessa;

L’Agenzia ha la possibilità di richiedere al contribuente la documentazione in base alla quale ha iscritto il credito. Si tratta della documentazione indicata in precedenza. Qualora dall’indagine risulti che il credito non è dovuto o è dovuto solo in parte vi sono delle sanzioni:

  • Sanzione amministrativa del 70% della maggiore imposta dovuta e non versata in caso di infedele dichiarazione;
  • Sanzioni del 120% della maggiore imposta dovuta e non versata in caso di omessa dichiarazione.

Presentazione di interpello

Nel caso in cui sussistano obiettive situazioni di incertezza in merito alla natura di un tributo estero non oggetto di convenzioni contro le doppie imposizioni, è possibile intervenire. In questo caso il contribuente può inoltrare all’Amministrazione finanziaria istanza di interpello. Secondo quanto previsto dall’articolo 11, della Legge n. 212/00, il contribuente ha la possibilità di presentare interpello nelle seguenti situazioni:

  • Esistenza di dubbi in merito ai nuovi tributi entrati in vigore successivamente rispetto a quelli nell’elenco originario della convenzione contro le doppie imposizioni;
  • Sussistenza di dubbi in merito alla natura del tributo estero qualora non sia stata stipulata una convenzione con il Paese estero.

Consulenza fiscale online

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Non aspettare, evita di commettere errori e conserva la documentazione utile per gli accertamenti.

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