I lavoratori dipendenti in busta paga possono facilmente verificare quali sono e quanti sono i permessi non goduti, o le ferie non godute. Si tratta di periodi dedicati alla sospensione del lavoro, per le ferie estive, oppure per permessi particolari, che non sono stati utilizzati, e che vengono riportati in busta paga.
Questi lavoratori possono cumulare ferie e permessi attraverso il proprio lavoro, ovvero con il trascorrere del tempo lavorato per una certa azienda. Ma cosa accade se al giorno 30 giugno, queste ferie e permessi non risultano goduti? Questa data è importante perché scade la possibilità di usufruire delle ferie e dei permessi maturati nel corso del 2022.
La legge prevede che il lavoratore dipendente possa accedere ad un periodo di ferie di almeno 4 settimane all’anno, tuttavia per accedere a questi giorni di sospensione dal lavoro è prevista una scadenza specifica, ovvero entro 18 mesi. Vediamo in questo articolo cosa accade a questi periodi non goduti, superato questo periodo, quando si rischia di perderli e quando possono essere pagati.
30 giugno 2024: scadenza periodi maturati nel 2022
Si può dire che il 30 giugno 2024 è una data importante per quanto riguarda la scadenza di ferie e permessi, relativamente a quelli maturati nel 2022. Per questo motivo è consigliato per tutti i lavoratori dipendenti accedere a questi periodi di tempo maturati prima di questa scadenza, per poterne usufruire.
La legge italiana prevede che il lavoratore debba accedere necessariamente ad un periodo di ferie di quattro settimane dopo un anno di lavoro, per cui il datore di lavoro che non rispetta questo periodo, può essere sanzionato. La legge prevede queste quattro settimane possano essere riconosciute in questo modo:
- Due settimane devono essere riconosciute dal datore di lavoro nell’anno stesso in cui vengono maturate;
- Due settimane devono essere riconosciute dal datore di lavoro nei successivi 18 mesi dalla maturazione.
Per questo motivo è importante che questi periodi di sospensione del lavoro vengano corrisposti e garantiti dal titolare, o dall’azienda per cui il lavoratore sta operando, tuttavia sono indicate delle scadenze. Come anticipato, chi ha maturato delle ferie, non godute, nel 2022, ha tempo solamente fino al 30 giugno 2024 per poter utilizzarle.
Va anche tenuto in considerazione che ci sono specifiche modalità per accedere a periodi ulteriori di ferie, o per accedere ai permessi, indicate dai contratti collettivi nazionali.
Ferie e permessi non goduti
Quando si parla di periodi di ferie e permessi non goduti, si fa riferimento a giornate effettivamente maturate, ma per cui il lavoratore non ha ancora richiesto la sospensione del lavoro, o il datore di lavoro ancora non l’ha consentita.
Come visto prima, il titolare è obbligato a garantire ai dipendenti questo periodo di sospensione del lavoro, in caso contrario potrebbe essere multato. Tuttavia il lavoratore può ritrovarsi in busta paga alcuni periodi aggiuntivi a quelli standard, sia per le ferie che per i permessi, e quindi non ha ancora avuto accesso.
Cosa succede, superata la data del 30 giugno 2024, a questi permessi e ferie non godute? Generalmente è prevista la possibilità di accreditare in qualche modo questo vantaggio ai lavoratori, tuttavia va tenuto conto che è necessario variare i contributi INPS come se questi periodi fossero stati goduti.
Questo vuol dire che nel mese successivo alla scadenza il lavoratore riceverà più contributi rispetto al normale versamento, in base al periodo di ferie e permessi non goduti effettivamente. Questo versamento per il datore di lavoro è un obbligo, per cui i periodi non goduti vengono comunque corrisposti al lavoratore, con un calcolo aggiuntivo per la contribuzione INPS. Il datore di lavoro dovrà quindi corrispondere questi versamenti nel mese successivo, ovvero a luglio 2024.
Calcolo contributi INPS
Nello specifico, per poter convertire ferie e permessi non goduti a fini contributivi, è necessario effettuare un calcolo. In particolare, l’imponibile previdenziale, ovvero la cifra su cui vengono calcolati mensilmente i contributi INPS, aumenta in base alle ferie che non sono state godute, o in base ai permessi non utilizzati.
Seguendo un esempio proposto da Leggioggi.it, vediamo come funziona brevemente questo calcolo contributivo: se per esempio la retribuzione mensile per il lavoratore dipendente è di 1.500 euro, su questa cifra viene calcolato l’importo da versare all’INPS. L’aliquota ipotizzata in questo caso è del 36,74%.
L’esempio prende in considerazione che il valore corrispondente in denaro alle ferie e ai permessi non goduti sia di 250 euro complessivi. Questa cifra andrà aggiunta per il calcolo, ai 1.500 euro di retribuzione erogata normalmente, per cui cambia di fatto l’imponibile previdenziale, arrivando a 1.750 euro.
Applicando la percentuale vista in precedenza, che corrisponde ai contributi INPS da versare, il risultato del calcolo è 642,95 euro, che devono essere interamente destinati all’INPS per fini pensionistici. Va tenuto in considerazione che di questo importo, secondo la legge italiana, una parte viene corrisposta dal datore di lavoro, una parte viene trattenuta in busta paga al lavoratore dipendente.
Le ferie e i permessi non goduti in questo modo non vengono persi, tuttavia è obbligatorio procedere al calcolo contributivo, come se questi periodi fossero stati utilizzati dal lavoratore.
Pagamento dei periodi non goduti
Ci si chiede quindi se è possibile che i periodi di tempo cumulati e non goduti, come ferie e permessi, possano essere convertiti in denaro, tramite pagamento direttamente in busta paga. La legge in Italia prevede che, se si continua a lavorare con lo stesso datore di lavoro, questi periodi non possano essere pagati al lavoratore, quindi non ci può essere una conversione in denaro.
Il divieto di monetizzare questi periodi è stato introdotto per tutelare i lavoratori nell’accedere ai periodi di ferie e permessi spettanti, e disincentivare quindi la rinuncia a tali periodi per ottenere il pagamento in denaro.
Tuttavia, se questi periodi non sono stati goduti dal lavoratore, e il lavoro si trova alla sua conclusione, è possibile che vengano pagati con la fine del rapporto di lavoro. In alcuni casi inoltre, è possibile richiedere il pagamento dei periodi non goduti, purché questi superino di fatto i periodi obbligatori per legge, e questo passaggio sia previsto dal contratto specifico.
Nella pratica, questo vuol dire che se vengono superate le quattro settimane di ferie obbligatorie per legge, il restante periodo cumulato può essere monetizzato. In alcuni specifici casi inoltre, esiste la possibilità di ricevere una indennità dalle ferie non godute. Si tratta di:
- Permessi ROL, ovvero in caso di riduzione dell’orario di lavoro;
- Permessi ex-festività, ovvero in caso di sostituzione delle festività religiose considerate non festive civilmente.
Le sanzioni per il datore di lavoro
L’accesso ad un periodo di sospensione dal lavoro per ferie o permessi è obbligatorio per legge: questo vuol dire che il lavoratore deve accedere ad almeno 4 settimane all’anno di stop dal lavoro. Se ciò non avviene, il datore di lavoro è sanzionabile.
Esiste infatti una sanzione amministrativa specifica per il datore di lavoro che impedisce l’accesso al dipendente alle ferie secondo la legge italiana, ovvero non garantisce almeno le 4 settimane previste dai contratti collettivi nazionali.
Le sanzioni di base vanno da 120 a 720 euro, ma sono applicate delle maggiorazioni in base alla gravità della situazione. In particolare, se sono più di 5 i dipendenti che incorrono in questa problematica, la sanzione può andare da 480 a 1.800 euro. Se l’illecito viene compiuto su più di 10 lavoratori, o per diversi anni, la sanzione può arrivare da 960 a 5.400 euro.
Per quanto riguarda il lavoratore, in questi casi può chiedere il risarcimento dei danni, perché l’accesso a questi periodi di sospensione del lavoro è un diritto fondamentale stabilito a livello contrattuale. Inoltre può chiedere di godere delle ferie maturate al primo momento utile.