Il 30 giugno rappresenta una scadenza importante per verificare lo smaltimento delle ferie maturate nei 24 mesi precedenti. Il mancato rispetto comporta l’obbligo di versamento anticipato dei contributi INPS e sanzioni amministrative.
La gestione delle ferie non godute rappresenta un aspetto che i lavoratori dipendenti devono attenzionare (in busta paga) quando si avvicina la scadenza del 30 giugno. Questa data non è casuale: entro tale termine, il datore di lavoro deve verificare che tutte le ferie maturate dai dipendenti nei 24 mesi precedenti siano state effettivamente fruite. Il mancato rispetto di questo obbligo comporta conseguenze economiche significative, dall’anticipo dei contributi previdenziali a sanzioni che possono raggiungere i 5.400 euro per lavoratore.
La problematica si presenta con particolare intensità nelle aziende dove i dipendenti tendono ad accumulare giorni di ferie, spesso per necessità organizzative o per scelte personali. Tuttavia, la normativa è chiara: le ferie rappresentano un diritto irrinunciabile del lavoratore e il datore ha l’obbligo di garantirne la fruizione entro i termini previsti dalla legge. Il lavoratore dipendente può accedere ad un periodo di ferie di almeno 4 settimane all’anno, tuttavia per accedere a questi giorni di sospensione dal lavoro è prevista una scadenza specifica, ovvero entro 18 mesi.
Indice degli Argomenti
- La normativa sulla fruizione delle ferie
- Ferie non godute e cessazione rapporto di lavoro
- Pagamento delle ferie non godute
- Tassazione delle ferie non godute
- Permessi non goduti: tassazione e pagamento dei ROL
- Liquidazione TFR e ferie non godute
- Quando vengono pagate le ferie non godute
- Le sanzioni per il datore di lavoro
- Evitare l’accumulo delle ferie
La normativa sulla fruizione delle ferie
Il quadro normativo delle ferie trova il suo fondamento nell’articolo 36 della Costituzione, che sancisce il diritto irrinunciabile del lavoratore al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite. Questo principio costituzionale viene poi declinato operativamente dall’articolo 2109 del Codice Civile e, soprattutto, dall’articolo 10 del Decreto Legislativo n. 66 dell’8 aprile 2003.
Il D.Lgs. n. 66/2003 stabilisce che ogni lavoratore dipendente ha diritto a un minimo di quattro settimane di ferie annuali, indipendentemente dalla tipologia contrattuale. Di queste, almeno due settimane devono essere fruite in modo continuativo durante l’anno di maturazione, mentre le restanti due possono essere utilizzate entro i 18 mesi successivi alla fine dell’anno in cui sono maturate.
La prassi consolidata prevede che la maturazione delle ferie avvenga tramite rateo mensile pari a 1/12 del monte ferie annuale, a partire dal primo giorno di lavoro, inclusi eventuali periodi di prova. Questo meccanismo di maturazione progressiva garantisce al lavoratore l’acquisizione immediata del diritto, anche in caso di rapporti di lavoro di breve durata.
Un aspetto fondamentale riguarda l’impossibilità di monetizzazione delle ferie durante il rapporto di lavoro. La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che la finalità delle ferie è il recupero psicofisico del lavoratore e pertanto non possono essere sostituite da compensi economici, nemmeno su richiesta del dipendente.
30 giugno 2025: scadenza periodi maturati nel 2023
Si può dire che il 30 giugno 2025 è una data importante per quanto riguarda la scadenza di ferie e permessi, relativamente a quelli maturati nel 2023. Per questo motivo è consigliato per tutti i lavoratori dipendenti accedere a questi periodi di tempo maturati prima di questa scadenza, per poterne usufruire.
Ferie non godute e cessazione rapporto di lavoro
La cessazione del rapporto di lavoro rappresenta l’unica circostanza in cui le ferie non godute devono necessariamente essere monetizzate. Questa regola si applica indipendentemente dalla causa della cessazione: dimissioni volontarie, licenziamento, scadenza di contratto a tempo determinato, pensionamento o risoluzione consensuale.
La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 6 novembre 2018 (causa C-684/16), ha chiarito definitivamente che il diritto all’indennità sostitutiva spetta al lavoratore anche in caso di dimissioni volontarie, purché vengano rispettate le condizioni contrattuali previste, come il preavviso e le eventuali clausole di non concorrenza.
Particolare attenzione merita il caso dei contratti a tempo determinato di durata inferiore all’anno. In questa fattispecie, il lavoratore può scegliere di non fruire delle ferie per monetizzarle al termine del rapporto, rappresentando un’eccezione al divieto generale di conversione in denaro delle ferie.
Un altro caso specifico riguarda i lavoratori che beneficiano di un monte ferie superiore alle quattro settimane minime previste dalla legge, spesso stabilite dai Contratti Collettivi Nazionali. In questa situazione, è possibile monetizzare esclusivamente le ferie eccedenti il minimo legale, sempre che il CCNL lo preveda espressamente. Nella pratica, questo vuol dire che se vengono superate le quattro settimane di ferie obbligatorie per legge, il restante periodo cumulato può essere monetizzato. In alcuni specifici casi inoltre, esiste la possibilità di ricevere una indennità dalle ferie non godute. Si tratta di:
- Permessi ex-festività, ovvero in caso di sostituzione delle festività religiose considerate non festive civilmente.
- Permessi ROL, ovvero in caso di riduzione dell’orario di lavoro.
Pagamento delle ferie non godute
Il calcolo dell’indennità sostitutiva per le ferie non godute segue criteri precisi stabiliti dalla giurisprudenza consolidata. L’importo si determina moltiplicando il numero di giorni (o ore) di ferie residue per la retribuzione lorda giornaliera (o oraria) del lavoratore, comprensiva di tutti gli elementi fissi e continuativi.
Nella pratica professionale, è fondamentale considerare tutti gli elementi retributivi che concorrono alla determinazione della retribuzione feriale: stipendio base, scatti di anzianità, indennità di funzione, superminimi individuali e collettivi, oltre alle eventuali maggiorazioni previste dai CCNL di riferimento.
Per i lavoratori con retribuzione variabile, come quelli con elementi incentivanti o provvigionali, il calcolo deve basarsi sulla media delle retribuzioni percepite nei dodici mesi precedenti alla cessazione del rapporto. Questa metodologia garantisce una valorizzazione equa del diritto alle ferie, evitando distorsioni dovute a periodi particolarmente favorevoli o sfavorevoli.
Un aspetto procedurale rilevante riguarda i tempi di pagamento. Mentre per il TFR esistono termini precisi (30 giorni per aziende fino a 15 dipendenti, 45 giorni per le altre), per le ferie non godute non sono previsti termini specifici. Tuttavia, la buona prassi professionale suggerisce di provvedere contestualmente alla liquidazione del TFR, evitando così potenziali contenziosi.
Tassazione delle ferie non godute
La tassazione delle ferie non godute rappresenta uno degli aspetti da valutare con attenzione. L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 326/E del 1997, ha chiarito che l’indennità sostitutiva costituisce reddito di lavoro dipendente a tutti gli effetti, soggetta quindi alla normale tassazione IRPEF secondo gli scaglioni di reddito.
Tuttavia, la questione si complica quando l’indennità si riferisce a ferie maturate in anni precedenti. In questo caso, la tassazione separata prevista dall’articolo 17 del TUIR può trovare applicazione, con aliquote potenzialmente più favorevoli per il contribuente. La Cassazione, con la sentenza n. 15618/2019, ha precisato che la natura risarcitoria dell’indennità non esclude la tassabilità, ma può influire sulla modalità di tassazione.
Un elemento di particolare rilevanza riguarda il trattamento contributivo. L’INPS, con il Messaggio n. 2472/2018, ha confermato che l’indennità sostitutiva è soggetta al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, utilizzando le aliquote vigenti al momento del pagamento.
La trattenuta per ferie non godute, disciplinata dall’articolo 5 del D.Lgs. 66/2003, scatta quando il lavoratore non ha fruito delle ferie entro i 18 mesi dalla maturazione. In questo caso, il datore di lavoro deve versare all’INPS i contributi relativi alle ferie non godute, che verranno poi restituiti al momento della loro fruizione effettiva.
Esempio
Se per esempio la retribuzione mensile per il lavoratore dipendente è di 1.500 euro, su questa cifra viene calcolato l’importo da versare all’INPS. L’aliquota ipotizzata in questo caso è del 36,74%.
L’esempio prende in considerazione che il valore corrispondente in denaro alle ferie e ai permessi non goduti sia di 250 euro complessivi. Questa cifra andrà aggiunta per il calcolo, ai 1.500 euro di retribuzione erogata normalmente, per cui cambia di fatto l’imponibile previdenziale, arrivando a 1.750 euro.
Applicando la percentuale vista in precedenza, che corrisponde ai contributi INPS da versare, il risultato del calcolo è 642,95 euro, che devono essere interamente destinati all’INPS per fini pensionistici. Deve essere tenuto in considerazione che di questo importo, una parte viene corrisposta dal datore di lavoro, una parte viene trattenuta in busta paga al lavoratore dipendente.
Permessi non goduti: tassazione e pagamento dei ROL
I permessi ROL (Riduzione Orario di Lavoro) seguono regole diverse rispetto alle ferie. Questi permessi, previsti dai CCNL e finalizzati alla riduzione dell’orario di lavoro annuale, possono essere monetizzati anche durante il rapporto di lavoro, purché non vengano utilizzati entro i termini previsti dal contratto collettivo di riferimento.
La tassazione dei ROL non goduti avviene secondo le regole ordinarie del reddito da lavoro dipendente, con applicazione delle ritenute IRPEF e dei contributi previdenziali. A differenza delle ferie, non sussiste il divieto di monetizzazione durante il rapporto di lavoro, rendendo più flessibile la gestione di questi istituti.
I termini per la decadenza dei ROL variano a seconda del CCNL applicato: alcuni prevedono 12 mesi dalla maturazione, altri 24 mesi. È fondamentale verificare le specifiche previsioni contrattuali per evitare la perdita del diritto da parte del lavoratore e l’obbligo di monetizzazione da parte del datore di lavoro.
La Cassazione, con la sentenza n. 22447/2020, ha chiarito che la natura dei ROL è diversa da quella delle ferie, non avendo finalità di tutela della salute del lavoratore ma di riduzione dell’orario lavorativo. Questa distinzione giustifica la maggiore flessibilità nella loro gestione e monetizzazione.
Liquidazione TFR e ferie non godute
Un aspetto da attenzionare per la corretta liquidazione finale riguarda il rapporto tra TFR e ferie non godute. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8986/2021, ha definitivamente chiarito che l’indennità sostitutiva per le ferie non godute non deve essere inclusa nel calcolo del Trattamento di Fine Rapporto.
Questa esclusione trova fondamento nella natura risarcitoria dell’indennità, che non costituisce retribuzione in senso stretto ma compenso per un diritto del lavoratore che non ha potuto essere esercitato. La distinzione ha rilevanti implicazioni pratiche, considerando che il TFR è soggetto a una tassazione separata più favorevole rispetto al reddito ordinario.
Nella pratica professionale, è quindi necessario distinguere chiaramente i due istituti nella documentazione contabile e nei prospetti di liquidazione finale. L’indennità per le ferie non godute deve essere indicata separatamente rispetto al TFR, applicando le rispettive modalità di tassazione.
Un elemento di attenzione riguarda i termini di prescrizione. Mentre per il TFR si applica il termine quinquennale dell’articolo 2948 del Codice Civile, per le ferie non godute vale il termine decennale ordinario. Il lavoratore ha quindi fino a dieci anni dalla cessazione del rapporto per richiedere il pagamento delle ferie di cui non ha fruito, come confermato dalla Cassazione con la sentenza n. 12456/2019.
Quando vengono pagate le ferie non godute
La tempistica di pagamento delle ferie non godute segue principi diversi a seconda che si tratti di cessazione del rapporto di lavoro o di scadenza dei termini legali. Nel primo caso, non esistendo termini specifici di legge, la buona prassi suggerisce di procedere contestualmente al pagamento del TFR, evitando così potenziali contenziosi e facilitando la chiusura definitiva del rapporto.
Quando invece il lavoratore non fruisce delle ferie entro i 18 mesi dalla maturazione, scatta l’obbligo per il datore di lavoro di versare all’INPS i contributi relativi alle ferie non sfruttate entro il 20 agosto dell’anno successivo alla scadenza. Questo adempimento, previsto dall’articolo 5 del D.Lgs. n. 66/2003, ha carattere sanzionatorio e mira a scoraggiare l’accumulo di ferie.
Un aspetto procedurale rilevante riguarda le modalità di richiesta da parte del lavoratore. In caso di mancato pagamento spontaneo, il dipendente può inviare una richiesta scritta tramite raccomandata A/R o PEC, indicando il numero di giorni da retribuire e la data di cessazione del rapporto. La richiesta deve essere circostanziata e documentata per evitare contestazioni.
La prescrizione decennale di questa monetizzazione inizia a decorrere dalla data di cessazione del rapporto di lavoro per i contratti a tempo indeterminato, mentre per quelli a termine decorre dalla scadenza naturale del contratto. Questo principio è stato confermato dalla Cassazione con orientamento consolidato.
Le sanzioni per il datore di lavoro
L’accesso ad un periodo di sospensione dal lavoro per ferie o permessi è obbligatorio per legge: questo vuol dire che il lavoratore deve accedere ad almeno 4 settimane all’anno di stop dal lavoro. Se ciò non avviene, il datore di lavoro è sanzionabile.
Esiste infatti una sanzione amministrativa specifica per il datore di lavoro che impedisce l’accesso al dipendente alle ferie secondo la legge italiana, ovvero non garantisce almeno le 4 settimane previste dai contratti collettivi nazionali.
Le sanzioni di base vanno da 120 a 720 euro, ma sono applicate delle maggiorazioni in base alla gravità della situazione. In particolare, se sono più di 5 i dipendenti che incorrono in questa problematica, la sanzione può andare da 480 a 1.800 euro. Se l’illecito viene compiuto su più di 10 lavoratori, o per diversi anni, la sanzione può arrivare da 960 a 5.400 euro.
Per quanto riguarda il lavoratore, in questi casi può chiedere il risarcimento dei danni, perché l’accesso a questi periodi di sospensione del lavoro è un diritto fondamentale stabilito a livello contrattuale. Inoltre può chiedere di godere delle ferie maturate al primo momento utile.
Evitare l’accumulo delle ferie
La prevenzione dell’accumulo di ferie non godute richiede un approccio sistematico alla pianificazione del tempo di lavoro. L’esperienza professionale dimostra che le aziende più efficaci adottano sistemi di monitoraggio continuo del saldo ferie, con alert automatici quando un dipendente supera determinate soglie di accumulo.
La redazione di un piano ferie annuale rappresenta uno strumento fondamentale per la gestione proattiva dell’istituto. Questo documento deve bilanciare le esigenze aziendali con i diritti dei lavoratori, prevedendo periodi di chiusura collettiva e garantendo una distribuzione equilibrata delle assenze nel corso dell’anno.
Un elemento chiave riguarda la comunicazione con i dipendenti. È necessario sensibilizzare i lavoratori sull’importanza di fruire regolarmente delle ferie, spiegando anche le conseguenze economiche per l’azienda in caso di accumulo eccessivo. La formazione del personale amministrativo su questi aspetti risulta altrettanto cruciale per una gestione efficace.
La giurisprudenza ha chiarito che il datore di lavoro non può imporre unilateralmente i periodi di ferie, ma ha la facoltà di stabilire chiusure aziendali collettive, purché comunicate con congruo anticipo. Questa possibilità rappresenta uno strumento efficace per garantire lo smaltimento di parte delle ferie accumulate, soprattutto nei periodi di minore attività produttiva.