Grazie al cloud, oggi è possibile spostare i sistemi di archiviazione ed elaborazione verso elaboratori centralizzati, a prescindere dal singolo computer e dai server locali. Attraverso questo sistema accade che le informazioni e le applicazioni sono sempre più collocate nel cyberspazio, piuttosto che singolarmente negli apparecchi degli utenti, e l’inquadramento del rapporto contrattuale tra cloud provider e utenti fruitori dei servizi può diventare veramente complesso considerata la presenza di elementi di estraneità rispetto a determinati ordinamenti.
Nel presente articolo analizzeremo quelle che potrebbero essere le criticità del cloud computing, la struttura del contratto e la sua qualificazione giuridica.
Cloud computing: le possibili criticità riscontrabili
Il primo problema che può venire in rilievo in tema di cloud computing è quello relativo alla lingua nella quale stipulare il contratto: i più importanti operatori di settore che offrono servizi in cloud sono in realtà statunitensi e pertanto la maggior parte dei contratti viene redatta in lingua inglese.
Da ciò discende quindi un’altra problematica, legata all’utilizzo di termini tecnici: spesso l’utilizzo di vocaboli (con termini stranieri) ed estremamente tecnici può nascondere una importante diversità di significato tecnico giuridico e questo fenomeno può comportare evidenti e possibili rischi di confusione sul tipo di contratto da stipulare e sui servizi da sottoscrivere.
I contratti di cloud computing hanno la particolarità di prescindere dalla fase di trattativa, in quanto vengono conclusi online tramite la sottoscrizione di moduli predisposti unilateralmente dal fornitore del servizio.
Questo praticamente azzera il potere contrattuale dell’utente, il quale può solamente decidere se aderire o meno all’offerta del fornitore; infatti la stipula di contratti di cloud computing non contempla la fase della trattativa poiché la conclusione avviene appunto, come già sopra detto, on-line.
Questa modalità di raggiungimento dell’accordo riduce pertanto il potere contrattuale dell’utente che si deve limitare a valutare se aderire all’offerta o meno, generando uno squilibrio in termini di potere contrattuale tra le parti. Lo squilibrio tra le parti raggiunge il suo apice quando le clausole contrattuali sono vessatorie e quando oggetto dell’offerta sono i servizi rientranti nel public cloud. Nel nostro ordinamento questa modalità di raggiungimento dell’accordo rientra nel genus dei contratti per adesione conclusi fuori dei locali commerciali mediante l’utilizzo di strumenti informatici in quanto il fornitore cloud, attraverso la conclusione point and click, predispone sul web la propria offerta commerciale precisando l’esatto contenuto dell’accordo negoziale.
La pressione del tasto negoziale, configurabile come un comportamento concludente, determina l’accettazione per fatti concludenti valida ed efficace in tutti i casi in cui i contratti sono a forma libera.
E’ comunque necessario dire che questa modalità di conclusione di contratto, ai fini della validità dello stesso, deve essere coordinata con la disciplina protettiva della parte contrattualmente debole contenuta negli artt. 1341-1342 c.c. e nel Codice del Consumo (D.Igs. 206/2005).
Infatti, qualora l’utente cloud sia un consumatore, dovranno essere prese in considerazione le disposizioni di cui al Codice del Consumo e contenute negli articoli dal 33 al 38 tese a limitare l’autonomia contrattuale del professionista per evitare eventuali abusi a danno del consumatore.
La presenza di clausole vessatorie o contrarie alla normativa comporta la nullità delle stesse, con la precisazione che si tratta di una nullità relativa, operando solo a vantaggio del consumatore restando il contratto valido in tutte le restanti parti. La nullità può essere rilevata anche d’ufficio senza la necessità di una specifica impugnazione da parte del consumatore.
Qualora invece il cloud consumer sia un professionista, si deve far riferimento invece alla disciplina dettata dagli articoli del Codice Civile, precisamente l’art. 1341 e l’art. 1342, che regolano le condizioni generali di contratto e di contratti conclusi mediante moduli o formulari.
L’approvazione scritta, necessaria per riconoscere l’efficacia delle clausole vessatorie, non si concilia bene con l’adesione per facta concludentia, fatte salve le ipotesi in cui non è richiesta la specifica approvazione e le ipotesi in cui il tasto negoziale è sostituito, nel modulo online, dall’utilizzo della firma elettronica in grado di garantire gli effetti propri della sottoscrizione autografa.
In conclusione, sulla scorta di quanto sin qui detto, è possibile affermare che le clausole vessatorie contenute in un contratto telematico di cloud computing sono inefficaci a meno che non si proceda alla loro sottoscrizione su documenti cartacei collegati a quelli elettronici.
Struttura del contratto di cloud computing
Con il contratto di Cloud computing si instaura un rapporto giuridico nel quale il provider offre all’utente, mediante accesso da remoto, i servizi cloud.
Occorre rilevare che la caratteristica del contratto di questo tipo è sicuramente l’erogazione di un servizio: si tratta questo di un aspetto giuridicamente rilevante poiché la tecnologia cloud ha terminato il passaggio da un modello cd. Proprietario, basato sull’acquisto delle risorse informatiche con conseguente controllo diretto delle stesse, ad un modello basato sull’accesso ad uno o più servizi informatici messi a disposizione da terzi fornitori.
I contratti di cloud computing, a livello strutturale, sono generalmente composti da quattro diversi documenti, e più nello specifico:
- dalle condizioni generali di contratto che definiscono le modalità con cui il servizio è offerto, quali la durata del vincolo contrattuale, il corrispettivo da versare, le ipotesi di risoluzione e di recesso;
- i livelli qualitativi dei servizi, offerti dal fornitore in ragione del prezzo versato;
- l’Acceptable Use Policy (AUP) con cui si è soliti definire le ipotesi in cui il provider è legittimato a sospendere o interrompere l’erogazione del servizio a seguito di un utilizzo dell’hardware e del software a disposizione dell’utente;
- la privacy policy.
Il contratto di cloud computing è quindi costruito sulla base di un modello standard della contrattazione che definisce il contenuto dei citati documenti e del contratto globalmente inteso.
I cloud provider sono in grado di imporre termini e condizioni generali di contratto non solo nell’ambito di rapporti B2C ma anche in quelli B2B, intercorrenti tra professionisti. I provider, anche in tale circostanza, riescono a predispone in quasi completa autonomia documenti contrattuali in base ai quali il servizio viene fornito così com’è (“as it is”).
Qualificazione giuridica del contratto di cloud computing
La causa del contratto di cloud computing è l’interesse per una gestione decentralizzata, delocalizzata, continuativa e condivisa di risorse informatiche e documenti digitali, in linea con i parametri di liceità e meritevolezza di cui agli articoli 1343 e 1322 c.c.
Per quanto concerne l’oggetto del contratto esso consiste nell’accesso da remoto ad una serie di risorse informatiche opportunatamente configurate per rendere una molteplicità di servizi.
A fronte dell’obbligo dell’utente di pagare un prezzo per la fruizione dei servizi a lui necessari, è previsto il corrispondente obbligo del cloud provider di consentire un accesso scalabile ai servizi garantendo il funzionamento dei sistemi informatici e la disponibilità di spazio hosting, con conseguente messa in sicurezza dei dati archiviati.
Laddove le parti, nel momento della stipulazione del contratto, non circoscrivano l’oggetto del contratto, lo stesso può essere determinato sulla scorta delle concrete esigenze dell’utente, senza che da questa decisione unilaterale possa scaturire un’inammissibilità della scelta.
Ad oggi non è stato possibile giungere ad un ‘unitaria qualificazione giuridica del contratto di fornitura di servizi cloud: alcuni ritengono ricondurlo allo schema negoziale tipico del contratto di appalto di servizi e all’outsourcing nonché a quelle che rinviano alla figura del contratto di licenza d’uso del contratto di locazione.
Tale impostazione sembra essere la più seguita ma non la più convincente, ritenendo da preferire quella che ricollega lo stesso contratto di cloud alla somministrazione di servizi.
Considerando, però, che gli accordi di cloud computing si caratterizzano spesso per l’alternanza di previsioni riferibili a diversi tipi contrattuali, non consentendo la prevalenza di un profilo contrattuale su di un altro, è opportuno inquadrarli come contratti misti in cui si combinano prestazioni caratteristiche di diversi tipi legali. L’art. 1655 c.c. definisce l’appalto come il contratto con cui l’appaltatore assume, dietro corrispettivo, con l’organizzazione dei mezzi necessari e con la gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio con la conseguente assunzione di un’obbligazione di risultato.
L’appalto di servizi ha ad oggetto la produzione di un’utilità senza elaborazione e trasformazione di materie; esso pertanto consiste in un facere che nel contratto di cloud computing viene individuato nella messa a disposizione di una struttura informatica esterna rispetto agli utenti che per il suo tramite potranno fruire di servizi gestiti da terzi.
A sostegno della riconducibilità del contratto di cloud computing alla disciplina dell’appalto di servizi, viene posta, in linea con l’art. 1655 c.c., la presenza di un’organizzazione d’impresa in grado di gestire le esigenze degli utenti del cloud che richiedono i servizi informatici erogati dai cloud provider. Nonostante l’appalto di servizi presenta caratteristiche che ben si attagliano alla figura negoziale del cloud computing, è bene però evidenziare alcuni elementi di divergenza, quali la gratuità del servizio di cloud rispetto al carattere corrispettivo dell’appalto e l’impossibilità dell’utente di scegliere determinate caratteristiche dei servizi richiesti in ragione della standardizzazione dell’offerta.
Il contratto misto di cloud computing
E’ indubbio che il contratto di cloud computing rappresenti un contratto di somministrazione e che quindi questo modello possa essere considerato prevalente rispetto ad altri.
L’interprete quindi, dopo aver determinato il diritto applicabile al contratto, deve indagare la concreta volontà delle parti e, quindi, l’obiettivo del negozio assicurando la miglior tutela degli interessi coinvolti per il tramite di un’interpretazione sistematica che consenta l’individuazione e l’utilizzo della disciplina più idonea tra le diverse soluzioni adottabili.
In assenza di uno specifico intervento normativo, che tenga conto della complessa articolazione della tecnologia cloud e che definisca gli obblighi delle parti contrattuali nella fornitura di servizi cloud, sarà possibile riferirsi al modello, anche atipico, più rispondente alle esigenze del singolo caso concreto. In questo contesto, il contratto di cloud computing si inserirà spesso in un complesso di operazioni negoziali recanti un’autonoma disciplina, con la conseguente necessità di delimitare i relativi confini di operatività.
In tal caso è necessario confrontarsi con un contratto misto nel quale confluiscono la causa e la disciplina di più figure contrattuali diverse con la conseguente commistione di istituti diversi in un nuovo contratto finalizzato al perseguimento di un risultato unitario. La disciplina del contratto misto rappresenta quindi il risultato della combinazione delle specifiche disposizioni rispondenti alle diverse componenti negoziali confluite nel regolamento unitario adottato dalle parti; in questo senso la teoria della combinazione comporta che a ciascun tipo negoziale coinvolto sia applicata la disciplina più compatibile con la fattispecie.