In alcuni casi la determinazione del credito per imposte estere deve essere parametrato alla quota di reddito estero che si rende imponibile in Italia. Le casistiche più frequenti sono quelle di dividendi esteri ed applicazione delle retribuzioni convenzionali ed anche in caso di royalty agevolate con patent box. Di seguito vediamo in quali casi abbiamo il credito estero parametrato al reddito estero da dichiarare in Italia.
L’applicazione concreta in dichiarazione dei redditi del credito per imposte pagate all’estero presenta sempre diversi profili di criticità.
Una fattispecie che frequentemente si presenta è il caso in cui il reddito prodotto oltreconfine concorra solo parzialmente alla formazione del reddito complessivo del contribuente residente. In questo caso anche l’imposta estera da detrarre in Italia deve essere proporzionalmente ridotta. Questo è quanto prevede il comma 10 dell’art. 165 del TUIR.
Questa è la regola generale che deve essere verificata ogni qualvolta parte del reddito imponibile estero non deve essere assoggettato a tassazione in Italia. Sostanzialmente, il credito estero deve essere parametrato al reddito imponibile in Italia.
Vediamo di seguito le casistiche che più frequentemente possiamo trovare con credito estero parametrato al reddito imponibile italiano.
Cominciamo!
Credito estero parametrato al reddito imponibile
Quando un contribuente residente fiscalmente in Italia si trova a dover dichiarare redditi di fonte estera deve applicare la normativa fiscale italiana. Questo può significare che un reddito estero che ha concorso pienamente alla tassazione alla fonte nel Paese estero si trovi in Italia ad essere imputato solo parzialmente alla formazione del reddito.
Quando accade questa fattispecie anche la relativa imposta estera da detrarre in Italia deve essere proporzionalmente ridotta. Soltanto in questo modo, infatti, è possibile rispettare la disposizione dettata dal comma 10 dell’art. 165 del TUIR.
La frazione di carico fiscale estero che risulta così indetraibile non è poi deducibile, né altrimenti qui recuperabile (così la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 9 del 5 marzo 2015, § 5).
La questione, a questo punto, è quella di individuare compiutamente quali possono essere le fattispecie che comportano un credito estero parametrato al reddito.
Vediamo le casistiche possibili.
Credito estero parametrato per i dividendi esteri di soggetti IRES
L’applicazione del credito per imposte estere parametrato al reddito imponibile italiano trova una prima applicazione in presenza di dividendi esteri parzialmente esclusi da tassazione in Italia (Cass. n 21968 del 28 ottobre 2015).
Il caso tipico è quello di una società di capitali o ente commerciale residente che percepisce utili da un soggetto estero, non precedentemente assoggettati alla disciplina CFC e non maturati in pendenza di un regime fiscale privilegiato extra-Ue ed extra-See.
Per il soggetto residente percettore del dividendo l’eventuale ritenuta subita in uscita dal dato Stato sui flussi predetti non può essere detratta dall’IRES in misura pari alla percentuale di non imponibilità di questi ultimi in Italia, per come sancita dall’art. 89 comma 2 del TUIR (cioè il 95%).
In questo caso, quindi, a fronte di un dividendo percepito da un soggetto di cui all’art. 73 del TUIR ed erogato da controllata non considerata residente in Paese a fiscalità privilegiata:
- Il dividendo concorre a tassazione nei limiti del 5% del suo ammontare (esenzione del 95%);
- L’eventuale ritenuta in uscita applicata dallo Stato della fonte del reddito può essere recuperata (sotto forma di credito di imposta) soltanto nei limiti dello stesso 5%.
In questo caso, si arriva ad una determinazione del credito per imposte estere parametrato al reddito imponibile in Italia.
Credito estero parametrato in caso di retribuzioni convenzionali
Una seconda ipotesi di applicazione della disposizione concerne il reddito di lavoro prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di 12 mesi soggiornano nel Paese estero per un periodo superiore a 183 giorni.
Mi riferisco, essenzialmente all’ipotesi prevista dall’articolo 51, comma 8-bis del TUIR. Si tratta della disposizione che prevede, al verificarsi di alcuni presupposti, la tassazione del reddito da lavoro dipendente di fonte estere con le retribuzioni convenzionali.
Al ricorrere di tale evenienza, lo si ricorda, il reddito da lavoro dipendente estero è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite con apposito decreto annuale del Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Questo, con la conseguente possibilità di assumere un valore inferiore al reddito effettivamente tassato oltreconfine.
Tanto premesso, l’applicabilità al caso di specie del comma 10 dell’art. 165 del TUIR discende dall’esplicita affermazione in tal senso riportata dall’art. 36 comma 30 del DL n 223/2006, poi declinata operativamente dalla risoluzione n. 48 dell’8 luglio 2013: in essa, nel dettaglio, si legge, tra le altre, che:
Quindi, nel quadro CE del modello Redditi PF non deve trovare spazio l’importo delle imposte definitive pagate all’estero dal contribuente residente che ha percepito redditi esteri. In questo caso, qualora trovino applicazione le retribuzioni convenzionali le relative imposte estere definitive devono essere parametrate alla quota di reddito tassata in Italia.
Credito estero parametrato in caso di royalty percepite con patent box
Un terzo caso di riparametrazione dell’imposizione estera attiene alle royalties per le quali lo Stato di localizzazione del licenziatario, nel rispetto del Trattato eventualmente esistente, applichi una ritenuta in uscita e l’Italia, in qualità di Stato della residenza del licenziante, riconosca una tassazione agevolata per effetto dell’opzione per il regime c.d. Patent box.
Con principio di diritto n. 15 del 29 maggio 2019, infatti, l’Agenzia delle Entrate, con motivazioni difficilmente confutabili, ha ritenuto che anche in tale ipotesi la parte di reddito che non concorre alla formazione del reddito imponibile non integri le condizioni di accreditabilità in Italia delle relative imposte scontate oltreconfine.
Credito estero parametrato in caso di lavoratori frontalieri
Un’ultima ipotesi che vale la pena richiamare di credito estero parametrato al reddito è quella che riguarda i lavoratori frontalieri.
Mi riferisco ai redditi percepiti dai lavoratori frontalieri residenti in Italia. Tali redditi possono scontare una duplice pretesa impositiva, nel rispetto delle disposizioni pattizie (es. Convenzione con San Marino). Il nostro Paese, a ogni modo, riconosce loro una franchigia di imposta ai sensi dell’art. 1 comma 175 della Legge n 147/2013, pari a 7.500 euro, capace come tale di rendere il reddito imponibile in Italia inferiore a quello tassato all’estero.
Per questo motivo appare coerente procedere con la necessaria riduzione dell’imposta estera accreditabile in Italia anche in tale ipotesi. Di questo avviso sia la Risoluzione n 38 del 28 marzo 2017 dell’Agenzia delle Entrate che la C.T. Prov. di Forlì con la sentenza n. 129/02/2019 del 23 aprile 2019.
Credito estero parametrato in dichiarazione dei redditi
In termini dichiarativi, non essendoci indicazioni in merito, è dato osservare come l’imposta estera debba essere indicata nel rigo CE1, colonna 4, del modello Redditi già ridotta di quanto richiesto dall’art. 165 comma 10 del TUIR.
Il fenomeno qui commentato, infine, è bene precisarlo, deve essere tenuto distinto da quello che vede il reddito estero assoggettato a tassazione in Italia in misura inferiore all’importo tassato oltreconfine per effetto di differenti modalità di relativa determinazione.
E’ quanto accade tipicamente per il reddito delle stabili organizzazioni all’estero non “opache” o per il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero non determinato sulla base dei parametri ministeriali: come ricorda la circ. n. 9/2015, § 5, infatti, “la disciplina del comma 10 si rende applicabile solo laddove il reddito estero – come determinato secondo le regole interne – sia totalmente o parzialmente escluso dalla formazione dell’imponibile”.
In tale situazione, quindi, nessuna riparametrazione delle imposte estere si rende necessaria e l’eventuale maggior carico fiscale scontato nel dato Stato origina una c.d. “eccedenza di imposta estera”, soggetta al meccanismo di cui al comma 6 dell’art. 165 del TUIR.
Precisazioni sul credito per imposte estere
L’art. 165 comma 4 del TUIR stabilisce la regola per cui la detrazione deve essere calcolata nella dichiarazione cui “appartiene” il reddito prodotto all’estero. Questo, a condizione che il pagamento a titolo definitivo avvenga prima della sua presentazione.
In sostanza, se il reddito estero è stato prodotto nell’anno “n”, l’imposta estera può essere detratta dall’imposta dovuta per lo stesso anno “n”, sempre che il carattere di “definitività” del pagamento sia acquisito prima della presentazione della relativa dichiarazione.
Questo principio generale trova una deroga nel successivo art. 165 comma 5, che consente la detrazione anche se il pagamento a titolo definitivo avviene entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva.
Nella pratica si è, quindi, da sempre assistito a una valutazione abbastanza delicata nelle situazioni, non infrequenti, in cui la documentazione circa il carattere definitivo dei pagamenti nell’altro Stato non giunge con tempestività (o giunge, ad esempio, priva di una traduzione che ne consente una valutazione dei dati certa e intellegibile).
Se il contribuente decideva di avvalersi della deroga prevista dal comma 5, “confidando” che la “definitività” si consolidasse entro l’anno successivo, la detrazione era fruibile nella stessa dichiarazione in cui il reddito di fonte estera era assoggettato a tassazione in Italia, con l’obbligo però di segnalare l’imposta detratta anche nella colonna 14 del rigo del quadro CE utilizzato.
In alternativa, il credito veniva richiesto nella prima dichiarazione utile successiva al momento in cui le imposte si consideravano definitive (quasi sempre quella riferita all’anno successivo), con l’avvertenza di calcolare la quota di imposta italiana (che costituisce il primo limite entro cui la detrazione è esercitata) con i dati dell’anno in cui il reddito è stato prodotto.
Esempio di definitività del credito per imposte estere
Per fare un semplice esempio, per un reddito estero prodotto nell’anno “n”, per il quale l’imposta, pur se già pagata, non aveva acquisito il carattere di definitività entro il 30 novembre “n+1”, le alternative erano due:
- Detrarre l’imposta estera già nella dichiarazione dei Redditi dell’anno “n”, compilando la colonna 14 del rigo del quadro CE utilizzato (e calcolando la quota di imposta italiana sulla base dei dati dell’anno “n”);
- Posticipare la detrazione dell’imposta nella dichiarazione dei redditi dell’anno “n+1”, indicando però nel quadro CE, quale anno di riferimento, l’anno “n” e calcolando la quota di imposta italiana sulla base dei dati dello stesso anno.
La capienza dell’imposta estera
Proprio in queste situazioni occorre valutare anche la capienza dell’imposta estera rispetto all’imposta netta dovuta.
Se, ad esempio, l’imposta estera riferita al reddito dell’anno “n” viene scomputata ex post nel modello Redditi dell’anno “n+1” (l’anno sucessivo), la quota di imposta italiana viene calcolata con i dati reddituali riferiti all’anno “n”, ma la detrazione concreta avviene, chiaramente, dall’imposta netta dell’anno “n+1”, indicata nel quadro RN del modello Redditi medesimo.
Di regola, l’art. 165 del TUIR prevede che il credito sia scomputato sino a concorrenza dell’imposta netta. Vi possono però essere casi (specialmente nelle situazioni in cui il reddito si riduce) in cui l’imposta estera eccede l’imposta netta.
Il problema viene risolto facendo riferimento all’art. 11 comma 4 del TUIR. La disposizione prevede che se l’ammontare del credito per le imposte estere eccede l’imposta netta, è prevista la possibilità per il contribuente di scegliere tra:
- Il computo dell’eccedenza in diminuzione dell’imposta relativa al periodo successivo e
- La richiesta di rimborso
- L’utilizzo in compensazione nel modello F24. Vedasi la Circolare 9 del 5 marzo 2015 § 3.3.1 dell’Agenzia delle Entrate.
In merito al rapporto tra questa norma e l’art. 165 comma 1 del TUIR, apparentemente confliggenti, la stessa circolare n. 9/2015 ha chiarito che con l’art. 11 del TUIR “il legislatore ha inteso regolare il caso in cui l’imposta netta del periodo in cui il tributo estero diviene definitivo e, quindi, scomputabile, sia inferiore a quella del periodo in cui il reddito estero ha concorso alla formazione del reddito e che rileva ai fini della determinazione dell’imposta estera detraibile”.
Il ricorso a tale disposizione consente di “spendere” il credito per imposte estere in modo integrale, anche se ciò realisticamente porta a una situazione creditoria verso l’Erario italiano e, in alcuni casi, all’obbligo del visto di conformità.
Credito estero riparametrato al reddito: conclusioni
In questo articolo ho cercato di riepilogarti alcune situazioni che nella pratica sovente possono presentarsi. Mi riferisco alle ipotesi in cui è necessario andare a riparametrare il credito per imposte estere in quanto il reddito estero è imponibile solo parzialmente in Italia.
Le principali fattispecie che rendono applicabile la disposizione di cui al comma 10 dell’art. 165 del TUIR (come abbiamo visto) sono:
- Il percepimento di dividendi esteri (non BL) da parte di soggetti IRES;
- La tassazione con retribuzione convenzionale di redditi esteri da lavoro dipendente;
- Il percepimento di royalty sul diritto di autore da soggetti che applicano il patent box;
- La tassazione del reddito da lavoro dipendente dei soggetti frontalieri italiani.
In questi casi, appunto, si rende necessario andare a riparametrare l’imposta estera effettiva.
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