I soggetti fiscalmente residenti che detengono partecipazioni in enti esteri devono verificare l’articolo 167 del TUIR. Si tratta della normativa sulle Controlled Foreign Company (cd “normativa CFC“) che prevede la tassazione per trasparenza del reddito societario in capo al soggetto controllante italiano.


La disciplina delle CFC (Controlled Foreign Companies) rappresenta lo strumento utilizzato dagli ordinamenti fiscali UE per evitare possibili fattispecie di elusione fiscale. Mi riferisco ad una disciplina fiscale nata per per contrastare la localizzazione fittizia di redditi significativi in società partecipate estere residenti in Paesi a fiscalità privilegiata. Si tratta, in particolare, società che non procedono alla sistematica distribuzione dei dividendi.

Se la società estera posta in Paese a fiscalità privilegiata consegue oltre 1/3 di “income” derivanti da detenzione o investimento di azioni titoli o crediti vi sono delle conseguenze. Il soggetto controllante è chiamato a tassare in Italia, per trasparenza, il reddito a lui imputabile della società controllata estera. Questo, indipendentemente dalla distribuzione dei dividendi. Andiamo ad analizzare, in questo contributo, i principali aspetti che riguardano la normativa CFC in Italia anche ai sensi della Circolare interpretativa n. 18/E/2021 dell’Agenzia delle Entrate. Cominciamo!

Cos’è la normativa sulle Controlled Foreign Company (CFC)?

La normativa sulle Controlled Foreign Company (CFC) è disciplinata dall’articolo 167 del TUIR. Questa normativa nasce con l’intento di disincentivare la costituzione di società estere in Paesi che offrono livelli di tassazione vantaggiosi. La norma, tuttavia, riguarda esclusivamente le operazioni potenzialmente elusive, ovvero costituzioni di società controllate estere con l’unico scopo di sottrarre a tassazione redditi non redistribuiti attraverso la politica di dividendi nei confronti del socio residente. Affinché si possa ravvisare, quindi, l’applicazione della normativa CFC occorre che la fattispecie verifichi alcuni requisiti.

Requisiti soggettivi di applicazione

Il primo aspetto da indagare riguarda chi sono i soggetti a cui può essere applicata questa disciplina fiscale. Infatti, la disciplina CFC si applica in caso di possesso di redditi in Stati con regime fiscale privilegiato da:

  • Persone fisiche, anche non titolari di reddito di impresa (privati);
  • Soggetti di cui all’articolo 5 del TUIR. Si tratta di società semplici, in nome collettivo ed in accomandita semplice;
  • Soggetti di cui all’articolo 87, comma 1, lettera a), b) e c) del TUIR. Si tratta dei soggetti passivi IRES.
  • Enti pubblici e privati diversi dalle società. Questo, a prescindere se hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale.

Deve trattarsi di soggetti ed enti aventi residenza fiscale in Italia (anche qualora la residenza fiscale italiana venga individuata tramite accertamento). Non trova applicazione, invece, la normativa per i soggetti che applicano la normativa dei c.d. “neo residenti” di cui all’art. 24-bis del TUIR, per evidenti incompatibilità con lo speciale regime di tassazione dei redditi esteri (vedasi la Circolare n. 17/E/2017 § 2.3). Tale normativa si applica, invece, alle stabili organizzazioni in Italia di società non residenti che detengono nel proprio patrimonio partecipazioni in società estere.

Requisiti oggettivi di applicazione

Qualora i soggetti sopra indicati presentino, congiuntamente, i seguenti requisiti oggettivi, si applica la normativa CFC su di essi. I requisiti oggettivi da verificare sulle società controllate estere sono i seguenti:

  • Sono assoggettate ad una tassazione effettiva inferiore al 50% di quella a cui sarebbero state soggette se residenti in Italia;
  • Conseguono proventi per oltre 1/3 da passive income.

Rientrano in detta disposizione anche i redditi conseguiti da controllate estere, che provengono a sua volta da stabili organizzazioni situate in uno di detti Stati o territori. Vediamo, adesso, con maggiore dettaglio gli aspetti principali collegate ai requisiti soggettivi della normativa CFC.

La territorialità delle società controllate estere

Rientrano nella tassazione CFC le società controllate estere:

  • Residenti in Paesi UE;
  • Residenti in Paesi Extra-UE.

Infatti, l’articolo 167 del TUIR non contiene alcun riferimento ai “regimi fiscali privilegiati“. La disposizione, infatti, si limita a porre due condizioni (bassa fiscalità e incidenza non marginale dei passive income) affinché operino le penalizzazioni fiscali. Per questo motivo si ritiene che possano rientrare nella disciplina menzionata anche le società UE.

Confronto tra tassazione effettiva estera e virtuale domestica

Altro aspetto di particolare interesse è la corretta individuazione del livello di tassazione effettiva della società controllata estera. Il livello di tassazione effettiva è, quindi, uno dei presupposti di applicazione del regime di tassazione per trasparenza in capo al socio italiano del reddito prodotto dalle controllate estere. È necessario, a tal fine, effettuare il confronto tra tax rate effettivo estero e tax rate “virtuale” domestico. Allo scopo, in linea generale, restano valide le previsioni del Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 16 settembre 2016 ed alla Circolare n. 51/E/2010, ma soprattutto la Circolare interpretativa n. 18/E/2021 dell’Agenzia delle Entrate. Andiamo ad analizzare, quindi, come determinare:

  • Il tax rate effettivo estero;
  • Il tax rate virtuale domestico.

Tax rate effettivo estero

Per il calcolo del livello di tassazione effettiva estera si deve effettuare il seguente calcolo:

“rapporto tra l’imposta estera corrispondente al reddito imponibile e l’utile ante-imposte risultante dal bilancio della controllata”

Alla determinazione della tassazione effettiva estera rilevano sia:

  • Le imposte sul reddito dovute nello Stato di localizzazione, al netto dell’utilizzo di eventuali crediti di imposta per i redditi prodotti in Stati diversi da quello di insediamento;
  • Le imposte prelevate sui redditi della medesima entità estera in altre giurisdizioni, versate a titolo definitivo e non suscettibili di rimborso.

Qualora tra lo Stato di localizzazione della controllata e l’Italia sia stata stipulata una Convenzione contro le doppie imposizioni, le imposte sul reddito sono quelle individuate dall’accordo bilaterale. Nonché quelle di natura identica o analoga che siano intervenute successivamente in sostituzione di quelle individuate nella medesima Convenzione.

Nell’ipotesi di Confederazione di Stati, nel computo della tassazione effettiva estera si considerano, oltre che le imposte federali, anche le imposte sul reddito proprie di ciascuno Stato federato e delle amministrazioni locali. Tenuto conto della natura di imposte sul reddito, queste rilevano anche se non espressamente incluse nell’eventuale Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e lo Stato di localizzazione della controllata.

Il caso delle cessione di partecipazioni della controllata estera

Nel caso di cessione di partecipazioni da parte della controllata estera oggetto del test sulle CFC, la determinazione del tax rate “virtuale” può risultare particolarmente complessa e onerosa dal punto di vista del recupero delle informazioni necessarie. Infatti, nella fattispecie occorre verificare se quella cessione sarebbe stata o meno soggetta alla participation exemption in Italia. Nel far questo, ai sensi dell’art. 87 del TUIR, occorre tra l’altro, stabilire se la partecipazione ceduta è relativa a un’entità localizzata in regime fiscale privilegiato in base ai criteri dell’art. 47-bis comma 1 del TUIR medesimo, i quali rinviano alle previsioni dell’art. 167 comma 4 lett. a), ossia al requisito della tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbero stati soggetti se residenti in Italia. Questo vuol dire che per calcolare il tax rate “virtuale” della controllata estera oggetto del test CFC che ha effettuato cessioni di partecipazioni occorre verificare anche il livello di tassazione virtuale domestica dell’impresa ceduta.

La complessità risiede anche nel fatto che il requisito della residenza della partecipata, ai sensi dell’art. 87 del TUIR, deve sussistere ininterrottamente sin dal primo periodo di possesso. Tuttavia, per i rapporti detenuti da più di cinque periodi di imposta e oggetto di realizzo con controparti non appartenenti allo stesso gruppo del dante causa, è sufficiente che tale condizione sussista ininterrottamente per i cinque periodi di imposta anteriori al realizzo stesso. In caso di cessioni che avvengono all’interno del gruppo il periodo di osservazione non è, quindi, limitato ai cinque anni, ma risale all’inizio del periodo di possesso della partecipazione.

La verifica per le holding

La questione si presenta ancora più complessa laddove la società controllata che ha ceduto le partecipazioni sia una holding in quanto, ai sensi del comma 5 dell’art. 87. In tal caso il requisito della residenza (e della commercialità) va verificato in capo alle entità indirettamente partecipate, ossia ad un livello più basso della catena partecipativa. È facile intuire che si tratta di verifiche che possono comportare la necessità di ottenere informazioni non sempre facilmente reperibili, in particolar modo quando l’acquisizione del gruppo da parte della controllante italiana è avvenuta di recente. Per tacere del fatto che in alcuni Paesi (si pensi agli Stati Uniti d’America) non sempre sono disponibili bilanci di esercizio, né è così scontato avere un reddito e relativo carico fiscale delle singole entità, in quanto tali informazioni sono disponibili solo a livello di gruppo e, pertanto, l’opera di “ricostruzione” delle stesse risulta ancora più complessa.

Il tax rate virtuale domestico

Il tax rate “virtuale” domestico è dato dal rapporto tra l’imposta sul reddito che sarebbe risultata dovuta dall’entità estera qualora essa fosse residente in Italia, al lordo di eventuali crediti per le imposte pagate all’estero, e l’utile ante imposte risultante dal bilancio di esercizio dell’entità estera. L’imposta sul reddito “virtuale” è calcolata sul reddito imponibile dell’entità estera rideterminato secondo le disposizioni fiscali domestiche in materia di reddito d’impresa. In questo senso il livello soglia di tassazione effettiva ai fini dell’applicazione delle disposizioni è il 12% (ovvero il 50% dell’IRES). Infatti, per calcolare la tassazione virtuale interna rileva l’IRES, senza considerare sue eventuali addizionali, al lordo di eventuali crediti di imposta per i redditi prodotti in uno Stato diverso da quello di localizzazione della controllata. Ai medesimi fini non assume rilevanza l’IRAP.

Criteri di determinazione della tassazione effettiva estera e della tassazione virtuale interna – Circolare n. 18/E/2021

Secondo quanto previsto dalla Circolare interpretativa n. 18/E/2021 per determinare la tassazione effettiva estera e la tassazione virtuale interna si applicano i seguenti criteri:

  • A) Il calcolo della tassazione virtuale interna è eseguito sulla base delle caratteristiche della controllata, partendo dai dati risultanti dal bilancio di esercizio o dal rendiconto della stessa, redatti secondo le norme dello Stato di localizzazione. In particolare, se il bilancio o il rendiconto sono redatti in conformità ai principi contabili internazionali, il socio residente è tenuto a determinare il reddito della controllata secondo le disposizioni appositamente previste per i soggetti che adottano tali principi contabili internazionali;
  • B) Salvo quanto previsto nelle successive lettere c), d), h) e i), sono prese in considerazione le imposte sul reddito effettivamente dovute nello Stato o territorio estero di localizzazione che devono trovare evidenza nel bilancio o rendiconto di esercizio della controllata, nella relativa dichiarazione dei redditi presentata alle competenti autorità fiscali, nelle connesse ricevute di versamento, nonché nella documentazione relativa alle eventuali ritenute subite ad opera di sostituti d’imposta o altri soggetti locali. Alle stesse condizioni, rilevano anche le imposte dovute, a titolo definitivo, in giurisdizioni diverse da quelle di localizzazione, sia dalla controllata sia da altri soggetti, in relazione al reddito della controllata stessa;
  • C) Se la controllata aderisce a una forma di tassazione di gruppo prevista nello Stato estero di insediamento, assumono rilievo esclusivamente le imposte sul reddito di competenza della medesima, singolarmente considerata;
  • D) Per determinare la tassazione effettiva estera e la tassazione virtuale interna sono irrilevanti le variazioni non permanenti della base imponibile, con riversamento certo e predeterminato in base alla legge o per piani di rientro (ad esempio, gli ammortamenti). Tale previsione non riguarda il riversamento collegato alle predette variazioni che sono state considerate rilevanti ai fini del confronto tra tassazione effettiva estera e tassazione virtuale interna nei periodi d’imposta precedenti a quello di entrata in vigore del decreto legislativo n. 147 del 2015. Per evitare distorsioni nel confronto, sono considerate altresì irrilevanti:
    • Ai fini del calcolo della tassazione effettiva estera:
      • le variazioni temporanee dal riversamento non certo e predeterminato che abbiano dato luogo, all’estero, ad una imposizione anticipata di componenti positivi di reddito o a una deduzione posticipata di componenti negativi di reddito rispetto a quanto rilevato in bilancio;
      • le variazioni in diminuzione della base imponibile estera di natura temporanea e prive di riversamento certo e predeterminato (e relativi riassorbimenti), qualora trovino corrispondenza in variazioni analoghe a quelle dettate dalla disciplina interna sul piano della qualità, della quantità e della cadenza temporale;
    • Ai fini del calcolo della tassazione virtuale interna:
      • le variazioni temporanee dal riversamento non certo e predeterminato che avrebbero dato luogo, in Italia, a una deduzione anticipata di componenti negativi di reddito o a una tassazione posticipata di componenti positivi di reddito rispetto a quanto rilevato in bilancio;
      • le variazioni in aumento della base imponibile virtuale italiana di natura temporanea e prive di riversamento certo e predeterminato (e relativi riassorbimenti), qualora trovino corrispondenza in variazioni analoghe a quelle dettate dalla disciplina estera sul piano della qualità, della quantità e della cadenza temporale;
  • E) ai fini della determinazione della tassazione virtuale interna non si tiene conto dell’applicazione in Italia del regime di cui all’articolo 1 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (cd. Aiuto alla crescita economica – ACE) e delle disposizioni riguardanti le società di comodo, le società in perdita sistematica e gli Indici Sintetici di Affidabilità (cd. ISA);
  • F) Non rilevano i regimi fiscali opzionali cui la controllata avrebbe potuto aderire qualora fosse stata residente in Italia;
  • G) L’imposizione italiana nei limiti del 5 per cento del dividendo o della plusvalenza, prevista negli articoli 87, comma 1, lettera c) e 89, comma 3, del TUIR, si considera equivalente a un regime di esenzione totale che preveda, nello Stato di localizzazione della controllata, l’integrale indeducibilità dei costi connessi alla partecipazione;
  • H) Ai fini del calcolo della tassazione virtuale interna non si tiene conto del limite di utilizzo delle perdite fiscali pregresse stabilito nel primo periodo del comma 1 dell’articolo 84 del TUIR e, ai fini della tassazione effettiva estera, delle limitazioni di analoga natura previste dalla normativa dello Stato o territorio di localizzazione;
  • I) Ai fini del calcolo della tassazione effettiva estera vanno considerati gli effetti sul calcolo del reddito imponibile o delle imposte corrispondenti di qualsiasi agevolazione fruita dalla controllata ovvero accordata in base ad un apposito accordo concluso con l’Amministrazione fiscale estera;
  • J) E’ ammessa la possibilità di effettuare, in ciascun esercizio, i calcoli connessi alla tassazione effettiva estera e alla tassazione virtuale interna attribuendo rilevanza fiscale ai valori di bilancio della controllata estera secondo le disposizioni di cui all’articolo 2, comma 2, del D.M. n. 429/2001. L’opzione alternativa di monitorare i valori fiscali di riferimento durante il periodo di possesso della partecipazione di controllo nella entità estera, con conseguente loro rilevanza anche in caso di tassazione per trasparenza, va effettuata attraverso una manifestazione di volontà, non modificabile, da esprimere attraverso apposita indicazione nel modello di dichiarazione dei redditi.

Definizione di controllo valida per le società estere

La disciplina sulle CFC parte dal presupposto che vi sia una società controllata estera in un Paese a fiscalità privilegiata. Per questo motivo è importante definire con chiarezza la nozione di controllo. Ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile si considerano controllate:

  • Le società di cui un’altra dispone della maggioranza di voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (controllo di diritto);
  • Le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (controllo di fatto);
  • Infine, le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (controllo contrattuale).

Il momento in cui occorre verificare la sussistenza dei requisiti del controllo (che è il presupposto per la imputazione dei redditi al soggetto residente) è la data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ove tale data non fosse determinabile, occorre far riferimento alla data di chiusura del periodo d’imposta del soggetto residente controllante. Si considerano altresì soggetti controllati non residenti (art. 167 co. 3 del TUIR):

  • Le stabili organizzazioni all’estero dei soggetti controllati non residenti;
  • Le stabili organizzazioni all’estero di soggetti residenti che abbiano optato per il regime della branch exemption (art. 168-ter del TUIR).

Il percepimento per oltre 1/3 di passive income

Altro aspetto importante è quello che riguarda l’identificazione dei cd “passive income” per la società controllata estera. I redditi di tipo passivo sono quelli derivanti dal mero sfruttamento di asset immateriali. Possono essere: azioni, partecipazioni, concessione in uso di diritti immateriali, marchi, brevetti know how, etc. Rientrano in questa categoria anche:

  • Gli interessi;
  • I dividendi;
  • Le royalties;
  • Oltre che i servizi intercompany.

Verifica semplificata della congruità della tassazione estera

L’art. 3 dello schema di decreto legislativo sulla fiscalità internazionale prevede una verifica semplificata della congruità della tassazione del soggetto estero. Infatti, per la verifica di una tassazione “congrua” (tale da evitare l’applicazione della normativa CFC) del soggetto controllato estero è sufficiente controllare il superamento della soglia del 15%. A tal fine il livello di tassazione è determinato come rapporto tra:

  • La somma delle imposte correnti dovute e delle imposte anticipate e differite iscritte in bilancio;
  • L’utile ante imposte risultante da tale bilancio.

In questo calcolo vi è una semplificazione data dal fatto che è sufficiente prendere in considerazione le imposte risultanti da bilancio, comprese le imposte anticipate e differite. Viene meno la necessità di identificare le imposte a tal fine rilevanti. Inoltre, al posto della determinazione dell’imposta virtuale italiana viene posta la soglia del 15%. Tuttavia, questa semplificazione è possibile soltanto a determinate condizioni:

  • Bilancio del soggetto controllato estero sottoposto a revisione da parte di un soggetto autorizzato;
  • Gli esiti di tale attività di revisione sono utilizzati dal revisore del soggetto controllante italiano per l’espressione del proprio giudizio sul bilancio d’esercizio o consolidato (condizione di revisione).

Tuttavia, se la condizione di revisione non sussiste la determinazione della presenza di una tassazione “congrua” deve essere effettuata con le ordinarie modalità.

Procedura che consente di evitare la verifica

Lo schema di decreto legislativo prevede un regime opzionale che consente di evitare la verifica della tassazione “congrua” del soggetto controllato estero. Questo regime consiste nell’applicazione su base volontaria, a tutti i soggetti controllati esteri per i quali è verificata la condizione dei passive income, di un’imposta sostitutiva del 15% su una base imponibile determinata partendo dall’utile netto del bilancio del soggetto controllato estero e sommando ad esso le imposte sul reddito ed i componenti negativi di reddito presenti in tale bilancio aventi natura di svalutazioni di attività o accantonamenti a fondi rischi.

Applicazione della tassazione CFC

La disciplina delle CFC differisce dalle disposizioni in materia di transfer pricing o di esterovestizione. La normativa CFC riguarda, infatti, i casi in cui un soggetto residente in un Paese a fiscalità elevata fa svolgere le attività a più alto reddito ad altri soggetti. Si tratta di società partecipate residenti in Paesi a fiscalità privilegiata non distribuendo alla controllante i dividendi.

Per questo motivo, la disciplina in esame, al verificarsi dei requisiti richiesti, riporta a tassazione nel paese a fiscalità elevata i redditi percepiti dalle controllate estere. In sede di predisposizione del modello Redditi S.C., la società controllante residente deve compilare:

  • Il quadro FC, al fine di determinare il reddito della società estera;
  • il quadro RM, al fine di liquidare la relativa imposta.

Per approfondire: “Quadro FC Modello Redditi PF: normativa CFC“.

Tassazione ed applicazione del credito per imposte estere

Nel quadro FC del modello Redditi è necessario indicare i dati della società partecipata. Inoltre, vanno compilati anche i campi dedicati alla quantificazione del reddito della stessa. Si applicano, quindi le disposizioni del TUIR, ovvero risultato di bilancio e variazioni fiscali. Il reddito così determinato deve poi essere riportato nel quadro RM, dedicato ai redditi soggetti a tassazione separata.

I redditi della controllata estera sono imputati alla controllata residente e tassati separatamente dal reddito complessivo IRES. Il reddito della controllata CFC è soggetto a tassazione separata con aliquota 26%. Si tratta della stessa aliquota prevista per la tassazione dei dividendi. Dall’imposta liquidata sono ammesse in detrazione le imposte pagate all’estero dall’impresa partecipata, sul medesimo reddito, a titolo definitivo. Nel caso in cui al dichiarante siano stati imputati redditi di più CFC delle quali possiede partecipazioni, devono essere utilizzati più quadri RM, avendo cura di numerarli progressivamente compilando la casella “Mod. N.” posta in alto a destra di ogni quadro. Le imposte pagate all’estero per le quali si richiede il credito d’imposta devono essere indicate nella Sezione I del quadro CR.

Determinazione del reddito

Una volta verificata l’effettiva applicazione della disciplina CFC, il contribuente deve:

  • Procedere alla determinazione del reddito imponibile da assoggettare a tassazione “per trasparenza” in Italia. Il reddito imponibile si trova partendo dal bilancio della società estera ed apportando le variazioni fiscali italiane;
  • Procedere alla tassazione separata del reddito con l’aliquota media applicata sul reddito complessivo del soggetto residente e, comunque, non inferiore al 26%.

La modalità di determinazione del reddito imponibile è diversa a seconda del tipo di CFC. Il reddito della ‘‘CFC residente in Stato Black List’’ e della ‘‘CFC residente in Stato White List’’. Il reddito è determinato secondo le regole ordinarie previste per la determinazione della base imponibile delle società e degli enti commerciali residenti. Fatta eccezione per:

  • La disciplina della rateazione delle plusvalenze patrimoniali (art. 86, comma 4 TUIR);
  • La disciplina del riporto delle perdite (articolo 84, TUIR);
  • Disciplina prevista per le imprese di assicurazione (art. 111, TUIR);
  • La disciplina delle operazioni fuori bilancio (articolo 112, TUIR).

Le perdite fiscali

Se per effetto dell’applicazione delle citate regole di tassazione emerge, per la CFC, una perdita fiscale, questa può essere computata unicamente in diminuzione dei redditi della stessa CFC generati negli esercizi successivi (articolo 2 D.M. 21 novembre 2001, n. 429). In altre parole, la perdita della CFC non può essere utilizzata in compensazione dei redditi propri generati dal soggetto italiano controllante. Così come, di converso, le perdite fiscali di quest’ultimo non possono essere utilizzate a compensazione del reddito della CFC.

Nella determinazione del reddito della CFC trova, inoltre, applicazione il regime relativo alle società di comodo con la conseguenza che se il reddito effettivo è inferiore al reddito “minimo“, rileva quest’ultimo. Mentre per la “CFC residente in Stato Black List” (società collegata) il reddito determinato assumendo il maggiore tra l’utile ante imposte risultante dal bilancio della CFC e il reddito determinato induttivamente applicando dei coefficienti di rendimento al valore dei beni che compongono l’attivo patrimoniale della CFC.

Applicazione della normativa per le persone fisiche

Secondo l’art. 167 comma 6 del TUIR, in presenza dei presupposti di accesso al regime CFC, il reddito della controllata estera deve essere imputato per trasparenza al soggetto partecipante residente nel periodo di imposta di quest’ultimo in corso alla data di chiusura dell’esercizio del soggetto controllato non residente. L’imputazione deve avvenire in proporzione alla quota di partecipazione agli utili.

Come confermato dalla Circolare n. 18/E/2021 (§ 7.2), anche per le partecipazioni indirette l’ammontare del reddito da tassare per trasparenza deve rispettare la quota di partecipazione agli utili detenuta dal socio italiano: si applica, quindi, il c.d. “effetto demoltiplicativo”. In questo caso, il reddito deve essere imputato pro quota ai soggetti residenti aventi il legame partecipativo diretto, nell’ordine sequenziale della catena di partecipazione, con l’impresa CFC. L’effettiva tassazione avviene infatti in capo ai soggetti partecipanti, tenuti a compilare il quadro RM.

Come evitare l’applicazione della normativa CFC?

La normativa CFC può essere disapplicata dal contribuente usufruendo di una di queste due modalità:

  • L’interpello disapplicativo (facoltativo);
  • Parere preventivo all’Agenzia delle Entrate.

Vediamo di seguito queste due possibilità per la disapplicazione della tassazione CFC.

Interpello probatorio per la disapplicazione della normativa cfc

La categoria dell’interpello probatorio costituisce una categoria molto ampia, nel cui contesto sono ricomprese tutte le tipologie di istanze tese a ottenere un parere sulla sussistenza delle condizioni o sulla idoneità degli elementi probatori ai fini dell’adozione di un determinato regime fiscale. La richiesta può essere inoltrata solo nei casi espressamente previsti, ovvero quelli, appunto, contenenti l’esplicito richiamo all’interpello di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 11, tra cui rientra l’art. 167 co. 5 del TUIR.

Accorre evidenziare, infatti, che l’esimente di cui all’art. 167 co. 5 del TUIR sulla disciplina CFC non deve essere dimostrata in sede di accertamento qualora il contribuente abbia ottenuto risposta positiva al relativo interpello. Resta fermo, tuttavia, il potere dell’Agenzia delle Entrate di controllare la veridicità e completezza delle informazioni e degli elementi di prova forniti in tale sede (art. 167 co. 12 del TUIR). Concretamente, l’Agenzia delle Entrate è tenuta a rispondere all’interpello probatorio entro il limite massimo 120 giorni (dalla notifica dell’istanza). In caso di mancata risposta entro tale termine si rende applicabile il principio del c.d. “silenzio-assenso“. L’interpello deve essere presentato dal socio residente che controlla le società estere oggetto di monitoraggio sulla disciplina. Qualora la catena societaria preveda più società intermedie residenti, l’interpello può essere presentato dalla controllante diretta dell’entità estera, dando però conto della struttura del gruppo.

La non obbligatorietà dell’interpello

La presentazione dell’interpello probatorio è una possibilità, ma non un obbligo per il contribuente. Infatti, sulla base di quanto previsto dall’art. 167co. 11 del TUIR, l’Agenzia delle Entrate, prima di procedere all’emissione di un avviso di accertamento legato alla contestazione di un’imposta evasa, deve notificare al soggetto interessato una comunicazione. Si tratta di un invito che ha l’obiettivo di richiedere al contribuente di fornire, nel limite di 90 giorni, le prove per la disapplicazione del regime CFC. Quindi, la dimostrazione della disapplicazione di questo regime può avvenire:

  • Preventivamente, attraverso la presentazione di un interpello probatorio;
  • Successivamente, in fase di accertamento, attraverso l’adesione all’invito da parte degli Uffici.

In questa seconda ipotesi l’Amministrazione finanziaria mette in atto una fase di contraddittorio con il contribuente. Questi, ha la possibilità di fornire la dimostrazione delle esimenti legate alla disapplicazione della disciplina. L’attivazione di questa fase di contraddittorio è importante, in quanto, potrebbe essere contestabile l’operato dell’Ufficio che emette direttamente un avviso di accertamento senza una preventiva fase di contraddittorio con il contribuente. Su questo aspetto è fondamentale evidenziare che l’Agenzia delle Entrate è chiamata a fornire specifica motivazione dell’inidoneità delle prove fornite dal contribuente all’interno del proprio avviso di accertamento. La mancanza di motivazione, infatti, potrebbe portare a conseguenze negative per la stessa Agenzia delle Entrate in caso di contenzioso.

Accertamento in caso di operazioni potenzialmente elusive

In base all’art. 167 co. 11 del TUIR, l’Agenzia delle Entrate, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento d’imposta o di maggiore imposta, deve notificare all’interessato un apposito avviso con il quale viene concessa la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove per la disapplicazione del regime. In sostanza, viene prevista una fase di contraddittorio anticipato, permettendo al soggetto controllante di fornire, nel corso del procedimento, la dimostrazione dell’esimente; ancorché la norma nulla preveda sulle conseguenze derivanti dalla mancata attivazione del contraddittorio da parte dell’Ufficio, tale comportamento dovrebbe causare la nullità dell’avviso di accertamento per violazione dell’obbligo di motivazione previsto dall’art. 42 del DPR n. 600/73. Con riferimento alla previgente formulazione, presumibilmente, analogo contraddittorio debba altresì operare qualora:

  • siano mutate le condizioni fattuali rappresentate in un’istanza presentata con riferimento a periodi di imposta precedenti;
  • l’attività di verifica abbia fatto emergere discordanze rispetto alla situazione rappresentata nell’istanza accolta per lo stesso periodo di imposta.

Secondo la stessa circolare, non è chiaro se tale fase di contraddittorio preventivo debba essere seguita, oltre che per contestazioni relative alla mancata imputazione per trasparenza del reddito, anche per contestazioni relative all’erronea imputazione soggettiva o alla determinazione del reddito della controllata. Qualora l’Agenzia delle Entrate non ritenga idonee le prove addotte dovrà darne specifica motivazione nell’avviso di accertamento (art. 167 co. 11 del TUIR). L’esimente di cui all’art. 167 co. 5 del TUIR non deve essere dimostrata in sede di controllo qualora il contribuente abbia ottenuto risposta positiva al relativo interpello, fermo restando il potere dell’Agenzia delle Entrate di controllare la veridicità e completezza delle informazioni e degli elementi di prova forniti in tale sede (art. 167 co. 12 del TUIR).

Conclusioni

In questo contributo ho cercato di fornirti tutte le indicazioni utili per non sottovalutare la disciplina CFC. Se hai un gruppo multinazionale che ha una società in Italia con delle controllate, devi necessariamente porti questa problematica. Sostanzialmente se detieni le partecipazioni in una società operativa sita in Paese a bassa fiscalità devi verificare la sua operatività. Qualora il dividendo non venga erogato alla controllante italiana trova applicazione la disciplina CFC. Questa comporta la tassazione separata del reddito estero della controllata. E’ possibile disapplicare questa normativa dimostrando che la società estera controllata non è di “puro artificio”, ovvero non svolte attività economica. Tieni presente che una società di puro artificio presenta le seguenti caratteristiche:

  • Non possiede dipendenti, né alcuna struttura materiale (uffici, attrezzature ed automezzi). Essa è sovente domiciliata presso uno studio legale estero;
  • Viene gestita da un altro Paese ove sono situati gli amministratori di fatto. Mentre nel luogo di residenza formale è situata solo la sede legale della medesima entità giuridica;
  • Risulta essere molto sotto-capitalizzata, con un capitale sociale sottoscritto e versato di pochi euro;
  • Risulta eccessivamente sovra-capitalizzata, altro elemento che risulta poco coerente in funzione della esigua attività economica posta in essere.

In definitiva, dimostrando l’assenza di intenti elusivi e l’esercizio di una reale attività economico-imprenditoriale svolta all’estero, la tassazione per trasparenza CFC non sarà operata.

Se hai bisogno di un Commercialista esperto che possa aiutarti ad identificare la corretta applicazione della normativa CFC, contattami!