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Cessione di quote e ripartizione non proporzionale del prezzo

Fisco NazionaleCessione di quote e ripartizione non proporzionale del prezzo

Analisi della risposta ad interpello n. 50/2025 dell'Agenzia delle Entrate sulla cessione di quote societarie e ripartizione non proporzionale del prezzo tra soci. Scopri le criticità e le incoerenze di un'interpretazione che sembra privilegiare la forma sulla sostanza.

L’Agenzia delle Entrate, attraverso la risposta ad interpello n. 50 del 2025 (pubblicata il 27 febbraio scorso) ha fornito chiarimenti in merito alla corretta interpretazione fiscale delle operazioni di cessione di partecipazioni. In particolare, la casistica interesse le operazioni dove il prezzo di vendita viene ripartito tra i soci in modo non proporzionale alle quote possedute. Si tratta di una fattispecie comune nel mondo delle operazioni di M&A (fusioni e acquisizioni).

Il caso sottoposto all’esame dell’Amministrazione finanziaria riguarda la cessione del 49% delle partecipazioni societarie da parte di due soci, successiva a una prima vendita del 51%. La questione principale riguarda sulla possibilità di suddividere il corrispettivo della vendita in misura non proporzionale, basandosi sul contributo effettivo dei soci alla crescita della società. L’Agenzia ha chiarito che tale accordo interno tra i venditori non ha rilevanza fiscale e che le somme retrocesse tra soci sono qualificabili come redditi diversi. Questa interpretazione ha sollevato dubbi e perplessità tra gli operatori del settore. Andiamo, di seguito, ad analizzare gli aspetti principali.

La cessione di quote societarie non proporzionale

Gli istanti (i soci Alfa e Beta) detenevano rispettivamente il 51% e il 49% del capitale sociale della società Gamma SRL. In una prima fase, i due, hanno ceduto il 51% del capitale sociale a una società acquirente per un corrispettivo complessivo di 16 milioni di euro, suddiviso tra i due in misura non proporzionale. Attualmente, entrambi detengono il 24,5% del capitale sociale.

In seguito alla prima cessione, i soci hanno convenuto con la società acquirente la possibilità di cedere il restante 49%, con un prezzo determinato sulla base di parametri economico-finanziari. La ripartizione del prezzo di vendita tra i due soci, stabilita in un accordo sottoscritto, avrebbe dovuto avvenire in base al contributo fornito alla crescita della società, anziché secondo la percentuale di partecipazione.

Tuttavia, la società acquirente ha manifestato l’indisponibilità a corrispondere prezzi differenziati per le quote dei due soci. Di conseguenza, Alfa e Beta hanno deciso di regolarsi tra loro, attraverso una redistribuzione privata del corrispettivo in modo non proporzionale.

Accordo privato tra i soci: rileva fiscalmente?

Di fronte a questa situazione, i soci hanno chiesto all’Agenzia delle Entrate se, ai fini della determinazione dell’eventuale plusvalenza ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-bis), del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), potessero considerare quale corrispettivo fiscalmente rilevante della cessione delle rispettive partecipazioni quello che sarebbe derivato dall’applicazione dell’accordo sottoscritto, in luogo della ripartizione proporzionale di quanto corrisposto dall’acquirente. Il dubbio interpretativo nasceva dal fatto che l’acquirente intendeva acquistare le partecipazioni suddividendo il prezzo complessivo in misura proporzionale alle partecipazioni detenute dai soci e non secondo la diversa ripartizione voluta dagli stessi sulla base degli accordi interni.

Prevale il prezzo indicato nell’atto di cessione

L’Agenzia ha ribadito che la plusvalenza derivante dalla cessione delle partecipazioni deve essere calcolata confrontando il corrispettivo percepito (quello risultante dall’atto di vendita) con il valore fiscale della partecipazione. Di conseguenza, il maggior importo eventualmente trasferito tra soci non assume rilevanza ai fini della determinazione del capital gain. In altre parole, l’accordo interno tra i soci non assume rilevanza fiscale, e il capital gain deve essere determinato sulla base del prezzo stabilito e percepito dagli stessi per effetto dell’atto di cessione.

Tuttavia, l’Amministrazione ha qualificato la somma ricevuta dal socio Alfa come reddito diverso ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera l) del TUIR. Tale disposizione assoggetta a tassazione i redditi derivanti da obblighi di fare, non fare o permettere, qualificazione che in questo caso è stata attribuita all’accordo privato tra i soci.

L’Agenzia ha escluso, inoltre, che la somma versata da un socio all’altro possa configurarsi come una donazione, in quanto derivante da un’intesa basata su criteri economici e non su uno spirito di liberalità.

Problematiche sulla posizione dell’Amministrazione finanziaria

La risposta dell’Agenzia delle Entrate ha suscitato perplessità e critiche, in quanto sembra far prevalere la forma sulla sostanza e portare a risultati potenzialmente incoerenti e irrazionali. In particolare, possiamo individuare:

  1. Disallineamento tra forma e sostanza: L’Agenzia si è concentrata esclusivamente sul corrispettivo formalmente pattuito nell’atto di cessione con la società acquirente (che l’acquirente sia o meno disposto a riconoscere prezzi non proporzionali alle partecipazioni cedute), ignorando la sostanza dell’accordo tra i soci. Ne deriva un trattamento fiscale differente a seconda che sia l’acquirente o i soci stessi a decidere di distribuire il prezzo in modo non proporzionale;
  2. Doppia imposizione potenziale: Il corrispettivo, pur essendo parte della stessa operazione, subisce una doppia tassazione: prima come capital gain in capo a un socio e poi come reddito diverso in capo all’altro. Questo crea un evidente squilibrio e rischia di scoraggiare le transazioni strutturate in questo modo, spingendo i contribuenti a trovare soluzioni più complesse per evitare una tassazione eccessiva;
  3. Dubbi sulla qualificazione come reddito diverso: L’Agenzia ha ricondotto la somma aggiuntiva ricevuta dal socio Alfa alla categoria residuale dei redditi diversi, basandosi sull’assunzione di un obbligo di fare, non fare o permettere. Tuttavia, nel caso specifico, il socio non ha assunto alcun obbligo nei confronti dell’altro, ma ha semplicemente incassato un prezzo maggiore per la vendita della sua quota. Non si comprende, infatti, a fronte di quale obbligazione il socio “avvantaggiato” ottenga la remunerazione dalla ripartizione non proporzionale del prezzo. Il socio che riceve il differenziale di prezzo non si obbliga a fare, non fare o permettere alcunché, ma si limita a ricevere un maggior prezzo per la cessione della sua partecipazione, in base ad un accordo interno con l’altro socio.

Le possibili conseguenze per gli operatori del settore

Questa risposta dell’Agenzia potrebbe avere un impatto rilevante sulle future operazioni di cessione di quote societarie. In particolare:

  • Maggiori incertezze: la discrepanza tra la prassi operativa e l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria potrebbe generare problematiche sugli effetti di future operazioni similari;
  • Necessità di rivedere le strutture contrattuali: per evitare contestazioni, potrebbe essere necessario adottare modalità alternative per la regolazione interna dei soci in misura non proporzionale;
  • Rischio di contenziosi: l’imposizione di una doppia tassazione potrebbe portare i contribuenti a contestare la posizione dell’Agenzia in sede giudiziale. Tuttavia, in questo scenario, il contenzioso deve essere valutato sin dal momento della predisposizione dell’operazione in presenza di questa precisa presa di posizione da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Effetti sul principio di neutralità fiscale

La risposta fornita non sembra basarsi sul un principio fondamentale di neutralità, secondo il quale il trattamento fiscale non dovrebbe influenzare le decisioni economiche. Tuttavia, la posizione dell’Agenzia in questo caso sembra favorire un certo tipo di strutturazione contrattuale (una ripartizione proporzionale del prezzo di vendita), rendendo invece più onerose le operazioni che riflettono accordi tra i soci basati su criteri di merito e contributo effettivo alla crescita aziendale. Questo contrasta con la logica economica delle operazioni di mercato, creando un effetto distorsivo.

Pianificazione fiscale e contrattuale

Questa posizione dell’Agenzia potrebbe portare le aziende e i professionisti a rivedere le strategie contrattuali nelle operazioni di cessione di partecipazioni. Ad esempio, si potrebbe optare per meccanismi di earn-out direttamente regolati con l’acquirente, evitando accordi tra soci che potrebbero generare contestazioni fiscali. Tuttavia, ciò potrebbe limitare la flessibilità delle trattative e rendere più complesse le negoziazioni tra soci.

Per evitare problematiche simili in futuro, potrebbe essere necessario adottare soluzioni diverse, come ad esempio:

  • Coinvolgere direttamente l’acquirente nella ripartizione del prezzo di acquisto, negoziando importi differenziati tra i soci fin dall’inizio;
  • Prevedere clausole di earn-out che legano il corrispettivo ai risultati futuri della società, in modo che la valorizzazione delle quote rispecchi il contributo di ciascun socio;
  • Esaminare la possibilità di alternative giuridiche, come la costituzione di diritti particolari sulle quote che riflettano il contributo di ciascun socio alla crescita della società.

Conclusioni

La risposta ad interpello n. 50 del 2025 dell’Agenzia delle Entrate solleva importanti questioni interpretative in materia di cessione di partecipazioni e ripartizione non proporzionale del prezzo tra i soci. La posizione dell’Agenzia, che sembra far prevalere la forma sulla sostanza e portare a risultati potenzialmente incoerenti e irrazionali, ha suscitato perplessità e critiche, e invita ad una riflessione più approfondita sulla corretta interpretazione fiscale di queste operazioni.

Resta da vedere se l’Agenzia delle Entrate rivedrà la sua posizione alla luce delle critiche sollevate, o se la questione sarà oggetto di ulteriori approfondimenti in sede giurisprudenziale. Nel frattempo, è fondamentale che i contribuenti siano consapevoli dei rischi fiscali connessi alla ripartizione non proporzionale del prezzo di cessione delle partecipazioni, e che valutino attentamente le diverse opzioni disponibili per minimizzare l’impatto fiscale di queste operazioni.

Nel frattempo, sarebbe auspicabile un intervento normativo o giurisprudenziale per chiarire la corretta interpretazione di simili situazioni, garantendo maggiore coerenza e certezza del diritto agli operatori del settore M&A.

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