Uno degli strumenti deflattivi del contenzioso tributario maggiormente applicato dai contribuenti è sicuramente l’acquiescenza. Si tratta, in buona sostanza, di un istituto giuridico previsto dall’art. 15 del D.Lgs. n. 218/97 che consente al contribuente di definire:
- L’avviso di accertamento (per le imposte dirette), o
- L’avviso di liquidazione (per le imposte indirette),
attraverso il pagamento, entro il termine di proposizione del ricorso (60 giorni dalla notifica dell’atto), dell’imposta indicata nell’atto e dei relativi interessi, usufruendo della riduzione delle sanzioni a un terzo. Questa riduzione delle sanzioni è possibile esclusivamente a condizione che il contribuente rinunci ad impugnare l’atto di fronte alla Commissione tributaria provinciale, sia formulare istanza di accertamento con adesione.
In altri termini, l’istituto dell’acquiescenza prevede la totale e complessiva accettazione dell’accertamento così come formulato dall’Ufficio verificatore. Il presupposto utile affiché si possa realizzare questo istituto è il pagamento, da parte del contribuente, di quanto richiesto a titolo di imposta, di interessi e sanzioni (ridotte), entro il termine utile alla presentazione del ricorso tributario.
Inutile ribadire che questo istituto rappresenti oggi una possibilità molto importante per il contribuente a cui viene notificato un atto tributario. Per questo motivo, di seguito, andiamo ad analizzare con maggiore dettaglio questo istituto per verificare se può esserti utile.
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Che cos’è l’acquiescenza in ambito tributario?
Il termine indica l’accettazione di un provvedimento amministrativo tributario da parte del contribuente destinatario. L’accettazione comporta l’automatica rinuncia da parte del contribuente di avvalersi dei mezzi di impugnazione previsti per legge (istanza di reclamo/mediazione e ricorso tributario).
Quando si può applicare?
Ai fini delle imposte dirette e l’IVA il contribuente ha la possibilità di definire, con l’acquiescenza, gli avvisi di accertamento e di liquidazione relativi a violazioni riguardanti dette imposte. Da sottolineare che questo istituto riguarda l’atto originario emesso dall’Ufficio accertatore, ma anche l’atto modificativo (o sostitutivo) emesso in autotutela parziale dall’Amministrazione finanziaria a riduzione della propria originaria pretesa impositiva.
Pertanto, questo significa che se l’Ufficio rettifica un proprio atto impositivo, notificando al contribuente un provvedimento di autotutela parziale, questi può definire in acquiescenza la pretesa residua dell’atto, ancora efficace, se rinuncia al ricorso. La rinuncia avviene versando, con le stesse modalità e termini previsti al momento della notifica dell’atto:
- Integralmente il tributo e gli interessi;
- La sanzione amministrativa, rideterminata in base al tributo modificato in autotutela, nella misura ridotta prevista in acquiescenza.
Importante sottolineare è che il termine di decorrenza del pagamento della data di notifica del provvedimento di autotutela parziale. Sul punto vedasi la Circolare n. 12/E/2016 dell’Agenzia delle Entrate.
Per quanto riguarda le imposte indirette la procedura riguarda:
- L’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), in caso di avviso di liquidazione per insufficiente o omessa dichiarazione di valore;
- L’imposta di registro, in caso di liquidazione per insufficiente o omessa dichiarazione di valore (anche in caso di agevolazioni “prima casa“);
- Le imposte di successione e donazione, anche per le fattispecie di infedele dichiarazione.
Sono fuori dall’ambito di applicazione di questo istituto le violazioni relative alle imposte ipotecarie e catastali.
Effetti previdenziali
La definizione di un atto in acquiescenza ha effetti anche per i contributi previdenziali e assistenziali correlati agli imponibili tributari, con il beneficio dell’inapplicabilità di sanzioni e interessi. Sono applicabili le regole riguardanti la possibilità di rateizzare le somme dovute, nonché le norme relative all’eventuale decadenza dal beneficio della rateazione per inadempienza nei versamenti che comportano l’applicazione di sanzioni (pari al 30%).
Quali i passaggi per attivare la procedura?
Volendo schematizzare la procedura di acquiescenza comprende i seguenti passaggi:
N° | Descrizione |
---|---|
1 | Ricezione dell’avviso di accertamento o di liquidazione |
2 | Accettazione dell’atto, che comporta la riduzione a un terzo delle sanzioni amministrative irrogate a condizione che il contribuente: – Rinunci ad impugnare l’avviso di accertamento; – Rinunci a presentare istanza di accertamento con adesione; – Paghi le somme complessivamente dovute, considerando le riduzioni, entro il termine per il ricorso (60 gg dalla notifica). |
3 | Versamento delle somme dovute con modello F24. |
Come evidente dalla tabella sovrastante l’istituto dell’acquiescenza è una possibilità concessa al contribuente di concludere la pretesa tributaria accettando l’atto emesso dall’Amministrazione finanziaria, ottenendo una riduzione delle sanzioni. E’, quindi, un istituto che si attiva con comportamento del contribuente che, a seguito della notifica di un atto accertativo, rinuncia ad impugnare l’atto e a formulare istanza di accertamento con adesione. L’attivazione dell’istituto avviene versando, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, le somme dovute a titolo di imposta e interessi e la sanzioni ridotte in:
- Unica soluzione, oppure,
- Versando la prima rata del rateizzo, qualora il contribuente abbia optato per il versamento rateale dell’importo.
E’ importante sottolineare che l’istituto non richiede alcuna formalizzazione da parte del contribuente della rinuncia all’impugnazione proposta. Il versamento delle somme, quindi, è sufficiente come comportamento concludente con cui il contribuente evidenzia la propria intenzione di rinunciare al ricorso tributario. In questo caso, infatti, il ricorso non può avvenire per “cessazione della materia del contendere“. Vedasi sempre la Circolare n. 12/E/2016.
Quali gli effetti amministrativi?
La definizione di un atto tributario in acquiescenza comporta la definitività dell’accertamento, che non è né integrabile né modificabile, da parte del contribuente o dell’Ufficio, ad eccezione delle seguenti eccezioni:
- Il fatto che l’Ufficio venga a conoscenza di nuovi elementi precedentemente non conosciuti sui quali è possibile accertare un maggiore reddito superiore al 50% di quello definito e comunque a 77.468,53 euro (il limite deve essere commisurato al reddito definito e non al maggior reddito definito);
- In caso di accertamenti parziali, nel rispetto dei termini di accertamento, la rettifica del reddito sulla base di elemento risultanti da accessi, ispezioni e verifiche o da segnalazioni di redditi non dichiarati o dichiarati parzialmente;
- La possibilità di accertare categorie reddituali diverse rispetto a quella definita in acquiescenza. Caso classico è l’accertamento sulla società che poi si riflette nell’accertamento sui relativi soci.
Per quanto riguarda gli effetti amministrativi dell’acquiescenza occorre sempre valutarla in relazione alla preventiva possibilità del contribuente di avvalersi del ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472/97. Tale istituto, infatti, consente al contribuente di regolarizzare la propria situazione in caso di omesso versamento, attivando una procedura di regolarizzazione spontanea che comporta la riduzione delle sanzioni minime applicabili per la violazione. Sicuramente, ove possibile, questo istituto è sempre preferibile rispetto all’acquiescenza, che si attiva solo dopo il ricevimento dell’atto di accertamento.
Quali gli effetti penali?
L’estinzione completa della pretesa tributaria, anche attraverso istituti deflattivi del contenzioso, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, rappresenta una causa di non punibilità del reato penale nei casi di (art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000):
- Omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000);
- Omesso versamento di Iva (art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000);
- Indebita compensazione di crediti inesistenti (art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000).
Qualora l’estinzione del debito tributario avviene mediante rateizzazione, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, il residuo importo dovuto può essere corrisposto entro il termine di tre mesi, prorogabile di ulteriori tre mesi (art. 13, co. 3 del D.Lgs. 74/2000).
Per quanto riguarda, invece, il caso dei reati di dichiarazione infedele (ex art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000) e di dichiarazione omessa (ex art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000), quale causa di non punibilità, solo il ravvedimento operoso e la presentazione della dichiarazione entro il termine di presentazione di quella relativa al periodo successivo, è causa di non punibilità del reato. Questo, sempreché, l’autore del reato non abbia già avuto formale conoscenza di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimento penale.
In questi casi, comunque, è possibile beneficiare per i reati di cui al D.Lgs. n. 74/2000 la circostanza attenuante speciale correlata al pagamento dei debiti tributari comprese le sanzioni amministrative ed interessi (ex art. 13-bis del D.Lgs. n. 74/2000), che comporta la riduzione delle sanzioni fino alla metà e la non applicazione delle pene accessorie se il contribuente prevede al pagamento di quanto dovuto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
Per approfondire: “Reati penali tributari: guida“.
Come avviene il versamento degli importi dovuti?
Il versamento delle imposte dovute, degli interessi e delle sanzioni ridotte può avvenire in unica soluzione, oppure ratealmente. Il pagamento rateale può avvenire:
- In otto rate trimestrali se le somme dovute non superano le 50.000 euro;
- In sedici rate trimestrali se le somme dovute superano le 50.000 euro.
In ogni caso, sulle rate successive alla prima sono dovuti interessi al tasso legale.
L’aspetto più importante da evidenziare riguarda le conseguenza in caso di mancato pagamento di una rata diversa dalla prima entro il versamento della rata successiva. Questo comportamento determina la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni, e della sanzione di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 471/97, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta. La sanzione, nel caso, è del 45% (30% +15%).
Il versamento delle somme dovute deve essere effettuato con modello F24 (F23 per l’imposta di registro), con possibilità di compensare, nei limiti previsti dalle vigenti disposizioni, le somme dovute con crediti tributari vantati dal contribuente.
Il lieve inadempimento sana la rateazione irregolare
La decadenza dal beneficio della rateazione non avviene nel caso in cui si verifichi una fattispecie di lieve inadempimento. Questo accade nel caso in cui il versamento è:
- Insufficiente per una frazione non superiore al 3% e in ogni caso, a 10.000 euro;
- Tardivo, ma non superiore a 7 giorni rispetto al termine di scadenza del pagamento.
In questi casi, quando l’errore materiale o di calcolo nel versamento, non determina una rilevante sproporzione tra quanto dovuto e quanto pagato il contribuente può ravvedere l’errore immediatamente senza decadenza dalla rateazione. Questo principio è confermato dalla Circolare n. 27/e/2013 dell’Agenzia delle Entrate.
Sul punto, infine, occorre sottolineare che il contribuente può sanare il ritardo nel versamento della rata ed evitare l’iscrizione a ruolo se si avvale del ravvedimento operoso entro il termine di pagamento della rata successiva, ovvero in caso di ultima rata entro 90 giorni dalla relativa scadenza.
Per approfondire: “Ravvedimento su rate omesse di avvisi bonari e accertamenti“.
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