La Guardia di Finanza effettua ogni anno controlli mirati a prevenire e contrastare l’evasione fiscale internazionale. Si tratta di meccanismi volti a trasferire redditi imponibili aggirando le disposizioni di legge da paesi a fiscalità più elevata verso paesi a fiscalità privilegiata. Questi schemi di evasione fiscale negli ultimi anni stanno diventando sempre più complicati da individuare. Infatti, la possibilità di sfruttare vuoti normativi, come anche la possibilità di sfruttare a proprio vantaggio elementi di fiscalità di vari Paesi, sono elementi che possono portare il contribuente a valutare possibili comportamenti evasivi.

Oggi con la digital economy assistiamo poi alla separazione tra reddito, tassazione e attività economica da cui esso deriva, comportando un grande sforzo per l’Amministrazione finanziaria, chiamata a verificare la fattibilità di questo tipo di operazioni. Individuare queste fattispecie rappresenta un’attività di indagine vera e propria che coinvolge anche funzionari di altri Paesi. In questo articolo intendo indicarti, schematicamente, i principali elementi utilizzati dall’Amministrazione finanziaria per misurare la compliance dei contribuenti. In particolare, mi riferisco alle aziende che operano in ambito multinazionale, notoriamente le più inclini a mettere in atto meccanismi fraudolenti di evasione fiscale internazionale.

Volendo schematizzare e senza alcuna pretesa di esclusività sull’argomento, ho deciso di riepilogare di seguito quali sono le principali fattispecie di illeciti commessi dalle imprese multinazionali in relazione ad elusione ed evasione fiscale, guardando anche alle azioni messe in atto dall’Amministrazione finanziaria per accertare questo tipo di violazioni e le norme di legge di riferimento per ciascuna fattispecie. Di seguito, quindi, vediamo gli elementi che in una impresa multinazionale vengono presi in considerazione dall’Amministrazione finanziaria, quando effettua un accertamento su di essa.

Evasione fiscale internazionale (2)
Evasione fiscale internazionale (2)

Cooperazione nel settore fiscale e scambio di informazioni

Nell’ambito di un’efficace lotta all’elusione e all’evasione fiscale internazionale, la cooperazione tra gli Stati riveste un rilievo primario. Soprattutto quando siamo di fronte ad aziende che operano in più Stati diversi solo un’effettiva collaborazione consente un corretto accertamento dell’entità delle imposte dovute dai contribuenti.

La crescente mobilità dei contribuenti e l’elevato numero di operazioni transfrontaliere compiute non possono che essere elementi che possono portare a commettere attività elusive. E’ in questi termini che, negli ultimi anni è cresciuta l’attività di scambio di informazioni ai fini fiscali tra varie autorità fiscali al fine di prevenire e contrastare fenomeni elusivi ed evasivi. Per quanto riguarda lo scambio di informazioni possono esservi diverse modalità tramite cui l’attività di scambio può concretizzarsi.

Le modalità di scambio di informazioni utili ai fini fiscali

La principale forma di collaborazione tra Stati è costituita dall’attività di scambio di informazioni utili ai fini fiscali. In particolare, lo scambio d’informazioni tra Stati può avvenire seguendo una delle sottostanti modalità:

  • In forma automatica. Il quale si propone di garantire un flusso informativo costante di informazioni. Vedi in questo ambito il CRS (“Common Reporting Standard“) o FATCA di matrice USA;
  • In forma spontanea. Mediante cui le autorità competenti di ciascun Stato membro possono comunicare spontaneamente alle autorità di altri Stati loro utili membri le informazioni di cui abbiano conoscenza;
  • •Su richiesta. Consiste in un’attivazione inviata all’autorità richiedente verso l’autorità interpellata. La quale trasmette all’autorità richiedente stessa le informazioni necessarie, di cui sia in possesso o che ottenga a seguito di un’indagine amministrativa.

Al riguardo, la Direttiva 2011/16/UE la quale è stata modificata dalla Direttiva 2014/107/UE costituisce la normativa di riferimento per la disciplina dello scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale. Attraverso l’applicazione di questa direttiva l’autorità competente di ciascuno Stato membro comunica all’autorità competente di qualsiasi altro Strato membro le informazioni disponibili sui periodi d’imposta a partire dal 1° gennaio 2017:

riguardanti i residenti in tale altro Stato membro su tutte le categorie di reddito e di capitale elencate al paragrafo 1”.

Nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, con il D.M. del 28 dicembre 2015 è stata data attuazione a quanto previsto dalla Direttiva 2014/107/UE. Questo è avvenuto attraverso una serie di regole di due diligence che gli intermediari nazionali sono tenuti a rispettare in conformità a quanto indicato dall’OCSE in materia di scambi automatici di informazioni. Sulla base di ciò, a decorrere dal periodo d’imposta 2017, è possibile la raccolta dei dati dei contribuenti esteri prevista dal c.d. Common Reporting Standard (CRS). Si tratta di un’attività che consiste nello scambio automatico di informazioni fiscali tra Amministrazioni finanziarie degli Stati aderenti all’OCSE. Tra cui gli Stati Uniti d’America che adottano il modello c.d. FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act).

Economia digitale e lotta all’evasione fiscale internazionale

Nel campo della lotta all’evasione fiscale non può che trovare riscontro anche il tema relativo alla tassazione della c.d. “digital economy, di cui l’OCSE si occupa con particolare attenzione da anni, al fine di determinare l’eventuale “presenza digitale” dell’impresa multinazionale in uno Stato ed evitare l’elusione e l’evasione fiscale internazionale.

Il settore digitale, infatti, risulta spesso coinvolto in pratiche di pianificazione fiscale aggressiva. Questo in quanto i modelli imprenditoriali che operano in tale campo non necessitano di infrastrutture fisiche per effettuare operazioni con i clienti e realizzare profitti. I tradizionali principi di fiscalità internazionale richiedono che vi sia un certo livello di presenza fisica dell’impresa al fine di sottoporre a tassazione i profitti realizzati nel territorio. Nel settore digitale, invece, le cose cambiano.

Un’impresa può intrattenere rapporti con i clienti in un determinato Paese tramite un sito web o altri mezzi digitali senza che venga in rilievo la presenza fisica di tale impresa in quel Paese.

Ne deriva che nel settore digitale le imprese potrebbero non essere soggette a tassazione nel Paese in cui si trovano i loro clienti stante la mancanza dei presupposti di radicamento nel territorio tradizionalmente adottati.

Significativa presenza economica in un Paese e progetto BEPS

Al riguardo, si richiama il Progetto BEPS dell’OCSE, il quale rinvia al concetto di “significativa presenza economica” che si fonda sulla presenza “tassabile” di un’impresa all’interno di un Paese. Questo indipendentemente dall’eventuale “presenza fisica” dell’impresa in quello stato, ma guardando esclusivamente al livello di integrazione dell’impresa nell’economia di quel Paese.

Nello specifico, l’OCSE individua una serie di fattori dai quali è possibile desumere la partecipazione attiva dell’impresa all’economia di un dato Paese. Si tratta, in particolare, di elementi che identificano la “presenza economica significativa”, a prescindere dal suo radicamento fisico nel territorio, con particolare riguardo a:

  • La percezione di ricavi in quel determinato Paese (c.d. “revenue-based factor“);
  • L’attivazione di una piattaforma o di un sito web locale diretti a favorire l’interazione degli utenti locali con i contenuti e le funzioni del sito (c.d. “digital factors“);
  • Numero di utenti che hanno effettuato un accesso nella piattaforma digitale predisposta dall’impresa non residente;
  • Numero di contratti conclusi con i clienti o utenti residenti, anche on line, senza l’intervento di personale locale o di soggetti che agiscono in nome e per conto delle imprese non residenti.

La tematica della digital economy, con riguardo agli sviluppi che si sono registrati in ambito OCSE, rappresenta peraltro una questione che rileva anche a livello europeo. Il 15 marzo 2018 il Parlamento europeo ha approvato, con emendamenti, la proposta sulla base imponibile comune per le società (CCTB) e quella relativa alla base imponibile comune consolidata per l’imposta sulle società (CCCTB). Nell’emendamento all’articolo 5 della proposta di Direttiva CCTB si prevede che:

se un contribuente residente in una giurisdizione offre una piattaforma digitale, oppure offre un motore di ricerca o servizi pubblicitari su un sito web o in un’applicazione elettronica, si considera che tale contribuente abbia una stabile organizzazione digitale in uno Stato membro diverso dalla giurisdizione in cui è residente a fini fiscali se l’importo totale dei ricavi supera i 5 milioni di euro annui e se è soddisfatta una delle seguenti condizioni:

  • Almeno 1.000 utenti individuali registrati mensilmente, domiciliati in uno Stato membro diverso dalla giurisdizione in cui il contribuente è residente a fini fiscali, si sono collegati alla piattaforma digitale del contribuente o l’hanno visitata;
  • Sono stati conclusi almeno 1.000 contratti digitali al mese con consumatori o utenti domiciliati in una giurisdizione diversa da quella di residenza in un esercizio fiscale;
  • Il volume di contenuti digitali raccolti dal contribuente in un esercizio fiscale supera il 10% dei contenuti digitali complessivi memorizzati dal gruppo.

Gli indicatori sopra elencati consentono dunque, in linea con quanto già raccomandato in sede OCSE, di identificare se un’impresa ha una “presenza digitalesignificativa all’interno di uno Stato membro. In questo caso tale imprese deve quindi essere soggetta a tassazione in quel Paese.

Presenza economica significativa dell’impresa digitale e stabile organizzazione

Accanto all’attuazione del progetto BEPS l’Italia è tra uno dei pochi paesi europei ad aver introdotto internamente una disposizione utile ad individuare la presenza economica di un’impresa anche senza la sua presenza fisica in questo Stato. Mi riferisco, in particolare, alla disciplina di cui all’art. 162, co. 2, lett. f)-bis del TUIR. Questa disposizione prevede che rappresenti una stabile organizzazione in Italia:

Una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso.

art. 162 co. 2 lett. f)-bis del tuir

Si tratta di una disposizione inserita dall’art. 1, comma 1010, lett. a) della Legge n. 205/17, in vigore dal 1° gennaio 2018. Questa disposizione, ad oggi rappresenta una norma vincolante per le imprese che vogliono operare in Italia e commerciare in Italia senza una presenza fisica costante nel nostro Paese. Sul punto, sarà importante verificare, nel tempo, l’effettiva applicazione di questa disposizione e come verrà concretamente svolta l’attività di accertamento fiscale su questo tipo di attività, che operano, per l’appunto nella digital economy.

Profili patologici della stabile organizzazione

Arrivati a questo punto avrai capito come oggi, uno dei punti principali di contrasto all’evasione ed all’elusione fiscale internazionale sia rappresentato da possibili frodi in ambito di stabile organizzazione dell’impresa in uno Stato. La disciplina della stabile organizzazione è prevista nell’articolo 162 del TUIR e dall’art. 5 del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni. Questo articolo, in particolare, definisce la nozione di stabile organizzazione in modo molto simile a quanto indicato dalla nostra normativa interna.

L’art. 162 del TUIR individua, quale stabile organizzazione una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita, in tutto o in parte, l’attività in Italia. In aggiunta ai suddetti requisiti, l’Amministrazione finanziaria ritiene necessario che la struttura italiana sia dotata di autonomia funzionale rispetto alla casa madre.

L’esatta definizione di stabile organizzazione è molto importante in quanto gli enti che verificano tale requisito sono chiamati a dare applicazione al successivo articolo 7, paragrafo 2, del modello di Convenzione OCSE. Secondo questa disposizione i profitti attribuibili alla stabile organizzazione sono quelli che si ritiene sarebbero stati conseguiti come se fosse un soggetto separato ed indipendente svolgente le medesime attività nelle medesime condizioni.

Stabile organizzazione ed evasione fiscale internazionale

Le forme evasive che più di frequente possono realizzarsi in tema di stabile organizzazione possono riguardare diversi aspetti. In particolare, possiamo prendere a riferimento i seguenti:

  • Operatività in Italia di un’impresa estera attraverso una stabile organizzazione non dichiarata o, se dichiarata, formalmente “sottodimensionata”;
  • Esitenza di un’impresa residente fiscalmente in Italia che dispone all’estero di stabili organizzazioni non palesate. Oppure utilizzate per realizzare lo spostamento di profitti verso Stati con livello impositivo ridotto.

Nella fattispecie di stabile organizzazione non dichiarata, una volta individuato il luogo ove eseguire l’attività istruttoria, vi sono una serie di fattori da prendere in considerazione. Si tratta di fattori indiziari di cui occorre tenere conto al fine di poter accertare l’operatività in Italia di un’impresa non residente attraverso una stabile organizzazione:

  • Il coinvolgimento di personale della società italiana del gruppo nella stipulazione di contratti da parte dell’impresa straniera;
  • Documentazione dalla quale sia possibile desumere che il soggetto italiano è in una posizione subordinata rispetto all’impresa straniera;
  • Assoggettamento del personale dipendente della società italiana alle direttive ed istruzioni del soggetto estero;
  • Operatività del soggetto estero che dispone nel territorio dello Stato di locali per lo svolgimento dell’attività d’impresa.

Occorre dunque dimostrare l’esistenza nel territorio dello Stato di una sede fissa d’affari con carattere di stabilità e nella disponibilità del soggetto non residente per l’esercizio dell’attività di impresa.

Per approfondire: “Stabile organizzazione occulta: i metodi di controllo“.

Stabile organizzazione personale

L’elusione artificiosa dello status di stabile organizzazione sia un tema a cui l’OCSE presta particolare attenzione nel Final Report relativo all’Action 7, Preventing the artificial avoidance of PE status, redatto nell’ambito dei lavori sul Progetto BEPS.

In tale occasione l’OCSE ha apportato modifiche ai concetti di stabile organizzazione materiale e personale le quali sono state recepite nella Convenzione Multilaterale sottoscritta il 7 giugno 2017 e nel nuovo Modello di Convenzione OCSE pubblicato il 18 dicembre 2017. Ci si riferisce, in particolare, all’estensione della nozione di agente dipendente il quale si identifica in:

colui che opera per conto di un’impresa e nell’esercizio della propria attività stipula abitualmente contratti o ricopre abitualmente il ruolo principale che conduce alla stipula dei medesimi contratti senza modifica sostanziale da parte dell’impresa

In particolare, per l’OCSE siamo di fronte ad una ipotesi di stabile organizzazione personale ogni qualvolta un’agente di vendita inviato in uno Stato estero rimane legato all’azienda mandante avendo con essa un legame “fattuale” che lo lega ad essa per oltre il 50% del suo fatturato annuo.

Per approfondire: “Agente di società estera come stabile organizzazione personale in Italia“.

Anti-fragmentation rule

Un’ulteriore importante novità in ottica di contrasto all’evasione fiscale internazionale è rappresentata dall’introduzione nel Modello di Convenzione OCSE della c.d. anti-fragmentation rule. Si tratta, in buona sostanza, di una disposizione secondo cui nel caso di svolgimento di più attività da parte di una o più imprese tra loro collegate in un determinato Stato, sussiste una stabile organizzazione qualora le diverse attività siano:

  • Complementari (complementary functions) e
  • Connesse (cohesive business operations) tra loro.

Questa disposizione è volta ad evitare che l’eventuale frammentazione di ambiti di attività in più stati diversi possa portare a non verificare in nessuno o solo in alcuni Stati l’ipotesi di stabile organizzazione. A questa disciplina rimangono salvi i casi in cui l’insieme delle attività, unitariamente considerate, abbia carattere preparatorio o ausiliario.

In ogni caso, al verificarsi di questo tipo di accertamenti verificatore è solito adottare ogni forma di cautela, favorendo il contraddittorio con il contribuente. Tuttavia, dobbiamo dire che in presenza di un’impresa residente in Italia che appartiene ad un gruppo multinazionale i rilievi in tema di stabile organizzazione occulta devono sempre essere valutati. Gli uffici verificatori in questi casi devono valutare tutti gli elementi utili, senza guardare esclusivamente alla mera dipendenza gestionale o scarsa autonomia economica della società controllata, in quanto tali caratteristiche costituiscono aspetti naturali in strutture integrate.

Stabile organizzazione sottodimensionata ed evasione fiscale internazionale

Il medesimo percorso ispettivo seguito per le ipotesi di stabile organizzazione non dichiarata deve essere adottato nei casi di stabile organizzazionesottodimensionata”. La stabile organizzazione sottodimensionata è una stabile organizzazione dichiarata, ma non totalmente identificata.

In questi casi la casa madre può sottodimensionare la presenza della propria stabile organizzazione. Ad esempio disciplinando contrattualmente solo alcune delle funzioni realmente svolte dalla branch nel territorio dello Stato. Oppure o remunerando le funzioni svolte ad un valore inferiore rispetto a quello che sarebbe stato praticato tra due parti indipendenti. Questo è il caso di un’impresa residente fiscalmente in Italia che dispone all’estero di stabili organizzazioni occulte. Al fine di poter ritenere esistente all’estero una stabile organizzazione occulta di una società residente occorre tenere in considerazione:

  • L’eventuale presenza di limitazioni che pongono la società estera in una posizione subordinata rispetto all’impresa residente;
  • La mancanza di contrapposizione di interessi tra l’entità non residente e quella italiana;
  • La sottoposizione del personale dipendente dell’impresa straniera alle direttive ed istruzioni di quella italiana.

Indicazioni operative in materia di accertamenti sul transfer pricing

Anche l’istituto del transfer pricing (TP) assume interesse nell’ambito dell’evasione fiscale internazionale. Come sappiamo, infatti, le problematiche di TP sorgono principalmente all’interno delle operazioni infragruppo che vengono svolte all’interno di gruppi multinazionali. L’attività di accertamento fiscale su questo tema è da sempre molto delicata perché la materia del TP non rimane racchiusa all’interno del solo ambito fiscale. Infatti, questo tipo di controlli richiedono spesso competenze anche in materie diverse, come ad esempio la statistica, l’economica politica, etc.

In questi termini, è guardando soprattutto alle problematiche ad esso connesse che i verificatori devono operare soprattutto nella fase di preparazione dell’intervento ispettivo. L’identificazione dell’ente da sottoporre a controllo e la tipologie di materie collegate al controllo diventano sempre più importanti al fine di raggiungere gli obbiettivi di contrasto all’evasione fiscale internazionale.

Come sappiamo, la disciplina dei prezzi di trasferimento è disciplinata dall’articolo 110, comma 7 del TUIR, così come modificato dal D.L. n. 50/17, (convertito in Legge n. 96/17). Secondo questo articolo, la determinazione dei prezzi di trasferimento deve avvenire:

sulla base delle condizioni e dei prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili

in sostituzione del precedente riferimento al criterio del valore normale delle transazioni infragruppo di cui all’articolo 9, comma 3 del TUIR. Si tratta di un’impostazione che recepisce quanto indicato dalle Linee Guida OCSE sui prezzi di trasferimento. Si tratta di un documento che fornisce indicazioni in relazione all’applicazione dell’arm’s length principle quale principio condiviso a livello internazionale per la determinazione dei prezzi di trasferimento nelle operazioni infragruppo.

Sul tema della determinazione dei prezzi di trasferimento gli strumenti a disposizione dellAmministrazione finanziaria riguardano principalmente la verifica dei seguenti aspetti:

  • Principio di libera concorrenza;
  • Analisi funzionale e di comparabilità;
  • Metodi previsti dalle linee guida dell’OCSE di determinazione dei prezzi di trasferimento;
  • Previsione dell’obbligo per le multinazionali di predisporre e trasmettere annualmente all’Agenzia delle Entrate una specifica rendicontazione Paese per Paese (Country by Country Reporting);
  • Profili critici relativi agli intangibles e ai costs sharing agreements. Nonché alle operazioni di riorganizzazione aziendale. Le quali determinano la riallocazione di funzioni, attività e/o rischi fra soggetti economici residenti in Stati diversi e nei quali il gruppo multinazionale opera con il rischio che da esse possa conseguire l’allocazione di rischi e funzioni. Ovvero il trasferimento di intangibles, in giurisdizioni a fiscalità vantaggiosa.

Le verifiche dell’Amministrazione finanziaria sui prezzi di trasferimento

Sul punto poi il comportamento ispettivo dell’Amministrazione finanziaria su questi aspetti si modifica in relazione ai casi in cui il contribuente abbia o meno proceduto a predisporre la documentazione sui prezzi di trasferimento.

Qualora il contribuente non disponga di documentazione, i verificatori saranno tenuti ad approfondire i rapporti intercorsi con le consociate. Questo avviene con l’esame dei mastrini di conto loro intestati, all’individuazione del metodo ritenuto più idoneo per la determinazione del valore di libera concorrenza delle transazioni in verifica. Infine, alla sua applicazione nel caso di specie.

Nell’ipotesi in cui si venga in possesso della documentazione sulla politica di transfer pricing adottata dall’impresa, i verificatori sono tenuti ad una particolare analisi.Si tratta di esaminare il percorso che ha condotto il contribuente sottoposto a verifica ad individuare il metodo ritenuto più idoneo per la determinazione del prezzo intercompany. A seguito di ciò:

  • Nell’ipotesi in cui il criterio utilizzato dal contribuente risulti non idoneo per la determinazione del valore di libera concorrenza delle transazioni in verifica occorre individuare quello preferibile. Questo per poi procedere alla sua applicazione fornendo un’adeguata motivazione;
  • Qualora il metodo sia valutato come appropriato, occorre controllare i processi di calcolo seguiti dall’impresa in verifica. Questo al fine di correggere eventuali errori o omissioni, di carattere formale o logico.

Una volta individuato il prezzo di mercato delle transazioni, è necessario verificare che detto parametro sia stato effettivamente preso a base per la valorizzazione delle operazioni con le consociate. In caso contrario, si rende necessario muovere i rilievi per la differenza tra il valore di mercato delle transazioni in verifica e la rilevanza loro conferita ai fini fiscali da parte dell’impresa contribuente. Sempre in ambito di evasione fiscale legata al transfer pricing, la Guardia di Finanza ha provveduto all’acquisizione di uno specifico applicativo per le analisi di transfer pricing. Si tratta del software denominato Tp catalyst.

L’attività di accertamento legata ad ipotesi di esterovestizione

Una terza attività di accertamento molto importante svolta dall’Amministrazione finanziaria sui gruppi multinazionali (e non solo) è data dalla verifica dell’esterovestizione di enti societari. Si tratta, in particolare, di fattispecie dove una società, formalmente residente in un Paese estero, di fatto opera in Italia intrattenendo rapporti economici, con altre entità residenti in Italia e comportandosi come soggetto residente in Italia.

La disciplina nazionale sull’esterovestizione riguarda essenzialmente il rispetto della definizione di residenza fiscale delle società, che possiamo individuare nell’art. 73comma 3, del TUIR, il quale considera residenti ai fini delle imposte dirette le società e gli enti che, per la maggior parte del periodo d’imposta, abbiano nel territorio dello Stato, alternativamente:

  • La sede legale, la quale si identifica con la sede sociale indicata nell’atto costitutivo o nello statuto;
  • La sede dell’amministrazione, vale a dire il luogo ove viene svolta l’attività di gestione, da desumere da dati concreti quali, ad esempio, l’esistenza di uffici amministrativi o l’indicazione su documenti o fatture;
  • L’oggetto principale dell’attività. Per le società e gli enti residenti, l’oggetto esclusivo o principale dell’attività è determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata (articolo 73, comma 4 del DPR n. 917/86); in mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale della società o dell’ente residente è determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato.

Quindi, anche per le società di capitali, i criteri che identificano la residenza fiscale sono degli elementi che “formalmente” o “di fatto” portano in Italia elementi rilevanti dell’attività, come la sede legale, dell’amministrazione o lo svolgimento dell’oggetto principale dell’attività. Vediamo, a questo punto di approfondire questi criteri di localizzazione della residenza fiscale.

Presunzione di residenza in italia delle società estere

Il tema della residenza fiscale delle società estere facenti parte di gruppi multinazionali italiani ha assunto particolare importanza soprattutto per effetto dell’articolo 73 comma 5-bis, del DPR n. 917/86. Infatti, con l’obiettivo di contrastare il fenomeno delle società cd. “esterovestite“, l’articolo 35, comma 13, del D.L. n. 223/06 ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano una presunzione legale relativa, in virtù della quale si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti non residenti che soddisfano determinati requisiti.

La disposizione in commento, deve essere analizzata con particolare attenzione. Infatti, è proprio sulla base di questa norma che l’Amministrazione finanziaria ridetermina in Italia la residenza fiscale di società costituite all’estero. Oggi, l’attività di accertamento di questa fattispecie, conosciuta come “esterovestizione societaria” è un aspetto che deve essere tenuto in considerazione, nella creazione di società estere o di gruppi societari multinazionali.

Vediamo, quindi, come analizzare questa disciplina con maggiore dettaglio.

Effetti della presunzione di residenza fiscale in italia

L’articolo 73comma 5-bis del DPR n. 917/86, al fine di verificare la residenza fiscale delle società prevede che:

Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:
– Sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
– Sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato

art. 73, comma 5-bis del tuir

Questa norma è fondamentale da analizzare ogni volta che siamo di fronte all’apertura di una società all’estero, o ad un gruppo multinazionale. Infatti, ove operi la fattispecie indicata nella norma siamo di fronte ad una presunzione legale relativa di residenza fiscale in Italia. In questo caso, si assiste anche all’inversione dell’onere della prova.

Questo significa che una volta realizzato il presupposto l’Amministrazione finanziaria non è chiamata a provare niente. E’ compito della società accertata fornire prova contraria, ovvero dimostrare la sua residenza fiscale estera.

Requisiti da rispettare

La norma riportata, legata alla presunzione di residenza fiscale in Italia, si applica a società ed enti non residenti nel territorio dello Stato che soddisfano i seguenti requisiti:

  • Detengono partecipazioni di controllo ai sensi dell’articolo 2359 comma 1 c.c. in società ed enti commerciali residenti nel territorio dello Stato. Per effetto del richiamo all’articolo 2359, comma 1 c.c., il controllo su tali soggetti può essere esercitato alternativamente:
    • Tramite la maggioranza assoluta dei voti nell’assemblea ordinaria;
    • Mediante un numero di voti necessario a garantire un’influenza dominante sull’assemblea medesima;
    • In virtù di particolari vincoli di natura contrattuale;
  • Sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359 comma 1 c.c. da soggetti residenti nel territorio dello Stato, o in alternativa sono amministrati da un Consiglio di Amministrazione o altro organo equivalente composto prevalentemente da persone fisiche residenti in Italia. Il controllo può essere anche di natura indiretta. Al fine di verificare la sussistenza del controllo su detti soggetti non residenti, vanno computati anche i voti spettanti a società controllate, società fiduciarie o persone interposte. Quanto invece ai soggetti controllanti, residenti nel territorio dello Stato, questi possono essere rappresentati sia da soggetti titolari di reddito di impresa (imprenditori individuali, società di persone e società) sia da privati.

Inversione dell’onere della prova

Il comma 5-bis dell’articolo 73 del DPR n. 917/86 inserisce in questa normativa, legata alla residenza fiscale delle società, e ai criteri sostanziali di collegamento delle entità giuridiche costituite all’estero, una presunzione relativa, la quale determina l’inversione dell’onere della prova a carico delle società estere che detengono partecipazioni di controllo in società italiane, gestite ovvero controllate, anche indirettamente, da parte di soggetti d’imposta italiani.

Questo significa che quando soggetti di imposta italiani sono soci di una società di diritto estero che controlla, a sua volta, una società italiana, l’onere della prova legata alla dimostrazione che la società estera non è residente in Italia è in capo ai soci italiani e non all’Amministrazione finanziaria, che può beneficiare di questa presunzione relativa.

Presunzione assoluta

A ciò si deve aggiungere che, qualora, come è verosimile ritenere, i soggetti esteri interessati non abbiano proceduto a porre in essere nello Stato italiano la dichiarazione dei redditi (per la società estera), si renderebbe applicabile l’ulteriore disposizione contenuta nell’articolo 41, comma 1 e comma 2 del DPR n. 600/73 che consente agli Uffici impositori di avvalersi di presunzioni anche prive dei requisiti della gravitàdella precisione e della concordanza per procedere all’accertamento d’ufficio dei redditi di contribuenti che abbiano omesso la dichiarazione.

Ci si trova quindi al cospetto di una fattispecie concreta disciplinata da ben tre presunzioni: una assoluta, le altre due suscettibili di prova contraria – e quindi di una questione di compatibilità di tali norme con i principi generali dell’ordinamento giuridico, anche di natura costituzionale, estremamente delicata, che potrebbe meritare approfondimenti al più alto livello giuridico.

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