Il trattamento di fine rapporto (TFR) è una parte della retribuzione lorda del lavoratore che viene accantonata annualmente dall’impresa. L’effettivo trasferimento in capo al lavoratore di questa parte della retribuzione è differito al momento di estinzione, per qualsiasi ragione, del rapporto di lavoro. Nelle aziende multinazionali può capitare che il lavoratore dipendente si trovi ad effettuare dei periodi di mobilità presso società estere del gruppo. Si tratta di ipotesi che oggi sono davvero molto frequenti. In questi casi occorre valutare quali siano i criteri di collegamento per la tassazione del TFR maturato in ambito transnazionale.
Di seguito andremo ad analizzare la disciplina giuridica, i metodi di calcolo e le modalità di richiesta del trattamento di fine rapporto, in caso di mobilità del lavoratore, che ha trasferimento residenza fiscale all’estero.
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Il TFR maturato in ambito transnazionale
La mobilità del lavoratore dipendente, come in ipotesi di distacco o di trasferta transnazionale, ma anche in caso di assunzione locale e contemporanea aspettativa in Italia, comporta implicazioni per la maturazione del TFR. Il reddito da lavoro dipendente prodotto all’estero incide sulla commisurazione del trattamento di fine rapporto che viene corrisposto dal datore di lavoro italiano.
Ed esempio, può essere il caso di un lavoratore che viene inviato a lavorare all’estero (anche all’interno di uno stesso gruppo multinazionale, in ipotesi distacco). Ebbene, in questa fattispecie è naturale chiedersi quale sia il corretto criterio di tassazione del trattamento di fine rapporto che sarà, successivamente, erogato al lavoratore (al termine della suo rapporto lavorativo con l’azienda italiana). Questa ipotesi, nella realtà, negli ultimi anni sta progressivamente aumentando, grazie anche alla possibilità di attuare politiche di distacco, e di mobilità transnazionale dei lavoratori.
Per questo motivo, l’analisi di questa fattispecie diventa utile per tutti quei lavoratori che, magari mantenendo un aspettativa in Italia, si trovano a maturare alcuni anni in distacco all’estero.
Problematiche di territorialità del TFR transnazionale
In linea generale il TFR viene erogato al momento della risoluzione del rapporto di lavoro. Quindi, di fatto, in un momento temporale in cui il lavoratore non presta più quell’attività lavorativa, né sul territorio nazionale, né su quello estero. Il lavoratore, infatti, al momento della corresponsione del TFR potrebbe essere residente (fiscalmente) nel territorio italiano ovvero nello Stato estero in cui ha prestato la propria attività, o in un altro Stato ancora.
Il verificarsi di questa fattispecie determina l’emergere di una problematica connessa al criterio di territorialità applicabile alla tassazione del TFR. Sostanzialmente, si tratta di problematica riconducibile a quella del lavoro dipendente, a cui devono aggiungersi le implicazioni tributarie legate alle:
- Caratteristiche intrinseche all’istituto del trattamento di fine rapporto (accantonamento nel tempo, corresponsione univoca alla cessione del rapporto lavorativo);
- Problematiche connesse alla mobilità internazionale del lavoratore (il lavoratore risiede fiscalmente in uno Stato diverso da quello ove viene corrisposto il reddito).
In buona sostanza, la problematica connessa al regime tributario del trattamento di fine rapporto nell’ambito della mobilità transnazionale del lavoro dipendente è quella relativa alla verifica dei criteri di territorialità del reddito. In particolare, la possibilità di conciliare la non coincidenza temporale tra il periodo di maturazione del trattamento di fine rapporto ed il momento della sua erogazione.
Tassazione del TFR per i lavoratori dipendenti In Italia
Nel nostro sistema giuridico il trattamento di fine rapporto è considerato una quota di retribuzione del lavoratore dipendente che viene percepita in un momento successivo alla sua maturazione. In particolare, l’art. 2120 del codice civile lo definisce come un credito del lavoratore che sorge nel momento in cui si conclude il rapporto di lavoro (fatte salve le eccezioni ivi previste).
La funzione di garanzia fornita dalla norma è chiara. Questo perché, se da un lato il trattamento di fine rapporto svolge una funzione prettamente retributiva (e tale è la sua natura giuridica), dall’altro lato lo stesso assolve anche una funzione previdenziale.
Questa particolare funzione previdenziale si ricava dalla circostanza che lo stesso, di norma, può essere percepito dal lavoratore alla cessazione del rapporto di lavoro. L’articolo 2120 c.c. prevede anche le modalità di calcolo del trattamento di fine rapporto:
Calcolo del TFR |
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Esso si ottiene sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5 |
Gli importi accantonati sono indicizzati, al 31 dicembre di ogni anno. Con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo (ISTAT). Così come previsto dai commi 4 e 5 dell’articolo 2120 c.c.
Lo stesso articolo 2120 c.c. fornisce poi una nozione omnicomprensiva della retribuzione annua da prendere con riferimento. La stessa, infatti, comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro. Somme corrisposte a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.
La richiesta di anticipo del TFR da parte del lavoratore dipendente
Il prestatore di lavoro, con almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione del trattamento di fine rapporto. In questo modo il lavoratore ha la possibilità di farsi liquidare parte del trattamento accantonato negli anni, per sfruttarlo per esigenze personale. L’anticipo del TFR, tuttavia, non può essere superiore al 70% della somma complessiva cui il lavoratore avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto di lavoro alla data della richiesta stessa. Le domande dei lavoratori in tale senso devono essere soddisfatte annualmente dal datore di lavoro:
- Entro i limiti del 10% degli aventi titolo;
- E comunque del 4% del numero totale dei dipendenti.
La ratio di tale limitazione deriva dalla funzione ulteriore del trattamento di fine rapporto. Ovvero la necessità di garantire una certa liquidità monetaria al datore di lavoro. La richiesta dei lavoratori sull’anticipo del TFR, in ogni caso, deve essere supportata dalle seguenti causali:
- Spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalla competenti strutture pubbliche;
- Acquisto della prima casa per se o per i figli, debitamente documentato da atto notarile. Oppure, comunque da mezzi atti a dimostrarne l’effettività della compravendita;
- Spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi parentali spettanti, ex articolo 7, Legge n. 53/2000. Questo per i primi 8 anni di vita del bambino e per i periodi di fruizione dei congedi per la formazione.
Trattamento di fine rapporto e previdenza complementare
A partire dagli anni ’90 il trattamento di fine rapporto è sempre stato collegato alle forme di risparmio previdenziale e all’introduzione della disciplina dei fondi previdenza complementare. Lo scopo di tale collegamento è quello di garantire più elevati livelli di copertura previdenziale dei lavoratori dipendenti.
Questo a fronte del contenimento complessivo della spesa pubblica e di quella previdenziale ed assistenziale. In particolare, ferma restando la volontarietà dell’adesione del lavoratore ai programmi pensionistici predisposti dai fondi, il D.Lgs n. 252/2005 ha rivisitato la disciplina della materia. Il decreto ha precisato che il finanziamento delle forme pensionistiche complementari può essere attuato mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro e del committente e anche attraverso il conferimento del trattamento di fine rapporto maturato.
I lavoratori dipendenti di aziende private che non hanno esplicitamente dichiarato di voler accantonare il trattamento di fine rapporto presso la propria azienda vedranno automaticamente destinate quelle quote ai fondi pensionistici. Per legge quindi, quegli stessi lavoratori, con riferimento alle forme pensionistiche complementari, sono considerati come aderenti a quelle forme pensionistiche ed ai relativi fondi.
TFR azienda con più o meno di 50 dipendenti
La legislazione, per la destinazione del TFR, prevede una differenziazione a seconda che i lavoratori siano occupati in aziende con più o meno di 50 dipendenti. Andiamo ad analizzare, di seguito, le differenze:
- Aziende con più di 50 dipendenti. L’articolo 1 della Legge n. 296/2006 stabilisce che tutto l’importo dell’accantonamento annuale del trattamento di fine rapporto è fatto confluire all’interno del Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato. Fondo di cui all’art. 2120 c.c. le cui modalità di finanziamento rispondono al principio della ripartizione. Il fondo è gestito dall’INPS su un apposito conto corrente aperto presso la tesoreria dello Stato e garantisce ai lavoratori privati l’erogazione dei trattamenti di fine rapporto;
- Per le aziende con meno di 50 dipendenti, l’accantonamento del trattamento di fine rapporto è, come in passato, fatto in azienda e gestito ed erogato dal datore di lavoro secondo i criteri di legge precedentemente richiamati.
Criteri di collegamento nazionali del TFR transnazionale
Il punto di partenza di questa analisi parte dall’orientamento espresso dal Ministero delle Finanze con la Circolare n. 95 del 18 ottobre 1977. In questo documento viene chiarito che il TFR deve essere assoggettato ad imposizione in Italia in tutte le ipotesi di corresponsione da parte di un soggetto residente nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio dello stesso di soggetti non residenti (ex art. 23, comma 2, lettera a) del TUIR).
In questo caso il criterio di collegamento del reddito è dato dalla residenza fiscale italiana dell’ente erogatore. Questo, indipendentemente, dalla residenza fiscale del lavoratore percettore, il quale deve dichiarare il reddito in Italia:
- Qualora sia fiscalmente residente in Italia, ex art. 3 del TUIR;
- Qualora sia fiscalmente residente all’estero, ex art. 23 del TUIR, che ricollega l’imponibilità in Italia alla residenza dell’ente erogante.
Questi criteri si rendono applicabili indipendentemente dalla residenza fiscale del lavoratore, senza alcuna esclusione, anche se parte del TFR è stato maturato in costanza di assegnazione estera (distacco o trasferta del lavoratore).
TFR erogato da ente residente sempre imponibile in Italia
Questo criteri di collegamento del reddito deriva dal fatto che si considerano in ogni caso prodotte in Italia le indennità di fine rapporto corrisposte da soggetti o enti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di enti non residenti (presunzione di territorialità del reddito).
La presunzione di produzione dei redditi nel territorio dello Stato opera indipendentemente dalle condizioni previste dal comma 1, lettere c), d), e) e f) per i redditi di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, d’impresa e per i redditi diversi. Tali tipologie di reddito sono attratte a tassazione in Italia per il solo fatto che sono erogate da uno dei soggetti espressamente indicati nella norma. A nulla rilevando la qualificazione come redditi di impresa, di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o diversi, o la qualità del percettore non residente.
Ai sensi dell’art. 17, comma 1, lettera a), del TUIR, quindi, il trattamento di fine rapporto e le indennità equipollenti sono tassati secondo il meccanismo della tassazione separata, anche nei confronti del soggetto percettore non residente in Italia. Sul punto deve essere evidenziato, inoltre, che il TFR non può scontare la propria imposizione già nelle retribuzioni convenzionali di cui al comma 8-bis dell’articolo 51, del TUIR. Orientamento confermato dall’Amministrazione finanziaria, nella Circolare n. 207/E/00.
Posizione della giurisprudenza
Stante la disposizione appena indicata, analizzando l’iter giurisprudenziale, si scopre come alcuni orientamenti della Corte di Cassazione prevedono una soluzione diversa rispetto al dettato normativo appena delineato.
Ad esempio, con la sentenza della Suprema Corte n. 26438 del 4 novembre 2008 questa prevede un criterio di collegamento per analogia. Infatti, siccome il reddito ordinario all’estero, percepito dal lavoratore non residente in Italia, non è imponibile in Italia, nemmeno le quote di TFR maturate devono essere imponibili in Italia. Infatti, trattandosi, di un reddito di fonte estera prodotto da un soggetto non residente, analogo trattamento deve essere riservato al trattamento di fine rapporto maturato su quello stesso reddito. Quindi, il regime tributario del trattamento di fine rapporto coincide con quello della retribuzione periodica derivante dalla medesima attività di lavoro dipendente dalla quale trae origine il trattamento di fine rapporto stesso.
Criteri di collegamento Convenzionali del TFR transnazionale
Una volta individuato quanto previsto dalla normativa fiscale nazionale occorre andare ad analizzare quanto quanto previsto dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia. In particolare, la circostanza che il TFR costituisca un istituto peculiare solo di alcuni ordinamenti ha comportato la comprensibile assenza di una disposizione specifica dedicata alle erogazioni di fine rapporto nell’ambito del Modello di Convenzione OCSE.
L’art. 15, par. 4 del modello di Convenzione OCSE
Il punto di riferimento per la tassazione del TFR lo si riscontra nell’art. 15 delle più recenti Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia che, esplicitamente, disciplinano le indennità di fine rapporto (TFR estero). Il paragrafo 4 dell’articolo 15 è dedicato alle indennità di fine rapporto afferma che:
La posizione indicata nelle Convenzioni, di fatto, ribadisce l’orientamento espresso dall’Amministrazione finanziaria nelle Risoluzioni n. 61/E/2013 e n. 341/E/2008. Tale orientamento prevede esplicitamente, oltre alla potestà impositiva esclusiva dello Stato contraente in cui la persona è stata residente nel periodo in cui ha svolto attività di lavoro subordinato, una ripartizione pro-rata tra gli Stati contraenti qualora l’altro Stato abbia avuto diritti impositivi ai sensi dei paragrafi 1 e 2, relativi alla tassazione dei redditi da lavoro dipendente.
Prevalenza della normativa convenzionale su quella interna
Come noto, le disposizioni fiscali domestiche devono raffrontarsi con quanto previsto nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni. In virtù dell’accordo vigente tra l’Italia e il Paese estero, e nel rispetto di determinate condizioni, il trattamento di fine rapporto potrebbe essere escluso da tassazione in Italia qualora l’attività lavorativa venga svolta (parzialmente, solo pro-rata temporis, o integralmente) all’estero. Questo, per effetto della prevalenza delle norme convenzionali rispetto a quelle di diritto interno. Sul punto, deve essere evidenziato che la normativa di derivazione convenzionale prevale sempre sulla normativa interna applicabile in Italia. Questo in virtù del principio di specialità, per il quale la norma convenzionale si impone sulla legge ordinaria, e non in conseguenza del suo rango superiore. Infatti, le Convenzioni sono ratificate con legge ordinaria dello Stato e, quindi, hanno il loro medesimo rango.
Risoluzione n. 341/E/2008 – tassazione del TFR in relazione al luogo di svolgimento dell’attività lavorativa
L’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 341/E/2008, con riferimento al trattamento di fine rapporto corrisposto da una società datrice di lavoro con sede in Italia ad un residente in Germania al momento della corresponsione ha chiarito alcuni aspetti importanti sulla fattispecie in esame. Per l’Amministrazione finanziaria “la disciplina prevista per il TFR porta a ritenere che lo stesso abbia sostanzialmente natura di retribuzione, seppur differita“, riconducendo così tale reddito nell’ambito applicativo delle norme convenzionali relative all’imposizione dei redditi di lavoro dipendente contenute nell’articolo 15 delle Convenzioni contro le doppie imposizioni in vigore in Italia.
Sul presupposto che il TFR matura anno per anno e che la Convenzione in vigore tra Italia e Germania prevede che “gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto stato“, per l’Agenzia delle Entrate occorre tenere distinti i periodi in cui il lavoro è stato svolto in Germania da quelli svolti in Italia.
Pertanto “la parte di TFR maturata nel periodo di lavoro svolto in Italia va tassata esclusivamente dal nostro stato, in quanto può essere considerata retribuzione erogata ad un soggetto residente in relazione ad una prestazione di lavoro effettuata in Italia. D’altra parte l’imposizione del TFR riferibile agli anni di lavoro effettuati in Germania è riservata esclusivamente allo stato tedesco, per analoga motivazione“.
Tassazione del TFR ratione temporis
Occorre considerare distintamente i periodi in cui l’attività lavorativa è stata prestata in Italia da quelli nei quali il lavoro è stato svolto nel Paese estero. Pertanto, sulla scorta di questo criterio, si perviene alla conclusione che la parte di trattamento di fine rapporto maturata nel periodo di lavoro svolto in Italia vada assoggettata a tassazione, ratione temporis, esclusivamente nel nostro Stato. Questo poiché può essere trattata alla stregua di retribuzione corrisposta ad un lavoratore residente in relazione a una prestazione lavorativa resa in Italia.
D’altro canto, il Paese estero avrà un diritto impositivo per quanto riguarda il trattamento di fine rapporto riferibile agli anni di lavoro prestato in tale Stato estero, e ivi assoggettabile ad imposizione, sempre ratione temporis. In sostanza, la citata risoluzione, in applicazione della relativa Convenzione contro le doppie imposizioni, sembra superare il principio di presunzione di produzione dei redditi nel territorio dello Stato. Principio che, come abbiamo visto, è sancito dall’articolo 23 del TUIR (principio, secondo il quale le indennità di fine rapporto corrisposte da un soggetto residente in Italia sono in ogni caso tassate in Italia. A prescindere dalla residenza fiscale estera del percettore alla data di cessazione del rapporto di lavoro).
Risoluzione n. 61/E/2016 sul TFR – tassazione del TFR in relazione al luogo di svolgimento dell’attività lavorativa
Le conclusioni individuate dalla risoluzione n. 341/E sono state ribadite nella successiva Risoluzione n. 61/E/2016, con la quale, con riferimento alla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito, l’Agenzia delle entrate si è espressa sulle modalità di tassazione degli emolumenti corrisposti a titolo di TFR ad un soggetto non residente familiare di un lavoratore dipendente deceduto.
Sulla base del presupposto che le indennità percepite dagli aventi diritto e dagli eredi devono essere tassate con le medesime modalità che sarebbero state applicate qualora le somme fossero state corrisposte al de cuius, l’Agenzia ha concluso che, ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione applicabile, la quota di TFR maturata all’estero nel Regno Unito può escludersi da imposizione in Italia. Mentre la quota di TFR maturata dal coniuge deceduto in ragione dello svolgimento della prestazione di lavoro in Italia resta assoggettata ad imposizione nel nostro Paese.
Risposta a interpello n. 132/E/18 – Contributo all’esodo parificato al TFR
La risposta ad interpello n 132/E/18 dell’Agenzia delle Entrate equipara la tassazione del contributo all’esodo a quella del Trattamento di Fine Rapporto. Il caso è quello di un contribuente assunto come lavoratore dipendente da una società italiana. Tale lavoratore viene distaccato dalla stessa in Argentina. Stato in cui ha trasferito lavoro e famiglia, divenendo il luogo di sua residenza fiscale.
Azienda italiana e lavoratore sono arrivati a raggiungere un accordo transattivo in forza del quale è stata corrisposta una somma a titolo di una tantum come incentivo all’esodo al lavoratore. Allo stesso è stata corrisposta anche una seconda somma per la rinuncia dello stesso a qualsiasi pretesa nei confronti dell’ex datore di lavoro italiano erogata dal datore di lavoro Argentino (in virtù del distacco). La problematica oggetto di indagine è se e come questi redditi sotto forma di una tantum debbano essere dichiarati in Italia.
L’Agenzia delle Entrate nella sua risposta afferma che tali somme non sono imponibili in Italia (ex art. 23 del TUIR), ed anche secondo quanto disposto dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra i due Paesi. Tale interpretazione deriva dal fatto che queste somme una tantum sono corrisposte in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro, secondo l’articolo 17, comma 1, lettera a) del TUIR.
Queste somme sono tra quelle che si considerano presunzione assoluta di imponibilità nello stato della fonte, esattamente come accade per il TFR. Tali redditi, infatti, se fossero stati corrisposti da parte di un datore di lavoro residente in Italia, sarebbero stati imponibili in Italia. Questo indipendentemente dalla circostanza per cui la prestazione lavorativa sia resa in Italia o in un Paese estero.
Sul punto, anche la normativa Convenzionale è sulla stessa linea. Tali somme, infatti, al pari del TFR rientrano nell’ambito applicativo dell’articolo 15 del modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni. Tale articolo riguarda la tassazione dei redditi da lavoro dipendente, e disciplina la tassazione nel solo Stato della Fonte dei redditi equiparabili al TFR. Naturalmente, la convenzione Italia Argentina ricalca fedelmente il modello OCSE per quanto riguarda l’articolo 15.
Ciò che rileva ai fini dell’articolo 23, comma 2, lettera a), del DPR n 917/86 è la residenza fiscale del soggetto che corrisponde gli emolumenti. Questo indipendentemente dal fatto che la prestazione lavorativa venga eseguita in Italia o all’estero.
Risposta a interpello n. 167/E/24 – Lavoro in Italia per datore straniero
In caso di lavoratore non residente in Italia che abbia svolto attività lavorativa subordinata per conto di datore di lavoro estero (olandese), le retribuzioni ed il TFR sono imponibili nel Paese di erogazione solo se sono soddisfatte le condizioni previste dall’art. 15, par. 2 della Convenzione contro le doppie imposizioni in essere tra i due Paesi. Questo è quanto previsto dalla risposta a interpello n. 167/E/24.
Affinché possa applicarsi tale tassazione esclusiva (nello Stato di residenza fiscale del lavoratore) devono verificarsi congiuntamente le seguenti condizioni, previste dall’art. 15, par. 2, della Convenzione:
- Il soggiorno nell’altro Stato non deve superare i 183 giorni nell’anno fiscale.
- Le remunerazioni devono essere pagate da un datore di lavoro non residente nell’altro Stato.
- L’onere delle remunerazioni non deve essere sostenuto da una stabile organizzazione del datore di lavoro nell’altro Stato.
Nel caso in oggetto il lavoratore ha svolto attività subordinata in Italia per un datore di lavoro olandese, restando in Italia meno di 183 giorni nell’anno, ricevendo i compensi dal datore olandese non dotato di stabile organizzazione in Italia. Questa situazione soddisfa tutti e tre i requisiti previsti dall’art. 15, par. 2 della Convenzione. Pertanto le retribuzioni percepite devono essere assoggettate a tassazione esclusivamente in Olanda. Per quanto riguarda il TFR l’Agenzia lo riconduce alle disposizione dell’art. 15 (sul lavoro subordinato, come anche la Circolare n. 341/E/08), in quanto ha natura di retribuzione differita. Sul TFR, tuttavia, la situazione deve essere suddivisa in due:
- Da una parte la quota di TFR maturata in periodi di imposta precedenti al trasferimento, quando il lavoratore aveva residenza fiscale in Italia. Tale quota deve essere tassata in Italia, in quanto il TFR è considerato retribuzione differita di periodi in cui l’attività era svolta in Italia;
- Dall’altra la quota di TFR maturata successivamente al trasferimento. Importo da tassare esclusivamente nei Paesi Bassi.
La tassazione transnazionale del TFR con autonoma disciplina nella convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e USA
A livello di singole convenzioni, è interessante notare come il trattamento di fine rapporto non goda, solitamente, di una autonoma disciplina, e quindi di un articolo dedicato. Questo con un unica eccezione, ovvero, la Convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra Italia e Stati Uniti. Quest’unica Convenzione conclusa dall’Italia che menzioni l’indennità di fine rapporto la riconduce nell’ambito dell’articolo 18 (“Pensioni, eccetera”). Norma che stabilisce un diritto impositivo esclusivo nel Paese di residenza del beneficiario. In tale sede, al paragrafo 3, si precisa, tuttavia, che:
Conclusioni
Le modalità di tassazione degli emolumenti (TFR estero) corrisposti dal sostituto d’imposta italiano a soggetti che abbiano svolto la propria carriera lavorativa in parte in Italia e in parte all’estero presenta rilevanti criticità.
L’erogazione del trattamento di fine rapporto (TFR estero) maturato in uno o più Paesi esteri si presta facilmente a fenomeni di doppia imposizione, vuoi perché il TFR rappresenta un istituto peculiare del nostro ordinamento con pochi riscontri in chiave internazionale, vuoi per la mancanza di una apposita disciplina all’interno dei trattati internazionali, con il concreto rischio che il medesimo reddito possa essere qualificato diversamente dai due Stati contraenti.
Le disposizioni interne in materia di imposizione del TFR estero erogato da un soggetto residente sono chiare. Il trattamento di fine rapporto erogato da un soggetto residente deve essere assoggettato ad imposizione in Italia indipendentemente dalla residenza fiscale del lavoratore. Difatti, per il soggetto qualificato come residente fiscale in Italia l’imponibilità discende dall’articolo 3 del TUIR. Norma che prevede l’operatività del criterio della tassazione su base mondiale, mentre per il non residente dall’articolo 23 del TUIR.
Per l’Amministrazione finanziaria l’individuazione della residenza fiscale del percipiente al momento della corresponsione delle indennità di fine rapporto da parte di un soggetto erogante residente in Italia e il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa rappresentano elementi fondamentali per determinare il corretto regime fiscale applicabile all’indennità di fine rapporto.
Convenzioni internazionali
La disciplina italiana dettata dall’articolo 23 del TUIR, che ne prevede l’imponibilità in Italia, può essere quindi derogata dalle disposizioni convenzionali. Disposizioni, generalmente, definite dall’articolo 15 delle Convenzioni contro le doppie imposizioni. La disposizione convenzionale può trovare applicazione solo se il lavoratore risulta residente nel Paese estero al momento della corresponsione. Questo, esclusivamente per la quota parte di prestazione riferibile all’attività esercitata in tale Paese.
Ne consegue che, nel caso in cui il lavoratore abbia prestato la propria attività lavorativa in più Paesi nell’arco della propria vita lavorativa la tassazione del TFR deve avvenire pro-quota su ciascuno Stato. Questo significa, indirettamente, che il lavoratore ha la possibilità di evitare situazioni di doppia imposizione solo relativamente alla quota parte del TFR maturata nell’ultimo Paese di svolgimento dell’attività. Tuttavia, ma a condizione che ivi il percettore abbia la propria residenza fiscale. Tuttavia, occorre sempre evidenziare che la posizione di prassi è divergente rispetto a quella convenzionale. Per questo motivo è importante analizzare in modo appropriato la propria situazione personale. Questo, per valutare la posizione fiscale da tenere, anche in relazione alla posizione tenuta dall’Agenzia delle Entrate sul tema.
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