I soci, gli amministratori o liquidatori, infatti, possono essere portatori di profili di responsabilità parziaria o solidale per i debiti tributari e per le possibili sanzioni amministrative pecuniarie. Nel presente contributo, si prospettano le ragioni che fanno escludere sia la solidarietà, sia la trasmissibilità degli oneri per le predette sanzioni.
Non sono rari i casi di imprese che, nella fretta di effettuare la cancellazione dal Registro delle Imprese, si sono viste emergere, qualche tempo dopo, sopravvenienze di liquidazione, magari derivanti da imposte sui redditi non pagate.
L’emergere di queste sopravvenienze tributarie (e degli oneri accessori) comporta non poche complessità. Infatti, non sono rari i casi di cancellazioni di società a seguito di vicende sociali non sempre lineari, a cui si correlano liti tributarie non esaurite alla cancellazione. Allo stesso modo una società cancellata potrebbe subire contestazioni del tutto nuove, non necessariamente prevedute o prevedibili al momento della chiusura della liquidazione.
Le considerazioni che faremo appaiono ulteriormente importanti anche perché possono essere estese a società comparabili, a cui si adduca, da parte dell’Erario italiano, la c.d. esterovestizione (art. 73 commi 3 o 5-bis e seguenti del DPR n. 917/86, o delle corrispondenti disposizioni dei Trattati contro le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio).
Indice degli Argomenti
- L’efficacia costitutiva della cancellazione societaria
- Cancellazione della società ed estinzione della stessa ai fini tributari
- Responsabilità patrimoniale dei liquidatori delle società cancellate ed estinte: normativa
- La responsabilità patrimoniale dei soci della società cancellata
- Solidarietà dei soci nei limiti della quota ricevuta
- Responsabilità patrimoniale per Irap e Iva
- Responsabilità patrimoniale per le sanzioni amministrative
- La notifica dell’avviso di accertamento
- Fallimento di società estinta per debiti erariali
L’efficacia costitutiva della cancellazione societaria
L’articolo 2495, cod. civ. nell’ambito della normativa sullo scioglimento e liquidazione delle società di capitali ne disciplina la cancellazione prevedendo, al comma 2, un fenomeno successorio di “migrazione” delle obbligazioni sociali dal soggetto estinto ai soci e insieme una limitazione di responsabilità dei soci stessi.
Questa disciplina ha inteso attribuire alla cancellazione della società (sia essa di capitali o di persone), una vera e propria “efficacia costitutiva“. Si tratta di una capacità idonea a determinare:
- Da un lato, la totale estinzione della stessa e
- Dall’altro, la possibilità di rifarsi esclusivamente sui soggetti fiscalmente responsabili (quindi soci, amministratori e liquidatori).
Sul punto è sicuramente opportuno precisare quanto affermato dalla Corte di Cassazione in riferimento all’art. 2495 del cod. civ., statuendo i seguenti principi di diritto:
Il fenomeno successorio per i debiti tributari della società cancellata
Qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal Registro Imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale si ha:
- Il trasferimento delle obbligazioni ai soci che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso in conseguenza della liquidazione o senza limiti. Questo a seconda che, in pendenza dell’esistenza della società, essi avessero responsabilità limitata o illimitata per i debiti sociali;
- Il trasferimento ai soci, in regime di contitolarità e di comunione indivisa, anche dei diritti e dei beni non facenti parte del bilancio di liquidazione della società estinta (oltre ovviamente a quelli compresi ma non liquidati), ma non pure delle mere pretese, anche se azionate o azionabili in giudizio e neppure dei diritti di credito che non siano ancora certi o liquidi e la cui comprensione nel citato bilancio avrebbe richiesto una ulteriore attività (giudiziale ed extra giudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore induce a ritenere che vi sia stata rinuncia da parte della società.
Cancellazione della società ed estinzione della stessa ai fini tributari
La difficoltà per l’Erario di recuperare eventuali crediti rimasti insoddisfatti nei confronti dei soggetti giuridici cessati, spesso dovuta all’intempestività dell’azione degli organi di controllo, unita alla necessità di tutelare in maniera più incisiva il credito erariale, ha portato il Legislatore a modificare il delineato quadro normativo e interpretativo (certamente favorevole per il contribuente).
Questo è stato attuato inserendo una norma che ha modificato gli equilibri previgenti a esclusivo vantaggio del Fisco: l’articolo 28, comma 4, D.Lgs. n. 175/2014. La norma ha sancito che:
Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria può, entro i 5 anni successivi alla cancellazione dell’ente societario, notificare atti di accertamento e relative cartelle di pagamento, chiamando, altresì, a rispondere del mancato versamento di imposte e tributi e quindi dei rapporti pendenti (o comunque non definiti al momento in cui la società perde la propria soggettività giuridica e, conseguentemente, la definizione di ogni diritto e dovere nei confronti delle terze parti) i soci, gli amministratori e i liquidatori.
La norma ha introdotto un regime di sospensione degli effetti estintivi per la società cancellata dal Registro Imprese. Disposizione in virtù del quale la cancellazione della società non avrà alcun effetto estintivo per un periodo di 5 anni dalla domanda di cancellazione ai fini degli atti di accertamento, riscossione, di contenzioso.
Estinzione della società e principio di favore per i crediti erariali
Questa disposizione va a esclusivo vantaggio del creditore erariale, poiché se per tutti gli altri creditori l’estinzione del soggetto giuridico è contestuale alla cancellazione, per l’Erario opera una c.d. fictio iuris in virtù della quale l’estinzione è procrastinata rispetto alla cancellazione del soggetto giuridico.
Questa disposizione garantisce all’Erario un intervallo temporale più lungo entro il quale definire la propria pretesa con la società contribuente. La società, dunque, ancorché cessata è “finta esistente” al solo scopo di poter essere colpita dai provvedimenti dell’Erario e dell’Inps per un periodo di 5 anni dalla richiesta di cancellazione alla conservatoria del Registro Imprese da parte del liquidatore.
Responsabilità patrimoniale dei liquidatori delle società cancellate ed estinte: normativa
L’articolo 28 del D.L. n. 175/14 non si è solo limitato a disciplinare gli effetti fiscali e contributivi dell’estinzione delle società. Questi è anche intervenuto modificando l’articolo 36, DPR n. 602/73 (disciplinante la responsabilità fiscale dei liquidatori, dei soci e degli amministratori) in senso, favorevole all’Amministrazione finanziaria.
L’attuale formulazione del citato articolo 36, pertanto, al comma 1, adesso prevede che:
I liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle società che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari.
Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. La medesima disposizione si applica agli amministratori in carica all’atto dello scioglimento della società o dell’ente, qualora non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori.
In altri termini, i liquidatori e gli amministratori sono chiamati formare un prospetto dei crediti verso la società, graduando di questi l’ordine di pagamento. Le attività di liquidazione devono essere destinate al pagamento di crediti di ordine inferiore a quelli tributari (per IRES) e, in ogni caso, non siano assegnate ai soci, o associati, senza che siano prima stati pagati i debiti tributari.
I chiarimenti di prassi sulla responsabilità dei liquidatori nella società cancellata
Con la Circolare n. 31/E/2014 (al § 19.2) l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la disposizione in esame è volta a garantire una più compiuta tutela del credito erariale. Tutela che avviene con la previsione di una diretta responsabilità dei liquidatori delle società che hanno distribuito utili ai soci – in violazione dell’obbligo di rispettare il grado di privilegio dei crediti – relativi all’anno di liquidazione oppure ad anni precedenti, salvo prova contraria.
In sostanza, laddove i liquidatori non riescano a dimostrare di:
- Aver assolto tutti gli oneri tributari, comprese le ritenute dei lavoratori dipendenti, prima dell’assegnazione dei beni ai soci, ovvero di
- Non aver estinto con precedenza crediti di rango inferiore in danno di quelli tributari,
gli stessi risponderanno in proprio del versamento dei tributi dovuti dalla società estinta. Questo, nei limiti dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti.
La responsabilità patrimoniale dei soci della società cancellata
Definite le responsabilità dei liquidatori, nei termini detti, possono ora esaminarsi quelle dei soci. Si osserva preliminarmente che mentre la responsabilità dei liquidatori si estende ai crediti erariali insoddisfatti (per imposta sulle società) relativi a tutta la precorsa gestione fino alla cancellazione della società (“periodo di liquidazione” e “periodi anteriori“), la responsabilità dei soci è regolata su basi diverse (e non necessariamente coincidenti in termini di ammontare).
Si stabilisce difatti, nell’art. 36 comma 3 del DPR n. 602/1973, che i soci i quali abbiano ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori od abbiano avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, siano responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile.
In sostanza, se ed in quanto vi sia responsabilità dei liquidatori a termini del comma 1 primo periodo ultima parte dell’art. 36 (vale a dire, qualora i liquidatori distribuiscano attività ai soci e vi sia un credito erariale insoluto in fine di liquidazione, a causa di questa distribuzione), i soci sono responsabili per il pagamento di quelle somme, pur se nei limiti “di quanto ricevuto“.
Responsabilità patrimoniale solidale dei soci
L’art. 2495 cod. civ., per quanto qui rileva dispone:
Il testo dell’art. 2495 comma 2 c.c. con la proposizione “ferma restando l’estinzione della società“, precisa la volontà del legislatore di stabilire che la cancellazione della società dal Registro delle imprese produce l’effetto (costitutivo) dell’estinzione irreversibile della stessa società. Tale volontà è confermata dalla previsione che i creditori insoddisfatti possono, entro un anno dalla cancellazione, notificare presso l’ultima sede della società la domanda proposta nei confronti di soci e liquidatori.
Venuta meno la società, le pretese patrimoniali si indirizzano ai soci, nei limiti in cui abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione, ed ai liquidatori se abbiano colpevolmente distribuito somme o valori in realtà di pertinenza di creditori sociali.
In questo senso la responsabilità patrimoniale dei soci verso i creditori sociali deve intendersi solidale. Questo al fine di garantire la miglior tutela dei creditori, la quale sarebbe pregiudicata dall’applicazione della responsabilità “pro quota“.
Da questo punto di vista, quindi, la norma del codice ha il solo fine di chiarire che la responsabilità solidale, non possa comunque eccedere gli attivi ripartiti con il bilancio finale di liquidazione.
L’effetto estintivo della cancellazione non subisce eccezioni neppure in caso di debiti tributari.
Responsabilità patrimoniale civile dei soci
La responsabilità patrimoniale posta a carico dei soci (sussidiaria, rispetto a quella dei liquidatori e degli amministratori) non hanno ad oggetto un debito tributario, ma un’obbligazione civile. Obbligazione il cui presupposto e limite è costituito dal debito d’imposta della società (obbligazione civile commisurata al debito tributario della società) e dalle “somme riscosse” in pregiudizio del pagamento di quel debito. Questo debito deve essere certo ed esigibile ed inoltre non essere stato soddisfatto con le attività della liquidazione.
Per attivare la pretesa verso i soci (così come verso i liquidatori e gli amministratori), occorre in particolare che il debito fiscale sia stato iscritto a carico della società almeno in ruoli provvisori, essendo onere dei soci che a tale pretesa intendano sottrarsi l’onere di dimostrare di non aver percepito attività dalla liquidazione (principio che deriva da quello affermato per i liquidatori, i quali hanno l’onere di dimostrare o che non vi siano state distribuzione di beni, o che il debito tributario all’epoca della distribuzione non era prevedibile).
L’avviso di accertamento
La pretesa erariale, pur non avendo ad oggetto un debito tributario, deve evidenziarsi mediante “avviso di accertamento“, in senso sia formale sia sostanziale, contro cui gli interessati potranno opporre ricorso avanti il Giudice tributario.
Occorre peraltro evidenziare come il predetto avviso di accertamento non sia confondibile con l’avviso di accertamento attraverso il quale si definisce il presupposto della responsabilità dei soci, vale a dire il debito tributario in senso stretto, a carico della società.
Tale secondo avviso – che in realtà è il primo, in termini logici e procedimentali – non può che riguardare i periodi d’imposta della società estinta, seguire il corso proprio degli accertamenti tributari, e nei limiti in cui non sia opposto o venga giudizialmente confermato (e nei limiti della conferma giudiziaria), costituire il titolo per l’esecuzione. Tanto si argomenta dal fatto che le responsabilità derivanti dall’art. 36 discendono fra l’altro dalla “preventiva iscrizione a ruolo” del debito della società.
Accertamento sulla società estinta
Nonostante questa priorità logica e procedimentale, l’accertamento tributario nei riguardi di una società estintaben può, in ogni modo, intervenire dopo la cancellazione della società, nei termini di decadenza dell’attività di accertamento nei riguardi della società.
Ulteriormente, l’avviso di accertamento che quantifica il debito tributario non potrà che essere notificato (ai soci: si veda subito oltre) nei termini entro cui avrebbe potuto esserlo nei riguardi della società, rispetto al periodo d’imposta che si considera. Quanto ai destinatari della notificazione, appare coerente con gli effetti della cancellazione della società concludere che questi non possano essere altri che i soci, tra i quali, dopo la cancellazione, si istituisce una relazione non diversa dalla comunione di beni, centro residuo di imputazione degli effetti giuridici dei precorsi rapporti sociali. Principio ritenuto valevole sia per le sopravvenienze attive di liquidazione sia per quelle passive.
Responsabilità patrimoniale sussidiaria dei soci
Così definite le relazioni fra l’accertamento del debito tributario e l’accertamento della responsabilità patrimoniale dei soci, in forza dell’art. 36 citato, deriva come detta ultima responsabilità, traendo origine dalla indebita percezione di attività di liquidazione sottratte al pagamento di tributi, potrà farsi valere nel termine ordinario di prescrizione decennale (decorrente dalla percezione di attività che si assumono indebitamente sottratte al pagamento del debito erariale), a nulla rilevando che lo strumento giuridico formale per farla valere sia a sua volta un avviso di accertamento.
Invero, l’eventuale opposizione contro questo avviso, avanti al Giudice tributario, avrebbe ad oggetto non l’inesistenza o l’infondatezza del debito fiscale, ma l’inesistenza delle condizioni della responsabilità patrimoniale per esso, vale a dire, quanto ai soci, la mancata percezione di attività di liquidazione sottratte al pagamento del debito fiscale, oppure la percezione di esse in un contesto nel quale l’esistenza del debito tributario non era “prevedibile“.
Solidarietà dei soci nei limiti della quota ricevuta
L’art. 36 comma 3 del DPR n. 602/1973 configura una responsabilità dei soci “nei limiti del valore dei beni ricevuti“. Analoga espressione compare nell’art. 2495 c.c. (“fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione“).
Lo schema si presenta del tutto funzionale a dare compiuta applicazione della legge, senza ignorare la regola di solidarietà, la quale per sua natura investe l’intero debito tributario e collide con la possibilità che il debito tributario si ripartisca in base alle quote di partecipazione e sia esigibile entro questo limite a carico di ciascuno.
Pertanto, ad esempio, se il debito tributario fosse complessivamente pari a 100 e i due soci avessero rispettivamente ricevuto 600 e 400 dalla liquidazione, l’Erario avrebbe titolo di rivolgersi indifferentemente all’uno od all’altro socio per 100 (l’intero), salvo il riparto del debito, nei rapporti interni fra i soci, in base alle proporzioni di rispettiva partecipazione al riparto dell’attivo netto di liquidazione.
Se, invece, il debito complessivo fosse superiore a quanto ricevuto (ad esempio, 700), l’obbligazione di ciascuno verso l’Erario non potrebbe eccedere quanto ricevuto. Pertanto l’Erario potrebbe, ad esempio, far valere le proprie ragioni sul primo socio fino a 600 e per il resto sul secondo fino a 100 (o sul secondo fino a 400 e sul primo fino a 300), salvo l’onere dei soci di regolare i propri rapporti interni, in modo che ciascuno sia al fine inciso, rispettivamente per 420 e 280.
Responsabilità solidale nei limiti della quota
Nell’ordinamento tributario, un modello normativo di “responsabilità solidale nei limiti della quota” può oltretutto dirsi delineato nell’art. 36 del D.Lgs. n. 346/1990, il cui comma 3 stabilisce:
Allo stato attuale, non vi è motivo per discostarsi dalla responsabilità verso l’Erario, limitata a quanto ricevuto, senza vincolo di solidarietà, con la conseguenza che il debito fiscale appare doversi suddividere pro quota e doversi pagare nei limiti della quota di liquidazione ricevuta.
Responsabilità patrimoniale per Irap e Iva
L’Agenzia delle Entrate, se sussistono gli estremi dell’art. 36 del DPR n. 602/1973, può azionare la responsabilità patrimoniale mediante specifico atto impugnabile in sede tributaria, entro il termine di prescrizione decennale. L’art. 36 del DPR n. 602/1973 vale solo per i debiti Ires.
Ove non sussistano i presupposti per la menzionata responsabilità, opera l’art. 2495 del codice civile e quindi i soci sono responsabili nel limite di quanto hanno ricevuto in base al bilancio finale di liquidazione, mentre i liquidatori solo se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa. Anche in tal caso, non si verifica alcuna successione nel debito, quindi una volta cancellata la società la responsabilità di soci e liquidatori non è automatica, in quanto l’Erario deve dimostrare la presenza delle condizioni che possono far ritenere responsabili i soci o i liquidatori.
La valenza residuale dell’art. 2495 c.c., fa ritenere che il tema non sia di ordine sostanziale, bensì procedimentale, vale a dire che, fatta salva la possibilità di contestare ai soci l’indebita percezione delle attività di liquidazione pregiudizievoli al regolare assolvimento del debito a titolo di IRAP, l’affermata inapplicabilità del procedimento di cui all’art. 36 comporti solo che il mezzo necessario a far valere la pretesa patrimoniale di origine tributaria sia un’azione civile basata sull’art. 2495 citato.
La soluzione così identificata dovrebbe a rigore rilevare anche per i debiti a titolo di IVA, il cui recupero, attesi i limiti di oggetto dell’art. 36, dovrebbe a sua volta fondarsi sulle disposizioni del solo art. 2495, c.c..
Il recupero dei crediti a titolo di interessi, a qualunque delle imposte fin qui nominate seguirà per parte sua le regole identificate per il recupero del debito principale.
Responsabilità patrimoniale per le sanzioni amministrative
L’art. 7 del D.L. n. 269/2003, convertito nella Legge n. 326/2003 stabilisce che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica.
Tale disposizione è nata per introdurre un’eccezione alla regola di solidarietà nel pagamento delle somme corrispondenti alle sanzioni predette fra autore della violazione e società. Tuttavia può ritenersi che la formula utilizzata sia altresì idonea a sancire l’intrasmissibilità delle sanzioni nei riguardi dei soci della società estinta.
La notifica dell’avviso di accertamento
La responsabilità dei soci è accertata dall’ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 del DPR 600/1973 (ex art. 36 comma 5 del DPR n. 602/1973). Nonostante si tratti di controversia avente ad oggetto un’obbligazione civile, avverso l’atto di accertamento è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario.
La motivazione dell’atto deve far constare l’esistenza del debito tributario, il suo mancato pagamento, l’avvenuta ripartizione fra i soci di attività di liquidazione e la relazione di causa ed effetto fra questa ripartizione ed il pregiudizio del credito erariale. La motivazione deve dare atto dell’infruttuosa esecuzione a carico dei liquidatori e degli amministratori, o che comunque la mancanza di preventiva escussione di tali soggetti possa essere eccepita dai soci, nel ricorso contro l’avviso.
Il tema dell’eventuale impugnazione deve quindi essere congruente con le ricordate caratteristiche della motivazione. Ciò significa che l’impugnazione non può rimettere in discussione il merito della pretesa fiscale, la quale degrada a mero presupposto di fatto della pretesa patrimoniale fatta valere con l’avviso ex art. 36 citato.
Qualora pertanto il contenzioso tributario al nome della società abbia preso avvio prima della cancellazione di questa, il processo tributario riguardante il debito tributario alla base della responsabilità civile ex art. 36 citato potrà essere riassunto dai soci o nei loro confronti, in quanto a questi fini “successori” della società.
Fallimento di società estinta per debiti erariali
Quanto alla possibilità per l’Agenzia delle entrate di promuovere istanza di fallimento, verificata l’eventuale superamento dei limiti indicati dal Legislatore per la proposizione della domanda di fallimento a opera dei creditori, bisogna considerare che per la richiesta qualsiasi creditore (e anche il Fisco) ha solo 1 anno di tempo dal momento della cancellazione della società dal Registro Imprese ai sensi dell’articolo 10, L.F..
In questo ordine di idee, il termine annuale è inderogabile: se la dichiarazione di fallimento non interviene entro l’anno dalla cancellazione, la società cancellata non è più fallibile. Non importa che il creditore sia stato diligente e abbia presentato tempestivamente l’istanza di fallimento entro l’anno: se il Tribunale non si pronuncia entro l’anno dalla cancellazione dal Registro Imprese il fallimento non può più essere dichiarato.
Tale regola vale anche per il Fisco, benché per esso la società si consideri ancora in vita fino a 5 anni dalla cancellazione. Ne consegue che per una società cancellata dal Registro Imprese da oltre 1 anno non può più essere richiesto il fallimento.