Ricevi lo schema di atto e pensi “aspetto l’avviso definitivo”? Questo errore ti costa la metà dei termini per l’adesione: da 60 a 15 giorni perentori. Perdi anche il potere contrattuale, perché l’ufficio non considera nuovi elementi. Scopri perché agire subito ti protegge meglio.
Ricevi uno schema di atto dall’Agenzia delle Entrate e decidi di aspettare. “Vediamo cosa succede,” pensi. “Quando arriverà l’avviso definitivo valuterò se fare l’adesione“. Questo ragionamento, apparentemente prudente, nasconde in realtà il più grave errore strategico che puoi commettere nel 2026. Aspettare l’atto finale significa dimezzare i termini a tua disposizione e perdere ogni margine di trattativa. Il legislatore ha creato un meccanismo che premia chi agisce sullo schema e penalizza duramente chi procrastina.
Dal 30 aprile 2024 il contraddittorio preventivo è diventato obbligatorio per quasi tutti gli accertamenti. L’Agenzia ti notifica prima uno schema con le contestazioni e poi, trascorsi 60 giorni, emette l’atto definitivo. Hai due finestre temporali completamente diverse per reagire. La prima ti dà spazio, la seconda ti stringe in una morsa procedurale.
Lo schema di atto notificato ti offre 60 giorni per presentare osservazioni o 30 giorni per l’istanza di accertamento con adesione. Se aspetti l’avviso definitivo, hai solo 15 giorni perentori per l’adesione e il termine per impugnare si riduce drasticamente.
Indice degli argomenti
Che cos’è lo schema di atto notificato
Lo schema di atto è la comunicazione preliminare che l’Agenzia delle Entrate ti invia prima di notificare l’avviso di accertamento definitivo. Questo documento contiene già tutti gli elementi della pretesa: le maggiori imposte contestate, le sanzioni calcolate, gli interessi dovuti e la motivazione completa. Non è una bozza generica, ma un atto dettagliato che anticipa esattamente il contenuto dell’accertamento finale.
Il legislatore ha introdotto questo passaggio con l’articolo 6-bis della Legge n. 212/2000, inserito dal D.Lgs. n. 219/2023. L’obiettivo dichiarato è garantire il contraddittorio preventivo, cioè permetterti di difenderti prima che l’atto diventi esecutivo. L’amministrazione finanziaria ti assegna almeno 60 giorni per presentare controdeduzioni o per accedere agli atti del fascicolo. Solo dopo la scadenza di questo termine può notificare l’avviso definitivo.
Nella pratica lo schema replica quasi integralmente l’accertamento finale. L’ufficio ha già completato l’istruttoria, ha quantificato la pretesa e ha formulato la motivazione. Il documento che ricevi non lascia spazio a dubbi: sai già quanto pretende il Fisco, su quali basi e con quali conseguenze. Proprio per questo molti contribuenti cadono nell’errore di considerarlo “solo” un passaggio formale, pensando di avere tempo per decidere.
Cosa cambia se si attende l’emissione dell’atto finale
Qui scatta il meccanismo che trasforma l’attesa in una trappola. I termini cambiano drasticamente a seconda che tu agisca sullo schema di atto o sull’avviso definitivo. Non è una differenza marginale, è un abisso procedurale che può compromettere irreversibilmente le tue possibilità di difesa.
Riduzione termini accertamento con adesione
L’articolo 6, comma 2-bis del D.Lgs. n. 218/1997 prevede termini diversi per presentare l’istanza di accertamento con adesione. Ricevuto lo schema di atto, hai 30 giorni per formulare l’istanza. L’ufficio ti convoca entro 15 giorni successivi e avvia il contraddittorio. Disponete di 90 giorni sospesi dal termine di ricorso per trovare un accordo. Se non presenti istanza sullo schema e aspetti l’avviso definitivo, il termine scende a 15 giorni dalla notifica.
Telefisco 2025 ha confermato che questi 15 giorni sono perentori. Non puoi presentare istanza valida oltre questo termine, nemmeno se ancora rientra nei 60 giorni utili per impugnare. Superati i 15 giorni l’istanza viene considerata inammissibile. La conseguenza è semplice: o impugni davanti al giudice o paghi per intero. L’adesione non è più un’opzione.
Confronta le due situazioni. Sullo schema: 30 giorni per decidere, 90 giorni di sospensione per trattare, possibilità di presentare nuovi elementi. Sull’atto definitivo: 15 giorni perentori, 30 giorni di sospensione, nessun obbligo dell’ufficio di considerare nuovi elementi. La differenza non riguarda solo i giorni disponibili, ma l’intera dinamica del rapporto con l’amministrazione.
Sospensione ricorso ridotta da 90 a 30 giorni
Presentare istanza di adesione sospende i termini per impugnare l’atto. Questa sospensione ti protegge mentre tratti con l’ufficio, impedendo che l’atto diventi definitivo. La durata della sospensione però dipende dal momento in cui presenti l’istanza.
Istanza presentata sullo schema di atto: sospensione di 90 giorni. Hai tre mesi per definire l’adesione o decidere se impugnare. Istanza presentata sull’avviso definitivo preceduto da schema: sospensione di soli 30 giorni. Hai un mese per chiudere l’accordo o perdere l’occasione.
Il ragionamento del legislatore è chiaro. Chi aspetta l’atto finale ha già avuto 60 giorni per valutare la situazione con lo schema. Gli vengono concessi 30 giorni supplementari come ultima chance, ma non di più. Chi invece presenta istanza direttamente sullo schema ottiene il periodo completo di 90 giorni perché sta collaborando da subito al contraddittorio.
Trenta giorni sono pochissimi per un’adesione complessa. Devi concordare con l’ufficio gli importi, valutare la convenienza rispetto al contenzioso, organizzare il pagamento o la rateizzazione. Se l’adesione riguarda più annualità o tributi diversi, il tempo stringe ulteriormente. Con 90 giorni gestisci la trattativa con calma, con 30 giorni sei sotto pressione costante.
Perché aspettare l’atto finale riduce il tuo potere contrattuale
Oltre ai termini ridotti, aspettare l’atto definitivo ti mette in una posizione negoziale molto più debole. Non è solo una questione psicologica, ma una differenza sostanziale di diritti e obblighi che il legislatore ha voluto creare per incentivare il contraddittorio preventivo.
L’ufficio non considera nuovi elementi
L’articolo 6, comma 2-bis del D.Lgs. n. 218/1997 stabilisce espressamente che, quando presenti istanza di adesione dopo la notifica dell’avviso definitivo preceduto da schema, l’ufficio non è tenuto a prendere in considerazione elementi di fatto diversi da quelli dedotti con le eventuali osservazioni presentate sullo schema. Puoi portare nuovi documenti, nuove prove, nuove argomentazioni, ma l’amministrazione può legittimamente ignorarli.
Facciamo un esempio concreto. Lo schema contesta ricavi non dichiarati per € 100.000. Tu aspetti l’avviso definitivo e solo allora trovi le fatture passive che dimostrano costi deducibili per € 60.000. Presenti istanza di adesione con questi documenti. L’ufficio può rifiutarsi di considerarli, perché non li hai presentati durante il contraddittorio preventivo sui 60 giorni dello schema. La tua adesione si farà sulla pretesa originaria di € 100.000, non sulla pretesa ridotta a € 40.000.
Se invece presenti istanza sullo schema con gli stessi documenti, l’ufficio è obbligato a valutarli. Il contraddittorio è ancora aperto, l’istruttoria non è chiusa. Puoi modificare il perimetro della contestazione prima che diventi definitiva. È la differenza tra negoziare a carte scoperte e negoziare con una sola mano giocabile.
Lo schema di atto è già un accertamento di fatto
La prassi operativa degli uffici ha trasformato lo schema in un accertamento sostanziale, nonostante formalmente dovrebbe essere solo una comunicazione preliminare. Gli ispettori completano l’intera istruttoria prima di notificare lo schema. Quantificano imposte, sanzioni e interessi con precisione definitiva. Motivano la pretesa nei minimi dettagli. Quando ti arriva lo schema, il lavoro è finito.
Le statistiche confermano questa realtà. Nella stragrande maggioranza dei casi l’avviso definitivo replica identicamente lo schema. Le osservazioni del contribuente vengono accolte solo in minima parte, se accolte. L’ufficio ha già formato il proprio convincimento e difficilmente lo modifica. Il contraddittorio preventivo rischia di trasformarsi in un formalismo burocratico piuttosto che in un reale confronto.
Questa situazione crea un paradosso pericoloso. Da un lato lo schema è “solo” una comunicazione preliminare, dall’altro contiene già la decisione finale. Chi aspetta l’atto definitivo pensando di guadagnare tempo per valutare meglio in realtà sta solo rinunciando ai margini di manovra che aveva. L’atto definitivo non aggiunge nulla allo schema se non l’esecutività immediata e la riduzione dei termini.
Psicologicamente aspettare l’atto finale ti mette anche in una posizione difensiva. L’amministrazione ha già notificato, motivato e confermato la pretesa due volte. Tu arrivi alla trattativa dopo aver lasciato decorrere tutti i termini senza reagire. L’ufficio percepisce meno urgenza di trovare un accordo, perché sa che ormai hai solo 15 giorni e poche alternative. Il rapporto di forza si sposta inevitabilmente a suo favore.
Le tre strade davanti allo schema di atto
Ricevuto lo schema hai tre opzioni, ciascuna con tempistiche e conseguenze proprie. Devi scegliere rapidamente quale percorso seguire, perché i termini decorrono contemporaneamente e alcune scelte si escludono reciprocamente.
Prima opzione: presentare osservazioni entro 60 giorni. Predisponi una memoria difensiva dettagliata con la documentazione a supporto. L’ufficio è obbligato a valutare le tue argomentazioni e a motivare nell’atto definitivo perché non le accoglie. Questa strada preserva tutte le tue facoltà successive. Se le osservazioni non vengono accolte, puoi ancora presentare istanza di adesione quando ricevi l’avviso definitivo oppure impugnarlo direttamente.
Seconda opzione: presentare istanza di accertamento con adesione entro 30 giorni dallo schema. Rinunci implicitamente al contraddittorio preventivo e passi direttamente alla fase negoziale. L’ufficio ti convoca entro 15 giorni, avviate la trattativa per ridurre la pretesa. Sanzioni ridotte a un terzo del minimo, possibilità di rateizzare fino a 16 rate trimestrali oltre € 50.000. Se non trovate l’accordo, conservi il diritto di impugnare l’atto quando arriva.
Terza opzione: restare inerti e aspettare l’avviso definitivo. Decorsi 60 giorni senza osservazioni né istanza, l’ufficio notifica l’accertamento che replica lo schema. A questo punto hai ancora 15 giorni perentori per l’istanza di adesione oppure 60 giorni per impugnare. Come abbiamo visto, questa scelta ti espone ai termini ridotti e alla perdita del potere contrattuale.
Non confondere strategia difensiva con procrastinazione. Valuta subito dopo la notifica dello schema se hai elementi per contestare nel merito. Se li hai, presenta osservazioni dettagliate entro 60 giorni. Se riconosci la pretesa ma vuoi ridurre sanzioni e rateizzare, presenta istanza di adesione entro 30 giorni. Mai aspettare passivamente l’atto finale sperando che la situazione si risolva da sola.
L’errore più frequente è pensare di avere “due chance“: prima con lo schema, poi con l’atto definitivo. Tecnicamente è vero che puoi agire in entrambi i momenti, ma le condizioni della seconda chance sono così penalizzanti da renderla quasi inutilizzabile. I 15 giorni perentori e l’impossibilità di portare nuovi elementi trasformano l’atto definitivo in un ultimatum piuttosto che in un’opportunità.
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Lo schema di atto richiede una reazione immediata e tecnicamente precisa. La scelta tra osservazioni, adesione o attesa dell’atto finale dipende dalla specifica contestazione, dalla documentazione disponibile, dalla convenienza economica dell’adesione rispetto al contenzioso. Non esiste una strategia valida per tutti i casi.
Analizziamo la tua situazione concreta. Valutiamo insieme i margini di riduzione della pretesa, le probabilità di successo delle osservazioni, la convenienza dell’adesione con il calcolo preciso di sanzioni e interessi. Ti guidiamo nella scelta del percorso ottimale considerando anche le conseguenze sulla rateizzazione e sulle annualità successive.
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Fonti
- Art. 6-bis, Legge n. 212/2000
- Art. 6, comma 2-bis, D.Lgs. n. 218/1997
- D.Lgs. n. 219/2023
- Art. 29, D.L. n. 78/2010