Il packaging è un potentissimo strumento di branding e di vendita ritenuto oggi giorno sempre più importante. Attraverso il packaging infatti il consumatore può essere indotto a preferire l’acquisto di un prodotto di un determinato marchio rispetto ad un altro.

Quello che però in molti non sanno è che anche attraverso il packaging possono essere poste in essere condotte riconducibili alla concorrenza sleale o al fenomeno -peraltro sempre più diffuso – del “Look alike”.

Al fine quindi di scongiurare ipotesi di questo tipo è possibile garantire al proprio packaging una certa tutela.

In questo articolo affronteremo questo particolare aspetto, strettamente correlato alla vita di un marchio e ai prodotti allo stesso riconducibili, analizzeremo gli aspetti principali legati al packaging da tener di conto, giungendo ad esaminare poi la normativa sulla concorrenza sleale e il fenomeno del “look alike”.

COSA SI INTENDE PER PACKAGING 

Per packaging si intende l’imballaggio o l’imbottigliamento di prodotti al fine di renderli sicuri da danni durante il trasporto e lo stoccaggio.

In realtà oggi giorno questo “processo” viene anche utilizzato allo scopo di aiutare ad identificare, descrivere e promuovere un determinato tipo di prodotto.

L’attenzione e la cura riservate al packaging si stanno infatti sempre più perfezionando tanto da far diventare questo processo parte integrante del prodotto stesso e svolgere funzioni diverse da quelle per le quali è nato: attraverso un giusto packaging si riesce infatti, oltre che ad a impartire informazioni essenziali o aggiuntive e aiutare nell’utilizzo, ad attirare l’attenzione del consumatore.

Le confezioni dei prodotti rappresentano quindi il veicolo attraverso il quale il marchio di un prodotto viene “trasportato” attraverso il consumatore, ed è quindi un potente strumento di branding e di vendita e come tale la progettazione e la produzione del contenitore o dell’involucro di un prodotto comportano una fase delicata e fondamentale del processo.

La decisione di adottare un tipo di packaging rispetto ad un altro può influenzare la produzione, la distribuzione, la ricerca e lo sviluppo, le vendite, la contabilità e la finanza di un prodotto.

GLI ASPETTI PRINCIPALI LEGATI AL PACKAGING

  1. Progettazione del packaging al fine di conservare e proteggere il prodotto: come già brevemente accennato sopra questa è di fatto la funzione principale e primaria per la quale è nato il packaging, ovvero determinare che il prodotto sia conservato correttamente in tutte le fasi del suo percorso, dalla distribuzione al consumo.

In questa fase è opportuno progettare la forma che lo stesso deve assumere in funzione del trasporto del prodotto confezionato, così come dell’utilizzo dei relativi materiali adibiti a creare il packaging. 

  • Il packaging come “identità del prodotto”:abbia già detto che il packaging è lo strumento più rilevante per creare la cosiddetta “identità del prodotto”, in quanto chiude in sé tutte le informazioni utili a identificare il prodotto e a dare una capacità distintiva allo stesso. Infatti, l’immagine, il colore e la struttura dell’imballaggio contribuiscono al successo commerciale del prodotto stesso, assumendo così una funzione attrattiva verso il consumatore.  
  • Il packaging come mezzo di comunicazione e di marketing: tramite il packaging occorre fare riferimento alla parte grafico – pubblicitaria – connessa alla propria presentazione sul mercato (aspetto estetico) – che ha lo scopo di distinguere il prodotto stesso rispetto agli altri e di attrarre il consumatore perché sia condotto all’acquisto.

Tutte queste funzioni insieme rappresentano l’importanza e il ruolo fondamentale che il packaging in realtà rappresenta per un prodotto e di conseguenza per un marchio.

LA PROTEZIONE DEL PACKAGING

Il packaging è un segno distintivo dell’azienda, soprattutto dei suoi prodotti, quindi gli può essere conferita una certa protezione attraverso diverse forme di tutela che vanno dalla registrazione del marchio figurativo o di forma, al deposito di un disegno o modello industriale, alla tutela brevettuale (nel caso in cui l’idea di packaging sia innovativa dal punto di vista tecnico) e al diritto d’autore (se il packaging presenta un valore artistico).

LA CONCORRENZA SLEALE E IL FENOMENO DEL LOOK ALIKE NEL PACKAGING

Si può incorrere in una ipotesi di concorrenza sleale ogniqualvolta ci si imbatta in una imitazione della confezione da parte di una impresa concorrente che potrebbe imitare il confezionamento della prima o comunque creare “confusione” nel consumatore.

In questo contesto quindi la necessità della protezione del packaging serve a impedire l’imitazione del confezionamento di un prodotto, evitando così che si creino situazioni di questo tipo che appunto, oltre ad arrecare un danno del consumatore, potrebbero determinare un’ipotesi di concorrenza sleale.

Tale fattispecie trova fondamento all’art. 2598 n. 1 cc, che disciplina la concorrenza sleale di tipo confusorio, ed è integrato e aggravato dalla condotta finalizzata non solo e non tanto nella riproduzione di una o più delle connotazioni specifiche del prodotto (forma esteriore, confezione, colori) quanto nella concreta potenzialità dell’atto concorrenziale di generare confusione nell’acquirente. Ciò che assume rilievo quindi non è la semplice imitazione di forme “standard” – il nostro ordinamento tutela la creatività e con sé anche la libera concorrenza e la “libertà di copiare” – ma la fattezza del prodotto che ricorda gli elementi caratterizzanti di un altro più conosciuto e trae benefici di mercato dalla notorietà dell’altro. 

Tale fenomeno è definito look-alike.

Si ha “look alike” tutte le volte in cui un certo prodotto tenta di imitare nel packaging un prodotto famoso per attirare il pubblico, aggirando così anche costi di innovazione e ideazione che stanno nella filiera produttiva.

In questi casi l’imitazione dell’aspetto complessivo del bene può indurre in errore il consumatore o comunque attrarre la sua attenzione e orientarne le scelte verso il prodotto che “sembra come l’originale”: da qui nasce la definizione di look alike.

Se è pur vero che una norma ad hoc per questa particolare ipotesi non esiste, è comunque vero che c’è la necessità di tutelare il “packaging” di un prodotto (linee, forme, colori, figure, slogan…), quando questo presenti quel carattere richiamato dal concorrente (approfittando quindi della similitudine tra il prodotto realizzato e quello appartenente ad un marchio noto conosciuto e conoscibile).
Pur nello sforzo della giurisprudenza di disciplinare questo fenomeno attraverso la fattispecie della concorrenza sleale per imitazione servile, bisogna evidenziare che il concetto di confusorietà, di cui all’art. 2598 c.c. comma 1, riguarda il fenomeno del “look alike” solo marginalmente. 

Molto spesso infatti manca nei casi di “look alike” il rischio concreto di “confusione”, dato che il consumatore moderno, sempre più spesso attento e informato, ben può sapere che i prodotti, pur presentando una confezione simile e confondibile, provengono da due fonti produttive differenti.
E allora proprio su questa base si dovrebbe negare una tutela al prodotto “originale” ogni volta che l’imitazione della stessa non crea confusione. 

In questo contesto si inserisce allora l’art. 2598 c.3 c.c. il quale disciplina che 

“compie atti di concorrenza sleale chiunque: 3) […] si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”. 

Tale disposizione consente di tutelare il prodotto imitato dal “look alike”, tralasciando la confusorietà e rimettendosi all’inosservanza dei principi di correttezza professionale. 

Infatti, nel momento in cui l’impresa “parassita” utilizza tutti gli elementi altrui per realizzare il proprio prodotto, si sta servendo della prestazione altrui senza costi e senza alcuna creatività concreta, ponendo così in essere un comportamento contrario ai principi della correttezza professionale, al solo fine di acquisire direttamente il risultato dello sforzo creativo del concorrente. 

La ratio della normativa quindi sta nella necessità di definire quando una “free competition”sia anche “fair competition”e in questo contesto appare senza dubbio che la previsione normativa di cui all’art. 2598 cc sia l’unica in grado di preservare le specificità del fenomeno “look alike”e quindi di consentire un intervento giudizialmente adeguato. 

Tuttavia, come già detto, mancando nell’ordinamento italiano una disciplina specifica che di fatto regolamenti questo fenomeno si applica prima di tutto la normativa sui marchi e in via residuale quella relativa alla concorrenza sleale. 

Ciò perchè l’applicazione della disciplina della tutela del marchio deriva dal carattere distintivo stesso della confezione, che è appunto tutelabile come marchio e, come tale, sottoposta a registrazione.

La forma del prodotto e della sua confezione possono essere oggetto di registrazione senza però creare una situazione di monopolio da parte dell’impresa rispetto al segno e alla produzione di quel prodotto.

L’art. 9 c.p.i. stabilisce infatti che 

“non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, o dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto”.

Qualora però le confezioni dei prodotti non siano registrabili come marchio, si ricorre al “look alike” con la relativa tutela prevista dalla normativa in tema di concorrenza sleale per imitazione servile ai sensi dell’art. 2598, n. 1, codice civile che, come già visto vieta qualsiasi imitazione pedissequa della forma del prodotto o del relativo contenitore e tutela il valore distintivo della forma di un prodotto. E’ infatti considerata come un atto di concorrenza sleale “l’imitazione delle forme esteriori del prodotto che, per novità e originalità, costituiscono l’individualità di un prodotto e ne denotano la provenienza”.

Packaging e tutela dell’impresa: consulenza legale online

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Martina Cergnai
Laurea in diritto internazionale penale “I gender crimes nel diritto penale internazionale“ Iscritta all'Ordine degli Avvocati di Pistoia. Nel 2021 partecipa al Corso di Alta Formazione in Fashion Law presso l'Università Cattolica di Milano. Mi occupo di aspetti legali su proprietà intellettuale, marchi, brevetti, fashionlaw e diritto informatico.

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