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Lite temeraria: quando intentare una causa è un rischio

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La lite temeraria rappresenta un fenomeno problematico nel panorama legale, con implicazioni significative sia per i professionisti del diritto che per i cittadini. Comprendere le caratteristiche e le conseguenze di questo tipo di azione legale è fondamentale per evitare comportamenti scorretti e garantire una giustizia equa.

La lite temeraria è una fattispecie introdotta dal legislatore al fine di ridurre il carico del contenzioso giudiziario. Tramite suddetto strumento, si intende evitare tutti quei procedimenti infondati, che non condurranno ad un esito favorevole per l’attore, ma che rischiano di ingolfare il sistema giudiziario italiano.

Il legislatore, in questo caso, ha previsto come rimedio il risarcimento del danno. La norma prevede due voci di danno, l’una che deve essere oggetto di prova da parte del danneggiato, l’altra, invece, che è liquidata in via forfettaria, e ha prevalente carattere sanzionatorio. In tal modo, si intende dissuadere le parti del giudizio da porre in essere condotte scorrette, che allunghino ingiustificatamente i tempi del processo.

Quindi, la disposizione in questione ha come obiettivo quello di evitare tutte quelle situazioni in cui il processo viene volontariamente strumentalizzato al fine di ingolfare il sistema giudiziario. In tal modo, infatti, si preclude il soddisfacimento del diritto altrui, che può esser causa di un danno.

Cos’è una lite temeraria?

La lite temeraria si riferisce a un’azione legale intrapresa senza un fondamento giuridico valido, con l’intento di nuocere o di esercitare pressioni su un avversario. Questo concetto si colloca all’interno del diritto processuale e mira a prevenire abusi del sistema giudiziario, in particolare quando le cause sono manifestamente infondate o presentate in malafede.

L’esistenza di norme contro la lite temeraria è cruciale per mantenere l’integrità del sistema giudiziario. In questo contesto, i tribunali hanno il potere di sanzionare comportamenti abusivi, dissuadendo così azioni legali infondate. La regolamentazione di tali pratiche contribuisce a garantire che le risorse giudiziarie siano utilizzate in modo appropriato e che le controversie legali siano risolte in modo equo e tempestivo.

Caratteristiche

Per identificare una lite temeraria, è necessario considerare diversi elementi chiave:

  • Infondatezza della causa: Un’azione legale è considerata temeraria quando non presenta argomentazioni giuridiche sufficienti per giustificare il suo avvio. Ciò implica che il ricorrente non ha una ragionevole possibilità di successo;
  • Intento di nuocere: Spesso, la lite viene avviata con l’obiettivo di danneggiare l’immagine o la posizione economica dell’altra parte. Questo comportamento può includere tentativi di intimidazione o coercizione;
  • Violazione dei doveri processuali: Il rispetto delle norme etiche e procedurali è fondamentale nel contesto legale. La lite può emergere quando una parte ignora tali obblighi, agendo in modo scorretto o sleale.

Il danno da lite temeraria

Il danno da lite temeraria è una fattispecie introdotta dal legislatore al fine di ridurre il carico del contenzioso giudiziario. Tramite suddetto strumento, si intende evitare tutti quei procedimenti infondati, che non condurranno ad un esito favorevole per l’attore, ma che rischiano di ingolfare il sistema giudiziario italiano.

Dunque, tramite la minaccia del risarcimento e del relativo indennizzo si è tentato di introdurre un deterrente per il contenzioso. La lite temeraria viene disciplinata dall’art. 96 c.p.c., che dispone:

Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza. Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare [669 duodecies], o trascritta domanda giudiziaria [2652 ss., 2690 ss. c.c.], o iscritta ipoteca giudiziale [2818 c.c.], oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata“.

Quindi, la disposizione in questione ha come obiettivo quello di evitare tutte quelle situazioni in cui il processo viene volontariamente strumentalizzato al fine di allungare i tempi della giustizia. In tal modo, si preclude il soddisfacimento del diritto altrui, che può esser causa di un danno.

Lite temeraria come abuso del diritto

Invero, la fattispecie della lite temeraria può esser considerata un tipi di abuso del diritto. Tale figura ricorre ogniqualvolta un soggetto esercita il diritto travalicando i limiti della buona fede. La clausola, che è applicazione del principio costituzionale di solidarietà di cui all’art. 2 cost., funge da limite all’esercizio del diritto, il quale non deve essere mai scorretto. Con ciò si intende che tale diritto deve essere esercitato in modo tale da non arrecare un pregiudizio alla controparte.

La norma, invero, prevede una forma di responsabilità della parte che abusa del diritto, circoscritta ai danni provocati dall’abuso dell’agire o resistere in giudizio.

La disposizione contempla due fattispecie di abuso del processo:

  • Al co 1: si prevede la condotta di chi agisce o resiste in giudizio con la consapevolezza o l’ignoranza dell’infondatezza della propria pretesa o difesa relativamente al procedimento cognitorio;
  • Al co 2: l‘abuso è perpetrato in sede esecutiva o cautelare o successive al processo.

Come è evidente, il co. 2, rispetto, al co 1, ha carattere speciale, che trova applicazione solo se:

  • È stato eseguito un provvedimento cautelare;
  • È iniziata l’esecuzione;
  • È iscritta ipoteca giudiziale.

Risarcimento per la lite temeraria

In caso di lite temeraria, come abbiamo evidenziato, il legislatore ha previsto il risarcimento del danno arrecato. In tal caso, infatti, il giudice provvede a condannare al pagamento di una somma, quindi è una forma di risarcimento per equivalente. Diverse sono le ipotesi di lite temeraria.

Tra queste forma rientrano: mediazioni obbligatorie disertate, proposte conciliative o inviti alla negoziazione assistita non considerati, ipoteche iscritte per crediti inesistenti, opposizione a un decreto ingiuntivo non fondata su alcuna valida prova.

Presupposti del risarcimento

Affinché sia possibile ottenere il risarcimento del danno per lite temeraria, è necessario che siano integrati alcuni requisiti. In particolare, serve la c.d.  malafede o la colpa grave dell’avversario.

Si ha la mala fede e la colpa grave quando il soggetto intende agire o resistere in giudizio avendo consapevolezza dell’infondatezza della propria pretesa vantata. In tal modo, il soggetto in agente abusa del proprio diritto d’azione.

Tale condotta può essere animata o da un interesse ad allungare i tempi del procedimento, o meramente per arrecare un pregiudizio alla controparte. Mentre, si ha colpa grave ove lo stesso abbia agito non rispettando i livelli minimi di diligenza e prudenza. Dunque, lo stesso non ha fatto ciò che era necessario per rendersi conto dell’infondatezza della propria pretesa e per valutare le conseguenze dei propri atti.

Il legislatore presuppone la ricorrenza anche di una seconda condizione per ottenere il risarcimento per lite temeraria. Il ricorrente deve infatti dare prova del danno.

Infatti, egli deve accertare che vi sia stata un’effettiva perdita patrimoniale conseguente alla lite temeraria, secondo il principio dell’onere della prova. Il giudice non può provvedere alla liquidazione in via equitativa.

Infine, è altresì richiesta una terza condizione, ossia deve esser fatta la richiesta al giudice. Il giudice non può, quindi, provvedere d’ufficio alla liquidazione.

Il giudice, come dicevamo, dovrà procedere alla quantificazione del danno da lite temeraria in base alla prova offerta dalla parte offesa.

Al fine di procedere al calcolo, si terrà conto di una serie di elementi quali: la gravita dell’abuso, l’incidenza che questo ha avuto sulla durata del processo, l’intensità dell’elemento soggettivo.

Un danno in re ipsa da lite temeraria

Il legislatore, invero, ha previsto anche una seconda voce del risarcimento, che assume particolare natura. Infatti, al comma terzo dell’articolo 96 c.p.c., si prevede la risarcibilità di un danno forfettariamente determinato. Ciò significa che il giudice può procedere alla liquidazione in via equitativa, senza che sia necessaria la prova da parte del soggetto leso.

Sul punto è altresì intervenuta la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha affermato che: “nozioni di comune esperienza, tra cui il pregiudizio che la controparte subisce per il solo fatto di essere stata costretta a contrastare un’ingiustificata iniziativa dell’avversario, non compensata, sul piano strettamente economico, dal rimborso delle spese e degli onorari del procedimento stesso, liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto tra parte e cliente” (Cass. n. 20995/2011. V. anche Cass. n. 3057/2009).

Questa, dunque, è una forma peculiare di danno in re ispa, che può esser annoverata nella categoria dei c.d. danni punitivi. Essa infatti è una fattispecie che ha prevalentemente natura sanzionatoria. Ricordiamo, a tal proposito, che i danni punitivi hanno carattere eccezionale nel nostro ordinamento e devono rispondere ai principi di offensività e proporzionalità, in quanto equiparati a pena privata.

Dunque, l’art. 96 co. 3 deroga al generale principio che individua nella responsabilità e nel risarcimento del danno una funzione prevalentemente compensativa. L’azione di risarcimento è, in genere, posta in essere al fine di ricondurre il soggetto leso sulla stessa curva di indifferenza su cui si sarebbe trovato in assenza del fatto illecito, come sostenuto dalla Cassazione in tema di compensatio lucri. Dunque, il risarcimento serve ad eliminare le conseguenze pregiudizievoli della condotta. In questo caso, tuttavia, il soggetto non è chiamato a dare prova delle predette conseguenze.

Proposizione della domanda

L’art. 96 c.p.c. disciplina anche le modalità tramite le quali far valere la responsabilità per danno da lite temeraria. La norma fa infatti un elenco delle ipotesi che possono in concreto realizzarsi.

La disciplina in questione può essere applicata anche nelle fasi processuali incidentali rispetto al giudizio di merito. Ciò accade ove esso termini con una decisione conclusiva del giudicante e con condanna alle spese ex art. 91 c.p.c. Mentre, non trova applicazione se il processo non ha una parte soccombente. Ad esempio ciò accade rispetto ai giudizi costitutivi necessari, di mero accertamento, senza costituzione del convenuto.

Inoltre, l’art. 96 c.p.c. opera anche nei procedimenti di volontaria giurisdizione, nonché al processo fallimentare concluso con la revoca della sentenza dichiarativa del fallimento.

L’azione di risarcimento del danno presuppone che siano accertati i requisiti e i presupposti in sede di giudizio di merito. Il giudice dovrà compiere una liquidazione del danno, dunque non è ammissibile la mera condanna generica al risarcimento.
La domanda di risarcimento, inoltre, è proposta nello stesso giudizio in cui si è verificato il danno. Quindi, la cognizione sulla condotta e sul risarcimento è devoluta al giudice che era stato originariamente adito nel merito.

Laddove sia adeguatamente motivata, la decisione sulla lite temeraria non può essere oggetto di impugnazione in sede di legittimità.

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    Elisa Migliorini
    Elisa Migliorinihttps://www.linkedin.com/in/elisa-migliorini-0024a4171/
    Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Firenze. Approfondisce i temi legati all'IVA ed alla normativa fiscale domestica oltre ad approfondire aspetti legati al diritto societario.
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