Lavoro a Parigi, devo pagare le imposte in Italia? Proviamo, grazie al quesito posto da un nostro lettore a rispondere definitivamente a questa domanda, dandoti gli strumenti per capire quando, in caso di redditi esteri, sei tenuto a pagare le imposte anche in Italia. Se hai svolto (o stai svolgendo) un lavoro a Parigi (o comunque in Francia) e vuoi sapere se devi dichiarare anche in Italia i tuoi redditi, questo è l’articolo giusto per te.
La tassazione dei redditi percepiti all’estero è sempre un aspetto che genera molta confusione, in quanto vi sono vari aspetti da tenere in considerazione per capire dove devono essere tassati i redditi percepiti all’estero.
Vi sono poi differenze a seconda della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e lo Stato estero ove il reddito è stato percepito, per questo motivo, dare una risposta generale non è mai possibile, ma è sempre opportuno andare ad analizzare in dettaglio ogni situazione. In questo contributo ci occuperemo di un quesito riguardante i redditi da lavoro percepiti da un soggetto fiscalmente residente in Italia, che ha effettuato un periodo di lavoro a Parigi, che si chiede se e come sia tenuto a dichiarare nel nostro Paese questi redditi.
Il quesito del nostro lettore
Ecco il quesito pervenutoci: “Sono una studentessa universitaria che si è trasferita a Parigi per uno stage lavorativo in un’azienda di moda. Sono stata in Francia per un periodo superiore a 183 giorni nel corso di quest’anno. L’azienda di Parigi mi ha regolarmente trattenuto le imposte dovute. Non mi sono mai iscritta all’AIRE perché non sapevo di doverlo fare. Sono tenuta a presentare la dichiarazione dei redditi e a pagare le imposte sui redditi in Italia? Dovrei iscrivermi all’Aire? Come iscritta all’AIRE dovrei presentare la dichiarazione dei redditi in Italia o sarei tenuta a pagare le tasse solo in Francia?“
Sono molti gli italiani, soprattutto studenti, ad avere trascorso un periodo di lavoro a Parigi, magari temporaneo, per qualche mese o anno (magari nelle vacanze estive), e si chiedono se sono tenuti a pagare le imposte sui redditi anche in Italia.
Non è raro il caso in cui i lavoratori italiani domiciliati all’estero, ma ancora residenti in Italia, ignorino di dover pagare le imposte sul reddito anche in Italia. Vediamo, quindi, di dare una risposta chiara a questo argomento.
Indice degli Argomenti
L’importanza dell’identificazione della residenza fiscale del lavoratore
Il concetto fondamentale per stabilire ove un soggetto sia tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti è quello di “residenza fiscale“. Si tratta della disposizione contenuta nell’articolo 2, co. 2, del DPR n. 917/86 (TUIR). È in base a questa definizione, infatti, che trova applicazione la potestà impositiva, a livello fiscale, di ogni Nazione. Sulla base dell’art. 2 del TUIR un soggetto si considera fiscalmente residente in Italia se verifica almeno uno dei seguenti requisiti (per la maggior parte del periodo di imposta):
- È iscritto all’anagrafe della popolazione residente (ANPR);
- Ha il proprio domicilio (inteso come luogo dove si sviluppano i principali elementi personali e familiari del soggetto);
- Ha la propria residenza (ai sensi dell’articolo 43 del codice civile in Italia);
- Presenza in Italia per oltre 183 giorni (considerando anche le frazioni di giorno).
Il mantenimento della residenza fiscale in Italia, come nel caso del nostro lettore, che nonostante sia all’estero da oltre 183 giorni nell’anno, non si è mai iscritto all’AIRE, può comportare l’obbligo di pagare le imposte sui redditi in Italia anche sui redditi prodotti all’estero.
A partire dal 2024, la mancata iscrizione AIRE non è più una presunzione assoluta di residenza fiscale in Italia, ma piuttosto una presunzione relativa, ovvero che ammette prova contraria. Questo significa che il contribuente ha la possibilità (con non poche difficoltà) di dimostrare l’effettività della residenza fiscale francese. In alternativa, è possibile valutare l’applicazione di una delle tie breaker rules, previste dalla Convenzione contro le doppie imposizioni con la Francia. Anche questo tipo di dimostrazione non è per niente semplice e richiede un grado di approfondimento da valutare attentamente con un dottore Commercialista esperto.
Qualora nessuna di queste possibilità può trovare concreto riscontro il contribuente non può che trovarsi di fronte alla necessità di dover dichiarare il reddito estero in Italia. La situazione di doppia imposizione può essere attenuata attraverso l’applicazione di un credito di imposta per le eventuali altre imposte già pagate nei Paesi ove i redditi sono stati percepiti (tassazione nello Stato della fonte).
La tassazione dei redditi da lavoro dipendente percepiti all’estero
Se il lavoratore ha residenza fiscale in Italia e svolge attività lavorativa (come dipendente) all’estero, l’art. 23 del TUIR prevede che tale reddito debba essere imponibile anche in Italia. In questo caso, viene a crearsi una fattispecie di doppia imposizione giuridica del reddito. Questo, in quanto la prestazione è resa all’estero, ed ivi tassata, ma il soggetto mantiene la residenza fiscale italiana (ed ai sensi dell’art. 3 del TUIR anche in Italia).
Accanto a questa regola generale vi sono due disposizioni derogatorie che riguardano:
- L’applicazione delle retribuzioni convenzionali: la prestazione di lavoro deve essere svolta all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro, e deve essere svolta all’estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi;
- I lavoratori frontalieri: Il lavoro dipendente deve essere svolto in zone di frontiera o in altri Stati limitrofi in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro, e il lavoratore deve recarsi quotidianamente all’estero per lo svolgimento della prestazione.
Qualora non possano trovare applicazione queste due disposizioni si applica il regime ordinario sopra indicato.
Convenzioni contro le doppie imposizioni
Le disposizioni nazionali devono essere coordinate anche con le disposizioni presenti nelle convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia. In particolare, il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero è disciplinato dal modello OCSE di Convenzioni contro le doppie imposizioni all’art. 15, secondo il quale:
- In linea generale, il reddito di lavoro dipendente è tassato nello Stato dove l’attività viene svolta, oltre che, in base ai principi generali, nello Stato di residenza del lavoratore;
- È però prevista la tassazione nel solo Stato di residenza del lavoratore se questo soggiorna nell’altro Stato per un periodo che non oltrepassa i 183 giorni nel corso di un periodo di 12 mesi e, contemporaneamente, le retribuzioni sono pagate da (o per conto di) un datore di lavoro non residente nello Stato dove viene svolta l’attività (e non sono pagate da una stabile organizzazione di cui il datore di lavoro dispone nello Stato in cui viene svolta l’attività).
Secondo l’Agenzia delle Entrate deve seguire questi criteri anche la tassazione del TFR (Risoluzione n. 341/08, Risposte ad interpello n. 343/E/2020, e n. 460/E/2020).
Le retribuzioni convenzionali
Accanto alla regola generale legata alla tassazione ordinaria in Italia del reddito da lavoro dipendente prestato all’estero da parte di soggetto residente abbiamo detto che vi è una disciplina derogatoria legata alle retribuzioni convenzionali. Si tratta della disciplina dettata dall’art. 51, co. 8, del TUIR, secondo il quale:
“il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del ministro del Lavoro e della previdenza sociale”
Si tratta di una norma agevolativa che consente di vedersi tassare non il reddito estero da lavoro dipendente effettivamente percepito ma, piuttosto, un reddito figurativo (solitamente più favorevole) previsto dalle tabelle ministeriali delle retribuzioni convenzionali. Questa disciplina, tuttavia, non è applicabile in tutti i casi. Infatti, prima di tutto occorre verificare che il settore economico in cui viene svolta l’attività da parte del lavoratore dipendente sia previsto nel Decreto ministeriale che determina le retribuzioni convenzionali. Si tratta di un Decreto che viene puntualmente pubblicato e aggiornato ogni anno. Inoltre, è necessario il rispetto di ulteriori specifici requisiti legati all’attività del lavoratore:
- Il lavoratore dipendente deve mantenere residenza fiscale in Italia;
- Svolgimento di lavoro dipendente all’estero in via continuativa che opera in uno dei settori di attività individuati nel nel decreto ministeriale sulle retribuzioni convenzionali;
- Il lavoro sia oggetto esclusivo del rapporto;
- Soggiorno all’estero per un periodo superiore a 183 giorni anche non consecutivi.
Qualora non trovi concreta applicazione una delle condizioni esposte non potrà trovare applicazione l’applicazione delle retribuzioni convenzionali per la tassazione del reddito. In questo caso il reddito deve essere dichiarato prendendo a riferimento la retribuzione effettivamente percepita (secondo il principio di “cassa“).
Disciplina dei lavoratori frontalieri
Il concetto di lavoratore di frontiera (o frontaliere) definisce la figura del lavoratore occupato su un dato territorio di uno Stato, ma residente fiscalmente presso un diverso Paese. Luogo dove, teoricamente e praticamente, si reca quotidianamente o settimanalmente. Si tratta esclusivamente di quei soggetti residenti in Italia che prestano un’attività di lavoro dipendente, in via esclusiva e continuativa, a favore di un datore di lavoro estero e che quotidianamente si recano, appunto, all’estero in Paesi confinanti (Francia, Svizzera, Austria, Slovenia e San Marino) ovvero in Paesi limitrofi (sulla portata del termine “limitrofo” il Ministero fornisce la sola esemplificazione del Principato di Monaco).
Le caratteristiche quindi che i lavoratori frontalieri devono avere per qualificarsi come tali sono:
- La residenza sul territorio dello Stato;
- Il rapporto di lavoro dipendente con un datore di lavoro di uno Stato di confine o limitrofo, con l’Italia;
- La continuità e l’esclusività del rapporto di lavoro;
- La quotidianità dei suoi trasferimenti transfrontalieri verso e da, la sede di lavoro.
Da un punto di vista pratico, è previsto che, il reddito di lavoro dipendente prestato in zone di frontiera – che concorre a formare il reddito complessivo insieme ad altri eventuali redditi del contribuente – dovrà subire una decurtazione dell’importo pari a 10.000 euro (c.d. franchigia di esenzione).
Sul punto, è bene rammentare che, la suddetta franchigia di esenzione (prevista in materia di Irpef), per i redditi di lavoro dipendente prestati all’estero (sempre in zona di frontiera) non deve essere parametrata alla durata del rapporto nell’anno, ma deve essere utilizzata in maniera fissa.
Più precisamente, ai fini dell’applicazione del regime di tassazione in commento si deve:
- Individuare l’insieme di tutte le somme e valori corrisposti al soggetto in relazione al reddito di lavoro svolto come frontaliero;
- Operare la riduzione, da tale importo globale annuo, della franchigia di esenzione prevista in materia in materia di Irpef per i redditi di lavoro dipendente prestati all’estero in zona di frontiera (articolo 3 della Legge 23 dicembre 2000, n. 388) che risulta quantificata ad €. 10.000;
- Applicare la tassazione Irpef su tale differenza, secondo le regole ordinarie del DPR n. 917/86.
Attenuazione della doppia imposizione del reddito da lavoro dipendente estero
Come abbiamo visto, il lavoro in Francia, in questo caso un lavoro a Parigi come stage presso un’azienda, può comportare il pagamento delle imposte sui redditi in Italia. Questo è quanto è dovuto, almeno per il nostro lettore, che si trova a dover pagare le imposte sia in Francia che in Italia, a fronte di uno stesso reddito percepito.
Al fine di evitare questa doppia imposizione, conseguente al pagamento delle imposte sui redditi nel Paese di residenza del dichiarante oltre che nel Paese di produzione del reddito, sia la convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Francia (firmata il ventitre gennaio 1992), sia il TUIR, prevedono un principio generale di divieto della doppia imposizione, per cui la stessa imposta non può essere applicata più volte su uno stesso reddito. In particolare sia l’art. 24 della Convenzione che l’art. 165 del TUIR prevedono la possibilità che le imposte pagate a titolo definitivo sui redditi prodotti all’estero siano ammesse in detrazione dall’imposta netta, scaturente dal conguaglio di fine anno o dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo, fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra redditi prodotti all’estero e reddito complessivo.
Pagamento delle imposte a titolo definitivo
A prima vista può sembrare complicato, ma in pratica l’articolo 165 del TUIR prevede che il nostro lettore, cittadino Italiano, che sostanzialmente svolge la sua vita all’estero ma continua ad essere iscritto all’anagrafe comunale della popolazione residente abbia l’obbligo di contribuire alle imposte sul reddito in Italia. Nella sua dichiarazione dei redditi italiana, avrà diritto ad un abbattimento dell’Irpef (l’imposta sui redditi) pari all’ammontare delle imposte pagate a Parigi a titolo definitivo (non devono essere presi in considerazione gli acconti). Questo credito, comunque, non potrà mai superare la quota di Irpef relativa al reddito estero.
Ad esempio, se per il lavoro a Parigi si è percepito un reddito pari a 1.000 euro la tassazione in Francia è pari al 20% ed in Italia pari al 23% il nostro lettore verserà all’Amministrazione finanziaria francese il 20% del reddito e all’Amministrazione finanziaria Italiana la sola differenza del 3%. In questo modo è correttamente applicato il principio di divieto di doppia imposizione di uno stesso reddito, previsto dall’articolo 165 del TUIR.
Conclusioni e consulenza fiscale online
Cosa possiamo imparare dall’esperienza del nostro lettore?
Prima di tutto è bene ribadire che in questi casi è fondamentale consultare un Commercialista esperto in fiscalità internazionale, quando si intende trasferirsi all’estero per periodi maggiori di 6 mesi, sia per studio che per lavoro, in modo da pianificare correttamente gli adempimenti fiscali conseguenti.
Non potendo tuttavia generalizzare in quanto ogni situazione personale ha le sue peculiarità, quello che posso dirvi è che se un cittadino Italiano svolge la sua vita (personale e/o lavorativa) all’estero, per evitare il pagamento delle imposte sul reddito anche in Italia dovrebbe trasferire la propria residenza fiscale all’estero, iscrivendosi all’AIRE.
La questione però non si risolve così semplicemente, è necessario che il contribuente che intende trasferirsi all’estero sposti con se il c.d. “centro degli interessi vitali“, intendendo con tale locuzione sia i suoi principali interessi familiari e lavorativi.
Un soggetto che vuole trasferirsi all’estero lasciando la sua famiglia in Italia o i suoi principali interessi economici in Italia sarà sicuramente soggetto a controlli ed accertamenti, per questo è bene pianificare con cura ed in anticipo questi aspetti legati alla normativa fiscale.
Questo, anche se potrà sembrarvi poco conveniente, vi consentirà di risparmiarvi in futuro un possibile lungo e costoso contenzioso fiscale con l’Amministrazione finanziaria.
Anche tu ti sei trasferito all’estero e vuoi saperne di più sulla tua posizione fiscale? Hai letto l’articolo ma ti rimangono ancora dubbi riguardanti la tua situazione specifica?
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