Lavoro a Londra, devo pagare le tasse in Italia? Proviamo grazie al quesito di un lettore a rispondere definitivamente a questa domanda, dandoti gli strumenti per capire quando sei tenuto a pagare le imposte anche in Italia, e quali strumenti puoi utilizzare per evitare la doppia imposizione di un reddito estero.
Visti i numerosi quesiti che ci arrivano sulla tassazione in Italia di redditi esteri, ho deciso di utilizzarne uno particolarmente rappresentativo per fornire una risposta completa a tutti i lettori che si trovano nella stessa situazione del nostro lettore “Andrea“.
Questo il suo quesito arrivatoci via email:
Sono molti gli italiani, soprattutto studenti, ad avere un lavoro a Londra, magari temporaneo, per qualche mese o anno, e si chiedono se sono tenuti a pagare le imposte anche in Italia.
Non è raro il caso in cui i lavoratori italiani domiciliati all’estero, ma ancora residenti in Italia, ignorino di dover pagare le imposte sul reddito anche in Italia. Vediamo, quindi, di dare una risposta chiara a questo argomento.
Indice degli Argomenti
Lavoro a Londra e imposte italiane: le regole
Il concetto fondamentale per stabilire ove un soggetto è tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti è quello di “residenza fiscale“, così come disciplinata dall’articolo 2, comma 2, del DPR n. 917/86.
Secondo tale norma un soggetto si considera fiscalmente residente in Italia se è iscritto all’anagrafe della popolazione residente, o alternativamente se ha il proprio domicilio (inteso come luogo dove si sviluppano i suoi interessi personali e familiari) o la propria residenza (ai sensi dell’articolo 43 del codice civile in Italia), per la maggior parte del periodo di imposta. Inoltre, viene presa in considerazione anche la presenza fisica, sempre per la maggior parte del periodo di imposta (contando anche le frazioni di giorno come giorno intero).
Il mantenimento della residenza fiscale in Italia, come nel caso di Andrea, che nonostante sia all’estero da oltre 183 giorni non si è mai iscritto all’AIRE, comporta necessariamente l’obbligo di pagare le imposte sui redditi in Italia, anche sui redditi prodotti all’estero.
Questo, infatti, è quanto prevede il principio della World Wide Taxation, previsto dall’articolo 3 del DPR n. 917/86, questo principio è uno dei fondamenti del nostro sistema fiscale, ma anche di molti dei sistemi fiscali dei Paesi avanzati.
Il concetto è molto semplice: un soggetto è tenuto a pagare le imposte (ovunque prodotte), in un unico stato, quello di residenza. Salvo poi ottenere un credito (o un’esenzione) per le eventuali altre imposte già pagate nei Paesi ove le stesse sono state percepite.
Residenza fiscale e tassazione sui redditi
I requisiti sopra indicati per verificare la residenza fiscale sono alternativi tra loro. Questo significa che è sufficiente realizzare anche soltanto una di quelle fattispecie per essere considerati fiscalmente residenti in Italia.
Tra queste fattispecie vi è una presunzione legale relativa: un soggetto iscritto all’anagrafe di un comune italiano per almeno 183 giorni (anche non consecutivi), in un anno, è considerato fiscalmente residente in Italia, salvo sua prova contraria.
Nel caso di Andrea, non essendosi mai cancellato dall’anagrafe della popolazione residente, è considerato ivi fiscalmente residente a meno che non sia in grado di dimostrare il contrario. La dimostrazione passa attraverso la possibilità di fornire prove documentali certe e non confutabili della sua residenza estera.
Questo aspetto è fondamentale e dovrebbe essere chiaro a quanti di voi stanno per andare a lavorare all’estero o progettano di andarci.
In a quanto previsto dagli articoli 2 e 3 del DPR n. 917/86, i soggetti residenti in Italia che producono redditi all’estero sono tenuti al pagamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche non soltanto sui redditi prodotti in Italia. Ma anche sui redditi prodotti all’estero, anche se questi ultimi hanno già scontato le imposte nel Paese estero in cui il reddito è stato prodotto.
Per questo motivo il Andrea è tenuto ogni anno a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia e dichiarare i redditi esteri.
Normativa convenzionale
Come abbiamo visto, Andrea, è considerato ex lege residente fiscalmente in Italia, per non essersi iscritto AIRE. Questo, a meno che non sia in grado di fornire prove certe della sua residenza fiscale estera. Tuttavia, deve essere considerato che accanto alla normativa nazionale deve essere analizzata anche la normativa sovranazionale.
Faccio riferimento alla Convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra Italia e Regno Unito nel 1988. Tale norma a valenza superiore alla normativa nazionale (art. 75 del DPR n. 600/73 e n. 169 del TUIR), per questo assume un ruolo fondamentale. È infatti importante andare a capire se nella convenzione è prevista la tassazione del reddito nel solo Paese di residenza fiscale.
Questo significa che Andrea ha la possibilità di dimostrare la sua residenza fiscale estera attraverso la dimostrazione di una delle c.d. “tie breaker rules” presenti nell’art. 4 della Convenzione. Ipotizziamo che Andrea sia in grado di dimostrare che il suo “centro degli interessi vitali” è nel Regno Unito. In questo caso, in sede di accertamento spetterà all’Amministrazione finanziaria convincersi della bontà della situazione di Andrea. Questo, sulla base della documentazione che è stato in grado di fornire.
Abbiamo già affrontato i temi dell’accertamento per i soggetti residenti all’estero, e le varie casistiche che si possono presentare. In questo scenario, vediamo, gli effetti legati al fatto che Andrea, nel nostro esempio, non sia in possesso di documentazione tale da dimostrare la sua effettiva residenza estera, oppure non voglia correre rischi di attendere un accertamento che potrebbe arrivare negli anni successivi. Controllo sui quali è comunque impossibile prevedere gli esiti.
Considerarsi fiscalmente residenti in Italia e dichiarare i redditi da lavoro dipendente di fonte estera
Torniamo, a questo punto, alla Convenzione. Se Andrea decide di volersi considerare fiscalmente residente in Italia, deve valutare cosa prevede l’art. 15 della Convenzione in merito alla tassazione dei redditi da lavoro dipendente.
Riepilogando quindi, se Andrea ai sensi della convenzione matura residenza fiscale UK non è tenuto a tassare il reddito da lavoro dipendente estero in Italia. Al contrario, se la sua residenza fiscale è Italiana, sarà obbligato a dichiarare il reddito anche in Italia.
Tassazione del reddito da lavoro dipendente di fonte estera
Il reddito percepito Andrea, residente in Italia, a fronte della propria attività di lavoro dipendente, svolta a Londra rientra nell’ambito applicativo dell’art. 15, par. 1 della Convenzione tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni. Tale disposizione prevede una tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del contribuente, a meno che tale attività non sia svolta nell’altro Stato contraente. In questo caso il reddito deve essere assoggettato a tassazione concorrente in entrambi in Paesi.
Quindi, questo significa che Andrea è tenuto ad assoggettata a tassazione concorrente in Italia (Stato di residenza del contribuente) e nel Regno Unito (Stato della fonte del reddito). L’eventuale doppia imposizione del reddito deve essere eliminata in Italia, ai sensi delle disposizioni contenute nell’art. 24, par. 2 della Convenzione per evitare le doppie imposizioni e dall’art. 165 del TUIR.
Le eventuali giornate di lavoro effettuate da Andrea in Italia, come attività di smart working, devono essere assoggettate ad imposizione esclusiva nel nostro Paese (in quanto, tale ipotesi, Stato di residenza e Stato della fonte coincidono). Vedasi la risposta ad interpello n. 171/E/2023.
Retribuzioni convenzionali
Nel caso in cui ci si trovi a non avere residenza fiscale in UK è necessario tassare il reddito in Italia. La tassazione avviene applicando le c.d. “retribuzioni convenzionali“. Tale tipologia di tassazione è indicata dall’articolo 51, comma 8, del DPR n. 917/86.
Il quale prevede che:
Si tratta di una prima agevolazione che consente di vedersi tassare non il reddito estero da lavoro dipendente effettivamente percepito, ma quello più favorevole previsto dalle retribuzioni convenzionali.
Tuttavia, per poter applicare concretamente questa normativa, è necessario che il settore economico in cui viene svolta l’attività da parte del lavoratore dipendente sia previsto nel decreto ministeriale. Decreto che determina le retribuzioni convenzionali che vengono pubblicate ogni anno.
In questo se Andrea che effettua lavoro a Londra, non avesse residenza fiscale in UK dovrebbe tassare il reddito in Italia. La tassazione avverrebbe attraverso l’applicazione delle retribuzioni convenzionali. Egli, con questa tipologia di tassazione potrà tassare in Italia un reddito inferiore a quello effettivamente percepito in UK, e certificato dal modello P60.
Evitare la doppia imposizione
Come abbiamo visto, il lavoro a Londra, può comportare il pagamento delle imposte in Italia. Questo è quanto è dovuto, nel caso in cui ci si trovi a dover pagare le imposte sia in Gran Bretagna che in Italia, a fronte di uno stesso reddito percepito.
Al fine di evitare questa doppia imposizione, conseguente al pagamento delle imposte nel paese di residenza del dichiarante oltre che nel paese di produzione del reddito, sia la convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Regno Unito (n. 329 del 05/11/1990), sia il DPR n. 917/86, prevedono un principio generale di divieto della doppia imposizione.
Principio per cui la stessa imposta non può essere applicata più volte. Per potere applicare concretamente questo principio ci viene in aiuto l’articolo 165 del DPR n. 917/86. Articolo che prevede che le imposte pagate a titolo definitivo sui redditi prodotti all’estero siano ammesse in detrazione dall’imposta netta.
Imposta scaturente dal conguaglio di fine anno o dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo. Questo fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra redditi prodotti all’estero e reddito complessivo.
Lavoro a Londra e credito di imposta
A prima vista può sembrare complicato, ma in pratica è di fondamentale importanza riuscire a compilare correttamente la dichiarazione dei redditi italiana.
Dichiarazione nella quale il soggetto, avrà diritto ad un abbattimento dell’Irpef (l’imposta sui redditi) pari all’ammontare delle imposte pagate in Gran Bretagna a titolo definitivo (non gli acconti). Questo credito, comunque, non potrà mai superare la quota di Irpef relativa al reddito estero.
Ad esempio se per un reddito pari a sterline 1.000 la tassazione in Gran Bretagna è pari al 20% ed in Italia pari al 23% si verserà al fisco Britannico il 20% del reddito. Mentre al fisco Italiano la sola differenza del 3%.
In questo modo è correttamente applicato il principio di divieto di doppia imposizione previsto dall’articolo 165 del TUIR.
Consigli utili
Cosa possiamo imparare dall’esperienza di Andrea?
Prima di tutto è fondamentale consultare un Commercialista esperto, quando si intende trasferirsi all’estero per periodi maggiori di 6 mesi, sia per studio che per lavoro. In modo da pianificare correttamente gli adempimenti fiscali.
Non potendo tuttavia generalizzare in quanto ogni situazione personale ha le sue peculiarità, quello che posso dirvi è che se un cittadino Italiano svolge la sua vita (personale e/o lavorativa) all’estero, per evitare il pagamento delle imposte sul reddito anche in Italia dovrebbe trasferire la propria residenza fiscale all’estero, iscrivendosi all’AIRE. Inoltre, è necessario anche “scollegare” i principali interessi familiari economici e patrimoniali che legano all’Italia per, “collegarli” allo stato estero di trasferimento.
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