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Credito da dichiarazione omessa ed utilizzo in compensazione

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Il contribuente in caso di omessa dichiarazione o di dichiarazione ultratardiva, ha diritto a vedersi riconosciuto il credito d’imposta (“credito da dichiarazione omessa“) derivante dalla stessa, previa dimostrazione della sua esistenza. Tuttavia, nella misura in cui detto credito sia stato compensato, possono esserci conseguenze sanzionatorie.

La giurisprudenza, allo stato attuale, concorda nel fatto che il credito da dichiarazione omessa, nonostante l’omissione dichiarativa, non venga meno per il contribuente, sia nel caso delle imposte sui redditi e dell’IRAP, sia nel caso dell’IVA, ove occorre valutare la problematica anche nei termini del diritto alla detrazione. L’argomento è stato affrontato in questo articolo a cui rimando per approfondimenti: “Omessa dichiarazione dei redditi: sanzioni e prescrizione“. Tuttavia, mentre l’Agenzia delle Entrate, con le Circolari n. 34/E/2012 e n. 21/E/2013, ha specificato che, se la vertenza non viene definita mediante uno degli istituti deflativi del contenzioso oppure nel contraddittorio successivo all’Avviso bonario, al contribuente rimane solo la possibilità di domandare il rimborso entro il termine di decadenza biennale ex art. 21 del D.Lgs. n. 546/92, la giurisprudenza ha adottato un’interpretazione più favorevole, sancendo che il diritto al riporto del credito e/o alla detrazione permane, non dovendo il contribuente, per forza di cose, attivare la procedura di rimborso (Cass. SS.UU. 8.9.2016 n. 17757).

In ogni caso, è imprescindibile che il contribuente dimostri quantomeno l’esistenza contabile del credito. Esistono, tuttavia, incertezze sui risvolti sanzionatori di tale condotta, legati alla possibile compensazione, interna o esterna, del credito da dichiarazione omessa. Sul versante procedurale, la giurisprudenza ha stabilito che non occorre l’emanazione di un avviso di accertamento, rientrando la fattispecie nella liquidazione automatica della dichiarazione (Cass. SS.UU. 8.9.2016 n. 17758). Vediamo, quindi, con maggiore dettaglio le fattispecie in cui possiamo trovarci.

Detrazione del credito IVA possibile in caso di omissione dichiarativa

Per quanto riguarda l’imposta sul valora aggiunto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il contribuente, sebbene vi sia stata l’omissione dichiarativa, ha diritto alla detrazione del credito IVA esistente, a condizione che, in ossequio all’articolo 19 del DPR n. 633/72, questa avvenga, al massimo, entro il termine per il diritto alla detrazione dell’IVA (termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui è stata effettuata l’operazione). A sancire questo è stata la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 17757/2016. Attraverso questa pronuncia è stata decisamente cassata la tesi erariale, secondo la quale la semplice omissione dichiarativa andrebbe a precludere la detrazione, dovendo il contribuente attivare il meccanismo di rimborso ex articolo 21 del D.Lgs. n. 546/92. Per l’Agenzia delle Entrate l’articolo 30 del DPR n. 633/72 avrebbe indotto ad una diversa conclusione, in quanto pone una strumentalità tra dichiarazione tempestivamente presentata e diritto alla detrazione. Nonostante, l’Agenzia delle Entrate ammetta la possibilità di definire la vertenza tramite uno degli istituti deflativi del contenzioso presenti nell’ordinamento, se il contribuente invece, si trovi costretto ad adire le vie giudiziali o a proseguire nel contenzioso, dovrebbe, seguendo la tesi erariale, rinunciare al ricorso, pagare quanto richiesto con l’atto impositivo, per poi, subito dopo, chiedere il rimborso. Le Sezioni Unite, nella sentenza affermano che il menzionato ragionamento non può essere accettato, in quanto contrastante con i principi comunitari sottesi al diritto di detrazione, diritto che non può essere negato o fortemente compresso in presenza di violazioni solo formali.

Requisiti formali e sostanziali per la detrazione IVA

La Cassazione, oltre a richiamare il diritto comunitario, osserva come una soluzione diversa può derivare da un esame globale della normativa vigente. Infatti, se è vero che l’articolo 30 del DPR n. 633/72, sembra porre una funzionalità tra detrazione e dichiarazione validamente presentata, è altrettanto vero che altre norme sembrano esprimere un diverso principio, come:

  • L’articolo 2 comma 7 del DPR n. 322/98, valevole anche per l’IVA, ove si sancisce che la dichiarazione presentata oltre i 90 giorni, benché ritenuta omessa, è titolo per la riscossione delle imposte dovute;
  • L’articolo 55 del DPR n. 633/72, che, nel legittimare l’accertamento induttivo a seguito di omessa dichiarazione, comunque riconosce la detrazione, sebbene in presenza di certe condizioni;
  • L’articolo 5 del D.Lgs. n. 471/97, che, nel prevedere le sanzioni per l’omessa dichiarazione, impone di considerare anche i versamenti effettuati in sede di liquidazione periodica.

In virtù dei principi comunitari, si prevede che bisogna sempre distinguere i requisiti sostanziali del diritto alla detrazione da quelli formali: se sussistono i primi (quindi se il credito IVA è effettivo e non contestato), “può bastare che, in sede di contraddittorio e/o di contenzioso sulla cartella, il contribuente omissivo documenti la sussistenza dei requisiti sostanziali del diritto a detrazione di cui all’art. 17 della sesta direttiva” (punto 5.2 della sentenza n. 17757/2016).

Tesi delle Sezioni Unite e giurisprudenza

Oltre a ciò, la soluzione indicata trova conforto nella stessa prassi dell’Agenzia delle Entrate (Circolare n. 21/E/2013). Nel momento in cui si consente al contribuente di definire la pretesa tramite ad esempio conciliazione giudiziale, “la dimostrazione dell’esistenza contabile del credito nel contraddittorio col fisco pone il contribuente in condizione equivalente a quella nella quale si sarebbe trovato se avesse correttamente presentato la dichiarazione”; allora, se l’esistenza del credito può essere appurata dall’Ufficio, ciò non “esclude affatto che tale accertamento non possa farlo il giudice tributario di merito a seguito dell’impugnazione della cartella, atteso che il diritto di detrazione sorge nel momento in cui l’imposta a monte diviene esigibile”.

L’assunto delle Sezioni Unite trova conferma nella giurisprudenza successiva (Cass. n. 22747/2016, Cass. n. 23624/2016, Cass. n. 1962/2017 e C.T. Reg. Venezia n. 1093/5/16). Bisogna poi rammentare che, secondo un orientamento giurisprudenziale, l’opzione per il riporto a nuovo del credito, dunque per la detrazione, è valida anche se contenuta in una dichiarazione presentata oltre i 90 giorni, ritenuta omessa ex art. 2 co. 7 del DPR n. 322/98.

Riporto del credito Ires/Irpef/Irap in caso di omissione dichiarativa

Il diritto al riporto e/o alla compensazione del credito derivante da dichiarazione omessa o presentata con ritardo superiore ai 90 giorni sussiste anche per le imposte sui redditi ed IRAP. In questo ambito, l’unica disposizione normativa che disciplina, in qualche maniera, la problematica, è l’articolo 4 del DPR n. 42/88, secondo il quale:

  • La scelta tra riporto oppure rimborso dell’eccedenza deve essere effettuata in dichiarazione, e, in mancanza di opzione, si intende per il riporto a nuovo;
  • Se l’eccedenza non è computata nella dichiarazione dell’anno successivo o se questa non è presentata, il contribuente può chiedere il rimborso ai sensi dell’articolo 38 del DPR n. 602/73.

Vale, anche per imposte sui redditi ed IRP, quanto sancito da Cass. SS.UU. 8.9.2016 n. 17757: i giudici hanno affermato che se, per l’Agenzia delle Entrate (Circolari n. 21/E/2013 e 34/E/2012), si consente al contribuente di definire la pretesa tramite ad esempio conciliazione giudiziale, “la dimostrazione dell’esistenza contabile del credito nel contraddittorio col fisco pone il contribuente in condizione equivalente a quella nella quale si sarebbe trovato se avesse correttamente presentato la dichiarazione”. Quindi, posto che l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto ciò non solo per l’’IVA, ma anche per imposte sui redditi e Irap, questo non “esclude affatto che tale accertamento non possa farlo il giudice tributario di merito a seguito dell’impugnazione della cartella”.

Le sanzioni in caso di detrazione o utilizzo in compensazione di un credito derivante da dichiarazione omessa

Detto questo è opportuno andare ad analizzare i risvolti sanzionatori legati alla condotta del contribuente che, dopo aver omesso la dichiarazione, ha portato in detrazione e/o ha compensato il credito d’imposta che ne deriva.

Per quanto riguarda la dichiarazione omessa, in relazione all’annualità oggetto dell’omissione dichiarativa, trovano applicazione le sanzioni amministrative pecuniarie di cui agli articoli. 1 e 5 del D.Lgs. n. 471/97, in misura proporzionale o fissa, a seconda del fatto che dalla dichiarazione derivino o meno imposte da corrispondere. Tuttavia, in questo caso, il problema riguarda le sanzioni per la detrazione o compensazione del credito emergente dalla dichiarazione omessa.

L’art. 17 del DLgs. n. 241/97 ammette sì la compensazione, ma a condizione che il credito sia indicato in dichiarazione. L’articolo 17 del DLgs. n. 241/97 fa comunque un generico riferimento alla dichiarazione, dunque il requisito sarebbe rispettato quand’anche il credito, poi compensato, sia contenuto in una dichiarazione ultratardiva (presentata oltre i 90 giorni). In relazione a questo, l’ipotesi di assenza di sanzioni è stata dalla C.T. Reg. Venezia n. 1093/5/16, secondo cui, dal momento che il credito può essere utilizzato, non hanno ragione di esistere le sanzioni da indebita compensazione. Al massimo, può essere applicata la sanzione fissa da 250,00 a 2.000,00 euro da dichiarazione omessa (ex art. 5 del D.Lgs. n. 471/97, per dichiarazione omessa dalla quale non emergono imposte dovute). Allo stesso modo, come indicato dalla citata C.T. Reg. Venezia n. 1093/5/16, non possono essere conteggiati gli interessi ex art. 20 del DPR n. 602/73. Le considerazioni svolte possono essere estese al caso della compensazione interna, quindi alla detrazione del credito derivante da dichiarazione omessa effettuata in sede di liquidazione periodica o acconto, oppure all’utilizzo del credito imposte sui redditi a scomputo del saldo/acconti da versare.

Dimostrare l’esistenza del credito da omessa dichiarazione

La possibilità, legata al riporto a nuovo e/o alla compensazione del credito derivante da una dichiarazione omessa, deve essere analizzata alla luce della prova, che deve fornire il contribuente, relativa all’esistenza del credito stesso. Come detto, infatti, il presupposto per l’utilizzo del credito derivante da dichiarazione omessa è la dimostrazione dell’esistenza del credito stesso. Per questo motivo è di fondamentale importanza capire come dimostrare l’esistenza del credito. Le casistiche che si possono avere sono le seguenti:

  • Se si tratta di IVA, è necessario provare i presupposti per il diritto alla detrazione, che si concretizzano nel fatto che gli acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, assoggettati ad IVA e finalizzati alla realizzazione di operazioni imponibili, quindi inerenti e (ad esempio, con riferimento alle eccedenze IVA, mediante esibizione dei registri IVA e delle relative liquidazioni, delle fatture e di ogni altra documentazione ritenuta utile);
  • Se si tratta di imposte sui redditi e IRAP, è necessario dimostrare che il credito abbia una base giustificativa. Occorre produrre la dichiarazione omessa (o presentata oltre i 90 giorni), il modello F24 relativo al pagamento degli acconti, e, per le ritenute, le certificazioni dei sostituti d’imposta, le fatture emesse e i documenti bancari, da cui emerge che gli importi sono stati incassati al netto della ritenuta.

Deve essere tenuto presente che l’onere probatorio grava sul contribuente, nel momento in cui viene formato il ruolo a seguito degli artt. 36-bis del DPR n. 600/73 e 54-bis del DPR n. 633/72, come di consueto, si tratta di un controllo cartolare della dichiarazione, che non presuppone valutazioni giuridiche pregnanti, ad esempio sull’inerenza, sul pro-rata, sui limiti di detrazione oggettiva e quant’altro. Di contro, se viene emesso l’avviso di accertamento, il controllo è pieno, e l’Agenzia delle Entrate non ha in sostanza limiti al sindacato sulla spettanza del credito.

I controlli dell’Amministrazione finanziaria

Nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate disconosca il riporto a nuovo di un credito derivante da una precedente dichiarazione considerata omessa è legittimata all’utilizzo della liquidazione automatica della dichiarazione (art. 54-bis del DPR n. 633/72) per la verifica dello stesso.  Il controllo automatico può essere attivato sulla base dell’esame di informazioni presenti in Anagrafe tributaria, tra cui rientra il dato relativo all’omessa presentazione della dichiarazione da cui emerge il credito. Trattasi, poi, di un controllo che non incide sulla posizione sostanziale del contribuente, “ed è scevro da profili valutativi e/o estimativi e da atti d’indagine diversi da quel mero raffronto tra la dichiarazione fiscale e l’anagrafe tributaria esplicitamente consentito dall’art. 54-bis” del DPR n. 633/72. Tanto premesso, nulla vieta che l’Agenzia delle Entrate proceda mediante ordinario avviso di accertamento o atto di contestazione delle sole sanzioni.

Liquidazione automatica

Se l’Agenzia delle Entrate, opta per la liquidazione automatica della dichiarazione, il procedimento segue le regole degli artt. 36-bis del DPR n. 600/73 e 54-bis del DPR n. 633/72. Successivamente alla liquidazione della dichiarazione eseguita in via telematica, viene recapitato l’avviso bonario e si instaura il contraddittorio tra Agenzia delle Entrate e contribuente, in cui la pretesa può essere definita. Ove, la vertenza non si riesca a definire, verrà formato il ruolo, e la cartella di pagamento ad opera dell’Agente della riscossione deve essere notificata, a pena di decadenza, entro il 31.12 del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (art. 25 del DPR n. 602/73). Nel momento in cui il contribuente riceve l’avviso bonario, ha davanti a sé due possibilità:

  • O definisce l’avviso con sanzioni ridotte al terzo, e paga le somme per l’intero oppure in forma rateale;
  • O attende la cartella di pagamento e presenta ricorso, potendo eventualmente definire la pretesa mediante conciliazione giudiziale o mediazione.

Non è possibile pagare gli importi a seguito di avviso bonario (ad esempio per fruire della riduzione delle sanzioni) e poi domandarne il rimborso.

Ricorso

Il ricorso, per credito da dichiarazione omessa, è ammesso quando il contribuente riceve la cartella di pagamento, e, salvo vizi propri della cartella (esempio inosservanza dei termini decadenziali), va notificato all’Agenzia delle Entrate. Infatti, come abbiamo già illustrato, tutto concerne la dimostrazione circa la spettanza del credito, pertanto si tratta di questioni che esulano dalla competenza dell’Agente della riscossione. L’impugnazione è soggetta alle regole generali, quindi il ricorso, per prima cosa, va notificato entro i 60 giorni all’ente impositore e/o all’Agente della riscossione e, nei successivi 30, depositato presso la segreteria del giudice (entrambi i termini, ex artt. 21 e 23 del D.Lgs. n. 546/92, sono decadenziali).

Definizione dell’avviso bonario

Il contribuente può definire l’avviso bonario, per l’utilizzo del credito da dichiarazione omessa, se versa gli importi entro 30 giorni dalla relativa comunicazione (artt. 2 e 3-bis del D.Lgs. n. 462/97). Ove si riesca a trovare un accordo con gli uffici, dunque il credito venga riconosciuto nel contraddittorio successivo all’avviso bonario, è possibile la definizione. Occorrerà, entro i 30 giorni, pagare le imposte (ma ciò potrebbe non essere necessario in ragione del riconoscimento totale del credito), le sanzioni del 30% ridotte a 1/3 e gli interessi da ritardata iscrizione a ruolo.

4 COMMENTI

  1. salve,nel 2015 ho dato l’incarico di farmi la dichiarazione dei redditi (modello unico)al mio commercialista il quale ha dimenticato di presentarla,mi sono accorto che non era stata presentata l’anno successivo perchè aspettavo il rimborso che non arrivava mai quindi ho controllato ed ecco la sorpresa ho subito contattato il mio commercialista e mi ha subito presentato la dichiarazione dicendomi che l’importante era che non fosse passato un anno (quindi presentata oltre i 90 giorni)ho quindi presentato il modello unico il 16/09/2016 per l’anno di imposta 2014,ancora ad oggi non ho ricevuto il rimborso ed entrando nel sito dell’agenzia delle entrate con il mio pin, la dichiarazione risulta liquidata il 23/05/2017 ma non è stata ancora messa a rimborso il che mi fa sorgere dei dubbi,potreste darmi qualche consiglio a riguardo?mi verrà rimborsato il credito a mio favore?

  2. Salve Vincenzo, con queste informazioni è comunque molto difficile capire come stanno le cose. Il consiglio che posso darle è rivolgersi all’Agenzia delle Entrate e chiedere a loro lo stato della dichiarazione e gli eventuali tempi del rimborso.

  3. Egregio Dottore,

    Dal modello Unico Persone Fisiche 2012 relativo al periodo d’imposta 2011 risulta un credito Irpef correttamente esposto nel quadro Rx che per dimenticanza non è stato riportato nelle dichiarazioni successive, solo nel 2013 non è stata presentata dichiarazione.

    All’esito di un controllo automatizzato, l’Agenzia delle Entrate ha sanzionato l’impiego di tale credito avvenuto nel febbraio 2018, rigettando le successive spiegazioni del contribuente e considerando il credito decaduto.

    L’attuale normativa fiscale o recenti pronunciamenti giudiziari possono consentire di recuperare il credito o magari vincere un’eventuale contenzioso in Commissione Tributaria ?

    Grazie

  4. Salve Marco, il credito per non decadere avrebbe potuto essere inserito in una delle dichiarazioni dei redditi successive all’anno di maturazione. In questo modo il credito si sarebbe “rinnovato”, ed il problema risolto. In questo caso, non ho elementi per dire che potrebbe esserci una risoluzione positiva.

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