La cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente è condizione necessaria ma non sufficiente affinché un soggetto possa essere considerato (effettivamente) come non residente in Italia. Obiettivo del presente contributo è quello di descrivere il tema della residenza fiscale quale “centro degli interessi vitali” delle persone fisiche.
In un contesto come quello europeo dove gli spostamenti di persone sono agevolati, in virtù della mancanza di barriere fisiche e giuridiche, il trasferimento estero di soggetti, per lavoro, studio o piacere, è assai frequente. Per questo, specialmente negli ultimi anni, le autorità fiscali dei vari stati stanno intensificando i controlli, al fine di individuare fittizi trasferimenti di residenza.
La maggior parte degli stati prevede l’adozione di sistemi di tassazione che si basano sul criterio della residenza fiscale del soggetto. In Italia, la normativa sulla residenza fiscale è disciplinata all’interno dell’art. 2 del DPR n. 917/86 (TUIR). Questa disposizione individua i criteri utili ad individuare la residenza fiscale delle persone fisiche. Una volta individuato lo Stato di residenza fiscale, il successivo art. 3 prevede che i soggetti residenti vengano tassati secondo il c.d. “world wide taxation principle“, ovvero il criterio secondo il quale sono assoggettati ad imposizione nello Stato di residenza tutti i redditi, ovunque prodotti. I non residenti, invece, sono tassati esclusivamente in relazione ai redditi prodotti in Italia.
Al fine di contrastare il fenomeno del trasferimento fittizio all’estero di soggetti in realtà residenti i vari Stati hanno adottato specifiche misure, volte a contrastarne il fenomeno. L’ordinamento Italiano, attraverso il modello Ocse di convenzione contro le doppie imposizioni, stipulato con vari Stati esteri, ha previsto un particolare criterio volto ad individuare la residenza effettiva di un soggetto trasferitosi all’estero, attraverso la determinazione del suo “centro degli interessi vitali“. In questo contributo andremo a vedere cosa si intende per “centro degli interessi vitali” e come è possibile effettuare un trasferimento di residenza all’estero, nel modo corretto.
Indice degli Argomenti
- Come definire la residenza fiscale?
- Che cosa si intende per centro degli interessi vitali di un soggetto?
- Quali sono gli indici di una significativa presenza in uno Stato?
- I controlli dell’Agenzia e gli elementi di collegamento con l’Italia
- Convenzioni bilaterali con l’Italia in materia di imposte dirette
- Conclusioni e consulenza fiscale
- Domande frequenti
Come definire la residenza fiscale?
Il concetto di residenza fiscale è uno dei principi cardine della maggior parte dei sistemi tributari adottati dai vari stati. Ho affrontato in modo approfondito il tema in questo contributo, al quale ti rimando: “La residenza fiscale delle persone fisiche“. La residenza fiscale è un concetto chiave nel diritto tributario, poiché determina in quale paese un individuo è tenuto a pagare le tasse. Ai sensi dell’art. 2 del TUIR, si considera residente in Italia per fini fiscali chiunque per la maggior parte dell’anno solare (più di 183 giorni):
- È iscritto nelle anagrafi della popolazione residente (non si è iscritto all’AIRE);
- Ha la residenza o il domicilio secondo le disposizioni dell’art. 43 codice civile (la residenza è il luogo del principale stabilimento; il domicilio è il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi).
Il successivo art. 2, co. 2-bis del TUIR prevede una presunzione legale relativa di residenza fiscale in Italia di tutti quei soggetti trasferiti in paesi non collaborativi (black list). Questi sono chiamati a dimostrare l’effettivo radicamento all’estero pena la presunzione di residenza in Italia.
Nel corso del tempo dottrina e giurisprudenza convergono che la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente, e la contestuale iscrizione all’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) non rappresenta un elemento determinate per escludere la presenza del domicilio o della residenza in Italia. In pratica, l’iscrizione AIRE è elemento necessario ma da solo non sufficiente a determinare la residenza estera di un soggetto espatriato. Questo, in quanto domicilio e residenza possono essere desunti con ogni mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici (Circolare n. 304/E/97).
Ne consegue che l’aver stabilito il domicilio (ex art. 43 c.c.) in Italia, ovvero l’aver fissato la propria residenza (ex art. 43 c.c.) nel territorio dello Stato sono, alternativamente, condizioni sufficienti per l’integrazione della fattispecie di residenza fiscale. Questo, indipendentemente dall’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente (o meno) del contribuente. Condizione, questa, necessaria ma da sola non sufficiente a garantire il trasferimento di residenza fiscale all’estero.
Sulla base di queste considerazioni è da considerarsi fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero, ed ivi svolgendo la propria attività, mantenga il “centro degli interessi vitali” in Italia. Classico caso è quello del soggetto espatriato all’estero che mantiene in Italia la dimora della famiglia. Ebbene, in questo caso il domicilio del soggetto rimane in Italia, in quanto ivi è posto il luogo che è il centro delle proprie relazioni familiari, sociali ed economiche. In questo caso, il suo centro degli interessi vitali rimane in Italia (vedasi quanto indicato dalla Circolare n. 9/E/2001).
Che cos’è la residenza anagrafica?
La residenza è definita dal codice civile come: “il luogo in cui la persona ha la dimora abituale“. Pertanto, è possibile affermare che essa è determinata dall’abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo, sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è compenetrata nel primo elemento.
Affinché sussista il requisito dell’abitualità della dimora non è necessaria la continuità o la definitività. Di conseguenza, l’abitualità della dimora permane qualora il soggetto lavori o svolga altre attività al di fuori del Comune di residenza, e quindi al di fuori del territorio dello Stato, purché conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l’intenzione di mantenervi il “centro degli interessi vitali“.
Che cos’è il domicilio?
Con riferimento al requisito del domicilio di una persona fisica, l’articolo 43 del codice civile lo definisce come il luogo in cui essa ha stabilito “la sede principale dei suoi affari e interessi“. Il domicilio rappresenta, quindi, un rapporto giuridico con il centro dei propri affari e non tiene conto della presenza effettiva della persona nel luogo. Esso consiste nella situazione giuridica che, prescindendo dalla presenza fisica del soggetto, è caratterizzata dall’elemento soggettivo, cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo la sede principale dei propri affari e interessi. In definitiva, il fatto che il soggetto abbia mantenuto in Italia i propri legami familiari o il “centro degli interessi vitali” deve ritenersi sufficiente a dimostrare un collegamento effettivo e stabile con il territorio italiano tale da fare ritenere soddisfatto anche il requisito temporale previsto dalla norma.
Che cosa si intende per centro degli interessi vitali di un soggetto?
Il “centro degli interessi vitali” è un concetto utilizzato in diritto fiscale internazionale per determinare la residenza fiscale di un individuo. Si riferisce al paese con il quale le relazioni personali e economiche di un individuo sono più strette.
Relazioni personali | In termini di relazioni personali, si considerano fattori come la residenza della famiglia, il luogo principale di abitazione, e il luogo dove si svolgono le attività sociali, culturali o altre attività non professionali. |
Relazioni economiche | Per quanto riguarda le relazioni economiche, si considerano fattori come il luogo in cui si svolge l’attività professionale o lavorativa, il luogo in cui si gestiscono gli investimenti o si possiedono beni immobili, e il luogo in cui si ha il centro delle attività economiche. La determinazione del centro degli interessi vitali è importante perché può influenzare dove una persona è considerata residente ai fini fiscali, e quindi dove deve pagare le tasse. Questo può avere un impatto significativo sulle obbligazioni fiscali di un individuo, soprattutto se ha legami con più di un paese. |
In linea generale, e a prescindere dai criteri di determinazione della residenza fiscale, essa viene a stabilirsi nel Paese ove il soggetto ha il proprio “centro degli interessi vitali“. L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 351/E/2008, ha chiarito che rimane fiscalmente residente nel territorio dello Stato il soggetto che, pur essendosi trasferito all’estero per motivi di lavoro, mantiene in Italia i propri legami familiari o il centro dei suoi interessi patrimoniali e sociali. Inoltre, deve essere precisato che la verifica di residente fiscale non può mai essere effettuata in sede di interpello, ma solo in sede di eventuale accertamento in quanto implica l’esame delle varie relazioni personali e sociali all’interno del territorio dello Stato. Secondo l’Agenzia delle Entrate, per sciogliere i dubbi in merito all’attribuzione della residenza fiscale e chiarire il significato del domicilio fiscale è possibile prendere a riferimento alla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con lo stato estero di riferimento.
Per approfondire: “Accertamento della residenza fiscale incompatibile con l’interpello“.
Il centro degli interessi vitali nel modello di convenzione Ocse
Per quanto riguarda l’identificazione del centro degli interessi vitali si deve sottolineare che l’articolo 4, paragrafo 1, del modello di Convenzione OCSE, precisa che:
Art. 4, comma 1 modello di convenzione ocse |
---|
“l’espressione residente di uno Stato contraente designa ogni persona che, in virtù della legislazione di uno Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione, o di ogni altro criterio di natura analoga” |
Il successivo paragrafo 2, dello stesso articolo della Convenzione fornisce, invece, l’elenco delle disposizioni che, nel caso in cui una persona fisica dovesse risultare residente in entrambi gli Stati contraenti in base alle norme nazionali (c.d. “dual residence“), consentono di stabilirne univocamente la residenza in uno solo di essi. Dalle considerazioni sin qui svolte si evince la circostanza che il soggetto mantenga in Italia i propri legami familiari o il “centro degli interessi vitali” è di per se sufficiente a determinare un collegamento stabile e giuridicamente rilevante con il territorio dello Stato.
Quali sono gli indici di una significativa presenza in uno Stato?
Nello specifico, è possibile affermare che, ai fini della determinazione della residenza fiscale in Italia, indipendentemente dalla presenza fisica e dal fatto che l’attività lavorativa sia esplicata prevalentemente all’estero, rappresentano indicatori significativi:
- La disponibilità (per un periodo di 90 giorni nell’anno) di una abitazione permanente;
- La presenza della famiglia;
- L’accreditamento di propri proventi ovunque conseguiti;
- Il possesso di beni, anche mobiliari;
- La partecipazione a riunioni d’affari;
- La titolarità di cariche sociali;
- Il sostenimento di spese alberghiere;
- Iscrizione a circoli o clubs;
- L’organizzazione della propria attività e dei propri impegni, anche internazionali, direttamente o attraverso soggetti operanti nel territorio italiano.
Appare opportuno, dunque, in queste particolari circostanze, valutare tutto l’insieme dei tanti rapporti che il soggetto espatriato può intrattenere con Italia per individuare se, nel periodo in cui è stato anagraficamente residente all’estero, abbia effettivamente perso ogni significativo collegamento con lo Stato italiano e possa, quindi, essere considerato fiscalmente non residente. Occorre, in buona sostanza esaminare tutte le possibili relazioni che una persona ha con il territorio dello Stato, sia sul piano territoriale che reale. Qualora, sulla base dei criteri esposti, il soggetto risulti essere residente in Italia, tutti i suoi redditi, ovunque prodotti, saranno ivi assoggettati a tassazione. Questo tipo di analisi è opportuno che venga effettuata anno per anno in relazione a tutte le annualità che potrebbero essere oggetto di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, al fine di valutare compiutamente la propria situazione e valutarne i possibili rischi.
I controlli dell’Agenzia e gli elementi di collegamento con l’Italia
L’Amministrazione finanziaria ha la possibilità di avviare un’attività di accertamento di elementi di prova, anche indiretti, per individuare l’effettivo “centro degli interessi vitali” di una persona fisica. Tale attività viene espletata dalle singole Direzioni Regionali dell’Agenzia delle Entrate, con l’ausilio degli uffici della Guardia di Finanza. Da ricordare che, comunque, questi due organismi possono operare anche autonomamente e disgiuntamente tra di loro.
La posizioni da sottoporre a controllo sono individuate da ciascuna Direzione Regionale sulla base delle informazioni disponibili, nonché sulla base di specifiche segnalazioni nominative. Per ciascuna posizione l’Agenzia agisce individuando una serie di elementi volti ad individuare il “centro degli interessi vitali” del soggetto accertato. In particolare l’Agenzia può:
- Acquisire notizie sulla posizione anagrafica storica presso il Comune dell’ultimo domicilio fiscale risultante in Italia. Vengono conservate a cura di ogni Comune le schede anagrafiche riguardanti soggetti, o intere famiglie, che si cancellano per trasferimenti all’estero;
- Acquisire tutte le informazioni disponibili nel sistema informativo dell’Anagrafe tributaria;
- Acquisire copia degli atti inerenti donazioni, compravendite, costituzione di società, conferimenti in società, etc;
- Valutare i rapporti intercorrenti con i soggetti cointeressati nei suddetti atti;
- Acquisire informazioni sulle movimentazioni di denaro da e per l’estero, il luogo e la data di emissione di assegni bancari, sugli investimenti in titoli azionari e obbligazionari all’estero.
In sintesi, l’Amministrazione finanziaria ha facoltà di porre in essere un azione investigativa finalizzare a ricercare tutti gli elementi concreti di prova, in ordine a:
- Legami familiari e affettivi e all’attaccamento all’Italia (es. presenza di moglie e figli in Italia);
- Interessi economici in Italia (es. partecipazioni societarie, cariche amministrative o di sindaco di società);
- Interesse a fare rientrare in Italia i proventi conseguiti con attività effettuate all’estero (es. trasferimenti di denaro dall’estero all’Italia);
- Intenzione di abitare in Italia anche in futuro (es. acquisto di un bene immobile in Italia).
L’Amministrazione finanziaria ha facoltà di porre in essere un’azione investigativa finalizzata a ricercare tutti gli elementi concreti di prova, in ordine a legami familiari e affettivi, interessi economici in Italia, intenzione di abitare in Italia anche in futuro, e interesse a fare rientrare in Italia i proventi conseguiti con attività effettuate all’estero. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate può acquisire informazioni sulle movimentazioni di denaro da e per l’estero, il luogo e la data di emissione di assegni bancari, sugli investimenti in titoli azionari e obbligazionari all’estero.
Esempio
Ad esempio, può fornire prova del “centro degli interessi vitali” in Italia, anche un lungo periodo di soggiorno nel nostro Paese (dimostrato da viaggi aerei di rientro dall’estero), oppure la partecipazione a concerti, sfilate di moda, eventi mondani tenuti in varie città italiane. Oppure, ancora, la frequente apparizione in programmi televisivi nazionali, oltre che ai vari contratti stipulati con case discografiche e compagnie assicurative italiane. È chiaro che una volta individuati questi elementi, gli stessi saranno utilizzati dall’Amministrazione finanziaria al fine di individuare il “centro degli interessi vitali“, del soggetto, per definire il suo luogo di domicilio o residenza.
Convenzioni bilaterali con l’Italia in materia di imposte dirette
La maggioranza degli Stati, inclusa l’Italia, prevede per la tassazione dei redditi due diversi criteri: il criterio della residenza per la tassazione di redditi ovunque prodotti da soggetti residenti fiscalmente (worldwide principle), sia il principio della fonte (source principle), limitatamente ai redditi prodotti all’interno del proprio territorio da soggetti non residenti. Quando si verifica il concorso di pretese impositive tra due Stati, in relazione ad una specifica fattispecie di reddito transnazionale, tale reddito è soggetto a doppia imposizione giuridica internazionale. Per prevenire eventuali controversie, ogni Stato ha concluso con altri Stati convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni. Se la Convenzione prevede espressamente che la potestà impositiva è attribuita in via esclusiva ad uno Stato, l’altro Stato non potrà rivendicare alcunché. Se però la Convenzione non reca espressamente tale dizione, ma si limita ad indicare un criterio che contrasta con quello della legislazione interna, si verifica, nonostante la Convenzione, un concorso di pretese impositive, in quanto entrambi gli Stati mantengono la potestà impositiva non esclusiva in relazione a quel reddito transnazionale.
Nelle sopra indicate fattispecie, per evitare fenomeni di doppia imposizione giuridica sono applicabili le norme interne e bilaterali contro le doppie imposizioni. Come disposizione generale, le norme convenzionali prevalgono sulle norme interne. Tuttavia, queste devono essere interpretate effettuando uno specifico rinvio alle norme interne dello Stato contraente, a meno che il contesto non richieda diversamente. In questo caso le disposizioni convenzionali possono essere interpretate senza fare riferimento alle legislazioni degli Stati contraenti. Nonostante l’Italia abbia stipulato un rilevante numero di Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, continuano ad essere presenti situazioni di Stati con cui essa non ha concluso alcun accordo. In particolare, le fattispecie pratiche che si possono configurare sono le seguenti:
- Se non vi è una Convenzione in vigore tra i due stati si applicano esclusivamente le disposizioni interne legate allo Stato (della fonte e della residenza);
- Se vi è una Convenzione in vigore trovano applicazione le disposizioni convenzionali seppure interpretate, nella maggior parte dei casi, con riferimento alle leggi interne.
Dual residence
In presenza di Convenzione, il problema di dual residence per le persone fisiche si risolve grazie all’applicazione del paragrafo 2 dell’articolo 4 dell’accordo convenzionale, il quale prevede che quando una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, la situazione è determinata nel seguente modo:
- Detta persona è considerata residente dello Stato contraente nel quale ha un’abitazione permanente. Quando essa dispone di un’abitazione permanente in ciascuno degli Stati contraenti, è considerata residente dello Stato contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette, vale a dire laddove è localizzato il suo “centro degli interessi vitali“;
- Se non si può determinare lo Stato contraente nel quale detta persona ha il suo “centro degli interessi vitali“, o se la medesima non ha abitazione permanente in alcuno degli Stati contraenti, essa è considerata residente dello Stato contraente in cui soggiorna abitualmente;
- Se detta persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati contraenti ovvero non soggiorna abitualmente in alcuno di essi, essa è considerata residente dello Stato contraente del quale ha la nazionalità;
- Se detta persona ha la nazionalità di entrambi gli Stati contraenti o se non ha la nazionalità di alcuno di essi, le autorità competenti degli Stati contraenti risolvono la questione di comune accordo (procedura amichevole ex art. 25 del Modello Ocse).
Le disposizioni sopra richiamate si definiscono tie break rules e prevedono una serie di criteri per determinare, in ipotesi di dual residence, quale dei due Stati contraenti dovrà avere prevalenza nel considerare residente il contribuente persona fisica. I criteri in questione non sono già alternativi tra loro, ma seguono un ordine gerarchico ai fini della loro applicazione. In ambito pratico capita frequentemente che l’applicazione della normativa convenzionale debba essere richiesta direttamente dal soggetto accertato. Questo in quanto lo stesso si ritiene in grado di provare la presenza di una delle regole in modo esclusivo in uno dei due stati contraenti.
Paesi in assenza di convenzione
Deve essere, in ogni caso, rilevato che, in assenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore le cose cambiano. Infatti, nel caso in cui una persona fisica abbia, in base alle norme nazionali di ciascun Paese, il “centro degli interessi vitali” (cioè interessi personali e patrimoniali) in due Stati (i.e., membri dell’Unione europea) il problema della doppia residenza fiscale (dual residence) si risolve (molto spesso) attribuendo la residenza allo Stato ove sono presenti interessi personali (anche se, ultimamente, in giurisprudenza vi sono posizioni che ritengono l’interesse economico patrimoniale prevalente su quello familiare).
Conclusioni e consulenza fiscale
Da quanto sinora analizzato è evidente che l’individuazione del “centro degli interessi vitali” è un presupposto fondamentale ai fini dell’attribuzione della residenza fiscale. Tale considerazione assume ancor più rilevanza se si pensa che il regime impositivo e, quindi, il carico tributario cui le persone fisiche devono soggiacere dipende proprio dal luogo ove hanno stabilito il loro “centro degli interessi vitali“.
Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria, prima di attribuire la residenza fiscale a un soggetto che ha dichiarato la propria residenza all’estero, deve attuare una serie di attività investigative preliminari, talvolta anche molto complesse e dispendiose, con l’obiettivo di accertare l’eventuale simulazione del soggetto che:
- Nonostante le risultanze anagrafiche attestanti il trasferimento della residenza all’estero, mantenga il centro dei propri interessi rilevanti in Italia;
- Preordinando una pluralità di centri, renda difficoltosa l’individuazione della sede principale degli affari e interessi;
- Attraverso l’imputazione formale dei proventi, direttamente conseguiti nei confronti di soggetti terzi (es. società), abbia configurato una fattispecie di interposizione fittizia.
È evidente che in questi casi l’Amministrazione finanziaria non potrà adottare un meccanismo univoco o standard di controllo, ma dovrà adattare l’accertamento in base alle caratteristiche di ogni singolo soggetto. È opportuno, quindi, fare in modo, quando si vuole trasferire la propria residenza all’estero, che tutti questi elementi che possono essere ricercati dall’Amministrazione finanziaria siano chiaramente imputabili al nuovo Stato estero di residenza del soggetto.
Se hai letto questo articolo e ti stai rendendo conto che necessiti dell’analisi della tua situazione personale, ti invito a contattarci attraverso il form di cui al link seguente. Riceverai il preventivo per una consulenza personalizzata in grado di risolvere i tuoi dubbi sull’argomento.
Soltanto in questo modo, infatti, potrai essere sicuro di evitare di commettere errori, che in futuro possono esserti contestati e quindi sanzionati.
Domande frequenti
Il centro degli interessi vitali è un concetto utilizzato in diritto fiscale internazionale per determinare la residenza fiscale di un individuo. Si riferisce al paese con il quale le relazioni personali e economiche di un individuo sono più strette.
Determinare il centro degli interessi vitali è importante perché può influenzare dove una persona è considerata residente ai fini fiscali, e quindi dove deve pagare le tasse.
Il centro degli interessi vitali si determina considerando una serie di fattori, tra cui il luogo di residenza della famiglia, il luogo principale di abitazione, il luogo di svolgimento dell’attività professionale o lavorativa, e il luogo in cui si gestiscono gli investimenti o si possiedono beni immobili.
Sì, il centro degli interessi vitali può cambiare nel tempo a causa di cambiamenti nelle circostanze personali o economiche di un individuo.
Se il centro degli interessi vitali di una persona è in un paese diverso da quello di residenza, potrebbe essere considerato residente fiscale di quel paese e quindi obbligato a pagare le tasse lì.
No, il centro degli interessi vitali è solo uno dei fattori considerati nella determinazione della residenza fiscale. Altri fattori possono includere il luogo di residenza permanente e la presenza fisica.
La determinazione del centro degli interessi vitali di un individuo è di solito fatta dall’autorità fiscale del paese in cui si sostiene che l’individuo sia residente.
Se due paesi rivendicano una persona come residente fiscale, di solito si applicano le disposizioni di un trattato fiscale bilaterale, se esiste, per risolvere la questione.
Se non sei sicuro del tuo centro degli interessi vitali, dovresti cercare il consiglio di un dottore commercialista specializzato in diritto fiscale internazionale.