Come si individua la residenza estera fittizia di una società? Quali sono i criteri di collegamento che fanno considerare una società estera come esterovestita? Scopriamo quali sono le regole da rispettare per evitare di incorrere in contestazioni riguardanti l’esterovestizione legata alla residenza fittizia all’estero.

Negli ultimi anni, la questione della residenza fiscale delle società è diventata sempre più rilevante in quanto molte aziende hanno deciso di trasferirsi all’estero al fine di ottenere vantaggi fiscali. Tuttavia, ci sono criteri precisi che devono essere soddisfatti per poter dichiarare la residenza fiscale all’estero.

Le indagini di esterovestizione sono sempre molto delicate e portano a conseguenze molto pesanti per le società che le subiscono. Per questo motivo, la cosa migliore è quella di cercare di prevenire situazioni “critiche” cercando di anticipare gli effetti di un accertamento. L’obiettivo dell’imprenditore, in questo caso, deve essere quello di correggere eventuali problematiche in anticipo rispetto ai possibili controlli dell’Amministrazione finanziaria. Una contestazione di residenza fittizia all’estero della società può portare a vedersi rideterminare il reddito ai sensi del TUIR. Oppure, in alcuni casi, quando siamo di fronte a gruppi societari internazionali, a contestazioni in termini di transfer price.

Per questo motivo, può essere opportuno conoscere quali sono i criteri di collegamento con l’Italia, legati alla residenza fiscale di una società. Si tratta di indicazioni importanti che posso farti capire meglio la fattispecie di esterovestizione societaria.


La residenza fiscale estera di una società

Per dichiarare la residenza fiscale all’estero, una società deve soddisfare alcuni criteri precisi, legati all’analisi al contrario dell’art. 73 del TUIR (il quale detta i requisiti della residenza fiscale in Italia di una società), tra cui:

  • Avere la sede legale e la gestione effettiva all’estero: la sede legale deve essere trasferita in un altro Paese e la gestione effettiva deve avvenire in quel Paese. In altre parole, non basta trasferire la sede legale all’estero senza spostare la gestione effettiva della società.
  • Rispettare le normative locali: la società deve rispettare le normative locali del Paese di residenza fiscale, ad esempio quelle relative alle tasse e alle leggi del lavoro.
  • Avere una presenza reale nel Paese di residenza fiscale: la società deve avere una presenza reale nel Paese di residenza fiscale, ad esempio attraverso uffici e dipendenti.

In questo modo la società potrà considerarsi fiscalmente residente all’estero e non avere obblighi legati alla tassazione delle imposte sui redditi in Italia, a meno che non vi siano ipotesi di stabile organizzazione, ex art. 162 del TUIR, in relazione ai criteri di collegamento del reddito previsti dall’art. 7 del modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni.

Art. 73 del TUIR – residenza fiscale delle società:
Ai sensi dell’art. 73 co. 3 del TUIR, si considerano residenti le società e gli enti che hanno nel territorio dello Stato, per la maggior parte del periodo d’imposta, alternativamente:
– La sede legale;
– La sede dell’amministrazione;
– L’oggetto principale dell’attività svolta.

Dissociazione tra residenza fiscale reale fittizia per una società

Il trasferimento di residenza all’estero di una società può essere considerato una forma di evasione fiscale se la società cerca di eludere le tasse del Paese di origine. Tuttavia, è importante sottolineare che non tutti i trasferimenti di residenza all’estero sono considerati evasione fiscale. Ad esempio, se la società si trasferisce all’estero per espandere il proprio business e non per evadere il pagamento delle imposte, allora il trasferimento è legale e legittimo. Negli ultimi anni, ci sono stati numerosi casi noti di società che hanno trasferito la propria sede all’estero per ottenere vantaggi fiscali. Ad esempio, nel 2016, Apple è stata multata dall’Unione Europea per avere beneficiato di sgravi fiscali illeciti in Irlanda. Anche Google e Amazon sono state oggetto di indagini per evasione fiscale nel Regno Unito.

L’esterovestizione societaria è una fattispecie sanzionabile per la quale viene fittiziamente localizzata all’estero la sede di una società al solo fine di sottrarre materia imponibile in Italia. Nel nostro ordinamento la disciplina sull’esterovestizione è rinvenibile nelle disposizioni dell’art. 73 del TUIR.

L’obiettivo di una indagine legata alla fattispecie di esterovestizione societaria è quello di individuare una dissociazione tra:

  • Residenza fiscale reale della società;
  • Residenza fiscale fittizia della stessa società.

Tale dissociazione si verifica quando vi sono criteri di collegamento che vengono verificati. Tale verifica avviene quando si possono dimostrare maggiori legami con l’Italia (residenza fiscale reale), rispetto al Paese di stabilimento della società (residenza fiscale fittizia). In queste situazioni l’Amministrazione finanziaria procede a cambiare totalmente il modello impositivo. Sostanzialmente, quello che avviene in un accertamento di questo tipo è una rideterminazione del reddito societario. Si passa da una tassazione del reddito prodotto nello Stato (Italia), a quello della tassazione del reddito ovunque prodotto (“Worldwide taxation principle“). Si tratta, del criterio di tassazione dei redditi legato alle società fiscalmente residenti in Italia.

Perché si arriva ad avere una residenza societaria estera fittizia?

L’imprenditore che si trova con un potenziale problema di esterovestizione societaria, nella maggior parte dei casi, sa benissimo cosa ha tentato di fare. In questi casi l’unica ragione legata alla costituzione di una società all’estero è quella legata all’ottenimento di una tassazione più favorevole rispetto a quella italiana. L’imprenditore, in questi casi, si dimentica della valida ragione economica che dovrebbe essere la base di qualsiasi incorporazione di un’azienda in territorio estero. La valida ragione economica, infatti, è la leva che deve guidare l’imprenditore che vuole avviare un corretto processo di internazionalizzazione verso mercati esteri.

Quando la valida ragione economica non viene presa in considerazione ma, piuttosto, l’unica variabile per l’imprenditore è quella fiscale, siamo di fronte ad una posizione contestabile. L’obiettivo dell’imprenditore che si trova in una situazione simile è finalizzato ad ottenere una tassazione d’impresa più favorevole oltreconfine. Tale necessità viene realizzata, spesso, in modo del tutto scorretto. Molto spesso nell’ignoranza della norma, piuttosto che per veri intenti fraudolenti. In ogni caso, l’obiettivo viene realizzato portando formalmente la sede legale della società in un Paese UE o extra-UE. Il tutto, con una presenza continua in Italia, ove la società continua ad operare direttamente, o tramite i suoi amministratori (che magari continuano a risiedere e ad operare stabilmente).

Quando da consulente mi trovo di fronte a queste situazioni con imprenditori che chiedono la mia consulenza, la situazione è sempre molto delicata. In molti casi i margini di intervento per modificare la situazione nella compliance normativa sono minimi. Per questo motivo è opportuno muoversi per tempo per evitare le conseguenze che ti indicherò di seguito.


I criteri di collegamento con l’Italia che svelano la residenza estera simulata

Il nostro ordinamento tributario non è molto clemente quando si parla di esterovestizione societaria. L’aspetto che maggiormente viene ignorato è la presenza di determinati presupposti che sono in grado di far scattare presunzioni legali (aventi valore probatorio riconosciuto automaticamente dalla legge). Questo tipo di presunzioni operano riconducendo fiscalmente la società alla residenza fittizia. Queste presunzioni ammettono comunque prova contraria, la quale però grava sul contribuente. Di fatto, quindi, in questa fattispecie, la residenza della società viene considerata per presunzione in Italia, salvo verifica della prova contraria a carico dell’impresa. Entrando in dettaglio, la norma di riferimento è il comma 5-bis dell’articolo 73 del TUIR, secondo la quale:

Art. 73, co. 5-bis TUIRSalvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1. Questo se, in alternativa: 
– sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; 
– sono amministrati da un Consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato

Il co. 5-bis dell’art. 73 del TUIR introduce una presunzione legale relativa di localizzazione nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione di società ed enti non residenti che detengono direttamente partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali residenti, se:

  • Sono, a loro volta, controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio italiano;
  • Ovvero sono amministrati da un consiglio di amministrazione o altro organo di gestione, composto in prevalenza da soggetti residenti in Italia.

Gli elementi di collegamento con il territorio dello Stato individuati dalla norma sono solo astrattamente idonei a sorreggere la presunzione di esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione della società estera. La norma introduce una sostanziale inversione dell’onere della prova nella disciplina della residenza fiscale delle società estere. Questo, nel caso in cui controllo risulti riconducibile, anche in via indiretta, a soggetti italiani. Come avrai intuito, difendersi da questo tipo di contestazione con una presunzione legale a favore delle Entrate non è affatto semplice. Questo tipo di presunzione legale relativa di residenza fiscale in Italia della società estera che detiene partecipazioni di controllo in società residenti riguarda, per lo più, situazioni di società holding costituite all’estero che detengono quote in società residenti.


Residenza estera fittizia delle società: elusione o evasione fiscale internazionale?

In conclusione, quindi, per stabilire se una società estera è fiscalmente residente in Italia, occorre analizzare i criteri di collegamento con il territorio italiano. I tre criteri di collegamento sopra indicati sono:

  • Il criterio della sede legale,
  • Il criterio della sede dell’amministrazione (sede effettiva) e
  • Infine, il criterio relativo all’oggetto sociale.

Questi criteri devono essere visti da un punto di vista sostanziale come sede dell’amministrazione e svolgimento dell’oggetto principale dell’attività. Da considerare che il criterio della sede legale ha natura prettamente formale. Quindi, da solo non è affatto sintomatico dell’effettivo collegamento di natura economica e sociale con lo Stato di residenza effettiva. L’aspetto che occorre indagare è se l’individuazione di una sede fittizia all’estero di una società debba configurarsi come fenomeno di evasione fiscale internazionale o di elusione fiscale. Sul punto, andiamo ad analizzare una sentenza della giurisprudenza di legittimità.

Sentenza n. 2407 del 22.01.2018 Corte di Cassazione

In tema di residenza estera fittizia delle società si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2407 del 22.01.2018. Nel caso oggetto di analisi l’Amministrazione finanziaria contestava la presenza occulta dell’organizzazione in Italia di una società tedesca. Di conseguenza, tutte le cessioni rilevanti ai fini Iva in Italia non potevano più essere considerate come operazioni intracomunitarie. Piuttosto, invece, trattasi di operazioni poste in essere tra soggetti operanti sul territorio nazionale.

La società si era costituita in Germania per sfruttare la possibilità di vendere i propri prodotti in Italia a prezzi più competitivi dei concorrenti italiani. Inoltre, la società tedesca realizzava in Italia la maggior parte del proprio fatturato relativo alle cessioni di beni effettuate. Questo aspetto era desumibile dai seguenti aspetti:

  • Contratti stipulati con clienti italiani;
  • Erano stati accesi i rapporti di conto corrente della società estera in Italia;
  • In Italia si trovava tutta la documentazione contabile e bancaria della società.

La corte ha concluso, dal momento che l’abuso può configurarsi solo verso operazioni che non violano specificatamente una disposizione tributaria, che l’operazione in esame dovesse essere trattata come vera e propria esterovestizione. In questo caso, poi, si è arrivati anche a conseguenze penalmente rilevanti. È stato contestato, infatti, il reato di “omessa dichiarazione” dei redditi (articolo 5 D.Lgs. n. 74/00) per i periodi di imposta oggetto di contestazione.

Sentenza n. 10098 del 16.03.2020 Cassazione penale

Ai fini dell’esistenza dell’obbligo di presentare in Italia la dichiarazione annuale dei redditi non è necessario che la società estera sia una mera costruzione artificiale, essendo sufficiente che questa presenti una stabile organizzazione in Italia. Ciò si verifica quando si svolgano nel territorio nazionale la gestione amministrativa, le decisioni strategiche, industriali e finanziarie, nonché la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e di espletamento dei servizi (Cass. n. 32091/2013 e Cass. n. 7080/2012).

In questo senso rappresenta corretta applicazione di tale principio l’aver desunto una stabile organizzazione in Italia di una società estera dal fatto che vi risieda il consigliere di amministrazione che, anche in forza delle deleghe ricevute, risulti protagonista sia della fase ideativa che di quella esecutiva dell’operazione per cui è nata la società, impartendo le relative direttive. In tale contesto, inoltre, finisce per presentare valore anche la circostanza che in Italia sia stata svolta la maggior parte dell’attività economica contestata, con impiego di dipendenti ed uffici di una società partecipante.


Residenza estera fittizia di società: consulenza fiscale

Da quanto illustrato è evidente come l’ipotesi di residenza fittizia all’estero e di contestazione di esterovestizione siano una ipotesi di evasione fiscale internazionale. L’intento, in fattispecie di residenza estera fittizia di società, è sempre quello di voler evadere una norma di diritto italiana. Come detto in apertura, questo, ovvero il controllo preventivo è l’unico modo per ridurre i rischi legati a contestazioni di residenza fittizia all’estero. In particolare, è importante tenere in considerazione alcune precauzioni. In primo luogo, è fondamentale consultare un avvocato o un commercialista esperto in materia di diritto fiscale internazionale per comprendere le implicazioni fiscali del trasferimento di residenza. Inoltre, è importante valutare attentamente il Paese di destinazione, in termini di normative fiscali e di stabilità politica ed economica. Infine, è consigliabile fare una valutazione costi-benefici, considerando sia i vantaggi fiscali che i costi operativi del trasferimento, come ad esempio la perdita di dipendenti qualificati o la difficoltà di accedere ai finanziamenti.

La questione della residenza fiscale delle società è diventata sempre più rilevante negli ultimi anni, soprattutto in relazione alla crescente globalizzazione degli affari. Tuttavia, per poter dichiarare la residenza fiscale all’estero, è necessario rispettare precisi criteri, tra cui avere la sede legale e la gestione effettiva all’estero, pagare le tasse nel Paese di residenza fiscale, rispettare le normative locali e avere una presenza reale nel Paese di residenza fiscale. Tutti questi aspetti devono essere valutati con attenzione e richiedono investimenti rilevanti da programmare con il dovuto anticipo.

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